L’inverno gira la pagina, una pagina di gelo
e guerra, inizia a disfarsi la fitta trama di brina, anche se cade ancora la
neve sui disperati che fuggono dalle loro case, la primavera ha iniziato a
gettare le gemme sui rami e si prepara l’inverno triste al suo addio.
Oggi vado a ripescare una poesia di Ingeborg
Bachmann che ho sempre amato e che ho già pubblicato sul blog.
Stelle di marzo
Ancora la semina è
lontana. Si vedono
terreni inzuppati di pioggia e stelle di marzo.
Nella formula di pensieri infecondi
si configura l’universo seguendo l’esempio
della luce, che non sfiora la neve.
Sotto la neve ci
sarà anche polvere
e, non disfatto, il futuro nutrimento
della polvere. Oh il vento che si leva!
Altri aratri dirompono l’oscurità.
Le giornate tendono a farsi più lunghe.
Nelle lunghe giornate, non richiesti,
veniamo seminati entro quei solchi storti
e diritti, e si eclissano stelle. Nei campi
prosperiamo o ci corrompiamo a caso,
docili alla pioggia, e infine anche alla luce.
Sapremo essere
docili alla pioggia? Vogliamo esserlo? Abbandonarsi agli elementi, cercare un
rifugio, accendere il fuoco, preparare il cibo. Tutti gesti normali, di una
normalità che non tutti nel mondo possono permettersi, dipende dal tempo e dal
luogo dove il caso ci ha destinati alla nostra nascita. Questa è la Cronaca
breve numero 723 di martedì 1 marzo del primo anno di guerra e del terzo anno
senza Carnevale. La poesia di Ingeborg Bachmann è tratta da Poesie, traduzione di Maria Teresa
Mandalari, Guanda 1988
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