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giovedì 5 maggio 2022

Cronache dagli anni senza Carnevale/788. Non troppa luce, non troppa ombra, così la poesia chiama il poeta

 


La chiarezza non appartiene alle ore dense che circondano l’ulivo nel sole del mezzogiorno. La troppa luce rende ciechi tanto quanto l’oscurità, mi disse il pastore seduto all’ombra dell’albero centenario. Senza chiedere se avessi sete mi porse l’orcio di terracotta dove l’acqua manteneva la freschezza della fonte. Il campo di grano prossimo alla maturazione era punteggiato di papaveri rossi e di fiordalisi blu, che una mano sapiente aveva sparso in maniera tale che ciascun colore avesse il suo spazio e non sovrastasse l’altro. Il coro delle cicale ancora non era iniziato, ci voleva qualche settimana, e poi l’estate avrebbe divorato la verdità della primavera, i teneri germogli e la promessa dei frutti. Dal punto in cui eravamo seduti era facile seguire il movimento del gregge. Le pecorelle si muovevano placide brucando le erbe sul confine tra i campi, ma senza toccare il grano. Il cane bianco e nero aveva poco lavoro perché nessuna si allontanava troppo dalle altre. Eravamo in questo tempo e in questo luogo e in un tempo remoto e millenario, dove la vita scorreva guidata solo dalle stagioni e dai frutti della terra, ci guardavamo intorno, in silenzio, non c’era bisogno di altre parole.

 

 

In uno sguardo e in una voce

 

Non la notte più scura,

non la luce implacabile

del mezzogiorno. Perché

la regola dello sguardo stava

nel margine dove l’occhio

poteva muoversi senza

cadere nei due baratri che,

pure, lo attiravano. Non

troppa luce, non troppa

ombra, così la poesia

chiama il poeta, così

il silenzio trova rifugio

e ristoro. In uno sguardo

e in una voce, la tua voce.

 

 

Mi piace passare queste ore silenziose con questo pastore che ancora non ha dieci anni, che è intento e serio, un pastorello che un giorno sarà mio padre.

Oggi è giovedì 5 maggio del terzo anno senza Carnevale e del primo anno di guerra e questa Cronaca 788 sente tutta la grecità del momento.

sabato 30 aprile 2022

Cronache dagli anni senza Carnevale/783. Un profumo di glicine a primavera in una strada di Parigi

 



Non tutti i giorni lasceranno tracce nella nostra memoria, ma ogni istante avrà lasciato una traccia, solo che noi non sappiamo più vederlo. Perché dopo lo sguardo e la percezione del mondo intorno e dentro di noi, le forze dell’oblio sono più veloci di quelle del ricordo e ci sembrerà di non avere molto da dire sul giorno appena trascorso, presi come siamo stati dalle mille faccende della vita quotidiana, dalle preoccupazioni causate dalla pandemia e dalla guerra. Eppure restano in noi molte più cose, immagini e profumi che si riveleranno col passare degli anni. perché anche i ricordi hanno un loro periodo di maturazione, proprio come i frutti sugli alberi, e i ricordi sono i frutti della vita stessa. Così ne dice il filosofo Vladimir Jankélévitch nel libro Da qualche parte nell’incompiuto, (Einaudi, 2012):

 

“[…] se dobbiamo distinguere il contatto grossolano dal tocco leggero diciamo: la reminiscenza non ha il peso del ricordo, è piuttosto il tocco fuggevole che ci sfiora, spesso anche a nostra insaputa. Ne resta qualcosa e al contempo non ne resta niente, ne resta qualcosa che non è niente; è una traccia che non lascia tracce! Un profumo di glicine a primavera in una strada di Parigi, l’odore della pioggia in ottobre sul ferro dei balconi, un sentore di erbe riarse nei campi, una drogheria di villaggio che sa di pepe e naftalina ed eccoci invasi ad un tratto da un languore inspiegabile, abitati da queste presenze infime e intime che non si osa chiamare ricordi. È questo il profumo del tempo. […] indefinita malinconia”.

 

 

Ricordi che non erano miei

 

Sollevo un velo e non

resta che il gesto.

Sfioro un margine non

scritto e subito si

nostrano segni solo

pensati.

Allora scrivo e penso

a questo giorno di

immagini e profumi

che non erano miei

e ora lo sono.

 

 

Così di questo giorno appena concluso, abitato da una lunga passeggiata, dalle faccende della vita domestica, dal rito della spesa e della cucina, e poi di una cena in famiglia in un bel ristorante in una zona poco alla moda di Milano, ecco che ancora non so cosa ritornerà a me negli anni. Ma la memoria è un esercizio di pazienza, una pesca a strascico nell’oceano del tempo e la scrittura, questo scrivere quotidiano, è al contempo la rete e il pescato.

Oggi è sabato 30 aprile del terzo anno senza Carnevale e del primo anno di guerra e questa Cronaca 783 ancora si aggira tra la riva e questo mare ancora così ignoto.

lunedì 18 aprile 2022

Cronache dagli anni senza Carnevale/771. Dondolarsi ancora sul ramo più basso, anche se la notte è già scesa

 



 

È lunedì e di lunedì il mondo tace, la dolcezza del fine settimana è solo un ricordo, bisogna ricominciare a stare nella vita quotidiana, anche se la vita quotidiana è imbrigliata nella pandemia che diminuisce, ma non abbastanza, e nella guerra. Non è facile imparare a stare in questo mondo che non ci assomiglia, che non vorremmo fosse così com’è e che vorremmo diverso. Ma quanto possiamo davvero fare, se non porgere la nostra testimonianza? Oltre ai gesti di solidarietà possibile con la raccolta di denaro, abiti, cibo, medicine e coperte, non sono poi molte le azioni che possono fare la differenza. Possiamo però essere gentili con il nostro prossimo, con le persone a noi più vicine, possiamo donarci il bene quotidiano, sorriderci, accettare la fatica e continuare a sperare. In una fase storica come quella che stiamo vivendo è solo la speranza che può dare linfa al nostro vivere.

 

 

Conversazione con un albero e le sue foglie

 

Mi fermo sotto l’acero,

proprio quello che di

solito ammiro dalla

finestra. È sempre

lo stesso albero e

ogni giorno è diverso.

Le foglie sono più aperte,

il loro verde ancor più

brillante. Chiedo all’albero:

“Chi ti guarderà con questi

occhi amorosi quando io

non ci sarò più?”.

Sento una risposta che

le foglie si passano l’un

l’altra: “Quelli che leggeranno,

ci vedranno ancora tenere e

appena sbocciate come siamo.

Perché la poesia è un traghetto

del tempo presente nel futuro.

In un tempo che è un otto

rovesciato e che ritorna sempre

nel tempo in cui è partito”.

Avranno ragione le foglie?

Resisterà al tempo il mio albero?

Accarezzo il tronco, proprio

dove la corteccia tiene l’impronta

della mia mano e come un gatto,

l’albero risponde e rabbrividisce.

“Tornerò domani – gli dico – tornerò

e sarò nuova anch’io!”.

 

 

Oggi è lunedì 18 aprile del terzo anno senza Carnevale e del primo anno di guerra e questa Cronaca si dondola ancora sul ramo più basso, anche se la notte è già scesa.  

domenica 9 gennaio 2022

Cronache dagli anni senza Carnevale/672. Trattato sulle voci della città e dell’attesa notturna del silenzio

 



Se mi fermo e ascolto il canto della città, quale sarà la prima voce che riconoscerò? I passi dei vecchi, lenti e un po’ trascinati, i passi di corsa dei bambini, ma perché i bambini corrono sempre? Passeggio per la città con la mia rete a strascico, non so mai che suoni e che immagini resteranno impigliati, so che non tutti verranno con me, sino a casa. Il rumore del traffico è proprio uno di quei suoni che lascio andare, soprattutto nei giorni in cui è la sirena delle ambulanze a fenderlo e a renderlo ancora più angosciante. Miriadi di voci restano impigliate sotto i rami dell’albero bellissimo che poi me le offrono quando mi affaccio il mattino presto o nel cuore del buio, quando sono ferma sulla soglia tra il sogno e la realtà. Raccolgo sempre con cura il rumore delle ultime foglie che danzano col vento prima di lasciarsi andare, ho imparato a riconoscere ogni albero del quartiere proprio a partire dalle sue foglie e mi piace vedere che crescono ancora questi alberi, che ancora non stanno invecchiando. O se invecchiano non lo fanno seguendo le leggi umane ma quelle celesti che li uniscono alle stelle e quelle terrestri che li uniscono in un’unica società sotterranea cui noi non abbiamo accesso. Sono molte, a dire il vero, le società che a noi umani sono precluse. Di notte sono i tetti a riunirsi, a confabulare e a decidere come filtrare la luce e la pioggia. I gatti vorrebbero tornare a passeggiare sulle tegole, ma in questa città ci sono più tegole che gatti e nessuno li lascia circolare in libertà. Eppure un tempo tutto il quartiere era abitato da gatti e uccellini, da centinaia di piccioni. È stato negli inverni dei primi anni Duemila che sono scomparsi tutti, inverni freddissimi e nevosi, almeno nei miei ricordi, nel mio tentativo di spiegare l’assenza di canti e miagolii nelle strade.

  

Scrivere nell’aria dopo l’ultima parola

 

Impariamo a riconoscere

ogni voce non per il suo

timbro, ma per la sua

assenza. È una sagoma

di silenzio che intaglia

l’aria a suggerire quanto

fosse intensa o morbida

quella voce che abbiamo

notato perché non fa

più parte dell’anfiteatro

dei nostri sentimenti.

Vorrei che almeno i sogni

portassero indietro quelle

sillabe amate, ma posso

solo sperare e aspettare

che almeno qui, nel teatro

già vuoto, almeno qui,

potrò rivedere il tuo sguardo,

il tuo volto così amato, così

tanto smarrito che mi ritrovo

a tracciarne i confini con

la punta delle dita nell’aria

immota e scrivo, qui scrivo

come faceva Tolstoj agonizzante,

sul letto di morte.

 

 

Scrivere, scrivere sempre, anche senza carta, anche senza penna e senza matita. Scrivere nell’aria e nella sabbia. Presto la mia mano agli invisibili, agli assenti e a questa Cronaca 672 di domenica 9 gennaio del terzo anno senza Carnevale.

martedì 4 gennaio 2022

Cronache dagli anni senza Carnevale/667. In attesa di un tempo migliore prepararsi alla luce meridiana

 



Strano inizio d’anno, dove la vita si svolge tutta in casa, al telefono e sullo schermo. A Milano la situazione è critica a causa dell’aumento esponenziale dei contagi. Nel giro delle mie conoscenze e amicizie, prevale uno stato d’animo malinconico, con molti timori di contagiarsi e poca voglia di uscire. È un anno che è iniziato in continuità con il 2021, proprio non se ne esce. Un’amica mi ha raccontato un sogno inquietante, dove la pandemia si acuiva e il virus si diffondeva anche attraverso gli sguardi. Attraverso gli sguardi? Ma è l’ultimo modo di stare in relazione con gli altri, la mascherina copre tutto tranne gli occhi, palpebre e sopracciglia sono diventate il veicolo per sorrisi, saluti e qualunque altra cosa non possiamo più esprimere con le mani, il corpo, la bocca. Nel mondo i contagi sono schizzati sopra i duecentomila al giorno in Francia, Germania e UK. Negli USA sono arrivati a 1 milione, un milione. E i provvedimenti per contenere la diffusione cozzano con la decisione di evitare nuovi lockdown, la gente viaggia, con più o meno precauzioni, il virus viaggia più veloce di noi. Mi vengo a noia da sola nel fare questo riassunto dei notiziari e dei siti d’informazione. Così, per oggi, mi ritiro e continuo a spolverare e spostare libri, creare i nuovi percorsi di studio e di lettura. Cosa resterà di questo giorno? Di sicuro questo sogno oscuro.

 

 

Quando dobbiamo girare gli occhi

 

 

Giro la testa, abbasso

lo sguardo, non devo

incrociare i tuoi occhi,

cose tremende accadono

se guarderemo come

le anime si incontrano

nel primo luogo senza

parole, così diceva questo

sogno triste d’acqua e

nebbia, in un eterno mattino

che non diventa mai pieno

giorno. Così nasce l’attesa

di un tempo migliore, ma

nessuno di noi sa ancora

come e quando sarà

che i demoni meridiani

verranno a liberarci da

questa attesa.

 

 

Oggi è martedì 4 gennaio del terzo anno senza Carnevale e questa Cronaca 667 sta spolverando i libri di Etty Hillesum, vado a raggiungerla.

sabato 23 ottobre 2021

Cronache dagli anni senza Carnevale/594. Un paesaggio non è solo un ricordo, è anche la cornice che il nostro sguardo gli ha costruito intorno

 

 


Non so perché ma mi accorgo spesso del tramonto perché sento un cane che abbaia in lontananza. Questo mi accade non solo nella città non più silenziosa, ma accadeva anche quando passavo l’estate in campagna, le vacanze di dicembre a Orta San Giulio o a Santa Caterina Valfurva. Il cane che abbaia è sempre per me una porta che si apre e in rapida sequenza vedo il paesaggio delle colline che si appoggiano alla Montagna Magna tra i comuni di San Marco Argentano, Fagnano Castello e Roggiano Gravina in Calabria, la cittadina di Orta e l’isola di San Giulio, la Valfurva con Bormio. Ma cosa accade subito dopo le immagini che tornano insieme all’abbaiare del cane in lontananza? Prima di tutto devo notare che le immagini non sono mai le stesse, variano le altezze, le angolazioni, il clima, l’intensità della luce, la vegetazione. Poi sono gli odori che tornano nelle narici: legna bruciata, fichi maturi, oleandri in fiore, castagne sul fuoco, neve appena caduta, temporale estivo. Così mi tocca riconoscere che interi mondi abitano tra le narici e gli occhi e se ne stanno acquattati in attesa di un cane che abbaia in lontananza. Quando sono a Milano, soprattutto in autunno e se non piove, insieme al cane, alle foglie che cadono, alla luce che scema, sono le prime note del Köln Concert di Keith Jarrett che accolgono nelle mie orecchie la notte che viene.

 


La musica che cambia e non cambia

 

Lo so, lo so che ogni

memoria è una costruzione,

per questo mi piace

vedere e sentire cosa

ci sarà di nuovo ogni volta

che un cane in lontananza mi

annuncia il tramonto.

Non è strano sapere,

quando ricordiamo, che

siamo lì in quello spazio

remoto e qui, proprio qui

nella nostra stanza, sedute

alla stessa scrivania dove

per la prima volta, secoli

fa abbiamo ricordato quelle

colline, i fichi maturi, la pioggia

d’estate e la musica che cambia

e non cambia a seconda se

mi lascio prendere dalla nostalgia

o dal desiderio di ascoltarla

una volta ancora.

 


Un paesaggio non è mai soltanto un’immagine, non è solo un ricordo è anche la cornice che il nostro sguardo ha costruito, è l’intenzione con cui abbiamo guardato, la caparbietà con cui vogliamo ricordare e scrivere. Non è vero Fiammetta, Maria Teresa, Letizia, Giusy, Lucia, Paola, Stefania, Susanna, Giorgio e Lorenzo, compagne e compagni d’avventura in questa esplorazione del paesaggio del romanzo?

 

Oggi è sabato 23 ottobre del secondo anno senza Carnevale e questa Cronaca 594 è barocca nelle intenzioni e razionalista nella stesura. Sta ancora camminando per Milano, alla ricerca di un nuovo punto di vista.

venerdì 15 ottobre 2021

Cronache dagli anni senza Carnevale/586. La parola amore era la voce di un oracolo

 


 

 

Qui dove la pianura è piatta e sogna il mare, qui, proprio qui, dove c’era il mare in un’era che nessuno sguardo umano ha potuto cogliere. Qui, proprio qui, arriverà l’oceano, coprirà le terre emerse e di nuovo nessuno sguardo umano potrà darne conto. Scompariranno il legno, la pietra e il focolare. Nessuna casa potrà resistere e anche il vento sarà costretto a cambiare il proprio cammino, perché non ci saranno le città a deviarli, non gli alti palazzi, non le montagne, di cui resterà solo qualche cima e nemmeno un altipiano. La pioggia avrà lo stesso colore del mare, una tazza antica color ruggine galleggerà tra quelle onde e pesci preistorici torneranno in vita. Dove non ci sono terre emerse la specie a due zampe non sopravvivrà, inutile illudersi di un destino diverso. Saremo solo ricordi intrecciati alle alghe e i dorsi dei libri saranno diventati rifugio dei piccoli paguri fosforescenti. Non ci sarà più la riva dove ti fermavi padre, nessuno dei tuoi figli e nipoti avrà raccolto le tue spoglie, non ci saranno i tuoi occhi e il tuo naso nelle nuove generazioni e non ci saranno la tua bocca madre, né le tue mani. Nessuno nella vostra discendenza starà cercando di rubare la luce, nessuno si nasconderà dietro il fuoco, neanche quando l’orso e l’alce cammineranno fianco a fianco. Nessuno conoscerà più la parola della creazione e neanche i fantasmi cercheranno rifugio sull’isola. Perché non ci saranno né isole né casa, e senza case i fantasmi non possono ritornare a varcare la soglia di questa realtà.

 

 

 

Se le stelle dimenticano di custodire il tempo

 

Le profezie escono dalle

parole, ma le parole sono

povera cosa senza una

voce umana che le possa

pronunciare. Salde nella

bocca, aggrappate al foglio

queste sillabe autunnali che

il mondo avrà dimenticato

dopo che tu le avrai pronunciate,

dopo che io le avrò custodite a

dispetto delle ere e delle stelle,

perché tutto il tempo sarà

chinato a cercare la porta

della nostra casa.

 

 

È quasi impossibile immaginare un mondo dove non avremo presenza e voce, per questo fantastichiamo e teniamo salde le poche certezze che la luce ci insegna: leggere poesie in una lingua antica, dire il sale, dire il fuoco. Non avere paura, non guardarsi mai indietro.

 

Oggi è venerdì 15 ottobre del secondo anno senza Carnevale e questa Cronaca 586 continua a vaticinare come fosse una Pizia e la città silenziosa un vaso che non riusciamo mai a riempire.

giovedì 14 ottobre 2021

Cronache dagli anni senza Carnevale/585. Quando le domande arrivano con le onde e il vento

 


 

Dove finiscono le immagini di tutti i paesaggi che abbiamo visto? Dove sono i volti delle persone amate? Ci sono davvero angoli nascosti nel nostro cervello che custodiscono il mondo che abbiamo veduto? E se non fosse il cervello ma l’occhio a custodire ogni immagine come se fosse uno scrigno? E ogni immagine un filo della tessitura che è la realtà sensibile in cui ci muoviamo pensando di essere osservatori, mentre attimo dopo attimo diventiamo immagini negli occhi di qualcun altro? Non bastano l’acqua di tutti gli oceani e tutte le terre emerse a difenderci dal nostro desiderio di ignoto e di avventura. Ogni immagine ne chiama un’altra, non possiamo fermarci, per questo cerchiamo ogni giorno un senso al nostro stare al mondo, un senso al nostro andare anche solo in un sogno, in un luogo diverso da quello dove abitiamo. Tutto il mondo è una casa, o forse una prigione come scriveva Marguerite Yourcenar, oltre i limiti di questo pianeta non abbiamo libertà fisica di andare e tornare dalle stelle e con fatica qualcuno lo ha fatto da e per la luna. Ma è abbastanza vasto questo nostro mondo perché i paesaggi si moltiplichino e nessuno sguardo si ritrovi senza nuove esplorazioni da fare. E se questo pianeta piccolo e azzurro, lanciato a folle velocità in un universo dai confini inafferrabili non basta alla nostra fame di immagini, possiamo immergerci nel mondo della nostra immaginazione e lasciarci trasportare in altri luoghi. O ritornare in quelli dove siamo già stati e che abbiamo amato affidandoci alla memoria e al silenzio del nostro cuore che aspetta una nuova rivelazione quando è seduto in riva a un mare tranquillo che chi ha chiamato alla contemplazione.

 

 

Un sentiero che si biforca

 

Mi lascio trasportare dalla

luce in questo spazio che

ho riconosciuto. Quando

sono già stata in riva a questo

mare? Quando ho respirato

questa salsedine e il mirto

portato dal vento? Quando

i gigli hanno invaso questo

sentiero che si biforca e

mi obbliga a scegliere se

tornare verso la casa dei

ricordi o andare verso

quella dell’ignoto? Mi sono

fermata e non scelgo, non

ancora. Posso rimandare e

chiedere alle onde quale

strada prendere, dove

andare, per oggi almeno,

per oggi soltanto.

 

 

 

 

È la luce di un pomeriggio autunnale che mi porta tutte queste domande e una poesia fatta di domande è l’unica risposta che trovo oggi giovedì 14 ottobre del secondo anno senza Carnevale, per questa Cronaca 585 costellata com’è di punti di domanda.

lunedì 20 settembre 2021

Cronache dagli anni senza Carnevale/561. Chiedo alla luce un nuovo fulgore

 



 

Quanti movimenti deve fare l’occhio per cogliere proprio quel frammento di luce? Quanti passi verso l’orizzonte per far sì che un paesaggio diventi parte di noi? Quanti respiri all’unisono con il vento servono perché diventiamo aria nell’aria?

Sono domande senza risposta o forse l’unica risposta è sempre la stessa: dipende.

Dipende dalla stagione che ci circonda, dipende dal paesaggio, dalla nostra altezza, da quanto siamo disposti a lasciarci sorprendere, a quanto desiderio di cambiare abita in noi. Il respiro muta solo con un’intenzione precisa, quando sentiamo il petto allargarsi e l’aria non essere più una minaccia che arriva dall’esterno, ma una condizione necessaria a una vita più libera.

La cosa importante di queste domande è che possiamo farle anche stando seduti in poltrona a guardare il soffitto, o alla scrivania a cercare di scrivere un nuovo racconto. Perché c’è sempre nella vita qualcosa che eccede le nostre intenzioni, la sorpresa continua di essere vivi a ogni risveglio, di potersi meravigliare alle minime variazioni della luce.

La poesia si annida proprio tra queste pieghe minime del giorno nuovo, nel pieno della luce meridiana e nei bagliori del sole che cede alla notte.

 

 

La poesia preferisce i margini e le soglie

 

La tazza di tè è calda, il mattino

grigio e non cerco ispirazione

nei colori o nell’aroma che respiro.

Gli attimi si dispongono nel giorno

come note sullo spartito, ma è

ancora troppo presto perché io

possa cogliere questa nuova

melodia e così, chiedo alla luce

un nuovo fulgore, uno scarto

nell’armonia, perché sono margini

e soglie i luoghi dove la poesia

si annida, dove posso fermarmi

e invitarla a raggiungerci in

questa pagina che era bianca.

 

 

Così sta trascorrendo questa giornata, tra la luce e i suoi margini, tra la soglia e l’occhio che la contempla. Perché la poesia è anche questa capacità di mutare la cronaca di un giorno qualunque in un frammento di eternità.

 

Oggi è lunedì 20 settembre del secondo anno senza Carnevale, un lunedì armonioso che abbraccia questa Cronaca 561 e le sue parole appena scritte.

giovedì 12 agosto 2021

Cronache dagli anni senza Carnevale/522. Misteriosa, marina, sdraiata sotto un cielo stellato

 



Storie del Mediterraneo/1

Pensiamo che sia il vento a condurci verso la mèta, ma è lui a lasciarcelo credere. Neanche il vento sa bene dove va e perché. Così quando sbarchiamo sull’isola il primo a stupirsi e a correre a giocare con i cespugli di mirto è proprio il vento della traversata e dello sbarco. Tutto è silenzio intorno a noi quando il vento si rifugia all’interno. La spiaggia ha piccole dune e si allunga a destra e a sinistra e sembra non finire mai. Abbiamo ancorato la barca e portato a riva solo le poche cose che ci servivano, più tardi andremo a pesca e coglieremo le noci di cocco, avremo di che mangiare e bere. Ma se riuscissimo a trovare una fonte d’acqua fresca, potremmo stare ancora più tranquilli e riempire i bidoni a bordo, anzi rinnovare tutta la scorta già che ci siamo. Ci sarà luce ancora per molte ore, anche se la verticale del mezzogiorno l’abbiamo già dietro di noi. Philippe e Luis decidono di andare oltre le dune a vedere cosa c’è, io preferisco restare a guardare il mare e buttare giù un altro schizzo nel mio taccuino. Quando torneremo a bordo per dormire userò gli acquarelli, ma adesso mi basta tracciare le linee che replicano quel che il mio occhio racchiude in un unico sguardo. Non passano che pochi minuti e il fischio di Luis perfora l’aria intorno. È il nostro segnale per dire che tutto va bene e di raggiungerli. Così metto a tracolla la mia borsa di cuoio che viaggia con me da un decennio e mi avvio seguendo le loro tracce. La spiaggia finisce poco oltre le dune e rocce nere, forse vulcaniche, circondano un bosco non troppo fitto nel quale mi introduco. Subito canti di uccellini invisibili mi circondano e sento anche il loro chiocchiolare. Dopo qualche passo ancora, è un rumore d’acqua che mi attira e mi trovo di fronte a un laghetto con due piccole cascate gemelle e rive pianeggianti. I miei amici si stanno lavando, si spruzzano, ridono e scherzano. L’idea di un bagno d’acqua dolce mi attira, abbiamo uno strato di sale sulla pelle che nessuna delle docce riesce mai a scalfire fino in fondo. Quel che nessuno di noi tre ha notato, è la donna vestita di bianco che se ne sta accoccolata dall’altro lato del laghetto e ci guarda. Ce ne accorgiamo solo quando inizia a rispondere ai canti degli uccelli e si alza in piedi. Ha capelli lunghi e ricci, scuri come il fitto del bosco, porta collane di conchiglie e una corona di bacche rosse. Anche i suoi occhi sembrano scuri nella distanza. Ci fa segno di raggiungerla e chi siamo noi per rifiutare l’invito? Ci avviciniamo con cautela e ammiriamo le cosce sode, le gambe lunghe, il seno florido e invitante. Sono mesi che non incontriamo una donna e lei è così bella! Pensiamo all’unisono la stessa cosa mentre ci avviciniamo. Chissà se uno di noi sarà così fortunato da unirsi a lei. Quando arriviamo, io a piedi e gli altri due a nuoto, lei si presenta con il nome. Magali parla la nostra lingua e ancora non è il momento di fare domande. Dice che anche lei è scesa al lago per fare il bagno e si leva con un solo gesto la tunica, mentre noi continuiamo a guardare il suo corpo magnifico appena coperto da un piccolissimo costume che sembra di pelle di daino. Nuota meglio di noi e nessuno riesce a prenderla, va fino alle cascate e si lascia sommergere dall’acqua. Lo facciamo anche noi tre ed è una sensazione bellissima. Così adesso siamo rinvigoriti, eccitati e affamati. La seguiamo fuori dall’acqua e andiamo verso la capanna dove vive. È decorata con le stesse conchiglie che porta al collo, ampia e con l’ingresso chiuso da una stuoia. In una buca coperta di foglie di palma, sta cuocendo del pesce. Ne riconosciamo l’aroma mescolato a quello delle erbe spontanee con cui l’ha ricoperto, timo e rosmarino. Mette sul fuoco cocco con il suo latte e curry, quello deve averlo portato dalla terraferma, e prepara un piatto abbondante per ciascuno di noi, una pietanza che è allo stesso tempo esotica e familiare. Mangiamo con le mani e non parliamo perché lei non parla e non lo farà se non dopo avere raccolto i gusci dentro i quali abbiamo mangiato e averci invitato a sciacquarci a una fontana fatta di bambù dove scorre la stessa acqua delle cascatelle. Il sole è ormai calato oltre le colline più alte e l’aria inizia a rinfrescare. È lei che accende il fuoco e dispone quattro stuoie intorno. Io sono l’unico che giù al lago non si è presentato. “Sono Michel” le dico e lei mi ripete il suo nome come se io non lo avessi sentito quando ci siamo visti giù alle cascate. Il fuoco è di piccole dimensioni ma diffonde intorno quel calore giusto che invita al racconto. “Ditemi di voi, raccontatemi chi siete e come siete arrivati qui nella mia isola. Io vi dirò di me, ma dopo. Inizia tu Philippe, sei il meno abbronzato e quello che nuota meno veloce. Non sei abituato a stare settimane in mare come loro due. Raccontami chi sei e svela anche ai tuoi amici almeno un segreto”. Così Philippe iniziò a parlare e mi trovai di fronte uno sconosciuto, non l’amico che frequentavo da oltre vent’anni.

 

Oggi mi è presa così, un nuovo filone narrativo, un’isola sconosciuta, una donna misteriosa. Chi sono quei tre giovani uomini? Chi è Magali? Magari lo scopriremo insieme nei prossimi giorni.

 

Oggi è giovedì 12 agosto del secondo anno senza Carnevale e questa è la Cronaca 522, marina, misteriosa, sdraiata sotto un cielo stellato.

domenica 13 giugno 2021

Cronache dagli anni senza Carnevale/462. Mentre immagino di essere al mare…

 



Nell’infinito gioco degli elenchi e delle liste, che non sono proprio la stessa cosa, tra le mie attività immaginative predilette c’è descrivere i luoghi dove le immagini nascono, dove noi le vediamo e dove vanno a riposare quando noi non le vediamo più.

L’atto del guardare è forse il primo gesto che ci mette in contatto con il mondo; con un meccanismo complesso che dura un tempo infinitesimale, ecco che il nostro cervello costruisce e ricostruisce la visione e la memorizza.

Dunque le immagini stanno fuori da noi e attraverso l’arte noi umani abbiamo escogitato il modo di replicare e conservarne traccia. Disegni e quadri, e in qualche modo anche le sculture, riproducono attraverso la deformazione, la torsione della creatività dell’artista, ciò che c’era intorno. Dall’invenzione della fotografia e del cinema, questi nuovi strumenti capaci di una riproduzione fedele dell’attimo che stava passando, le possibilità si sono moltiplicate.

Da quando abbiamo gli smartphone tutti fotografiamo e giriamo video. Mi colpisce sempre quando vedo gente che osserva gli avvenimenti attraverso il filtro del suo telefonino. Così le immagini non stanno più solo nei musei e nelle gallerie d’arte ma nelle nostre memorie artificiali.

Nel nostro teatro interiore appaiono e scompaiono immagini ricordate, sognate o solo immaginate, ma da dove arrivano tutte queste immagini? Da dove arrivano i sogni? Da dove arrivano le immagini che non ho né visto, né creato? Da dove arrivano le immagini che non mi appartengono? Ma dall’immaginario collettivo, così come formulato da Jung.

Ma perché mi interessano così tanto le immagini? Perché l’arte mi appassiona, perché scrivo, perché le immagini arrivano, quasi sempre, prima delle parole.

Mi interessano le immagini perché posso guardare e riguardare un quadro e ogni volta troverò qualcosa di nuovo e di diverso.

Immaginare i personaggi, le loro fattezze e movimenti, gli abiti, il modo di guardare. E poi immaginare i luoghi, una stanza, tutta la casa e il palazzo intorno, la città con le sue vie alberate e i passanti, i cieli mutevoli, le risa dei bambini, un cane che abbaia. Quando alle immagini immaginate si affiancano i suoni ecco che un mondo nuovo, diverso, prende vita in una pagina bianca, perché poi da queste immagini inizio a scrivere, e a immaginare le relazioni tra i personaggi, i loro pensieri, i loro desideri.

Guardare un quadro a lungo e poi scriverne è un ottimo metodo di iniziare a scrivere, soprattutto quando ci sembra che la nostra Musa sia latitante.

In questi mesi ho avuto modo di riflettere a lungo su questi temi anche grazie al percorso interessantissimo della Bottega di Narrazione, che ho fatto con Giulio Mozzi e Valentina Durante e che si intitola “Immaginare le storie”. È stato come essere allo stesso tempo il mare, un pesce, il pescatore, la barca, le onde, il vento, le nuvole, la spiaggia con la sabbia e i sassi, i gabbiani e il filo dell’orizzonte.

Le immagini sono infinite, come sono infinite le storie. Forse è vero che tutte le storie sono già state scritte e le immagini viste e riprodotte. Quello che cambia, sempre, è il nostro occhio, il nostro sguardo, il nostro punto di vista, il nostro essere collocati in uno spazio-tempo preciso che fa di noi ciò che siamo.

Anche questa è una lista e anche questa è una piccola storia scritta domenica 13 giugno del secondo anno senza Carnevale per la Cronaca 462 e io sono qui, alla mia scrivania, davanti al mio computer, che scrivo mentre immagino di essere al mare.


sabato 12 giugno 2021

Cronache dagli anni senza Carnevale/461. Aspettare la notte con le sue scintille di lucciola e stella

 

 


La casa è un rifugio, un covo, un nido. È una caverna, una capanna, un grattacielo, un attico. È un loft, un seminterrato. È nuova e non ha ricordi, è nuova per noi e ha i ricordi di qualcun altro, è vecchia e geme nel vento e sogna sogni mai sognati. La casa non basta a definire chi siamo e chi siamo stati, la casa è immersa in un paesaggio urbano, rurale, marino o montano. Il nostro amore per la nostra casa e i nostri luoghi è un particolare miscuglio di ricordi e passioni, di eredità famigliari e individuali. Una delle esperienze più tristi della vita è svuotare la casa di qualcuno che non c’è più, perché non solo andiamo a toccare oggetti che non ci appartengono e ci parlano della persona scomparsa, e violiamo così l’intimità di qualcuno, ma anche perché quelle case parlano anche di noi e di chi siamo stati in relazione a quelle persone che abbiamo amato. Accade con nonni, zii, con i genitori, ed è tremendo, anche con gli amici benché sia più raro. Anni fa avevo letto che in ogni relazione, non importa di che tipo, la memoria è condivisa tra le due persone, così, quando la relazione si interrompe, per la morte di uno dei due, perché l’amore finisce, perché anche le amicizie finiscono, noi perdiamo anche la parte di memoria che l’altra persona porta via con sé. Così come gli oggetti che non vedremo mai più ma che ancora ci dicono cose su chi era l’altro e su chi eravamo noi. È forse proprio a causa della folle corsa della nostra sfera azzurra da un’eternità verso un’altra eternità, che noi siamo costretti a mutare di continuo, a cambiare pelle come i serpenti, a correre nel tempo che è più veloce di noi, a rinunciare a ciò che siamo stati senza sapere chi potremo diventare. A perdere, come scrivevo in un’altra Cronaca, a guadagnare. Gli oggetti sono davvero i numi tutelari della nostra identità, da quando abbiamo iniziato a disegnare ghirigori sulla nostra pelle, ad adornarci con piume e conchiglie, a costruire i primi manufatti, ci siamo affiancati al misterioso disegno della Natura, di cui facciamo parte, e abbiamo via via modificato il mondo intorno a noi, facendo risuonare al contempo il mondo dentro di noi.

 

 

 

Quando arriva l’estate

 

Se guardo quella collina, sto

guardando tutte le colline del

mio passato, se guardo il mare

con le sue onde, sento tutti

i canti che ho già ascoltato,

ma niente è ripetizione se

non la mia intenzione di

guardare ancora e ancora.

Ogni mattina sorge tutto

nuovo il mondo e io mi cullo

tra le onde e il gelsomino,

in questa estate che è nuova

e anche già vista. E nella luce

bella che ruba colore al miele,

aspetto la notte con tutte le sue

scintille di lucciola e di stella.

 

 

Adoro le sere d’estate, ho parlato della casa perché d’estate è impossibile starci, bisogna uscire, uscire, uscire. E risplendere con le lucciole e le poesia, anticipati nel volo delle rondini

E cullati dal gelsomino che impregna tutta l’aria e la carta di questa Cronaca 461 di sabato 12 giugno del secondo anno senza Carnevale.

giovedì 13 maggio 2021

Cronache dagli anni senza Carnevale/431. L’ombra delle rose che scivola sul legno della mia scrivania

 



Se ho rafforzato una capacità durante i mesi di pandemia è l’esercizio della pazienza insieme alla scelta della lentezza. Pazienza e lentezza sono doti contro intuitive e che vanno contro usi e abitudini della nostra civiltà. Basta guardare un film di venti o trent’anni fa e subito si vede quanto il linguaggio cinematografico sia mutato, andando ad assomigliare sempre più a quello dei videogiochi. La pazienza che ho rafforzato viene, comunque, da un grande allenamento e dalla capacità di stare per ore inchiodata a leggere un libro o a scriverlo. Questa pazienza viene premiata dallo stato di flow così come lo descrive lo psicologo Mihály Csíkszentmihályi: il mondo interno prevale su quello esterno che viene inglobato e la gioia della creatività scorre nelle nostre vene. Ma questo processo non è detto che sarà lento, anzi,  forse sarà più frutto della gioiosa impazienza che accompagna, appunto, la creazione.

Esercitare la lentezza è una conquista, un piacere da costruire e ricostruire ogni giorno. Per questo me ne vado a zonzo per le vie della città silenziosa che scalpita per ricominciare a vivere almeno nei dehors sui marciapiedi. Un modo efficace, almeno per me, è quello di fermarmi a contemplare dei fiori, in particolare le rose, sia recise che ben ancorate al loro cespuglio. Quando poi vado a passeggiare nella terra ai piedi delle Montagne della Nebbia, non so mai cosa mi troverò davanti, perché è l’inconscio che offre le immagini e guida i miei passi.

 

 

Dove le ombre camminano verticali

 

Non importa cosa sto guardando,

se non vedo immagino e continuo

a camminare, così i molteplici

mondi dove vivo giorno dopo

giorno si fissano nella memoria

come fossero uno soltanto. Ma io

so sempre come riconoscere questi

diversi piani di realtà che possono

confondere lo sguardo e la luce, ma

non le ombre che negli altri mondi

camminano accanto e non sulle

strade, dove invece brilla la luce

di questo mondo dove sto scrivendo.

 

 

Anche le rose hanno un profumo diverso e queste meravigliose che ho comprato oggi e messo sulla scrivania, sono anche per celebrare un giorno diverso, dove ho fatto la prima dose di vaccino e per ora sto bene. Il personale medico, sanitario e volontario (la maggior parte persone giovani, ma ci sono anche gli alpini in pensione) del Palazzo delle Scintille – un nome magnifico - è efficiente, gentile e paziente, tutto è ben organizzato, si viene seguiti passo passo ed è impossibile perdersi e non sapere dove andare. Non ero tranquilla prima della vaccinazione ma credo che vaccinarsi sia un dovere nei confronti di se stessi e delle altre persone, non ho molto altro da aggiungere a questo semplice pensiero.

Oggi è giovedì 13 maggio del secondo anno senza Carnevale e questa è la Cronaca 431, il mio diario aperto al mondo, la cronaca del mondo che resta in me.