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martedì 6 luglio 2021

Cronache dagli anni senza Carnevale/485. Ricetta per un capolavoro: la bilancia di Flaubert

 

 

 

Oggi è stata una giornata bella e calda e adesso è una sera bella e calda, presa tra un laboratorio di scrittura e la semifinale degli europei. Così non scriverò una Cronaca lunga, ma riprendo una lunga citazione di un Flaubert apocrifo, tratto da uno dei miei libri preferiti.

 

“La bellezza e la verità sono il segreto e il cuore della creazione. La verità è bella, e la bellezza è vera. Un capolavoro è fatto di bellezza e di verità, in ogni parola, ogni frase, ogni paragrafo, ogni capitolo. Ma cos’è la verità? La verità è che nulla può essere diverso da come è. La verità è che ogni parola scaturisce necessariamente dalla precedente, che non si può togliere né aggiungere niente senza perdere qualcosa. La bellezza è che una linea non può essere spostata di un millimetro né da una parte né dall’altra, in un disegno, senza che l’unità ne soffra. La verità è che quella stessa linea non può essere spostata perché il risultato sarebbe arbitrario. L’arte di cattiva qualità invece è piena di linee che potrebbero tranquillamente essere tracciate da qualche altra parte.

È disperatamente semplice e disperatamente difficile. L’obiettivo è creare un’opera che sia allo stesso tempo bella e vera in ogni suo dettaglio. Non si può forse dire che se qualcosa non può essere diverso da com’è, possiede il più alto grado di realtà?

Lo stile è tutto, ho detto e sostenuto in altre occasioni. In un certo senso è vero, ma non come lo si intende generalmente. Lo stile è forma e contenuto allo stesso tempo, entrambi altrettanto necessari. Il lettore deve esitare costantemente tra la tentazione di ascoltare la musica delle parole e quella di dimenticarla per capire il contenuto. Un libro il cui stile non si impone e non induce il lettore alla tentazione della musica, non è letteratura. E nemmeno un libro che sia solo stile, sempre che sia possibile.

Ogni parola è sia suono che contenuto. Nessuno dei due è più importante dell’altro, nessuno deve prendere il sopravvento. Scrivere un capolavoro è scegliere ogni parola sia per la forma che per il contenuto. Ogni parola scelta solo per l’uno o per l’altro è un’imperfezione. Non solo un difetto estetico, perché questo equivarrebbe ad ammettere che la bellezza possa vivere di vita propria. È possibile che la bellezza pura esista nel mondo della musica, o almeno così si dice. Ma non esistono parole, a parte il vero e proprio nonsense, che siano solo belle. O solo vere. Ogni parola è l’uno e l’altro. È possibile scrivere un’opera in cui ogni parola sia scelta tanto per la sua bellezza quanto per la sua verità, tanto per la forma – ovvero il suono – quanto per il contenuto? Non lo so. Ho lavorato a Madame Bovary per cinque anni, soppesando ogni parola, ogni frase, ogni capitolo sui due miei piatti della bilancia. Ci sono stati giorni in cui non una sola parola ha superato l’esame. Non una! Ho detto e sostenuto che non esistono più verità. Mi riferivo a quelle verità che sono solo contenuto: idee, opinioni, credenze e convinzioni. Non appena vengono espresse a parole esiste invece una verità, e cioè che niente può essere detto senza una forma. Nemmeno la matematica è pura forma, come si sostiene, perché perfino gli assiomi matematici devono essere espressi a parole. Non abbiamo altro su cui basarci.

La ricetta per un capolavoro è dunque questa: scegliere ogni parola in modo che sia bella e vera allo stesso tempo.

È così semplice, e così disperatamente difficile.

Perché la bilancia su cui vanno pesate le parole è sprovvista di scala”.

 

Oggi è martedì 6 luglio del secondo anno senza Carnevale e questa Cronaca 485 è tutta di Björn Larsson con il suo libro Otto personaggi in cerca (con autore), Iperborea 2009,

traduzione di Katia De Marco.

martedì 27 agosto 2019

le città del Mediterraneo

Di ritorno dal Cairo, Flaubert scrisse a un amico: “Ho acquisito la certezza che le cose previste accadono di rado”. Nelle città del Mediterraneo è spesso così. Non trovi mai davvero quello che eri venuto a cercare. Forse perché questo mare, i porti che ha generato, le isole che culla, le linee e le forme delle sue rive rendono la verità inseparabile dalla felicità. L’ebbrezza stessa della luce non fa che esaltare lo spirito di contemplazione. L’ho scoperto a casa mia, a Marsiglia. Vicino alla baia des Singes, ben oltre il porticciolo di Les Goudes, all'estremità orientale della città. Ore e ore a guardar passare nello stretto di Les Croisettes le barche di ritorno dalla pesca. È qui, e in nessun altro posto, che queste mi sembrano, mi sembreranno sempre le più belle. Ore e ore ad attendere quel momento, più magico di qualsiasi altro, in cui un cargo entrerà nella luce del sole al tramonto sul mare e vi scomparirà per una frazione di secondo. Il tempo di credere che tutto è possibile. Qui non pensiamo. Dopo. Soltanto dopo pensiamo a tutte le ore della vita in cui avremmo dovuto imparare, e a quelle in cui avremmo dovuto dimenticare. Certo, è raro che un’intera vita possa trascorrere così, nella contemplazione.


Jean-Claude Izzo 
Aglio, menta e basilico
traduzione di Gaia Panfili
e/o 2012

martedì 7 aprile 2015

Stein, Flaubert, Cézanne e l'arte della composizione

L'apprendistato di Gertrude si svolgeva la notte. Ad un tavolo rinascimentale robustamente intagliato, davanti a un ritratto di donna di Cézanne, appeso alla parete. A darle l'avvio, nel 1905, era stato Flaubert, di cui aveva letto i racconti, ricavandone tre indicazioni: analisi psicologica, lingua spoglia, scrupoloso realismo. Ed era stato anche Cézanne, il cui dipinto le aveva fornito una segreta chiave: 'Ogni cosa nella composizione, è importante quanto un'altra'. Fu una scoperta emozionante. Se prima aveva creduto che tutto dovesse essere subordinato a un centro, ora scopriva che 'ogni cosa conta quanto il tutto'. Si concentrò su questa scoperta, persuasa che fosse 'la prima volta in qualsiasi lingua che qualcuno usava l'idea di composizione in letteratura'.

Grazia Livi
Le lettere del mio nome
Gertrude Stein. L'unica
La Tartaruga 1991

mercoledì 30 luglio 2014

Attraverso lo stile, attraverso una forma

Marc Augé è uno dei maggiori pensatori della contemporaneità. Il suo sguardo appuntito, che si nutre di filosofia, scienze sociali, letteratura, illumina gli aspetti meno ovvi della realtà.
Etnologo di culture primitive, dagli anni ’90 applica in modo originale gli strumenti della propria disciplina alla società occidentale, al nostro presente, alla metropoli. Sua l’espressione “etnologo nel metrò” e sua la fortunata definizione dei “non-luoghi”, i luoghi attuali della socialità(sale d’attesa, stazioni, ipermercati…).

Si vuole introdurre nelle scuole la “educazione sentimentale” pensando alla lotta contro bullismo e violenza di genere. Ma basterebbe parlare di educazione al rispetto. L’espressione “educazione sentimentale” mi sembra vaporosa. In fondo già la letteratura a scuola dovrebbe educare i sentimenti, se ci sono insegnanti bravi capaci di mettere in relazione i libri e la vita.
«L’educazione sentimentale secondo Flaubert è la lezione della vita così come la concepisce: la fine delle illusioni amorose e politiche, il disincantamento del mondo e delle passioni. L’espressione mi sembra mal scelta per definire un progetto di formazione volontaristico. Una lettura informata e critica dei grandi romanzi del XIX secolo sarà al contrario una iniziativa ricca e promettente ma richiederà molta sottigliezza; bisognerà far sentire ai giovani lettori e alle giovani lettrici che le loro questioni e i loro problemi non sono inediti».
(…)

Come Calvino ritiene che l’immaginario creativo (legato all’arte, al mito) è oggi messo in crisi dalle troppe immagini che ci invadono?
«È vero che l’immagine può apparire come qualcosa che uccide l’immaginazione. È vero anche che ogni giorno siamo alienati davanti alle immagini degli altri e di noi stessi».
(…)
Ma alla fine cosa educa i sentimenti?
«Noi pensiamo di vivere in un mondo caratterizzato dalla istantaneità e dall’ubiquità nel momento in cui tempo e spazio sono i due costituenti della simbologia sociale necessaria appunto alla relazione con gli altri, la quale è poi indispensabile alla affermazione dell’individuo. Questo aspetto della crisi anima la riflessione artistico. I momenti di crisi sono talvolta portatori di elementi che permettono di uscirne: crisi di coscienza, presa di coscienza. Dunque: cosa educa i sentimenti? Due cose, tra loro connesse: la relazione con gli altri e poi l'arte, la letteratura, la quale ritrae il momento di crisi, la difficoltà di essere autentici o spontanei, ma ci indica sempre il modo di uscirne, attraverso lo stile, attraverso una “forma”».

Frammenti dell’intervista di Filippo La Porta a Marc Augé

Il Messaggero martedì 29 luglio 2014

martedì 4 giugno 2013

L'ebbrezza della luce

Di ritorno dal Cairo, Flaubert scrisse a un amico: "Ho acquisito la certezza che le cose previste accadono di rado". 
Nelle città del Mediterraneo è spesso così. Non trovi mai davvero quello che eri venuto a cercare. Forse perché questo mare, i porti che ha generato, le isole che culla, le linee e le forme delle sue rive rendono la verità inseparabile dalla felicità. L'ebbrezza stessa della luce non fa che esaltare lo spirito di contemplazione.
L'ho scoperto a casa mia, A Marsiglia. Vicino alla baia des Singes, ben oltre il porticciolo di Les Goudes, all'estremità orientale della città. Ore e ore a guardar passare nello stretto di Les Croisettes le barche di ritorno dalla pesca. È qui, e in nessun altro posto, che queste mi sembrano, mi sembreranno sempre le più belle. Ore e ore ad attendere quel momento, più magico di qualsiasi altro, in cui un cargo entrerà nella luce del sole al tramonto e vi scomparirà per una frazione di secondo. Il tempo di pensare che tutto è possibile.

Jean-Claude Izzo
Aglio, menta e basilico.
Marsiglia, il noir e il Mediterraneo
(Mediterraneo delle felicità possibili/1)
traduzione di Gaia Panfili
edizioni e/o 2006


venerdì 13 luglio 2012

Non si sceglie la materia della propria scrittura

Non si sceglie la materia della propria scrittura, ci si sottomette a essa.


Gustave Flaubert

lunedì 21 maggio 2012

Ricetta per un capolavoro: la bilancia di Flaubert


La bellezza e la verità sono il segreto e il cuore della creazione. La verità è bella, e la bellezza è vera. Un capolavoro è fatto di bellezza e di verità, in ogni parola, ogni frase, ogni paragrafo, ogni capitolo. Ma cos’è la verità? La verità è che nulla può essere diverso da come è. La verità è che ogni parola scaturisce necessariamente dalla precedente, che non si può togliere né aggiungere niente senza perdere qualcosa. La bellezza è che una linea non può essere spostata di un millimetro né da una parte né dall’altra, in un disegno, senza che l’unità ne soffra. La verità è che quella stessa linea non può essere spostata perché il risultato sarebbe arbitrario. L’arte di cattiva qualità invece è piena di linee che potrebbero tranquillamente essere tracciate da qualche altra parte.
È disperatamente semplice e disperatamente difficile. L’obiettivo è creare un’opera che sia allo stesso tempo bella e vera in ogni suo dettaglio. Non si può forse dire che se qualcosa non può essere diverso da com’è, possiede il più alto grado di realtà?
Lo stile è tutto, ho detto e sostenuto in altre occasioni. In un certo senso è vero, ma non come lo si intende generalmente. Lo stile è forma e contenuto allo stesso tempo, entrambi altrettanto necessari. Il lettore deve esitare costantemente tra la tentazione di ascoltare la musica delle parole e quella di dimenticarla per capire il contenuto. Un libro il cui stile non si impone e non induce il lettore alla tentazione della musica, non è letteratura. E nemmeno un libro che sia solo stile, sempre che sia possibile.
Ogni parola è sia suono che contenuto. Nessuno dei due è più importante dell’altro, nessuno deve prendere il sopravvento. Scrivere un capolavoro è scegliere ogni parola sia per la forma che per il contenuto. Ogni parola scelta solo per l’uno o per l’altro è un’imperfezione. Non solo un difetto estetico, perché questo equivarrebbe ad ammettere che la bellezza possa vivere di vita propria. E’ possibile che la bellezza pura esista nel mondo della musica, o almeno così si dice. Ma non esistono parole, a parte il vero e proprio nonsense, che siano solo belle. O solo vere. Ogni parola è l’uno e l’altro.
È possibile scrivere un’opera in cui ogni parola sia scelta tanto per la sua bellezza quanto per la sua verità, tanto per la forma – ovvero il suono – quanto per il contenuto? Non lo so. Ho lavorato a Madame Bovary per cinque anni, soppesando ogni parola, ogni frase, ogni capitolo sui due miei piatti della bilancia. Ci sono stati giorni in cui non una sola parola ha superato l’esame. Non una!
Ho detto e sostenuto che non esistono più verità. Mi riferivo a quelle verità che sono solo contenuto: idee, opinioni, credenze e convinzioni. Non appena vengono espresse a parole esiste invece una verità, e cioè che niente può essere detto senza una forma. Nemmeno la matematica è pura forma, come si sostiene, perché perfino gli assiomi matematici devono essere espressi a parole. Non abbiamo altro su cui basarci.
La ricetta per un capolavoro è dunque questa: scegliere ogni parola in modo che sia bella e vera allo stesso tempo.
È così semplice, e così disperatamente difficile.
Perché la bilancia su cui vanno pesate le parole è sprovvista di scala.


Flaubert apocrifo, tratto da uno dei miei libri preferiti

Björn Larsson
Otto personaggi in cerca (con autore)
Iperborea 2009
traduzione di Katia De Marco