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martedì 29 novembre 2016

Un buon ricordo d'infanzia potrebbe servire alla nostra salvezza

Sappiate dunque che non c'è nulla di più alto, e forte e sano, e utile per la vostra vita avvenire, di qualche buon ricordo, specialmente se recato con voi fin dai primi anni, dalla casa dei genitori. Molto vi si parla della vostra educazione, ma uno di questi buoni e santi ricordi, custodito sin dall'infanzia, è forse la migliore delle educazioni. Se l'uomo può raccogliere molti di tali ricordi e portarli con sé nella vita, egli è salvo per sempre. E quand'anche un solo buon ricordo rimanesse con noi, nel nostro cuore, anche quello potrebbe un giorno servire alla nostra salvezza.

Aljoša Karamazov Discorso presso la pietra in

Fëdor Dostoevskij
I fratelli Karamazov
traduzione di Alfredo Polledro
Corticelli 1950

mercoledì 14 gennaio 2015

L'anima russa di Virginia Woolf

Leggendo Cechov ci troviamo a ripetere ancora e ancora la parola “anima”. È ovunque tra le sue pagine. Vecchi ubriaconi la usano liberamente: «…vi siete elevato di grado, siete di quelli che stanno molto in alto; ma, golubcik, quello che vi manca è una vera anima… nella vostra non c’è forza…». In verità, è l’anima il personaggio principale della narrativa russa. Delicata e sottile in Cechov, essa è soggetta a un infinito numero di umori e malumori, mentre in Dostoevskij ha maggiore volume e profondità; spesso afflitta da violente malattie e furiose febbri, è comunque la preoccupazione predominante. 
Forse è per questo che ci vuole tanto sforzo da parte di un inglese per leggere I fratelli Karamazov o I demoni una seconda volta. 
L’anima gli è aliena. Gli è persino antipatica.

Virginia Woolf
L'anima russa
traduzione di Veronica La Peccerella
a cura di Benedetta Bini
Elliot 2015

brano tratto da questo libro e anticipato su Repubblica di martedì 13 gennaio 2015

lunedì 10 giugno 2013

Scrivere con forza e ispirazione

Il romanzo I Fratelli Karamazov è l’ultima opera di Dostoevskij. Doveva essere il primo di una serie. Dostoevskij aveva allora cinquantanove anni; egli scriveva «Constato spesso con dolore che non ho espresso, letteralmente, la ventesima parte di quello che avrei voluto, e, forse anche, potuto esprimere. Quello che mi salva è la speranza abituale che un giorno Dio mi manderà tanta forza e ispirazione, che mi esprimerò più completamente: in breve, che potrò esporre tutto quello che racchiudo nel mio cuore e nella mia fantasia».
Era uno di quei rari geni che avanzano, d’opera in opera, per una sorta di progressione continua, fino a che la morte non li venga bruscamente a interrompere. Nessun ripiegamento in quella sua focosa vecchiaia, non più che in quella di Rembrandt o di Beethoven, al quale mi piace paragonarlo: un sicuro e violento approfondirsi del suo pensiero.
Senza alcuna compiacenza verso di sé, continuamente insoddisfatto, esigente fino all’impossibile, - e tuttavia pienamente cosciente del suo valore, - prima di abbordare i Karamazov un segreto trasalimento di gioia l’avverte: possiede, finalmente, un soggetto della sua statura, della statura del suo genio. «Mi è raramente capitato», scrive, «di aver da dire qualcosa di più nuovo, di più completo e originale». E questo libro fu quello che accompagnò Tolstoj sul suo letto di morte.


André Gide
Dostoevskij
Medusa 2013
anticipazione su Repubblica di oggi

sabato 19 gennaio 2013

Un pomeriggio russo a Milano (passando per Parigi)


Una luce bianca e grigia, la pioggia sottile che faceva risplendere l’asfalto e i palazzi, donne con il colbacco che parlavano russo. Ho camminato a lungo senza ombrello, guardando i visi e cercando storie nei frammenti di conversazione che coglievo. A volte anche una parola soltanto è finita nel mio paniere in attesa di essere intessuta con altre parole in una nuova narrazione. Un uomo di età indefinita suonava un organetto e Parigi si è stagliata in fondo al viale che sbuca su una piazza antica dove un piccolo giardino, un’edicola, un fioraio, fanno da cornice alla bancarella dei libri usati che occupa quel pezzo di marciapiede da ottanta anni. Me lo ha raccontato Stefano, il proprietario, che ho interrotto mentre stava pulendo con certosina accuratezza, uno dei sessantuno volumi della collana dei cento libri Longanesi che ha appena comprato dopo una lunga trattativa. Ama i libri Stefano, al punto che non sente il caldo d’estate e il freddo ostile dell’inverno milanese. Da quando ne abbiamo parlato, qualche mese fa, quando sto per arrivare da lui, immagino che, se i libri di carta sparissero, al posto della sua bancarella da bouquiniste troverei una triste colonnina come quelle dei parcheggi e con un bancomat potrei scaricare un e-book sul mio reader. Invece arrivo e ogni volta piegando il collo sulla spalla mi fermo a leggere i titoli sui dorsi delle copertine e poi chiacchiero con lui e a volte anche con qualche altro cliente bibliomane come noi due. Riprendo  a gironzolare per il quartiere e di nuovo le donne russe con il colbacco attraversano la mia strada. Ora nevica, una fitta caduta di fiocchi piccoli e ghiacciati che tamburellano contro la superficie delle cose. L’altra sera ho scritto che i fiocchi di neve sono pensieri rimasti troppo a lungo su una stella. Ne hanno assorbito la luce e la lontananza. Ma qui a Milano oggi pomeriggio le stelle se ne stavano nascoste oltre le nuvole fitte, mente Parigi e San Pietroburgo erano bagnate dallo stesso fiume, impercettibile dagli occhi e sensibile al mio vagabondare. Proust e Dostoevskij, in compagnia di Čechov abitano in questo pomeriggio invernale, mentre “Un’immensa distesa a est del cuore, ecco ciò che si era spalancato in me a questa prima lettura, grazie al potere dei nomi, delle immagini, e anche quelle mappe che precisavano l’itinerario…”*. 
Le parole oggi sono la mappa per decifrare la città invisibile che abita in me.

E.P.
* Philippe Jaccottet La parola Russia
a cura di Antonella Anedda
Donzelli Editore 2004