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giovedì 2 marzo 2017

Lo sguardo sul mare causa la contemplazione dell'infinito

Noia, malinconia, vibrazioni liriche

La noia è un blocco dell'atto, un vuoto tra due progetti, ma passa, perché lo spazio si riempie da solo. La coscienza umana non può restare vuota, si popola di versi di poeti, visi di donne, ricordi, e sensi di colpa. Si pensa sempre a qualcosa, e per me la malinconia prevale sulla noia, che diventa così una specie di rêverie mista a tristezza intorno alle cose che mi circondano. Da questo stato nasce la prosa dell'elegia, che è un modo di sfuggire al sadomasochismo dei rapporti umani troppo stretti.
La noia permette di contemplare quello che appare in lontananza, a metà strada tra il dolce e il funebre, e di sottrarsi in questo modo alla polemica e alla collera. Questa noia malinconica ci pone al di là dell'angoscia paralizzante, favorisce lo slancio dell'immaginazione e anche della lucidità, e dispensa dall'alzare il tono e lanciare delle grida: «Gettare il proprio cuore tra le cose e allontanarsene per meglio contemplarle e oggettivarle», diceva Camus.
La noia è più arida, la malinconia è più musicale, ha una vibrazione lirica. Sul mare l'aridità prevale. Per me, niente può essere concepito senza legame con il paesaggio, e quando le cose riappaiono sul mare, nel mezzo dei ricordi, hanno questo tono di spoliazione e di dolcezza, non tanto dal punto di vista della malinconia romantica quanto da quello dell'universalità. Lo sguardo sul mare causa la contemplazione dell'infinito. Le rocce mi riportano alle cose antiche. Il minerale è più vicino all'essenza, mentre il deserto è più superficiale. La letteratura della mia regione è fatta di questo linguaggio aspro, teso verso l'essenziale. Oggi vedo scrittori che si buttano con rabbia nel bel mezzo della mischia, della lotta, della carneficina, del saccheggio. Non amo questo tipo di letteratura, preferisco la contemplazione.

Une manière de contempler le lointain, in «Magazine Littéraire», n. 400, luglio-agosto 2001, p. 32. Il testo, con quelli di altri scrittori, fa parte di un dossier dal titolo Variations sur l'ennui; la testimonianza è stata raccolta da Valérie Marin Le Meslée. La traduzione è dei curatori

Francesco Biamonti
Scritti e parlati
a cura di Gian Luca Picconi e Federica Cappelletti
prefazione di Sergio Givone
Einaudi 2008

lunedì 23 gennaio 2017

cercare una strada oltre l'infittirsi delle immagini

non resta che incamminarsi verso un desiderio sconosciuto, cercare un linguaggio e un nuovo alfabeto. Una strada oltre l’infittirsi delle immagini, oltre il loro deserto. Una strada oltre la malinconia: il varco scavato dalla vita reale nella vita dell’ossessione.

Antonella Anedda
La luce delle cose
Feltrinelli 2000

giovedì 18 dicembre 2014

I fogli socchiusi in una pietroburgese residenza invernale

III

Prima di cena, prima che le lampade scaldino i letti e il fogliame degli alberi sia verde-buio e la notte deserta. Nel breve spazio del crepuscolo passano intere sconosciute stagioni; allora il cielo si carica di nubi, di correnti che sollevano ceppi e rovi. Contro i vetri della finestra batte l’ombra di una misteriosa bufera. L’acqua rovescia i cespugli, le bestie barcollano sulle foglie bagnate. L’ombra dei pini si abbatte sui pavimenti; l’acqua è gelata, di foresta: il tempo sosta, dilegua. Di colpo, nella quiete solenne dei viali, nel vuoto delle fontane, nei padiglioni illuminati per tutta la notte, l'ospedale ha lo sfolgorio di una pietroburghese residenza invernale.

Ci sarà un incubo peggiore
socchiuso tra i fogli dei giorni
non sbatterà nessuna porta
e i chiodi
piantati all’inizio della vita
si piegheranno appena.
Ci sarà un assassino disteso sul ballatoio
il viso tra le lenzuola, l’arma posata di lato.
Lentamente si schiuderà la cucina
senza fragore di vetri infranti, nel silenzio del pomeriggio invernale.
Non sarà l’amarezza, né il rancore, solo
per un attimo le stoviglie
si faranno immense di splendore marino.
Allora occorrerà avvicinarsi, forse salire
là dove il futuro si restringe
alla mensola fitta di vasi
all’aria rovesciata del cortile
al volo senza slargo dell’oca,
con la malinconia del pattinatore notturno che a un tratto conosce
il verso del corpo e del ghiaccio
voltarsi appena,
andare.

Antonella Anedda
Residenze invernali
Crocetti Editore 1992

potete ascoltare Antonella Anedda che legge questa poesia 
sul sito Lyrikline - listen to the poet

domenica 27 aprile 2014

Una parola nuova condensa qualcosa di incompreso

Le virtù dei nostalgici. Secondo Starobinski sviluppano la capacità di essere critici. E di creare, con la scrittura, esperienza.

Entrare in un libro di Jean Starobinski è come addentrarsi in una foresta incantata, piena di una varietà molteplice di erbe, cespugli e alberi. Respiri un’aria fresca, guardi in alto e ti accorgi che ogni pianta ha un tronco robusto con ramificazioni fittissime e che da ciascun ramo si dipartono altri rami e rametti secondari, all'infinito, con le loro frondosità cangianti da cui filtrano luci e bagliori. È questo procedere per continui avvii e rinvii e continue aperture, a volte spaesanti, il tratto più tipico della saggistica del novantaquattrenne critico ginevrino, medico, storico della scienza e delle idee. Saggista prima di tutto, dove per saggio si intende una forma di pensiero e di scrittura, libera e mai capricciosa, dalla razionalità multiforme, aperta e dialogante. 
(...)
Il discorso di Starobinski si muove tra scienza e critica letteraria, tra storia dei concetti e analisi del linguaggio che li definisce tecnicamente e li esprime in arte. C’è un passo che chiarisce molto bene il rapporto che c’è, per Starobinski (il quale si è formato, tra l’altro, con il grande maestro di stilistica Leo Spitzer), tra le parole e le cose, oggetti inscindibili della sua ricerca. È un passo che scaturisce da una domanda: se i sentimenti preesistano alle parole che li nominano, oppure se i sentimenti si materializzino nella nostra coscienza solo dal momento in cui hanno ricevuto un nome. Starobinski risponde che si tratta di due proposizioni «vere a titolo complementare»: 
«Una volta nominato, avendo acquisito un’identità, un sentimento non è più veramente lo stesso. Una parola nuova condensa qualcosa di incompreso, che per l’innanzi era rimasto evanescente. Ne fa un concetto. Opera una definizione e invoca un sovrappiù di definizione: diventa materia di saggi e di trattati. Viviamo di passioni le cui parole ci precedono, e che non avremmo provato senza di esse». 

frammenti della recensione apparsa sul Corriere della Sera del 22 aprile 2014 di Paolo Di Stefano al nuovo libro di 

Jean Starobinski 
L'inchiostro della malinconia
traduzione di Mario Marchetti
Einaudi 2014