sabato 31 marzo 2012

I poeti non hanno biografia

I poeti non hanno biografia, la loro opera è la loro biografia.

Octavio Paz a proposito di Fernando Pessoa

Tutto il resto manca

Parole sul frontone
d'un tempio vuoto
vorticanti col vento come
per dirci
tutto il resto manca
era questo che non sapevate

Bartolo Cattafi

Le parole difficili

Non esistono parole difficili, ma parole poco adoperate.
Le mie cosiddette parole difficili sono parole necessarie perché il linguaggio non è mai preciso e io cerco la precisione.

Giorgio Manganelli

venerdì 30 marzo 2012

Come la nebbia non lascia cicatrici

Leonard Cohen

As the mist leaves no scar

As the mist leaves no scar
On the dark green hill,
So my body leaves no scar
On you, nor ever will.

When wind and hawk encounter,
What remains to keep?
So you and I encounter,
Then turn, then fall to sleep.

As many nights endure
Without a moon or star,
So will we endure
When one is gone and far.

Come la nebbia non lascia cicatrici

Come la nebbia non lascia cicatrici

sul cupo verde della collina,

così il mio corpo su di te cicatrici

non lascia, né mai ne lascerà.

Quando il vento e il falco s' incontrano

che rimane da custodire?

Così c'incontriamo, io e te,

per poi girarci e cadere addormentati.

Come tante notti resistono

senza stelle o luna,

così noi resisteremo

quando uno di noi sarà lontano.

giovedì 29 marzo 2012

Piccolo Valzer Viennese

PEQUEÑO VALS VIENES
De Poeta en Nueva York

En Viena hay diez muchachas,
un hombro donde solloza la muerte
y un bosque de palomas disecadas.
Hay un fragmento de la mañana
en el museo de la escarcha.
Hay un salón con mil ventanas.
¡Ay, ay, ay, ay!
Toma este vals con la boca cerrada.

Este vals, este vals, este vals,
de sí, de muerte y de coñac
que moja su cola en el mar.

Te quiero, te quiero, te quiero,
con la butaca y el libro muerto,
por el melancólico pasillo,
en el oscuro desván del lírio,
en nuestra cama de la luna
y en la danza que sueña la tortuga.
¡Ay, ay, ay, ay!
Toma este vals de quebrada cintura.

En Viena hay cuatro espejos
donde juegan tu boca y los ecos.
Hay una muerte para pian
que pinta de azul a los muchachos.
Hay mendigos por los tejados.
Hay frescas guirnaldas de llanto.
¡Ay, ay, ay, ay!
Toma este vals que se muere en mis brazos.

Porque te quiero, te quiero, amor mío,
en el desván donde juegan los niños,
soñando viejas luces de Hungría
por los rumores de la tarde tibia,
viendo ovejas y lirios de nieve
por el silencio oscuro de tu frente.
¡Ay, ay, ay, ay!
Toma este vals del “Te quiero siempre”.

En Viena bailaré contigo
con un disfraz que tenga
cabeza de río.
¡Mira qué orillas tengo de jacintos!
Dejaré mi boca entre tus piernas,
mi alma en fotografías y azucenas,
y en las ondas oscuras de tu andar
quiero, amor mío, amor mío, dejar,
violín y sepulcro, las cintas del vals.


PICCOLO VALZER VIENNESE
Da Poeta en Nueva York

A Vienna ci sono dieci ragazze,
una spalla dove singhiozza la morte
e un bosco di colombi disseccati.
C’è un frammento del mattino
nel museo della brina
C’è un salone con mille finestre.
Ahi, ahi, ahi, ahi!
Prendi questo valzer con la boccha chiusa

Questo valzer, questo valzer, questo valzer,
di sì, di morte e di cognac
che bagna la coda in mare.

T’amo, t’amo, t’amo
con la poltrona e col libro morto,
nel malinconico corridoio,
nell’oscura soffitta del giglio,
nel nostro letto della luna
e nella danza che sogna la tartaruga.
Ahi, ahi, ahi, ahi!
Prendi questo valzer dalla cintura spezzata.

A Vienna ci sono quattro specchi
dove giuocano la tua bocca e gli echi.
C’è una morte per piano
che tinge d’azzurro i ragazzi.
Ci sono mendicanti sui tetti.
Ci sono fresche ghirlande di pianto.
Ahi, ahi, ahi, ahi!
Prendi questo valzer che muore nelle mie braccia.

Perché t’amo, t’amo, amor mio,
nella soffitta dove giuocano i bambini,
sognando vecchie luci d’Ungheria
nei rumori della tepida sera,
vedendo pecore e gigli di neve
nel silenzio oscuro della tua fronte.
Ahi, ahi, ahi, ahi!
Prendi questo valzer del “T’amo sempre”.

A Vienna ballerò con te
con una maschera
di testa di fiume.
Guarda che rive di giacinti!
Lascerò la mia bocca tra le tue gambe,
l’anima in fotografie e gigli
e nelle onde oscure del tuo passo
voglio, amor mio, amor mio, lasciare
violino e sepolcro, i nastri del valzer.



mercoledì 28 marzo 2012

Nessuno è mai solo con un libro in mano

Là dove entra un libro, o si ascolta una voce, esce rapido un cattivo pensiero. E la nebbia della noia è soffocata o spazzata via dal vento di una buona sorpresa; e i luoghi sembrano popolarsi di gente amica. Nessuno è mai solo con un libro in mano.

Roberto Roversi - Manifesto ad alta voce

martedì 27 marzo 2012

Ode all’amante ritrosa

Avessimo abbastanza Mondo e tempo,

non sarebbe un delitto, Signora, la vostra ritrosia.

Penseremmo seduti a quali strade prendere,

a come trascorrere il nostro lungo giorno d'amore.

Voi sulla riva del Gange trovereste rubini: io presso

l'onda del fiume Humber mi lamenterei. Vi amerei fino

a dieci anni prima del diluvio,

e voi, se vi piacesse, potreste rifiutarmi

fino alla conversione degli Ebrei.

Il mio amore vegetale avrebbe il tempo

di crescere più grande di tutti gli Imperi

e anche più lento.

Cent'anni se ne andrebbero a lodare

i vostri occhi e a contemplare il vostro volto.

Duecento per adorare una dei vostri seni

e trentamila almeno per adorare tutto il resto.

Un Evo intero per ciascuna parte, e l'ultimo

alfine mostrerebbe il vostro cuore.

Perché senza alcun dubbio, Signora,

questo cerimoniale voi meritate, e io non vorrei

amarvi a minor prezzo.

Ma alle mie spalle odo continuamente

l'alato carro del tempo che si avvicina veloce:

e laggiù da ogni parte, davanti a noi,

si stendono deserti di vasta eternità.

La vostra bellezza non sarà più ritrovata;

e non si potrà più udire nel vostro sepolcro di marmo

echeggiare il mio canto; solo i vermi tenteranno

quella verginità a lungo preservata;

e il vostro strano onore sarà mutato in cenere.

Tutta la mia lussuria trasformata in polvere.

Certo la tomba ? un luogo intimo e bello,

ma dubito che qualcuno vi voglia fare all'amore.

Ora, dunque, mentre il colore della giovinezza

si posa sulla vostra pelle come rugiada al mattino,

ora mentre l'anima consenziente

brucia con fiamme importune,

ora finché possiamo godiamoci il piacere,

subito come uccelli da preda amorosi

divoriamo il nostro tempo,

piuttosto che languire nelle sue lente mascelle.

Tutta la nostra energia, tutta la nostra dolcezza

cerchiamo di addensarla in una sola sfera:

gettiamo i nostri piaceri con rude violenza

oltre i cancelli di ferro della vita.

Così, sebbene non si possa obbligare il nostro sole

a fermarsi, possiamo tuttavia obbligarlo a correre.

Andrew Marvell

Il canto della sacerdotessa

Raccoglimi
come si fa con un raccolto.

Taglia svelto
lega più veloce
prima che mi disfi il turbine d'autunno.

Fai presto
sono già maturata
e già sono gli intralci accantonati.

Non tremare
io non devo crescere più.

La pioggia è tua
io sono già al di là dei miei uragani.

Raccoglimi
come si fa con un raccolto.


Malca Heifetz Tussman
traduzione dallo yiddish di Erri De Luca in 
Spargimento: opera per musica e danza 
(su musica di Nicola Sani)
Edizioni Suvini Zerboni 1997

Solo l'amare, solo il conoscere conta...

Solo l'amare, solo il conoscere

conta, non l'aver amato,

non l'aver conosciuto. Dà angoscia

il vivere di un consumato

amore. L'anima non cresce più.

Incipit "Il pianto della scavatrice" di Pier Paolo Pasolini

lunedì 26 marzo 2012

Di tutto è rimasto un poco. Tabucchi e de Andrade

Residuo



Di tutto è rimasto un poco,
Della mia paura. Del tuo ribrezzo.

Dei gridi blesi. Della rosa
è rimasto un poco.

È rimasto un poco di luce
captata nel cappello.
Negli occhi del ruffiano
è restata un po' di tenerezza
(molto poco)

Poco è rimasto di questa polvere
che ti coprì le scarpe
bianche. Pochi panni sono rimasti,
pochi veli rotti,
poco, poco, molto poco.

Ma d'ogni cosa resta un poco.
Del ponte bombardato,
delle due foglie d'erba,
del pacchetto
- vuoto - di sigarette, è rimasto un poco

Che di ogni cosa resta un poco.
È rimasto un po' del tuo mento
nel mento di tua figlia.

Del tuo ruvido silenzio
un poco è rimasto, un poco
sui muri infastiditi,
nelle foglie, mute, che salgono.

È rimasto un po' di tutto
nel piattino di porcellana,
drago rotto, fiore bianco,
di rughe sulla tua fronte,
ritratto.

Se di tutto resta un poco,
perché mai non dovrebbe restare
un po' di me? Nel treno
che porta a nord, nella nave,
negli annunci di giornale,
un po' di me a Londra,
un po' di me in qualche dove?
nella consonante?
nel pozzo?

Un poco resta oscillando
alla foce dei fiumi
e i pesci non lo evitano,
un poco: non viene nei libri.

Di tutto rimane un poco.
Non molto: da un rubinetto
stilla questa goccia assurda,
metà sale e metà alcool,
salta questa zampa di rana,
questo vetro di orologio
rotto in mille speranze,
questo collo di cigno,
questo segreto infantile...
Di ogni cosa è rimasto un poco:
di me; di te; di Abelardo.
Un capello sulla mia manica,
di tutto è rimasto un poco;
vento nelle mie orecchie,
rutto volgare, gemito
di viscere ribelli,
e minuscoli artefatti:
campanula, alveolo, capsula
di revolver... di aspirina.
Di tutto è rimasto un poco.
E di tutto resta un poco.
Oh, apri i flaconi di profumo
e soffoca
l'insopportabile lezzo della memoria.

Ma di tutto, terribile, resta un poco,
e sotto le onde ritmate,
e sotto le nuvole e i venti
e sotto i ponti e sotto i tunnel
e sotto le fiamme e sotto il sarcasmo
e sotto il muco e sotto il vomito
e sotto il singhiozzo, il carcere, il dimenticato
e sotto gli spettacoli e sotto la morte in scarlatto
e sotto le biblioteche, gli ospizi, le chiese trionfanti
e sotto te stesso e sotto i tuoi piedi già rigidi
e sotto i cardini della famiglia e della classe,
rimane sempre un poco di tutto.
A volte un bottone. A volte un topo.

(Carlos Drummond de Andrade -

traduzione di Antonio Tabucchi)

De tudo ficou um pouco.

Do meu medo. Do teu asco.


Dos gritos gagos. Da rosa
ficou um pouco.

Ficou um pouco de luz
captada no chapéu.
Nos olhos do rufião
de ternura ficou um pouco
(muito pouco).

Pouco ficou deste pó
de que teu branco sapato
se cobriu. Ficaram poucas
roupas, poucos véus rotos
pouco, pouco, muito pouco.

Mas de tudo fica um pouco.
Da ponte bombardeada,
de duas folhas de grama,
do maço
- vazio - de cigarros, ficou um pouco.

Mas de tudo fica um pouco.
Fica um pouco do teu queixo
no queixo de tua filha.

De teu áspero silêncio
um pouco ficou, um pouco
nos muros zangados,
nas folhas, mudas, que sobem.

Ficou um pouco de tudo
no pires de porcelana,
dragão partido, flor branca,
de ruga na vossa testa,
retrato.

Se de tudo fica um pouco,
mas por que não ficaria
um pouco de mim? no trem
que leva ao norte, no barco,
nos anúncios de jornal,
um pouco de mim em Londres,
um pouco de mim algures?
na consoante?
No poço?

Um pouco fica oscilando
na embocadura dos rios
e os peixes não o evitam.
um pouco: não está nos livros.

De tudo fica um pouco.
Não muito: de uma torneira
pinga esta gota absurda,
meio sal e meio álcool,
salta esta perna de rã,
este vidro de relógio
partido em mil esperanças,
este pescoço de cisne,
este segredo infantil...
De tudo ficou um pouco
de mim; de ti; de Abelardo.
Cabelo na minha manga,
de tudo ficou um pouco;
vento nas orelhas minhas,
simplório arroto, gemido
de víscera inconformada,
e minúsculos artefatos:
campânula, alvéolo, cápsula
de revólver... de aspirina.
De tudo ficou um pouco.
E de tudo fica um pouco.
Oh abre os vidros de loção
e abafa
o insuportável mau cheiro da memória.

Mas de tudo, terrível, fica um pouco,
e sob as ondas ritmadas,
e sob as nuvens e os ventos,
e sob as pontes e sob os túneis
e sob as labaredas e sob o sarcasmo
e sob a gosma e sob o vômito
e sob o soluço, o cárcere, o esquecido
e sob os espetáculos e sob a morte de escarlate
e sob as bibliotecas, os asilos, as igrejas triunfantes
e sob tu mesmo e sob teus pés já duros
e sob os gonzos da família e da classe,
fica sempre um pouco de tudo.
Às vezes um botão. Às vezes um rato.



venerdì 9 marzo 2012

L'esperienza della luce

(tratto dalla raccolta Racconti di Genova di Dario Arkel - Atì Editore)



Dove c’è molta luce l’ombra è più nera.
J.W. Goethe



Un racconto di me piccolo di tre anni me lo devi concedere, figlia, anche se ti annoierà.
Nei primi giorni di giugno caricavamo la Dauphine anche sul tetto, e partivamo da Genova per la montagna. Raggiungevamo Cogne, il paese della mia infanzia. Qui, d’un tratto, mi si è rivelata la vita. No, non il vivere, che è di tutti, ma la vita come calore da afferrare. E' successo in un lampo. Giunti a destinazione, scendiamo dalla macchina e mentre i miei portano a casa i bagagli, io scappo, come facevo sempre. Corro e corro lungo la strada sterrata. tutte le strade erano sterrate, allora. Corro dove so esserci una vecchia fontana. sono tra le case e l’ombra mi copre,
come se fossi cieco. Sono diretto là, e so che prima c’è un incrocio, e ai due lati della via due pollai puzzolenti, uno per lato. Io le galline le facevo scappare, le odiavo, con quel loro odore. Le liberavo e i cogneins si infuriavano. sapevano di questo bambino dispettoso. Sto per arrivare quando qualcosa si impadronisce di me, bloccando il mio slancio. I miei occhi sono aperti, ma anche questa volta sono come cieco, abbagliato da un flash ravvicinato. La luce improvvisa del sole mi penetra come un fuso e resto sbalordito, preso nella tenaglia dei raggi, e un incendio avvampa dentro di me. il viso, subito, e poi tutto il resto è imbavagliato e diventa antico: la luce che mi
ribalta è antica, viene da prima e ora so che mi trascinerà nel poi. E' un brivido, l’assolo di un attimo, e la mamma arriva. Mi afferra la mano, mi dà una sculacciata che non sento né capisco e mi porta via, mentre resto girato verso la fontana, l’incrocio, i pollai. Mi accorgo adesso delle galline, della puzza; ogni cosa intorno a me è tanta, troppa, e gorgoglia ringhiando. Nel tragitto del ritorno mia madre, che mai ha smesso di parlare, mi strattona, e allora non cammino più, lei mi trascina e io rotolo nella terra battuta. Passiamo a fianco delle arnie, un’ape fa la guardia e trova nel mio occhio destro il bersaglio. Mi trafigge e una scossa brucia e mi gonfia. Ritorno a casa, la mamma è preoccupata e io piango. e sono un altro, ho appena scoperto il dolore che riporta alla luce, figlia mia.

Se la vita ha un senso

«Se la vita ha un senso e la felicità sta nella coscienza di vivere, occorre una meta verso cui navigare, riconoscenti nella fortuna, fermi nelle avversità. Allora, l' imbarazzante e talvolta frivola "felicità" si muterà nella più umana e solida "fortezza", stato di vita sottratto al capriccio del destino e affidato all' esercizio della volontà»

Pierre Hadot