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giovedì 7 luglio 2016

L'endecasillabo è il DNA della lingua letteraria italiana

Quello che per un organismo vivente è il DNA, per la lingua letteraria italiana è l'endecasillabo: una matrice, uno schema generante, un'origine perpetua. Un mistero, volendo usare un vocabolario mistico che alluda alla coincidenza, alla collaborazione del fato e della possibilità. Confinare l'endecasillabo alla storia della metrica è un infelicissimo errore di prospettiva. L'endecasillabo non è né l'alessandrino dei francesi né l'odioso decasillabo nostrano. E non basta dire, come si faceva nei vecchi manuali, che con le sue quattro o cinque varianti fondamentali è la misura aurea, la più adeguata al suono della lingua e così via. Gli altri metri si lasciano definire puramente e semplicemente dall'esempio che se ne può fare. Esistono perché qualcuno li ha scritti, la pratica esaurisce ogni possibile teoria.

Emanuele Trevi
Sul'arte della prosa
Nuovi argomenti nr. 73
Mondadori gennaio marzo 2016

lunedì 4 luglio 2016

La pazienza e la fatica necessarie per scrivere un romanzo

Non ho mai pensato che nei romanzi la lingua dovesse essere il risciò di sua maestà la narrazione, ma in passato mi è capitato di credere il contrario. Con sempre maggior frequenza i giornalisti culturali esaltano i romanzi in cui la "neutralità" (oserei dire l'imparzialità) della lingua rende la narrazione agevole e non pesante, scorrevole e non ostica, neanche la letteratura fosse una branca dell'economia dove ottimizzare il noto risultasse più importante di perdersi nell'ignoto allo scopo di risalire dal pozzo stringendo in bocca uno strano oggetto (perfino brutto o mostruoso) che l'umanità vede per la prima volta.
Io, al contrario degli ottimizzatori, credo che la letteratura abbia semmai più a che fare con la fisica teorica e con la stregoneria, con le Scritture (di cui molto spesso è la parodia, come sapeva bene Philip Dick) e con gli orologi guasti le cui lancette ferme segnano (per eccesso di spreco e di idiozia) almeno una volta al giorno l'ora di Dio.
Scoprire una verità nascosta (risalire dal pozzo con quell'oggetto) è tra le più belle ricompense che si possono ottenere grazie alla pazienza e alla fatica così spesso necessarie per scrivere un romanzo. Magari l'oggetto è inservibile. Magari è trascurabile e non rappresenterà mai una delle architravi su cui si reggerà la civiltà di domani, ma solo un fregio. E però quell'oggetto ha per me lo stesso un valore inestimabile. Ho parlato di "oggetti" ma forse sarebbe più calzante l'ipotesi di specie viventi, perché questo in un certo senso sono i romanzi. Specie viventi che ne contengono mille altre.

Nicola Lagioia
La lingua
Nuovi argomenti nr. 73
Mondadori gennaio marzo 2016

domenica 30 agosto 2015

Il più amato dei venti

È il vento di nord est.
Il più amato dei venti
per me, perché ai marinai promette
la rotta giusta e l’anima ardente.
Va’ e saluta
la bella Garonna
e i giardini di Bordeaux
là dove il sentiero
s’accosta alla riva aspra
e il ruscello cade profondo
nel grande fiume
ma sopra
è in vedetta la nobile coppia
delle querce e i pioppi d’argento –
io mi ricordo
ancora del bosco d’olmi
che china le larghe cime dei monti
sul mulino, ma nella corte
cresce la pianta del fico.
Nei giorni di festa
vanno le donne brune
sopra un piano di seta,
al tempo di marzo,
quando uguali son la notte e il giorno,
e sui sentieri lenti
carico di sogni d’oro
passa ondoso il respiro del vento:
ma mi si offra quella coppa inebriante
colma di luce bruna
perché possa riposare:
dolce sarebbe
sotto le ombre il sonno.
E male è se l’anima si perde
lontano da pensieri di mortali.
Bene è invece parlare,
dire i pensieri del cuore,
udir molte cose
dei giorni dell’amore,
dei fatti che avvennero.
Ma gli amici, dove sono?
Bellarmino e il suo compagno?
C’è chi ha timore
ad andar alla fonte.
Ma la ricchezza ha inizio
nel mare. Essi come pittori
raccolgono tutta la bellezza
del mondo e non spregiano
la guerra alata, avere
la casa sotto un albero senza fronde,
per anni, solitari,
dove la notte non ha luci
di città e di feste
né musiche né danze native.
Ma ora quegli uomini sono salpati
per le Indie, nel promontorio arioso
presso le erte vigne
da cui la Dordogna scende
e insieme alla Garonna sfarzosa
esce fiume ampio come mare.
Il mare dona e toglie il ricordo;
l’amore fissa i suoi occhi fedeli.
Ma il poeta fonda ciò che resta.

Friedrich Hölderlin

traduzione di Enzo Mandruzzato dal sito di Nuovi Argomenti


ANDENKEN
Der Nordost wehet,
Der liebste unter den Winden
Mir, weil er feurigen Geist
Und gute Fahrt verheißet den Schiffern.
Geh aber nun und grüße
Die schöne Garonne,
Und die Gärten von Bourdeaux
Dort, wo am scharfen Ufer
Hingehet der Steg und in den Strom
Tief fällt der Bach, darüber aber
Hinschauet ein edel Paar
Von Eichen und Silberpappeln;
Noch denket das mir wohl und wie
Die breiten Gipfel neiget
Der Ulmwald, über die Mühl,
Im Hofe aber wächset ein Feigenbaum.
An Feiertagen gehn
Die braunen Frauen daselbst
Auf seidnen Boden,
Zur Märzenzeit,
Wenn gleich ist Nacht und Tag,
Und über langsamen Stegen,
Von goldenen Träumen schwer,
Einwiegende Lüfte ziehen.
Es reiche aber,
Des dunkeln Lichtes voll,
Mir einer den duftenden Becher,
Damit ich ruhen möge; denn süß
Wär unter Schatten der Schlummer.
Nicht ist es gut,
Seellos von sterblichen
Gedanken zu sein. Doch gut
Ist ein Gespräch und zu sagen
Des Herzens Meinung, zu hören viel
Von Tagen der Lieb,
Und Taten, welche geschehen.
Wo aber sind die Freunde? Bellarmin
Mit dem Gefährten? Mancher
Trägt Scheue, an die Quelle zu gehn;
Es beginnet nämlich der Reichtum
Im Meere. Sie,
Wie Maler, bringen zusammen
Das Schöne der Erd und verschmähn
Den geflügelten Krieg nicht, und
Zu wohnen einsam, jahrlang, unter
Dem entlaubten Mast, wo nicht die Nacht durchglänzen
Die Feiertage der Stadt,
Und Saitenspiel und eingeborener Tanz nicht.
Nun aber sind zu Indiern
Die Männer gegangen,
Dort an der luftigen Spitz
An Traubenbergen, wo herab
Die Dordogne kommt,
Und zusammen mit der prächtgen
Garonne meerbreit
Ausgehet der Strom. Es nehmet aber
Und gibt Gedächtnis die See,
Und die Lieb auch heftet fleißig die Augen,
Was bleibet aber, stiften die Dichter.

sabato 8 agosto 2015

la poesia è quello che, in modo misterioso e accorto, resta

“Corridoio degli arrivi, crisi, estate dura”. Cocci e Frammenti, la tua ultima silloge, apre così. Nella tua poesia c’è un’abitudine alla frantumazione e, nello stesso tempo, un’attenzione ai resti. Resti di stelle, resti di parole, resti animali e umani. Dalle terre emerse sono rimasti cocci e frammenti? Che cosa vuol rappresentare la tua poesia oggi?
Spero proprio che non siano rimasti soltanto cocci e frammenti, anche se ogni tanto posso avere la tentazione di temerlo. Il fatto è che i “Cocci e frammenti” sono solo una piccola parte del lavoro recente, successivo a “Corpo stellare” e non ancora concluso. Appartengono a quella famiglia di testi che in me registrano qualche aspetto più materico, e talvolta più greve, della realtà. Di solito, questa modalità riesce poi a dialogare con l’altra, di natura diversa e meno implicata con la materia; chissà se anche stavolta sarà possibile.
Come hai iniziato a conoscere la poesia?
Ho iniziato da ragazzo, un po’ grazie alla scuola,  ma soprattutto grazie alle poesie di Dylan Thomas, che è stato credo il primo autore che ho letto per conto mio. Accanto a lui imparavo a conoscere un pochino Leopardi, Baudelaire, Pascoli e Montale. Poi è venuto il resto, adagio adagio. Ma il punto di partenza credo sia stato quello, insieme a qualche disavventura personale che mi ha spinto, in qualche modo misterioso, verso la poesia.
incipit dell'intervista di Maria Zanolli a Fabio Pusterla apparsa il 12 aprile 2013 su Nuovi Argomenti

martedì 9 dicembre 2014

Il poeta cambia il nome delle cose

Cambio di nome

Agli amanti delle belle lettere
Faccio arrivare i miei migliori desideri
Cambierò il nome ad alcune cose.

La mia posizione è questa:
Il poeta non rispetta la sua parola
Se non cambia i nomi alle cose.

Per quale ragione il sole
Deve continuare a chiamarsi sole?
Chiedo che si chiami Micifuz
Quello degli stivali delle sette leghe!

Le mie scarpe sembrano bare?
Sappiano che d’ora in avanti
Le scarpe si chiamano bare.
Si comunichi, si annoti, e si pubblichi
Che le scarpe hanno cambiato nome:
Da questo momento si chiamano bare

Bene, la notte è lunga
Ogni poeta che ha stima di se stesso
Deve avere il suo proprio dizionario
E prima che mi dimentico
Allo stesso dio bisogna cambiargli nome
Che ognuno lo chiami come voglia:
Questo è un problema personale


Nicanos Parra
La cueca larga 
1958
traduzione di Carmelo Pinto
dal sito Nuovi Argomenti


Cambios de nombre

A los amantes de las bellas letras
Hago llegar mis mejores deseos
Voy a cambiar de nombre a algunas cosas.

Mi posición es ésta:
El poeta no cumple su palabra
Si no cambia los nombres de las cosas.

¿Con qué razón el sol
Ha de seguir llamándose sol?
¡Pido que se llame Micifuz
El de las botas de cuarenta leguas!

¿Mis zapatos parecen ataúdes?
Sepan que desde hoy en adelante
Los zapatos se llaman ataúdes.
Comuníquese, anótese y publíquese
Que los zapatos han cambiado de nombre:
Desde ahora se llaman ataúdes.

Bueno, la noche es larga
Todo poeta que se estime a sí mismo
Debe tener su propio diccionario
Y antes que se me olvide
Al propio dios hay que cambiarle nombre
Que cada cual lo llame como quiera:
Ese es un problema personal.