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giovedì 18 gennaio 2018

Come si spiega la poesia

Fatta di carta

Una poesia si spiega?
Sì, si spiega
nel senso che la puoi svolgere,
srotolare, spiegazzare
come la pagina che scrivi.
E basta un niente per sgualcirla.


Fatta di carta è la poesia.


Danilo Bramati
Dietro ogni silenzio
Atì editore 2017

sabato 18 marzo 2017

il sogno non sente di essere già fuggito

Scrivere di sogni con parole secche
come bandiere flosce senza un alito di vento,
peccato che certi sogni sognino parole secche
come carta cianciata sulla via.
La pagina non sente di essere già schiacciata,
il sogno, di essere già fuggito.

Nathan Zach
tratto da "Carteggi letterari"

mercoledì 7 dicembre 2016

nella sua danza di rosa smemorata

Il tempo viene nella sua danza di stella impazzita 


Dove sono le nevi del tempo passato? 
Dove le belle dame? 
Se gioco con un ricordo sto 
tenendo tra le mani qualcosa 
che ho o qualcosa che 
ho perduto? Se fugge 
l’istante che non so scrivere 
mi resta lo scrivere di 
questa fuga bislacca. 
Però vorrei sapere, una cosa 
davvero vorrei sapere, quanto 
è grande il magazzino che 
tiene a riposo tutto il tempo 
perduto. Non so se cercare 
da un letto in una stanza 
chiusa sia più efficace del 
contemplare il mare in un 
pomeriggio di bonaccia. 
Ma il tempo non torna, 
il tempo viene nella sua danza di 
stella impazzita, nella 
sua danza di rosa smemorata, 
il mio patto è questo, 
io lascio che passi, purché 
in cambio la pagina sia 
colma delle parole, non 
solo le mie che tu stai 
leggendo, ma più di tutto 
le tue che io non vedo 
ma che la tua voce mi 
porterà all'orecchio roca 
di fumo e di dolore.

Elena Petrassi
Scrivere il vento

Atì editore 2016

domenica 26 giugno 2016

Se la pagina scritta è un giardino, la poesia non è la rosa ma la terra feconda

Se paragonassi una pagina di scrittura a un giardino, sarei portato a vedere in un primo momento nella rosa l'immagine stessa del componimento poetico. Ma sarebbe un grave errore.
La poesia è nemica dell'apparenza. E' appartenenza immemoriale. Del giardino la poesia è piuttosto la terra feconda, umida: la miracolosa umidità del suolo nelle sue profondità. Può essere, anche, la linfa le radici.


Edmond Jabès
Poesie per i giorni di pioggia e di sole
a cura di Chiara Agostini
Manni 2002

martedì 21 giugno 2016

Foglie, pagine perdute…

Foglie

Il vento gioca con l’invisibile
fra i tendoni del caffè,
scuote oggetti buttati alla rinfusa
sul tavolino; la tazza vuota
traballa, i fogli del quaderno
sbattono come persiane aperte.

È tenace questa primavera,
butta germogli a perdifiato;
nei platani, tra foglia e foglia
non c’è uno spicchio di crepuscolo.
Ma nel groviglio vegetale
le ombre scavano nicchie, trincee…
Spuntano facce, una miriade.

Alcune ruotano sui cardini dell’aria
e rientrano nel verde,
altre restano, vorrebbero parlare.
Ci vuole tempo per contarle,
dargli un nome, una storia.
Guarda sul ramo di quel tiglio…

Le riconosci?
Persone del tuo cuore.
Ma quelle del ramo accanto a chi somigliano?
Foglie, pagine perdute…

Vado. Lascio il quaderno.
Forse qualcuno leggerà.

Danilo Bramati
Chiaro enigma del mondo
Moretti & Vitali 2016

sabato 7 maggio 2016

Apriamo il libro della sera tra due nuvole e una pagina bianca

Luna

Apri il libro della sera alla pagina
in cui la luna, la luna sempre, appare
tra due nuvole, spostandosi così piano che parrà
siano trascorse ore prima che tu giunga alla pagina seguente
dove la luna, ora più luminosa, fa scendere un sentiero
per condurti via da ciò che hai conosciuto
entro i luoghi in cui quello che ti eri augurato si avvera,
la sua sillaba solitaria come una frase sospesa
sull’orlo del significato, in attesa che tu ne dica il nome
una volta ancora mentre alzi gli occhi dalla pagina
e chiudi il libro, sentendo ancora com’era
soffermarsi in quella luce, quell’improvviso paradiso di suono.


Mark Strand
Uomo e cammello
traduzione di Damiano Abeni
Mondadori 2007

giovedì 4 febbraio 2016

L'emergere della consapevolezza di sé e la scoperta degli altri fuori di noi

Anche in questo frammento di Espiazione, Ian McEwan tocca un vertice di chiarezza e coinvolgimento, descrivendo il momento in cui in una mente giovane e fertile si fanno strada nello stesso tempo la consapevolezza di sé e degli altri fuori da sé con le stesse passioni e desideri feroci. 
Il mondo non è chiaro e conchiuso, il tempo gocciola via seguendo un proprio ritmo. La scrittura è, allora, l'unico modo per mettere in ordine il caos che danza dentro e fuori di noi. 
"L'imparziale realismo psicologico" che McEwan attribuisce alla scrittrice che Briony diventerà, è la cifra della sua stessa scrittura, e che scrittura! 
Nella ricchezza di dettagli e riflessioni che attraversano anche questo romanzo, questo scrittore straordinario crea un mondo plausibile dove viviamo la vita e le emozioni dei suoi personaggi.

E.P.

§§§§§




Briony sedette a terra con la schiena appoggiata a uno degli armadi a muro dei giocattoli e si fece aria con le pagine della commedia. Il silenzio in casa era assoluto: non una voce, un rumore di passi, uno sgocciolio dentro le tubazioni; una mosca imprigionata tra i vetri di una finestra a ghigliottina aperta aveva abbandonato la propria battaglia, e fuori il liquido canto degli uccelli era evaporato nella calura. Allungò le gambe davanti a sé e si concentrò sulle pieghe del vestito di mussola bianca e sulle sue amate grinze di pelle intorno alle ginocchia. Doveva cambiarsi d’abito quella mattina. Pensò che avrebbe dovuto badare di più al proprio aspetto, come Lola. Non farlo era da bambini. Che fatica, però. Il silenzio le fischiava nelle orecchie e la vista le si alterò un poco: si vedeva le mani in grembo insolitamente grandi e al tempo stesso distanti, come se le guardasse da molto lontano. Alzò una mano flettendo le dita e si chiese, come già le era capitato di fare altre volte, come fosse entrata in possesso di quella cosa, quella specie di morsa, di ragno carnoso al suo completo servizio. Che avesse un barlume di vita propria? Piegò un dito e tornò a distenderlo. Il mistero era sigillato nell'attimo prima del movimento, l’istante che separava la quiete dal moto, quando l’intenzione raggiungeva il suo effetto. Era come il frangersi di un’onda. Se fosse riuscita a tenersi sulla cresta, pensava, non era escluso che avrebbe scoperto il proprio segreto, quella parte di se responsabile del fenomeno. Si portò l’indice vicino alla faccia e prese a fissarlo, ordinandogli di muoversi. Il dito restava fermo, perché lei stava solo fingendo, non faceva sul serio, e perché volerlo muovere, o essere sul punto di muoverlo, non era la stessa cosa che muoverlo per davvero. E quando alla fine lo piegò, il gesto parve partire dal dito stesso, non da un punto ignoto della sua mente. Quando sapeva di doversi muovere? Quand’era che lei lo muoveva? Era impossibile cogliersi di sorpresa. Esistevano soltanto il prima e il dopo. Non c’erano segni di cuciture, linee di giunzione, eppure sapeva che al di là del tessuto liscio che la foderava si trovava la vera se stessa - la sua anima forse? - alla quale spettava la decisione di smettere di fingere, per dare l’ordine definitivo. Quei pensieri le risultavano familiari e rassicuranti quanto la precisa configurazione delle sue ginocchia con la loro perfetta ma opposta, reversibile simmetria. Un secondo pensiero faceva immancabilmente seguito al primo, ogni mistero generava mistero; chissà se anche gli altri erano vivi quanto lo era lei. Per esempio, sua sorella era altrettanto importante per se stessa, si giudicava altrettanto preziosa? Essere Cecilia era un’esperienza forte quanto essere Briony? Anche sua sorella possedeva una vera se stessa nascosta sotto la cresta di un’onda, e passava del tempo a pensarci, tenendosi un dito davanti alla faccia? Era così per tutti gli altri, compresi suo padre, Betty, Hardman? Se la risposta era sì, allora il mondo, la società doveva essere complicata in modo insostenibile, con i suoi due miliardi di voci, e coi pensieri di tutti allo stesso livello e le pretese di una vita altrettanto intensa da parte di tutti, e con l’unanime convinzione di essere unici, quando nessuno lo era. Uno poteva annegare in tanta irrilevanza. Ma se la risposta era no, allora Briony si ritrovava circondata da macchine, intelligenti e gradevoli a vedersi, ma prive del genio intimo che lei si sentiva dentro. L’idea era lugubre e malinconica, oltre che improbabile. Perché, sebbene la cosa offendesse il suo senso dell’ordine, doveva ammettere che c’erano enormi probabilità che anche tutti gli altri avessero
pensieri simili ai suoi. Lo sapeva, ma solo in termini di sterile teoria; non lo sentiva davvero. Anche le prove offendevano il suo senso dell’ordine. Il mondo conchiuso che aveva disegnato con la chiarezza di parole perfette era stato snaturato dagli scarabocchi di altre menti, di altri bisogni; e perfino il tempo, così facile da segmentare sulla pagina in atti e in scene, nella realtà gocciolava via a poco a poco in modo incontrollabile.

Ian McEwan
Espiazione
Einaudi 2002


mercoledì 3 febbraio 2016

L'osservatore nascosto: la nascita di una scrittrice secondo Ian McEwan

Come nasce una scrittrice? Briony ha tredici anni, è curiosa e ha già una folle passione per la scrittura. In questo frammento del romanzo Espiazione di McEwan scopriamo la rivelazione della potenza della scrittura in una giovane mente. Io mi ci sono riconosciuta. E voi?

§§§§§


Ma anche senza lodi, attenzione e palese compiacimento, Briony non sarebbe stata distolta dalla scrittura. In ogni caso andava scoprendo, come già molti autori prima di lei, che non tutte le forme di riconoscimento sono d’aiuto. L’entusiasmo di Cecilia, per esempio, pareva un po’ sopra le righe, viziato da un pizzico di condiscendenza, oltre che invadente; la sorella maggiore pretese di
catalogare ogni singola storia rilegata e di sistemarla in ordine alfabetico sugli scaffali, tra Rabindranath Tagore e Quinto Tertulliano. Se voleva essere uno scherzo, Briony decise di non farci caso. Ormai era avviata, e aveva trovato soddisfazioni su altri livelli; scrivere storie non era solo una fonte di segretezza, le procurava anche il piacere della miniaturizzazione. Cinque pagine appena
potevano contenere un mondo, oltretutto assai più gradevole di quello di un modellino di fattoria. Lo spazio di mezza pagina bastava a incorniciare l’infanzia viziata di un principe, una corsa sotto la luna attraverso villaggi addormentati diventava una frase ritmicamente enfatica, l’atto di innamorarsi poteva accadere nell'arco di una parola soltanto: uno sguardo. Le pagine di una storia appena finita parevano fremerle tra le mani per tutta la vita che vi palpitava. Anche la sua passione per l’ordine risultava soddisfatta, giacché un mondo caotico poteva essere trasformato in ordine perfetto. Una crisi nell'esistenza della protagonista poteva coincidere con grandinate, tuoni, tempeste di vento, mentre l’atmosfera nuziale era di solito benedetta da luce tersa e brezze leggere. L’amore per l’ordine informava anche i principi della giustizia: morti e matrimoni costituivano i motori essenziali della gestione domestica, le prime, tenute in serbo a uso esclusivo dei personaggi moralmente ambigui, i secondi, utilizzati come ricompensa da rimandare fino all'ultima pagina della vicenda.

(...)

Briony si appoggiò contro la parete e fissò imbambolata il pavimento della nursery. Era forte in lei la tentazione di sentirsi al centro di una magia, di un’azione drammatica, e di considerare la scena alla quale aveva assistito come se fosse stata allestita a suo beneficio esclusivo, con il doveroso messaggio morale avvolto dentro un mistero. Ma sapeva benissimo che se non si fosse trovata in quel luogo in quel momento, la scena sarebbe accaduta lo stesso, perché in realtà non la riguardava affatto. Soltanto il caso l’aveva portata a mettersi alla finestra. Quella non era una fiaba, era la vita vera, il mondo adulto, nel quale le rane non parlano alle principesse, e gli unici a scambiarsi
messaggi sono gli esseri umani. Altra tentazione fu quella di precipitarsi in camera di Cecilia ed esigere una spiegazione. Ma Briony resistette, perché voleva inseguire in solitudine il brivido sottile della possibilità che aveva percepito prima, la fuggevole eccitazione nel riuscire a vedere con chiarezza una certa prospettiva, almeno sul piano emotivo. La chiarezza sarebbe cresciuta nel corso degli anni. Alla fine Briony sarebbe stata costretta ad ammettere di attribuire forse alla tredicenne di allora un’eccessiva consapevolezza. A quell'età magari non aveva ancora le parole esatte per dirlo; non era anzi escluso che tutto si risolvesse soltanto in una sorta di smania di rimettersi a scrivere. Mentre restava nella nursery in attesa che i cugini tornassero, sentiva che avrebbe potuto narrare una scena come quella della fontana inserendovi anche il personaggio dell’osservatore nascosto, vale a dire il suo. Riusciva a vedere se stessa nell'atto di precipitarsi subito in camera, davanti a un blocco intatto di carta a righe e con in mano la penna stilografica di bachelite marmorizzata. Riusciva a immaginare le frasi, l’accumularsi di segni telepatici che andavano srotolandosi all'estremità del pennino. Poteva riscrivere la stessa scena tre volte, da altrettanti punti di vista diversi; l’eccitazione le proveniva dalla prospettiva della libertà, dall'essere esonerata dal dover risolvere l’imbarazzante
conflitto tra bene e male, tra eroi e antieroi. Nessuno dei tre personaggi era malvagio, e nemmeno particolarmente virtuoso. Non c’era bisogno di giudicarli. Non occorreva che ci fosse una morale. Le era sufficiente mostrare menti diverse al lavoro, menti non meno vive della sua e in lotta con l’idea della presenza di altri cervelli pensanti. Soltanto una storia permetteva di entrare in più di una testa e dimostrare come ciascuna avesse eguale valore.
Ecco l’unica morale di cui un racconto aveva bisogno. Sei decenni più tardi avrebbe spiegato di quando a tredici anni aveva trovato la propria strada attraversando l’intera storia della letteratura, partendo da fiabe che affondavano le proprie radici nel folklore popolare europeo, per passare all'azione drammatica dal semplice intento morale, e infine approdare a un imparziale realismo psicologico scoperto tutto da sola, in una mattina molto speciale durante l’ondata di caldo del 1935.
Ben consapevole del grado di mitizzazione di se, pronunciò quel discorso in tono autoironico, o scherzosamente eroico. I suoi libri erano noti per la loro amoralità, e come ogni autore tormentato da una domanda insistente, si sentì in dovere di fornire una spiegazione narrativa del fenomeno, una trama del proprio sviluppo che contenesse il momento in cui era diventata se stessa una volta per
tutte. Sapeva che non era corretto riferirsi ai propri drammi al plurale, che quel tono di scherno la separava dalla bambina seria e pensosa di un tempo e che l’oggetto della sua commemorazione non era tanto quella mattina remota quanto le successive elaborazioni dell’episodio. Era possibile che la contemplazione di un dito piegato, l’idea intollerabile di altre menti pensanti e la superiorità dei racconti sui drammi fossero considerazioni fatte da lei in altri momenti. Sapeva inoltre che qualunque cosa fosse in effetti accaduta traeva significato dalla pubblicazione della sua opera, senza la quale sarebbe stata dimenticata. Comunque, non poteva ingannarsi del tutto; non c’era dubbio che una forma di rivelazione si fosse comunque verificata. Quando la ragazzina tornò alla finestra e guardò di sotto, la chiazza umida sulla ghiaia era evaporata. Non rimaneva più nulla della scena muta presso la fontana a parte il ricordo che sarebbe sopravvissuto nelle singole memorie, in tre ricordi sovrapposti e distinti. La verità era diventata non meno fantomatica di un’invenzione. Poteva iniziare subito, metterla giù come l’aveva vista, accogliendo la sfida di rifiutarsi di condannare la seminudità di sua sorella, in pieno giorno, e proprio davanti a casa. Poi la scena poteva essere riformulata, attraverso lo sguardo di Cecilia, e infine quello di Robbie. Ora però non era tempo di incominciare.

Ian McEwan
Espiazione
Einaudi 2002

domenica 31 gennaio 2016

Se è vero che noi siamo ciò che amiamo, allora posso affermare di essere una busta della spesa stipata di romanzi

Conoscevo uno slavista assai in gamba che alla soglia dei quarant'anni decise di sbarazzarsi della sua biblioteca. Migliaia di volumi che occupavano per intero le pareti della grande casa in centro ereditata dal padre. Quando gli chiesi cosa avesse ispirato un gesto così drastico, mi spiegò che qualche mese prima si era reso conto di aver finito lo spazio. Continuava a ricevere libri dagli editori, a comprarli, ma non sapeva più dove metterli. Si era sentito costretto a dividerli in due gruppi — essenziali e trascurabili —, deciso a tenersi i primi e regalare gli altri. Era stato più o meno allora, nel pieno dello sfiancante censimento, che gli era venuta quell’idea bizzarra: conservare solo cento libri.Detto fatto. Da allora aveva preso a chiamarli con una certa pompa «I cento libri dell’umanità». Da Omero a Kafka. Aveva preso talmente alla lettera l’idea di canone da conferirle consistenza plastica. In realtà continuava a leggere un po’ di tutto: classici, gialli, poesie, saggistica, primizie editoriali. Per un po’ soggiornavano sul fratino di mogano all’ingresso, pronti a essere implacabilmente sfrattati.
(...)
Chi vive di libri e per i libri, chi li maneggia dalla mattina alla sera, si fa tentare dalle tassonomie, dai canoni, dalle classifiche. Vizi perniciosi che cambiano la natura stessa dell’amore esponendoci all'idolatria. Dopotutto i libri sono strumenti di piacere, non il fine ultimo della vita. Che poi io dico libri, ma di fatto penso ai romanzi. Quando i miei occhi devono scegliere fra un tramonto sul mare e una pagina scritta non vacillano mai, virando decisi verso il basso. Se è vero che noi siamo ciò che amiamo allora posso affermare di essere una busta della spesa stipata di romanzi, non sempre indimenticabili.
(...)
Il mondo dei romanzi, sebbene gli somigli parecchio, non ha niente a che fare con quello in cui viviamo. Nelle sue lezioni Foster notava come i personaggi romanzeschi possano stare anche diversi giorni senza mangiare. Non dormono mai. In compenso scopano molto più di noi. I romanzi obbediscono alle leggi delle fiabe. I paesaggi sono posticci come le città dei film western. Il narratore cerca la sintesi, se ne infischia della completezza. Il realismo è un’aspirazione, una tensione di chi scrive e di chi legge, non certo un fine realizzabile.
(...)
Dice bene Cheever: la narrativa deve illuminare e ristorare.

frammenti dell'articolo Un bel romanzo è come un cheeseburger di Alessandro Piperno su La Lettura di domenica 31 gennaio 2016

venerdì 8 gennaio 2016

La mente creativa è un campo innevato, è il silenzio dopo la caduta del fulmine

Questa poesia la sto rigirando tra mani e quaderno da qualche mese. 
È tratta dal film Words and pictures, che mi è piaciuto anche se sconta qualche ingenuità, con Juliette Binoche e Clive Owen, due artisti e insegnanti maturi e in crisi. Lo scontro tra le loro visioni, diffidenze reciproche, passioni, malattie e debolezze umane diventa uno straordinario detonatore per la creatività dei loro allievi.
Così questa poesia, delicata e immensa, che evoca la mente creativa come se fosse un campo innevato, come se fosse il silenzio dopo la caduta di un fulmine mi piace talmente tanto che ho deciso di condividerla. Anche se mi resta un margine di dubbio sull'autore perché forse la poesia, benché scritta dallo sceneggiatore Gerald Di Pego, forse è ispirata da una poesia della poetessa americana Mary Oliver che, nonostante abbia cercato in parecchi suoi libri, non sono riuscita a trovare. E la traduzione non è proprio quella nella versione italiana del film ma l'ho un po' rimaneggiata e continuerò a farlo perchè c'è ancora qualcosa che mi sfugge.
E.P.


Chi sei?

Sono una piccola poesia
Su una pagina con
Spazio per un’altra.

Condividi con me
Questo campo bianco
Largo quanto un acro
Di neve, intatta
Tranne per questi piccoli
Segni come le impronte
di uccelli.
Vieni, ora.
Questo è il ventre dell’onda
I secondi che seguono il fulmine
Sottile fetta di silenzio
Mentre la musica cessa
Il gelo prima dello scioglimento
Sdraiati accanto a me
Crea angeli, crea diavoli
Crea chi sei tu


Gerald Di Pego


Who are you?

I am a small poem
on a page with room
for another.

Share with me
this white field,
wide as an acre
of snow, clear
but for these tiny
markings like the
steps of birds.
Come now.

This is the trough
of the wave, the
seconds after
lightning, thin
slice of silence
as music ends,
the freeze before
the melting. Hurry.

Lie down beside me.
Make angels. Make devils.
Make who you are.








martedì 8 dicembre 2015

Leggevo e sognavo di questi oscuri avventurieri e certamente ne imitavo lo stile nel mio quaderno

Voglio fare della critica. Sì, e potrei mettere in luce un paio di personaggi oscuri. Sono i prosatori elisabettiani quelli che amai per primi, pazzamente, stimolata da Hakluyt che mio padre trascinò fino a casa apposta per me; ci penso con una certa emozione […] non so bene perché, ma mi estasiavo. Non ero propriamente interessata, ma la vista delle grandi pagine gialle mi incantava. Leggevo e sognavo di questi oscuri avventurieri e certamente ne imitavo lo stile nel mio quaderno.
8 dicembre 1929

Virginia Woolf
Diario di una scrittrice

Mondadori 1979
Minimum Fax 2005
traduzione di Giuliana De Carlo

I want to write criticism. Yes, and one might make out an obscure
figure or two. It was the Elizabethan prose writers I loved first and most wildly, stirred by Hakluyt, which father lugged home for me—I think of it with some sentiment—father tramping over the Library with his little girl sitting at H.P.G.* in mind. He must have been 65; I 15 or 16 then; and why I don't know but I became enraptured, though not exactly interested, but the sight of the large yellow page entranced me. I used to read it and dream of those obscure adventurers and no doubt practised their style in my copybook. I was then writing a long picturesque essay upon the Christian religion, I think; called
Religio Laici, I believe, proving that man has need of a God; but the God was described in process of change; and I also wrote a history of Women; and a history of my own family —all very longwinded and Elizabethan in style.

venerdì 21 agosto 2015

Inutile girare la pagina per cercare l'angolo del vento

Spesso c’è bonaccia sulla pagina.
Inutile girarla per cercare
l’angolo del vento.
Si sta fermi,
il pensiero oscilla,
si riparano le cose
che la navigazione ha guastato.


Valerio Magrelli
Ora serrata retinae
Feltrinelli 1981

martedì 2 giugno 2015

la verità è che dell'anima non si può scrivere direttamente. Se la guardi svanisce

Credo che stabilirò una nuova regola per questo diario - ogni giorno comincerò una pagina nuova - come faccio abitualmente per la letteratura seria. Ho certamente abbastanza posto nel quaderno di quest'anno per poter sprecare un po' di carta. Quanto all'anima, perché ho detto che l'avrei messa da parte? Non ricordo. E la verità è che dell'anima non si può scrivere direttamente. Se la guardi svanisce: ma se guardi il soffitto, o Grizzle o gli animali meno nobili dello zoo esposti ai passanti a Regent Park, ecco che l'anima compare. È comparsa questo pomeriggio. Questo lo scriverò, mi son detta contemplando il bisonte, rispondendo distrattamente a L.; ma cosa volevo scrivere?

Sabato 27 febbraio 1926

Virginia Woolf
Diari. 1925-1930
a cura di Bianca Tarozzi
BUR 2012

domenica 7 settembre 2014

La pagina dove nessuno ha scritto

La pagina bianca


Quella che hai giusto in mano è quasi bianca, 
ma non del tutto, non esiste il bianco totale:
è liscia, dura, tenace, sottile, e di solito
crepita, scivola, cigola, si strappa, è quasi inodore;
e com’è non rimane, si ricopre 
di menzogne, orrori, contraddizioni, assorbe tutto:
sogni, angosce, trucchi, lacrime, brame,
finché saranno asciutti, gialli, ammuffiti, grigi,
finché il tutto s’ammolla, nella pioggia, si sbriciola, nell’immondizia,
sempre più esiguo. Forse soltanto se è della qualità migliore…
ove poi meglio di tutto è forse ciò che nessuno 
vi ha scritto: un pesce, una saliera, una stella,
un unicorno, un elefante, una testa di bue, 
emblema di S. Luca. Ciò che ti appare
se lo metti controluce – resiste,
mille anni, forse, o solo un minuto ancora.


Hans Magnus Enzensberger

giovedì 29 maggio 2014

Girare la pagina per cercare l'angolo del vento

Spesso c’è bonaccia sulla pagina.
Inutile girarla per cercare
l’angolo del vento.

Si sta fermi,
il pensiero oscilla,
si riparano le cose

che la navigazione ha guastato.

Valerio Magrelli
Ora ser­rata reti­nae
Feltrinelli 1981