Visualizzazione post con etichetta estate. Mostra tutti i post
Visualizzazione post con etichetta estate. Mostra tutti i post

martedì 21 giugno 2022

Cronache dagli anni senza Carnevale/835. La biblioteca è una farmacia dell’anima

 


 

Nella disordinata felicità delle letture estive mi decido a rileggere un piccolo prezioso libricino di Miro Silvera, scomparso da poco, Libroterapia. Un viaggio nel mondo infinito dei libri, perché i libri curano l’anima. In esergo c’è una famosa citazione tratta da La provincia dell’uomo. Quadermi di appunti 1942-1972 di Elias Canetti.

 

«Ci sono libri che si posseggono da vent’anni senza leggerli, che si tengono sempre vicini, che uno si porta con sé di città in città, di paese in paese, imballati con cura, anche se abbiamo pochissimo posto, e forse li sfogliamo al momento di toglierli dal baule; tuttavia ci guardiamo bene dal leggerne per intero anche una sola frase. Poi, dopo vent’anni, viene un momento in cui d’improvviso quasi per una fortissima coercizione, non si può fare a meno di leggere uno di questi libri d’un fiato, da capo a fondo: è come una rivelazione. Ora sappiamo perché lo abbiamo trattato con tante cerimonie. Doveva stare a lungo vicino a noi; doveva viaggiare; doveva occupare posto; doveva essere un peso; e adesso ha raggiunto lo scopo del suo viaggio, adesso si svela, adesso illumina i vent’anni trascorsi in cui è vissuto, muto, con noi. Non potrebbe dire tanto se per tutto quel tempo non fosse rimasto muto, e solo un idiota si azzarderebbe a credere che dentro ci siano state sempre le medesime cose».

 

È proprio così, lo so per esperienza. La prima volta che ho letto Canetti avevo ventritré anni e vivevo da sola da pochi mesi. Non era usuale che una ragazza della mia generazione e della mia classe sociale facesse un simile passo, ma io ero molto orgogliosa della mia scelta e della mia affermazione di indipendenza. Lavoravo, studiavo, scrivevo, leggevo moltissimo e oltre a Canetti la grande scoperta di quel periodo fu Jung. Leggevo arrotolata sulla mia vecchia sedia a dondolo, ricordo in particolare un fine settimana di neve ed era bellissimo starsene in casa con Canetti che mi illuminava la vita. Nella mia memoria e nella mia biblioteca di Babele interiore, Jung e Canetti starano per sempre uno accanto all’altro e forse è arrivato il momento per rileggere tutto Canetti.

Ma intanto mi sono gustata il librino di Miro Silvera e i suoi consigli libresco-terapeutici e anche questa Cronaca 835 di martedì 21 giugno del terzo anno senza Carnevale continua a leggere con me.

lunedì 20 giugno 2022

Cronache dagli anni senza Carnevale/834. Era la rabbia dei temporali estivi furiosa, impulsiva, svelta a montare così come a zittirsi

 

Quando muore qualcuno lo sappiamo che non se ne è davvero andato via. Perché sentiamo la presenza intorno e dentro di noi, la voce cara che ci parla, a volte addirittura il profumo. Finché qualcuno viene ricordato non è davvero morto. Ma cosa succede se un morto torno dal luogo innominabile e non torna come fantasma, ma come persona in carne e ossa? È da questo spunto narrativo che Giorgia Tribuiani ha costruito il suo gran bel terzo romanzo Padri, pubblicato da Fazi qualche mese fa e presentato al Premio Strega, che ho divorato. La lingua è bellissima, chiara e precisa, il ritmo travolgente.

“Quel pomeriggio un vento nuovo si affannò a oscurare il cielo – un’unica stringa, gialla e malata, resisteva tra le nubi e un mare d’asfalto – e, come una raccoglitrice nel giorno della prima delusione d’amore, con la stessa irruenza e lo stesso desiderio di rovinare il mondo, a strappare e tirare giù dagli alberi le nespole, i fichi, le albicocche e l’estate troppo acerba. Era la rabbia dei temporali estivi: furiosa, impulsiva, svelta a montare così come a zittirsi, e Gaia dovette colmare correndo la distanza tra il cancello e le scale, i polsi sulla fronte e i gomiti in avanti a parare le sferzate della pioggia. Stampò orme d’acqua e polvere su tutti i gradini e rincasò ignorando il tappetino. Si affacciò invano in ogni stanza cercando il padre e il nonno; poi si tolse i vestiti bagnati, ne indossò di nuovi e riempì una brocca d’acqua per dare da bere alle piante: dare da bere alle piante la calmava”.

La giovane Gaia, che dovrebbe scrivere la tesi, si trova intrappolata nella cittadina di Alba Adriatica, piacevole come lei la descrive con anche qualche riferimento reale, alle prese con il ritorno di nonno Diego, deceduto da 40 anni, suo padre Oscar e una crisi matrimoniale che esplode perché sua madre Clara si rifiuta di credere che quel barbone senza mestiere possa essere davvero il suo mancato suocero. Ecco una tipica scena balneare:

“Sul lungomare l’odore salmastro del pomeriggio era stato annichilito da quelli della sera. Fumo e profumi. Sudore. Dopobarba. Odori umani spezzati da pizzerie che rompevano la fila di hotel sul lato della strada opposto alla spiaggia; odori in frantumi, frammenti di odore, così come la musica e le voci: narici e orecchie facevano appena appena in tempo a ritrovarsi, abituarsi, a risintonizzarsi, che ecco che tutto già cambiava, era cambiato. Latino americano, discomusic, karaoke; ogni sera. Passeggini, tacchi, quattro anziane sottobraccio, ragazzi seduti su vecchi schienali di panchine sbiadite – gambe distese, gambe piegate; gambe pronte a scattare al passaggio di altre gambe – per dirigersi in direzione opposta alla fiumana, verso sud: si stava lentamente abituando a tutto questo? Diego tirò fuori il tabacco. Accettare questo mondo, starci dentro non potendo starne fuori, rivedere i vecchi amici: avrebbe camminato (pure lui, ma per forza) sottobraccio, avrebbe spinto i passeggini coi nipoti. Il tabacco gli cadde. Suo figlio gli passò una Marlboro e fumò con lui contro la siepe che costeggiava la passeggiata, gli sguardi al tratto di spiaggia con le giostrine, i tappeti elastici e le file di genitori che, un metro alla volta, spingevano i passeggini fino alle casse”.

Ma Diego, stonato da quel ritorno, non può non confrontare il suo tempo con questo tempo:

“Ad onta dei vecchi all’entrata, ad onta di suo figlio e sua nipote lì dintorno, Diego varcò la porta a vetri volendo accondiscendere all’inganno di essere rientrato nel suo tempo, e che per una sera, una soltanto, gli fosse concesso un commiato alla vita perduta; ma affacciandosi sull’area di legno circolare, un’impalcatura edificata sulla rena e sbiadita dal sole, delimitata da sedie e tavolini, vide dissiparsi l’illusione. Lungo il perimetro gli anziani più timidi osservavano le danze delle gonne e degli orli delle giacche attraverso la rotonda, ed erano gonne ed erano giacche che il Diego della vita precedente non riconosceva: dov’erano quei bei colori accesi? i rossi e i gialli e i verdi e le gonne lunghissime e svasate, i corpetti coi pois, fiocchi rossi nei capelli? dov’erano quei bravi stivaletti con il tacco e con la punta arrotondata?”.

È proprio il tempo il signore di questo romanzo, il tempo che prima ha gettato Diego sulla spiaggia del presente come un naufrago... e poi dopo poche settimane gli ruba quel che resta della giovinezza e lo trasforma in un vecchio... perché l'ordine del tempo non può essere sovvertito... e il passato serve solo a ricordarci che è del presente che dobbiamo avere cura e non vivere di ricordi e rimpianti. Una delle cose che più mi è piaciuta è come la talentuosa scrittrice sia riuscita a rendere plausibile e verosimile, grazie a dettagli ed elementi di realtà, un avvenimento perturbante, il ritorno di un morto, che sconvolge la vita di suo figlio e della sua famiglia. E la cosa più strana non è neanche questa inattesa resurrezione, ma la segretezza dell'evento... a nessuno viene in mente di raccontare alle autorità e ai media che un morto è tornato. Tutte le tensioni e i non detti della famiglia esplodono intorno al lutto e all'assenza che Oscar ha subito da bambino... Oscar che guarda ossessivamente i VHS con le immagini di Gaia bambina... mentre Clara fugge come se non avesse aspettato di avere il giusto pretesto per farlo. Da dove è tornato Diego? E perché è tornato? Non scrivo altro, perché i misteri devono essere preservati.

Oggi è lunedì 20 giugno del terzo anno senza Carnevale e questa Cronaca 834 rilegge il romanzo respirando l’aroma della pineta di Alba Adriatica.

sabato 18 giugno 2022

Cronache dagli anni senza Carnevale/832. Il mondo esiste, e non ha bisogno di me

 



Continua la pigra deriva estiva e io leggo poesia, scrivo e fantastico sdraiata in spiaggia. Il resto del tempo lo trascorro a nuotare, a chiacchierare con i vicini di ombrellone e passeggiare in pineta L’estate è ormai arrivata, mi sono così allontanata dalla vita cittadina e respirare salsedine e resina mi ritempra e mi riempie di gioia. In questa vita beata continuo a leggere Alfonso Brezmes Quando non ci sono e le sue parole sono un balsamo.

 

 

 

Microcosmo

 

Sto seduto qui.

Mormora un fiume

che non raggiunge lo sguardo.

Presto farà notte

e verranno gli animali

con i loro occhi come ferite,

soffierà il vento,

cadrà qualche stella,

e il mondo avrà compiuto

un altro giro perfetto

su se stesso.

Sto seduto qui.

Tutto è così semplice.

Il mondo esiste,

e non ha bisogno di me.

 

 

 

Oggi è sabato 18 giugno del terzo anno senza Carnevale e la città mai più silenziosa mi stava aspettando. Sono così contenta di essere qui com’ero contenta di essere al mare ancora stamattina e questa Cronaca 832, in realtà, sta ancora sguazzando tra le onde.

martedì 14 giugno 2022

Cronache dagli anni senza Carnevale/828. La luce del sole che alle prime ore del mattino balugina nello spazio minuto tra le fenditure delle persiane

 

Continua la lettura spiaggiata del libro La più bella estate e anziché iniziare con le mie impressioni, inizio con un brano di Amoz Oz tratto da Lo stesso mare che Federico Pace ha messo in esergo:

 

 

Deserto: tufo e dirupo

odore di terra bagnata dopo un’estate di sete.

Viene una voglia:

essere ciò che sarei stato se avessi saputo ciò che è dato di sapere.

Essere prima di ogni cognizione. Come i colli. Come un sasso di luna.

Inerte e sicuro

di decantazione illimitata.

 

Un battito d’ali è il capitolo dedicato a Vladimir Nabokov e inizia così:

 

C’è un tempo della vita, e una stagione dell’anno, in cui tutti gli abbozzi della nostra esistenza sembra che vogliano, e possano, realizzarsi. In quel periodo, in quella stagione effimera, riusciamo a intravedere i vascelli delle nostre infinite esistenze possibili mentre se ne stanno schierati nel blu dell’orizzonte estivo. Al chiuso della nostra stanza, vediamo le prue di quelle imbarcazioni pronte a salpare, quando, ancora sdraiati nel letto, intuiamo la luce del sole che, alle prime ore del mattino, balugina nello spazio minuto tra le fenditure delle persiane. Con addosso il leggero velo del sonno, ne immaginiamo le traiettorie, le infinite avventure. Rimaniamo a guardare, con gli occhi dell’immaginazione, tutte le peripezie che si andranno compiendo. Le terre in cui giungeremo, le persone che avremo l’opportunità di avvicinare e che ci toccheranno nel profondo. Le cose sconosciute che avremo tra le mani. E di quelle prospettive, prima di scendere le scale della casa in cui ci troviamo in quel tempo della nostra

vita, sembriamo nutrirci e abbeverarci come di un alimento e un nettare prelibato. Non sappiamo ancora, e non possiamo nemmeno intuire, che ne sarà di quei vascelli schierati laggiù dove la terra si congiunge con il cielo. All’alba di un mattino di luglio del 1910, Vladimir Nabokov, non appena intravide attraverso le fenditure delle persiane un luminoso e vivace raggio di luce, invece di andare dove tutti lo aspettavano per la colazione, eccitato dal pensiero di ciò che lo aspettava fuori di casa, lontano dalla routine dell’abitazione familiare, scavalcò la finestra della sua stanza e sparì.

Leggo in spiaggia, faccio lungo passeggiate su e giù per il paesello che mi ospita, respiro il profumo della pineta, nuoto moltissimo, chiacchiero con i vicini di ombrellone e poi ho pranzato con le amiche e gli amici in partenza in un posticino delizioso, che si chiama Angolo 74,  che ci ha servito pesce freschissimo e c’era il vento e c’era il sole e l’estate era già iniziata.

 

Oggi è martedì 14 giugno del terzo anno senza Carnevale e del primo anno di guerra e con questa Cronaca 828 vivo nella mia bolla di mondo e riesco a essere gioiosa, non mi stancherei mai del mare, non mi stanco mai del mare.

lunedì 13 giugno 2022

Cronache dagli anni senza Carnevale/827. La più bella estate è quella che sta arrivando

 

 


 

Viaggio sempre con almeno tre libri e per questa breve vacanza abruzzese, uno dei tre è La più bella estate. Storie di una stagione in cui tutto è possibile (Einaudi 2022) di Federico Pace che già mi piaceva per i suoi libri precedenti e con questo si conferma come un cantastorie di pregio. Lui ha questa capacità di infilarsi nelle pieghe della Storia, delle vite di personaggi eminenti e di tirare fuori sempre qualcosa di importante, di unico, un’epifania che illumina quella vita e quella persona e ce la presente nella sua umanità e ricchezza e paura e gioia.

Questo è l’incipit del libro che mi ha tenuto compagnia in spiaggia almeno per oggi:

 

La persistenza del desiderio

Dalla finestra si vedono le chiome degli alti pini, poi alcuni scogli e infine il mare. Sono i primi giorni d’estate. Dagli inneschi luminosi fino al dissolversi autunnale, il tempo della sua evoluzione si ripete ogni anno. Nel suo svolgersi pare accadere ogni cosa. Le stelle cadenti, il volo fragile delle farfalle, l’apparire ad altezze mesosferiche delle nubi nottilucenti, l’ostinata fioritura delle gemme. Seppure conosciamo le spiegazioni scientifiche dei fenomeni a cui assistiamo, quando ne facciamo l’esperienza diretta, quelle indicazioni non sembrano esaurirne il significato, piuttosto ne aumentano il mistero. Sempre rimane qualcosa di inaccessibile. Nonostante il rumore assordante e la sua veste consumata di rito collettivo, l’estate è sempre qualcosa di vivo e personale. Di intimo e struggente. Al suo approssimarsi, si sente, prima in maniera incomprensibile, e poi più urgente e chiara, la spinta del ricordo e della promessa. Ciò che è stato e ciò che sarà. Si sente di nuovo il bisogno di mettere in moto qualcosa che ci riguarda davvero. Riaprire il discorso che a un certo punto, senza esserne consapevoli, avevamo lasciato interrotto. Un tuffo in acqua, lo sfiorarsi delle labbra, le notti che si dissolvono nel giorno senza alcuna cesura. Ciò che accade d’estate è caratterizzato da una singolare unicità e il ricordo ci insegue con un’insistenza abbacinante.

 

Con questa Cronaca 827 avida di storie, prendo commiato da questo lunedì 13 giugno del terzo anno senza Carnevale e del primo anno di guerra.

venerdì 10 giugno 2022

Cronache dagli anni senza Carnevale/824. Appunti per un romanzo. La nostra vita consiste in come scegliamo di distorcerla

 



 

“Mi piace! Un personaggio che è troppo nevrotico per funzionare nella vita ma che funziona solo nell’arte. Appunti per un romanzo. Inizio possibile. Rifkin conduceva una frammentaria, disarticolata, esistenza. Era arrivato da tempo a questa conclusione: tutti conosciamo la stessa verità. La nostra vita consiste in come scegliamo di distorcerla. Soltanto la sua prosa era serena, quella prosa che in più di un’occasione gli aveva salvato la vita”.

 


Sto rivedendo a caso i film di Woody Allen, uno dei mie registi preferiti. È amaro, filosofico, ironico, antipatico, divertente e commovente. Per ora ho rivisto Match Point e Harry a pezzi, la citazione di apertura è la sua scena finale. Allen conosce molto bene le nevrosi dell’artista e la letteratura e gli scrittori sono parte fondamentale del suo bagaglio. Forse anche per questo mi piacciono così tanto i suoi film. I mie preferiti Hannah e le sue sorelle, Manhattan e Un’altra donna, me li terrò per ultimi come faccio sempre. In queste giornate luminose e ormai estive, sto continuando a leggere i diari di Virginia Woolf, Federico Pace, Borges e Laura Boella, di cui poi scriverò. Stasera sono poi andata a mangiare una pizza con Alex, Monica, Franco e Manuela, una coppia di vecchi amici con cui per anni abbiamo trascorsi dei bellissimi giorni di Ferragosto. Mancava un quarto d’ora alle 22 e la luce era ancora alta, le rondini sfrecciavano nel cielo e sentivo l’estate scorrermi nelle vene. Così chiudo questa Cronaca 824 di venerdì 10 giugno del terzo anno senza Carnevale e del primo anno di guerra con le citazioni che Pace ha messo in esergo al suo libro La più bella estate:

 

Shall I compare thee to a summer’s day?

William Shakespeare

 

I say Live, Live because of the sun,

the dream, the excitable gift.

Anne Sexton

 

Deserto: tufo e dirupo

odore di terra bagnata dopo un’estate di sete.

Viene una voglia:

essere ciò che sarei stato se avessi saputo ciò che è dato di sapere.

Essere prima di ogni cognizione. Come i colli. Come un sasso di luna.

Inerte e sicuro

di decantazione illimitata.

Amos Oz

 

 

 

William Shakespeare, I sonetti, a cura di Lucia Folena, Einaudi, Torino 2021; Anne Sexton, Complete Poems, Ecco Press, New York 1999; Amos Oz, Lo stesso mare, Feltrinelli, Milano 2000.

mercoledì 5 gennaio 2022

Cronache dagli anni senza Carnevale/668. Creare un’estate intorno a noi e credere nell’estate invincibile che è già in noi



Il clima e l’atmosfera a Milano sono molto simili in questa prima settimana dell’anno, cielo grigio e basso, umori malinconici. I brandelli di conversazioni che afferro durante la passeggiata pomeridiana si somigliano tutti, così come ogni ora assomiglia a quella che l’ha preceduta e a quella che la seguirà. Tutti parlano di pranzi e cene di Natale focolai di contagio, di cene di Capodanno rinviate, di timore per i nonni e i genitori, anziani e di mezza età, come si fa a resistere a quest’onda di ansia e tristezza che incombe sulla città intera? Per quanto mi riguarda conosco un solo rimedio che è sempre la poesia letta a caso. Così quando torno a casa la prima cosa che faccio è scegliere un libro, oggi a chiamarmi è stato Il diario fiorentino di Rainer Maria Rilke che ho aperto su una pagina sottolineata e letta già tante volte in passato:

“Siamo invecchiati non solo di anni, ma anche riguardo alle mete da raggiungere. Siamo arrivati ai confini del tempo, migliaia ne hanno scosso le barriere. È arrivato il momento di moderarci. Abbiamo scoperto la menzogna della pallida sterminatezza della primavera, e le nostre mani ferite testimoniano delle invalicabilità degli ultimi muri. Ma neppure dobbiamo mandare oltre quella cinta i nostri poveri sogni come colombe della pace; essi non ritorneranno. Dobbiamo essere uomini. Abbiamo bisogno di eternità, perché solo questa dà spazio ai nostri gesti; pure sapendoci in un’angusta tristezza. Entro tali limiti dobbiamo crearci un infinito, visto che alla sterminatezza non crediamo più. Non dobbiamo pensare all’ampio, fiorente paese, ma rammentarci del giardino cintato, che pure ha il suo infinito: l’estate. Aiutateci in quest’opera. Creare un’estate, questo dobbiamo”.

Il cuore incerto si riprende, ricomincia a battere con regolarità. Così decido di rileggere questo diario che il poeta scrisse per l’amata, e imprendibile, Lou Andreas-Salomé, colei che gli fece cambiare il nome da Renée in Rainer e gli consigliò di non andare in analisi. Lei fu una femme fatale dell’epoca, musa e allieva di Nietzsche che voleva sposarla, diventò grande amica e allieva di Sigmund Freud, una donna irresistibile per gli uomini di pensiero dell’epoca che resistette al filosofo ma non al poeta con cui scoprì le gioie dell’amore carnale. Ecco, potrei rileggere anche il loro epistolario dopo questo diario e lasciarmi trasportare dalla corrente del tempo sino a loro, nutrirmi delle loro parole e poi tornare nel mio tempo e nella mia epoca, prepararmi a creare l’estate intorno a me ricordando quel che Albert Camus scrisse a proposito:

Nel cuore dell'inverno ho finalmente imparato che c'era in me un'estate invincibile”.

Nell’inverno del nostro scontento è questo motto che dobbiamo ripeterci come un mantra. Dobbiamo credere alla nostra invincibile estate che ci illumina e ci scalda dentro e può aiutarci a superare anche questa nuova, difficile fase della vita.

Mi piace avere messo insieme in questa Cronaca 668 Camus e Rilke, due degli autori che più amo e che mi accompagnano fedeli nel mio cammino.

Oggi è mercoledì 5 gennaio del terzo anno senza Carnevale (a proposito avete letto che il Brasile ha annullato i festeggiamenti del Carnevale proprio ieri?), viviamo e speriamo, vedremo ciò che accadrà.

martedì 21 settembre 2021

Cronache dagli anni senza Carnevale/562. La fine dell’estate e la luce, tutta la luce intorno

 


 

Oggi una giornata di lavoro intenso, di letture e di parole da ascoltare e silenzi da decifrare. Una giornata dove Milano stava in Iran e poi a Parigi e dove Roma era stesa a prendere il sole sulla spiaggia di Praia a mare. Quante storie vere da ascoltare, quante storie inventate più vere del vero e quanto silenzio tra gli alberi e le foglie in quest’ultima giornata d’estate.

 

 

Una lingua senza alfabeto

 

Guardo il silenzio, un modo

diverso per imparare l’attesa

e la quiete. Prende la forma del

vento il silenzio, a volte il volo

dell’airone sulla superficie del

lago lo fa rifulgere prima della

caduta. Guardo il silenzio per

meglio comprendere le parole e

ogni volto ne dispone un frammento

sulla superficie del tempo dove

possiamo imparare a leggere questa

lingua priva di sillabe e vocaboli, priva

anche dell’alfabeto, non ne ha

bisogno perché è tutto il mondo

che scrive la nostra storia, tempo

nel tempo, silenzio nel silenzio.

 

 

Oggi abbiamo salutato l’estate celebrando le ultime ore all’aria aperta, portoni spalancati su cortili antichi, mobili dimenticati, una stufa di ghisa e un romanzo bellissimo da finire che mi sta aspettando e che spero tra qualche tempo potrete leggere anche voi. Vero Elisabetta?

L’estate del secondo anno senza Carnevale è finita oggi martedì 21 settembre con questa Cronaca 562 e luce, tutta la luce intorno che stava prendendo commiato.

sabato 18 settembre 2021

Cronache dagli anni senza Carnevale/559. Se anche le pietre conoscono la forza dell’amore

 

 


 

La notte arriva all’improvviso mentre non stiamo guardando la finestra. Il cielo di oggi era grigio-azzurro, l’aria ancora calda. Un inganno, un’illusione d’estate, un prolungamento della stagione bella, uno scarto improvviso e ci ritroviamo immersi nell’aria d’autunno, l’aria della transizione, quella che conserva ancora nitide le immagini del mare e della spiaggia, dell’isola e del giardino.

 

La marea ha trascinato i nostri sguardi a riva

 

Quando cammino non cerco

di ritrovare le tue impronte e

tanto meno quelle che ho lasciato

giorno dopo giorno perché

cercavo una corrispondenza tra

il mio cuore e il tuo. Poi la marea

ha trascinato lontano le acque e

le nostre impronte sono emerse

scolpite nella roccia e non erano

i nostri passi che ho ritrovato,

era il tuo profilo accanto al mio.

Se anche le pietre conoscono

la forza dell’amore, lo capirò

più tardi, quando vedrò le stelle

e i tuoi occhi brillare perché

saremo vicini nell’oscurità.

 

 

È sempre strano ricominciare a camminare nel buio, cedere alla notte i privilegi del giorno, arrendersi ai capricci delle luci piccole, del vento che non soffia ma sta fermo a guardare cosa faremo, se le nostre mani si staranno cercando, se il buio accetterà di dormire quando avremo spento la luce.

Ma amo l’autunno e lascio andare l’estate, tornerà l’estate con o senza di noi.

Benvenuta stagione che rosseggia tra il fuoco e le trame delle storie che ancora non ho scritto.

Ora posso finire il raccolto, fare ordine tra gli spunti e le piume, scegliere quale segreto custodire e quale mistero andare a svelare. Dobbiamo arrenderci alla facoltà di scelta, se non raccontiamo quello sguardo che abbiamo incontrato, come potrai tu averne nostalgia?

 

Oggi è sabato 18 settembre del secondo anno senza Carnevale, quando arriverà la fine di questa parola, anche la Cronaca 559 starà dormendo, in attesa dei sogni non ancora sognati.

venerdì 17 settembre 2021

Cronache dagli anni senza Carnevale/558. Ci sono cuori segreti nel cuore di una città

 


Nessuna città possiede solo un cuore e un solo respiro, ogni quartiere, ogni borgo racchiudono nelle pietre, nei muri, nei soffitti, ombre del tempo che è stato, respiri e storie. Ogni casa è una storia, almeno una. Anche noi non siamo, alla fine che una storia, una storia che forse verrà raccontata, lascerà una traccia, un’immagine in una fotografia scattata quasi per caso. Dopo il tremendo nubifragio di ieri sera, la morbida luce di settembre ha preso il sopravvento e ha arrotondato tutto il panorama intorno. Case basse, due piani al massimo, un paio di palazzetti che risalgono ad epoca medioevale, vecchie trattorie che sembra di tornare negli anni Cinquanta e in due si spende meno della metà di quanto non costerebbe il medesimo pranzo in uno dei ristoranti alla moda nei quartieri più centrali. Poi alberi antichi, persone anziane che giocano a carte, bambini che si rincorrono in bicicletta, la vecchia biblioteca aperta sui giardini. Ora ci sono tavoli e sedute di granito in questo giardino, per arrivarci si passa davanti a un enorme fico carico di frutti maturi che una miriade di uccellini si contende. Oggi pomeriggio a uno di quei tavoli si sono sedute due scrittrici che stanno leggendo reciprocamente il loro nuovo romanzo. Poi è scattata una magia e quella più matura ha iniziato a leggere ad alta voce il romanzo della scrittrice giovane. E che meraviglia sentire una storia che inizia a Roma e poi si espande, cresce e arriva sino a Persepoli. L’antica città risorge nel deserto e nel racconto, le fontane, i giardini, i mosaici, i leoni alati, le mani prudenti degli archeologi che recuperano un frammento dopo l’altro di quel che è rimasto di un passato remoto di cui possiamo leggere solo nei libri. Se l’archeologo scava nella terra, lo scrittore scava nel tempo, nella memoria e nell’immaginazione. Mescola ricordi propri e di altri, inventa, mescola frammenti di letture antiche, un’immagine che ha visto su una rivista, mescola e una storia nuova prende forma. Ha solo parole lo scrittore per dare vita alle creature che vivono nella carta e che passeranno la maggior parte della loro vita chiusi nelle pagine di un libro, e respireranno solo quando un lettore aprirà quel libro e darà loro vita e respiro. I libri non vivono solo nella memoria di chi li ha scritti, vivono anche nella memoria di chi li legge e li rilegge, poi li custodisce nella sua biblioteca, li dona a qualcuno che ama. Ne compra una copia nuova per farne dono un giorno che forse arriverà. E forse arriverà il giorno in cui una scrittrice, ricorderà quel pomeriggio lontano, la voce dell’amica che legge il suo romanzo, le annotazioni rapide a penna e poi quella luce dolce di settembre tutto intorno. I bambini torneranno a correre e a giocare. Arriverà un labrador marrone e due donne anziane si fermeranno a chiacchierare proprio vicino a loro. Il tempo si sarà piegato, si infilerà in quella pagina appena scritta, e l’istante diventerà un frammento di eternità.

 

La Cronaca 558 di venerdì 17 settembre del secondo anno senza Carnevale ama molto passeggiare per le antiche vie di Baggio, dove Milano sembra un’altra città.

lunedì 13 settembre 2021

Cronache dagli anni senza Carnevale/554. Quando la luce si ferma, prende una forma nota per non farci paura

 


 


 

Viviamo senza pensare cosa diventerà ricordo e cosa oblio. Non sono la luce e le ombre a decretare chi avrà il sopravvento, sono misteriose le vie del ricordo. Hanno bisogno di un oggetto, di un desiderio, di un’immagine i ricordi, così si formano e restano. Ma quanto è reale la staticità del ricordo? Quanto lo è la strada dell’oblio? Siamo tessitori ciechi che avanzano nel vasto mare dove tutto è dimenticato. Un mare che è silenzio, un ricordo che è parola. Ritorniamo solo dove siamo già stati e l’oblio è dove tutto è accaduto, ricordo dove crediamo che qualcosa sia accaduto.

  

I limoni, prigionieri della luce

 

Non so quale immagine di

questa mattina diventerà

un ricordo che non ho scelto.

Così decido di aiutare questa

mia memoria e scelgo i cinque

limoni stesi sul mobile ad

asciugare. La luce li colpiva

in pieno e sapevo che splendevano

di senso, o almeno così mi

sembrava mentre la donna stava

decidendo se congelarli o

conservarli sotto sale. Questa

è una buona metafora per ogni

memoria ho pensato, so

che mi ricorderò di quei limoni

anche se dovessi dimenticare

questa donna e il sole.

 

 

Oggi ho ascoltato molte persone che mi hanno raccontato storie di vita incredibili e normali allo stesso tempo. Sono storie che hanno bisogno di essere custodite e allo stesso tempo di essere strappate all’oblio. Storie che devono essere taciute, ma non dimenticate.

 

Oggi è lunedì 13 settembre del secondo anno senza Carnevale e questa Cronaca 554 se ne sta acquattata sul tavolo, nella cesta dei limoni.

sabato 11 settembre 2021

Cronache dagli anni senza Carnevale/552. Le foglie già imbrunite si sono arrese al richiamo dell’autunno

 



Sono gli ultimi giorni in cui potrò passeggiare in riva al mare, l’acqua è ancora tiepida, ma l’aria sempre più fredda. E la luce è cambiata più ancora di acqua e aria. Tra poco più di dieci giorni sarà autunno, gli alberi lo sanno già. Nella città silenziosa le foglie sono imbrunite da un giorno con l’altro, non si sentono più le cicale di giorno e i grilli di notte. Tutto tace nel cielo, tutto si prepara alla lenta ritirata verso la prima stagione di mezzo, quando bisogna prepararsi al freddo inverno, quando il mare e i bagni saranno un piacevole ricordo, così come le passeggiate all’aria aperta, come le giornate lunghe, il venticello che rinfresca, le angurie, i sogni nell’amaca. Oggi, almeno per la nostra parte di mondo, è un giorno di commemorazione per ciò che accadde negli Stati Uniti vent’anni fa. Come tutti ricordo cosa stavo facendo quel pomeriggio, ricordo lo sgomento, la rabbia, la paura. Oggi lo sgomento e la paura sono legati alla pandemia che non dà il minimo cenno di smettere, è ormai più di un anno e mezzo che ci viviamo immersi, ora abbiamo i vaccini, siamo più protetti e meno persone muoiono. Ma l’idea che questo virus non scomparirà per ancora lungo tempo è un pensiero, per non dire una certezza, che mi accompagna giorno dopo giorno. Per questo continuo a scrivere queste Cronache, anche in giorni come questo dove il silenzio mi sembra più appropriato. Ma poi penso anche che questo esercizio quotidiano, è diventato per me un appuntamento che non voglio e non posso mancare.

 

 

Il pensiero della terra non riguarda solo le radici

 

Come cade la luce in

questo giorno, cade

silenziosa come fosse

neve, le foglie hanno

già accettato l’autunno

che viene e hanno

indossato gli abiti

dorati, e danzeranno

in un vortice l’ultimo

ballo con il vento, quel

giro felice che avrà

un esito noto solo agli

alberi, per le foglie sarà

un esordio e allo stesso tempo

l’ultima volta che vedranno

il cielo così vicino e

penseranno che il pensiero

della terra riguarda solo

le radici, ignare come

sono del silenzio che le

aspetta, prima di tornare

nella prossima stagione chiara.

 

 

 

Non è difficile sentirsi come le foglie in un giorno come questo, dove il sole ci strappa ancora sospiri languidi e dove alziamo la testa e chiudiamo gli occhi in compagnia dei gatti.

 

Oggi è sabato 11 settembre del secondo anno senza Carnevale e questa Cronaca 552 splende con il bagliore delle foglie che stanno per staccarsi dal loro ramo.

venerdì 10 settembre 2021

Cronache dagli anni senza Carnevale/551. Ho sempre creduto solo nei colpi di fulmine, amore o amicizia è la stessa cosa

 



“Ci sono incontri che segnano una svolta nel corso della nostra vita. Quasi sempre si tratta di un nuovo amore o di un nuovo amico. Io ho sempre creduto ai colpi di fulmine, sia in amicizia che in amore, per me è sempre stato l’unico modo di iniziare una relazione. Per questo mi stupisco ancora oggi di come iniziò la mia amicizia con Octavio, uno dei più grandi poeti e scrittori che la nostra lingua abbia mai avuto. Lui era parecchio più grande di me, era noto per essere un uomo affabile ma riservato, che era stato sposato tre volte e altrettante volte aveva divorziato. Gli si attribuivano amori con le attrici più belle del paese, era un grande appassionato di cinema, in un’epoca in cui le donne si dipingevano le labbra di rosso e portavano corsetti che facevano esplodere i loro seni in invitanti decolleté. Usavano gonne lunghe al polpaccio, a forma di tulipano o di rosa, gonne dritte e strette con un piccolo spacco laterale o posteriore, giacchine con le maniche a tre quarti, lunghi guanti di pelle di capretto, cappelli dalle più svariate fogge, borsette tenute al braccio. Fu l’ultima epoca di vera eleganza nel mondo occidentale, e non lo dico perché quella fu anche l’epoca della mia giovinezza. Don Ottavio era nato all’inizio del secolo e aveva fatto in tempo a sognare le belle gambe delle donne ancora nascoste da abiti lunghi sino alle caviglie. Ma gli anni Quaranta e Cinquanta, quelli dell’esplosione della sua notorietà a livello planetario, furono anche gli anni in cui la vecchia Europa si suicidò e la giovane America andò in suo soccorso. Per le terre meridionali del continente le cose furono molto più complicate, l’ambiguità che apparteneva forse al carattere di molteplici nazioni, fece sì che dopo la guerra centinaia e centinaia di gerarchi nazisti trovassero rifugio sicuro in America latina. Octavio, che negli anni Quaranta viveva a Los Angeles dove lavorava come sceneggiatore, pur non essendo più un giovanotto, diede il suo contributo nella lotta contro il nazismo. Grazie alla sua rete di conoscenze e amicizie sparse in tutto il globo, riusciva sempre a venire a sapere storie in cui la sua mente fervida e romanzesca trovava nessi che nessun altro sarebbe stato in grado di notare. Molte delle informazioni che consegnava al governo americano, fecero di lui un eroe di guerra che ricevette le giuste onorificenze a guerra finita. Grande viaggiatore, conosceva forse meglio l’Europa del suo stesso continente. Parlava correntemente inglese, francese, tedesco e portoghese, oltre allo spagnolo, e questo avrebbe fatto di lui sia un ottimo diplomatico che una grande spia. Preferì diventare una spia e continuò a farlo anche durante la caccia alle streghe del maccartismo. Ma in senso contrario, perché passava informazioni a scrittori, registi, attori e sceneggiatori quando veniva a sapere che stavano per essere indagati o arrestati. Il governo si fidava di lui e a nessuno venne in mente che un uomo della sua levatura, potesse diventare amico degli intellettuali comunisti tanto temuti. Il suo comportamento non venne scoperto se non negli anni Ottanta, quando ormai anziano decise di scrivere la propria autobiografia in forma di romanzo. Forse fu proprio quell’ultima opera a far scattare negli svedesi la decisione di attribuirgli il Nobel per la letteratura. Di certo lui si divertiva moltissimo a stupire e scandalizzare i suoi contemporanei con rivelazioni sulla sua vita che lo resero famoso tra il grande pubblico, quasi più dei suoi stessi romanzi. Lui amava la giovane America, le perdonò anche gli anni bui del maccartismo perché – mi disse una volta – gli americani avevano bisogno di avere un nemico comune da combattere per poter funzionare come nazione, avendo una storia e tradizioni troppo recenti per potersi affidare a un mito condiviso. E il sacrificio di centinaia di migliaia di giovanissimi soldati poco più che ventenni era qualcosa che lui non avrebbe mai dimenticato fino alle fine dei suoi giorni. Fu così che la prima volta che ci incontrammo e io lo riconobbi subito, non riuscii a proferire una parola. Ma fu lui a invitarmi al tavolo vista mare dove stava sorseggiando un cognac e fumando un Avana dal raro aroma”.

 

Come immaginavo, Lucente e Adelina, che veneravano don Octavio come scrittore e come uomo - ho dimenticato di dirvi che era anche un uomo di bellezza virile, un Cary Grant sudamericano, ma ancora più intenso e magnifico, alto all’incirca un metro e ottantacinque, con mani forti ed eleganti, un sorriso che incantava e la voce più profonda e carezzevole che mai avreste potuto sentire – le mie due amiche, dunque volevano sapere tutto della nostra amicizia il cui racconto non avevo ancora avuto il coraggio di mettere per iscritto. Forse raccontarlo prima a loro, ora che don Octavio era morto da tempo, mi avrebbe aiutato.

La cena era stata ottima e mi venne voglia di fumare un Avana e di bere cognac francese. Ma mi accontentati di quel che mi portò il padrone del ristorante. Dalla terrazza dove avevamo cenato, c’era una vista magnifica sulla vallata, e le luci delle case iniziavano a costellare le colline. L’aria era tiepida, la compagnia di prim’ordine, potevo ricominciare il mio racconto.

 

Questa Cronaca 551 di venerdì 10 settembre del secondo anno senza Carnevale è sempre sulle tracce del mio Mutis apocrifo e del suo amico Octavio, forse il poeta Paz? Chi lo sa, ancora Alvaro non me lo ha detto.

giovedì 9 settembre 2021

Cronache dagli anni senza Carnevale/550. Si viaggia per viaggiare, non per arrivare

 



“Il viaggio era finito, o forse era appena iniziato. Ero arrivato nella città d’acqua, ma cogliendola alle spalle, ero sceso in autobus giù dalla cordigliera, dove ogni strada era poco più di una mulattiera, a ogni curva avevamo rischiato di scivolare in un burrone, solo l’autista non si era mai dato pena a continuava a masticare foglie rosse e a sputarle in una sputacchiera che doveva avere visto l’alba del nuovo secolo. Fui tra i primi a scendere, fu facile recuperare la mia vecchi valigia di cuoio, mentre lo zaino e il tascapane, colmo dei miei taccuini, lo avevo tenuto sempre a tracolla. Insieme ai miei scritti c’erano il passaporto, qualche spicciolo, una scorta di matite Palomino e un temperamatite, un mazzo di chiavi che aprivano le porte di tutte le case dove avevo vissuto e che mi piaceva ricordare. Quante ne avevo conservate? Mi ripromisi di contarle una volta arrivato in albergo e decisi che, finalmente avrei scritto la storia di ogni chiave. Ero ancora molto giovane quando arrivai a Estrella do Mar, ne avevo sentito parlare così a lungo che voleva vederla e fermarmi qualche tempo per vedere se riuscivo a scrivere il romanzo che avevo in testa. All’epoca credevo ancora che la buona riuscita di un romanzo dipendesse dai luoghi che visitavo e dai luoghi dove avrei scritto. Niente di più sbagliato, non erano i luoghi reali a essere importanti. Non erano neanche i luoghi ricordati, lo scarto davvero importante era quello dell’immaginazione. Quel luogo marinaro e non ancora del tutto balneare, poteva anche esistere solo nella mia testa e da nessun altra parte. Era quel che sarebbe uscito nella pagina ad avere valore, e nient’altro. La piazza degli autobus era proprio nel cuore della città, da lì ci si poteva spostare senza problemi seguendo una delle avenidas, niente di monumentale com’ero abituato a vedere nella mia città natale, che si diramavano come i raggi di una ruota di bicicletta ed erano intersecate dalle calle che dividevano il quartiere in rioni e borghi. Volevo stare il più possibile vicino al mare, così mi incamminai per Avenida de El cangrejo cansado. Faceva caldo, ma il vento marino rinfrescava subito il sudore, mi fermai a un chioschetto a prendere una limonata e a guardarmi intorno. Era già pieno di gente in vacanza che bighellonava come me, anche se io ero lì per uno scopo ben preciso e nobile: sarei diventato un grande scrittore un giorno, sarei stato onorato da tutto il mondo, mi avrebbero invitato anche in Europa e un giorno, prima che i miei capelli fossero diventati completamente bianchi, mi avrebbero conferito il premio Nobel per la Letteratura. Al solo pensiero fremevo di orgoglio e mi stupisco oggi, che i capelli li ho bianchi e il Nobel hanno preferito assegnarlo a guitti e strimpellatori, mi fanno sorridere le ingenue ambizioni del ragazzo che sono stato. Ancora non avevo imparato che non è la mèta a dare valore al cammino, ma è vero l’esatto contrario. È la strada che conta e non l’arrivo, Kavafis lo aveva già scritto meglio di quanto io non lo avessi pensato, ma nella mia ignoranza poetica non avrei letto quella poesia che molti anni più avanti. Pur immaginandomi come uno scrittore avventuroso, aveva chiamato l’albergo per prenotare una stanza con vista mare per un intero mese. Avevo trovato il depliant della Posada de El cangrejo descansado, in una bettola portoghese che era intitolata a Miranda do Douro, un paesello che avrei poi visitato quando mi tradussero in portoghese. Mi era sembrato un segno del destino e così ero tornato nella pensioncina che era diventata il sacrario della mia scrittura. Dissi a donna Alexandra che mi sarei assentato per un mese, le pagai due mesi di pigione anticipata e andai a fare qualche compera prima di partire. Non era da me avere tutti quei soldi in tasca, ma la fortuna mi aveva sorriso quando avevo comprato un biglietto del lotto e avevo vinto una cifra tale da permettermi almeno un anno di vita morigerata senza dovermi preoccupare di arrabattarmi a scrivere qualunque testo per mangiare e pagarmi l’alloggio. Quel che non potevo neanche immaginare, quando presi possesso della camera con vista mare, e che pagai in anticipo per essere sicuro che i proprietari mi avrebbero trattato con rispetto e le cameriere con solerzia, era come la mia carriera di scrittore avrebbe avuto una svolta. Dopo avere sistemato i bagagli chiesi consiglio su un buon posto per cenare e loro furono ben lieti di prenotarmi un ottimo tavolo alla taberna de El cangrejo saciada. E di granchi cucinati in svariati modi mi saziai quella sera, in insalata di mare, poi cotti in una terracotta col riso e il pomodoro. Ma volli finire con un’aragosta grigliata perché ne avevo viste di belle grosse nella vasca all’ingresso del locale. Fu proprio lì che posso affermare sia iniziata la mia vera vita da scrittore”.

Alvaro, cioè io, interruppe il racconto proprio sul bello e Lucente e Adelina non riuscirono a convincerlo in nessun modo a continuare. Avevo fame e lo proclamai a gran voce, di sicuro con la pancia piena avrei raccontato meglio. Così le mie due anziane amiche si rassegnarono a portarmi alla locanda perché potessi sfamarmi. Poi ricominciai il racconto, ma non è questo il momento di scrivere per voi cosa mi accadde.

Anche in questa Cronaca 550 di giovedì 9 settembre del secondo anno senza Carnevale, siamo rimasti in compagnia del mio Mutis apocrifo. Per inciso: oggi è un anno e mezzo preciso che scrivo le Cronache, dovrò forse festeggiare?

martedì 7 settembre 2021

Cronache dagli anni senza Carnevale/548. La punta delle dita è in fiamme, allora scrivi e non fermarti sino a che l’alba non spegnerà questo fuoco

 



“Una cosa che mi piace di te, Alvaro, è che sei affidabile come un cucù svizzero. Sapevo che saresti arrivato da me oggi proprio a quest’ora e sei arrivato. Che grande soddisfazione non sbagliarmi mai. Certo che per essere uno scrittore riservi poche sorprese. Magari va meglio nei libri, ma nella vita sei proprio prevedibile”.

Erano trent’anni che conoscevo Lucente e da trent’anni lei mi faceva sempre la battuta sul mio essere un cucù svizzero. A volte con qualche piccola variante e così anziché un cucù ero una banca, sempre svizzera, l’apoteosi dell’ordine e della noia. Ma anche a ma piaceva che i nostri incontri cominciassero sempre allo stesso modo. E di anno in anno cercavo di memorizzare un paio di buone storie e se non mi era successo niente di speciale, cosa molto frequente nella vita degli scrittori, ecco che avevo una buona scusa per inventarmi una storia, pensata apposto per Lucente e Adelina che erano due ragazze dell’anteguerra e credevano ancora nell’amore e nel romanticismo.

“Vi ho mai raccontato della prima volta che Ilona mi ha notato? È successo molto prima che nel libro che poi ho scritto. Ero in una milonga di Buenos Aires con Abdul Bashur e lei era seduta dall’altro lato della pista con una sua amica altrettanto bella. Era impossibile non notarle, due bionde naturali in mezzo a tutte belle donne dai capelli color notte e dagli occhi di pece. Lei e Ilana, non ridete era il vero nome della sua amica, continuavano a fissarci aspettando che andassimo a invitarle. Ma nessuno si muoveva e allora sono state le ragazze a venire a prenderci. Se non le avessimo seguite gli altri milengueros ci avrebbero ricoperti di insulti, così nonostante fossimo entrambi arrugginiti, siamo scesi in pista. E la magia della milonga si è rinnovata una volta di più. Siamo partiti con il Libertango di Piazzolla e non abbiamo smesso per quasi due ore. Ilana e Bashur sono andati via prima di noi e Ilona aveva ancora voglia di ballare, così ha accettato l’invito di un tipo corpulento con dei baffi sottili che gli tagliavano in due la faccia. Quando la sua mano è scesa troppo sotto la vita, lei gli ha pestato un piede con un tacco a stiletto che avrebbe ammazzato un toro. Lui non ha proferito parola, ha iniziato a sudare e senza emettere un solo suono, se ne è tornato al suo tavolo. Ilona è andata a prendere il suo scialle nero ricamato di tralci di rose rosse che sembravano vere e mi ha fatto cenno di seguirla. Ma io ho esitato un attimo di troppo e quando sono arrivato in strada lei era già andata via. Poi ci siamo ritrovati, ma questo già lo sapete”.

“E dove sarebbe la storia?” chiese Lucente.

“La storia non è capitata a me ma a Bashur. Quando ha preso una stanza in un alberghetto con Ilana, quasi subito hanno bussato alla porta. Lui temeva che fosse un altro uomo che li aveva inseguiti. Invece erano due amiche di Ilana cui lei aveva telefonato. Bashur mi disse che quella notte aveva spalancato le porte del Paradiso, e che tutto gli angeli erano biondi dalla testa ai piedi”. Mi fermai a ripensare alla faccia del mio amico e ricordai che l’estasi esiste anche in questa vita e che lui ne era la prova.

“Quello che Bashur non mi confessò se non anni dopo, è che nel cuore della notte arrivò anche Ilona nella stanza d’albergo e sfrattò una delle ragazze per prendere il suo posto. Immaginai che non sarebbe stata una buona idea mettermi in competizione con lui e, infatti, non ci siamo mai invischiati in storie con le stesse donne, proprio per non rischiare confronti”.

Lucente e Adelina sorridevano, ognuna persa nei suoi ricordi, poi la veggente si alzò a prendere il bollitore che aveva fischiato e versò l’acqua nelle tre tazze. Mentre io aspettavo che il mio tè raffreddasse un po’, lei buttò via l’acqua quasi subito e iniziò a scrutare nel fondo della tazza come se ci fosse qualcosa da leggere. Mi fece cenno di avvicinarmi e quello che vidi rimase un episodio senza precedenti e senza seguito. Le foglioline del tè si muovevano in vortici sul fondo della tazza e sulle pareti e ogni tanto formavano figure che lei descriveva con poche parole. “Il falcone, la donna di fuoco. Il fiume verde, l’uomo di paglia. Gli alberi non camminano coi piedi ma con le radici. Le nuvole cantano ma noi non riconosciamo la loro lingua e pensiamo che sia il vento. Ilona arriva con la pioggia. Maqroll sta tornando. Tu li aspetterai entrambi alle foci del Rio Blanco”.

“Cosa aspetti Mutis a scrivere un altro romanzo per noi? Queste sono le storie che ti stanno cercando”.

Continuai a sorseggiare il mio tè mentre Lucente era andata a guardare fuori dalla finestra sul retro. Anche lei dava sulla vallata e le piantagioni. C’era un vento molto forte, un falcone che volava basso e un incendio sul crinale del fiume che si era fermato perché non c’era altra erba secca da divorare. Erano immagini di cui avevo già scritto e ora Lucente mi dava indicazioni perché io le scrivessi ancora. Sentivo la punta delle dita in fiamme, dovevo tornare alla locanda a scrivere. Adelina si alzò senza bisogno che glielo chiedessi e ce ne andammo, non prima di avere promesso a Lucente che saremmo tornati l’indomani.

 

Che volete se a settembre continuo a pensare di essere con Mutis a guardare una piantagione di caffè? Oggi è martedì 7 settembre del secondo anno senza Carnevale e la Cronaca 548 sta ancora ballando il tango.