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lunedì 4 luglio 2016

La pazienza e la fatica necessarie per scrivere un romanzo

Non ho mai pensato che nei romanzi la lingua dovesse essere il risciò di sua maestà la narrazione, ma in passato mi è capitato di credere il contrario. Con sempre maggior frequenza i giornalisti culturali esaltano i romanzi in cui la "neutralità" (oserei dire l'imparzialità) della lingua rende la narrazione agevole e non pesante, scorrevole e non ostica, neanche la letteratura fosse una branca dell'economia dove ottimizzare il noto risultasse più importante di perdersi nell'ignoto allo scopo di risalire dal pozzo stringendo in bocca uno strano oggetto (perfino brutto o mostruoso) che l'umanità vede per la prima volta.
Io, al contrario degli ottimizzatori, credo che la letteratura abbia semmai più a che fare con la fisica teorica e con la stregoneria, con le Scritture (di cui molto spesso è la parodia, come sapeva bene Philip Dick) e con gli orologi guasti le cui lancette ferme segnano (per eccesso di spreco e di idiozia) almeno una volta al giorno l'ora di Dio.
Scoprire una verità nascosta (risalire dal pozzo con quell'oggetto) è tra le più belle ricompense che si possono ottenere grazie alla pazienza e alla fatica così spesso necessarie per scrivere un romanzo. Magari l'oggetto è inservibile. Magari è trascurabile e non rappresenterà mai una delle architravi su cui si reggerà la civiltà di domani, ma solo un fregio. E però quell'oggetto ha per me lo stesso un valore inestimabile. Ho parlato di "oggetti" ma forse sarebbe più calzante l'ipotesi di specie viventi, perché questo in un certo senso sono i romanzi. Specie viventi che ne contengono mille altre.

Nicola Lagioia
La lingua
Nuovi argomenti nr. 73
Mondadori gennaio marzo 2016

mercoledì 15 giugno 2016

L'attimo esatto in cui si diventa scrittori

Fu in quel periodo che Murakami assistette alla partita di baseball dove avrebbe incontrato il suo destino. Yakult Swallows contro Hiroshima Carp. Lui era un tifoso degli Swallows, e quando un battitore della squadra del cuore colpì con tanta forza la pallina che il crak della mazza risuonò tra gli spalti, Murakami ebbe l'illuminazione. «Mi sembrò che qualcosa arrivasse svolazzando giù dal cielo e io l'accogliessi delicatamente tra le mani. In quel momento, non so perché, pensai: credo che potrei scrivere un romanzo ».
Un'epifania bella e buona. Ma come si decide di diventare scrittori, ammesso che una decisione del genere possa essere presa?
Non credo che la letteratura segua i percorsi delle religioni rivelate, e sarei pronto a scommettere che qualcosa in Murakami avesse già deciso di voltare pagina e aspettasse l'occasione giusta per informare l'interessato.
Un episodio simile accadde al García Márquez degli esordi. Poco più che ventenne, Gabo non riusciva a trovare la sua cifra. Scriveva improbabili racconti kafkiani che a lui per primo suonavano fasulli. Poi successero due cose: García Márquez lesse William Faulkner e sua madre lo portò ad Aracataca, il paesino in cui Gabriel era nato e che sarebbe diventato la Macondo della trasfigurazione letteraria. La situazione si sbloccò: «fu come se quello che vedevo fosse già stato scritto, dovevo sedermi e copiare ciò che era lì. Solo una tecnica come quella di Faulkner mi avrebbe consentito di farlo: l'atmosfera, la decadenza, il calore del piccolo villaggio erano simili a ciò che avevo provato leggendo i suoi libri».
Ecco che vediamo in modo un po' più chiaro il funzionamento di certi processi creativi: scopri la voce di un maestro che ti aiuta a riconoscere la tua, ma a patto di trapiantare ogni cosa in un mondo che appartiene a te e non a lui.
Anche gli incontri con i maestri in carne e ossa possono servire. William Faulkner iniziò a scrivere guardando vivere Sherwood Anderson, all'epoca già autore affermato. I due erano compagni di bevute e Faulkner osservandolo pensò: «bel mestiere scrivere: la mattina lavori, il pomeriggio correggi un po' e la sera sei libero di ubriacarti con chi vuoi». Così Faulkner comunicò all'amico che anche lui avrebbe scritto un libro. Da quel momento Sherwood Anderson sparì dalla circolazione. Un mese dopo sua moglie bussò alla porta dei Faulkner: «mio marito non ne può più di starsene tappato in casa per paura di incontrarti. Vuole fare un patto con te: se non sarà costretto a leggere il tuo manoscritto, dirà al suo editore di pubblicarlo ». Questo aneddoto, che Faulkner condiva con infinite varianti, nasconde un motore ben più oscuro della creazione letteraria: la competizione, la necessità di un maestro da mangiare in salsa piccante. Non è forse un caso che dopo aver cominciato a pubblicare, Faulkner scrisse una raccolta di satire intitolata Sherwood Anderson and Other Famous Creoles che costò la rottura dell'amicizia.

Nicola Lagioia