Visualizzazione post con etichetta prima pagina. Mostra tutti i post
Visualizzazione post con etichetta prima pagina. Mostra tutti i post

venerdì 19 febbraio 2016

tutti i bambini divoratori di libri




Lettrice «allettata»

Da sempre, per me, libro e letto sono associati. 
È una cosa che risale all'età analfabeta in cui, non appena mi ero infilata nel mio lettuccio, mi leggevano storie «da far cascare dal sonno». Mi coricavo senza fare storie grazie alle storie.
Non mi piaceva che me le raccontassero, volevo che me le leggessero. Non perdevo di vista lo scorrere delle pagine e sapevo a quale spessore del volume avrei ritrovato i miei eroi quando la pazienza di chi mi leggeva fosse venuta meno. Infatti veniva meno quando, morta di sonno, dicevo: Ancora.
Una sola soluzione per affrancarmi dalla loro pigrizia: imparare a leggere. Ho imparato, con questo e con quello, e ciascuno aveva il suo metodo. Risultato, o meglio non risultato: non sono mai riuscita a uguagliare la loro grande arte di leggere ad alta voce, con la giusta intonazione, senza storpiare i nomi propri (ancor oggi smozzico, strazio i patronimici, i nomi di luogo. I romanzi russi sono un piacere-dolore: fotografo quell'accozzaglia di consonanti che rallentano la mia lettura e m'impappino al terzo Karamazov. Ciò non mi impedisce di fare vocalizzi con tutti i nomi esotici: Raskolnikov, Teotihuacán, Ziguinchor...).
Insomma, me la sbrogliavo come potevo, leggendo fino a ore impossibili. Sempre, però, una voce imperiosa mi ordinava di spegnere. Una sera, tradita dalla striscia di luce sotto la porta, come tutti i bambini divoratori di libri, passai allo stadio della pila tascabile soffocando sotto le lenzuola, con brevi risalite a quota periscopica per respirare. Quando gli adulti uscivano, riaffioravo e, alla luce della lampada da comodino, leggevo a sazietà. Il loro passo nel corridoio suonava il coprifuoco in un panico completo. 
Godetti di questa libertà fino alla notte in cui mia madre si bruciò sul cappello della lampada a pinza venendo a darmi un bacio nel mio finto sonno. Dopo questo flagrante delitto, dovetti, per alcuni anni, ridarmi alla clandestinità della pila.
Insomma, leggo bene soltanto a letto, o meglio sdraiata. In passato sulla pancia, adesso sulla schiena, solidamente inzeppata fra due cuscini. La lettura da seduta resta associata alla scuola, al lavoro, alla carcerazione del corpo. Una parte del piacere se ne va. Eccetto che in metropolitana. 
Devo sempre leggere prima di addormentarmi. Anche alle quattro del mattino ho bisogno della mia dose. Dato che il mio occhio sinistro si stanca prima del destro, leggo con un occhio solo, sino allo sfinimento. Incapace di fermarmi alla fine del capitolo, del paragrafo o della riga, mi blocco a mezza frase, stecchita.

Annie François
La lettrice
Biografia di una passione
traduzione di Francesco Bruno
Guanda 2000

venerdì 5 febbraio 2016

Don DeLillo: ecco come procedo quando scrivo

Qualunque caratteristica abbia il linguaggio che uso scrivendo, è semplicemente lì, si travasa da me alla pagina.
(...)
Io sento le voci, guardo le facce, e questo è sempre il punto di partenza, e aspetto di vedere cosa ne scaturirà.
(...)
Alla fine, un romanzo comincia a rivelarmi i suoi temi, ma può anche darsi che ci lavori per un anno e mezzo, prima di avere anche solo un'idea dell'argomento, di che cosa passerà sopra le teste dei personaggi, per così dire... Ecco come procedo quando scrivo.

frammenti dell'intervista di Sybil Steinberg a Don DeLillo

L'arte dello scrivere
dall'esordio al best seller
traduzione di Pietro Ferrari
Marco Tropea Editore 1996

lunedì 30 marzo 2015

spazio, silenzio e solitudine

Mi ero ripromesso che prima dei quarant'anni avrei vissuto da eremita nei boschi.
Sono andato a stare per sei mesi in una capanna siberiana, sulla sponda del lago Bajkal, all'estrema punta del capo dei cedri del Nord. Il primo villaggio è a centoventi chilometri di distanza, non ci sono vicini, nessuna strada di accesso. Di tanto in tanto una visita. D'inverno temperature di meno trenta gradi, d'estate gli orsi in riva al lago. Insomma, un paradiso.
Mi sono portato libri, sigari e vodka. Il resto - spazio, silenzio e solitudine - c'era già. In quel deserto ho inventato per me stesso una vita sobria e bella. Ho vissuto un'esistenza che ruotava intorno a gesti semplici. Ho assistito al trascorrere dei giorni guardando il lago e la foresta, ho tagliato legna, pescato per mangiare, ho letto molto, camminato in montagna e bevuto vodka di fronte alla finestra. La capanna era un posto di osservazione ideale per cogliere i fremiti della natura.
Ho conosciuto l'inverno e la primavera, la felicità e la disperazione e, in ultimo, la pace.
Nella taiga ho subito una metamorfosi. Nell'immobilità ho ritrovato qualcosa che il viaggiare non mi dava più. Il genio del luogo mi ha aiutato a addomesticare il tempo. Il mio eremitaggio è diventato il laboratorio di queste trasformazioni. Ogni giorno ho annotato i miei pensieri su un quaderno. Adesso quel diario è nelle vostre mani.
S.T.

Sylvain Tesson
Nelle foreste siberiane
traduzione di Roberta Ferrara
Sellerio 2012