giovedì 31 maggio 2012

Come si diventa scrittori?

Come si diventa scrittori? Prima di tutto, naturalmente, bisogna scrivere. 
Dopo di che bisogna continuare a scrivere. 
Anche quando non interessa a nessuno. 
Anche quando si ha l’impressione che non interesserà mai a nessuno. 
Anche quando i manoscritti si accumulano nei cassetti e li si dimentica, pur continuando a scriverne altri.


Agota Kristof
L'analfabeta
Casagrande 2005

mercoledì 30 maggio 2012

Due rose meditabonde


Tu non dormi. No. Io non dormo.
Stiamo parlando sotto le stelle.

Siamo qui, due rose meditabonde
nella pace della terra.


Juan Ramon Jimenez

martedì 29 maggio 2012

In una stessa terra




a Mauro Martini

Se ho scritto è per pensiero
perché ero in pensiero per la vita
per gli esseri felici
stretti nell'ombra della sera
per la sera che di colpo crollava sulle nuche.
Scrivevo per la pietà del buio
per ogni creatura che indietreggia
con la schiena premuta a una ringhiera
per l'attesa marina - senza grido - infinita.

Scrivi, dico a me stessa
e scrivo io per avanzare più sola nell'enigma
perché gli occhi mi allarmano
e mio è il silenzio dei passi, mia la luce deserta
- da brughiera -
sulla terra del viale.

Scrivi perché nulla è difeso e la parola bosco
trema più fragile del bosco, senza rami né uccelli
perché solo il coraggio può scavare
in alto la pazienza
fino a togliere peso
al peso nero del prato. 


Antonella Anedda
Notti di pace occidentale
Donzelli editore 2001 


lunedì 28 maggio 2012

Le poesie di Bonnefoy

Eravamo vicini, con
la stessa intensità della
luce di mattina.
Tu tenevi acceso il
fuoco, io leggevo
Bonnefoy a bassa voce
solo per te.

Non c'era altro mondo
fuori dalle sue parole.

Elena Petrassi
Il calvario della rosa
Morett&Vitali 2004

Questa poesia è una delle mie preferite tra le novanta del primo libro.
Quando nel novembre 2004 Yves Bonnefoy è venuto alla Triennale di Milano per la  lectio magistralis "La poésie et l'avenir", gli ho regalato il calvario e gli ho raccontato che c'era una poesia che si intitolava "Le poesie di Bonnefoy".
Lui si è seduto e l'ha letta davanti a me. 
Bonnefoy che leggeva "Le poesie di Bonnefoy" davanti a me è stato un momento di meta-poesia che mi ha riempita di gioia perché lui è uno dei più grandi poeti del Novecento e uno dei miei maestri.
Qualche anno dopo, il teologo e critico letterario francese Jean-Pierre Jossua l'ha tradotta e ha citato il libro in un lungo articolo, dedicato proprio a Bonnefoy, uscito nel volume 2/2010 del "Bulletin de théologie littéraire".
Ecco la sua versione.


Les poèmes de Bonnefoy

Nous étions proches
partageant l'intensité
de la lumière du matin.
Tu gardais le feu
allumé et moi je lisais
Bonnefoy à voix basse
pour toi seul.

Il n'y avait nul monde 
hors de ces mots

domenica 27 maggio 2012

Un lento crepuscolo di maggio

E molto lontano da questo scorrere di fantasmi permane un lento crepuscolo di maggio. La penombra di una stanza, lo splendore azzurrognolo di un mazzo di fiori in un vaso. Una donna si avvicina, immerge il viso nella freschezza delle corolle, si rialza sognante, gli occhi pieni di una tristezza che ancora non comprendo. Permane anche una notte d'amore in cui ogni gesto pare dotato di un senso nuovo, di una tenerezza appassionata. Una notte in cui ci sentiamo molto fragili, già condannati dal tempo. E sovranamente eterni in quella notte.


Andreï Makine

Il libro dei brevi amori eterni
Einaudi
traduzione di Camilla Testi

sabato 26 maggio 2012

Essere incapaci di andarsene

Un poeta è qualcuno che cerca di andarsene ma non ne è capace.

Tadeus Rózevicz

citato nel romanzo L'imperatore di Ocean Park di Stephen L. Carter

venerdì 25 maggio 2012

Lo scrittore si trasforma in una vasca di pietra

Kundera avrebbe voluto abbandonare silenziosamente la creazione trasformandosi "in una fontana, in una vasca di pietra, nella quale l'universo cade come una tiepida pioggia".


Pietro Citati su Milan Kundera
La Repubblica del 5 febbraio 2002

giovedì 24 maggio 2012

Talvolta nasce un mondo

Tra due persone accade che talvolta, assai raramente, nasca un mondo. Questo mondo è poi la loro patria, era comunque l'unica patria che noi eravamo disposti a riconoscere.


Hannah Arendt a Martin Heidegger

mercoledì 23 maggio 2012

Il segreto che ho con la mia tela

Il meglio e l'essenziale della mia esistenza è la relazione così dolce, segreta e intuitiva che ho con la tela.
Lo sforzo verso l'invisibile è la fatica richiesta al pittore.


Balthus

martedì 22 maggio 2012

Scrivere è una penombra mentale

E' un lavoro nella caverna scrivere, una penombra mentale. 
Non si sa cosa ne viene fuori.


Giorgio Manganelli

lunedì 21 maggio 2012

Ricetta per un capolavoro: la bilancia di Flaubert


La bellezza e la verità sono il segreto e il cuore della creazione. La verità è bella, e la bellezza è vera. Un capolavoro è fatto di bellezza e di verità, in ogni parola, ogni frase, ogni paragrafo, ogni capitolo. Ma cos’è la verità? La verità è che nulla può essere diverso da come è. La verità è che ogni parola scaturisce necessariamente dalla precedente, che non si può togliere né aggiungere niente senza perdere qualcosa. La bellezza è che una linea non può essere spostata di un millimetro né da una parte né dall’altra, in un disegno, senza che l’unità ne soffra. La verità è che quella stessa linea non può essere spostata perché il risultato sarebbe arbitrario. L’arte di cattiva qualità invece è piena di linee che potrebbero tranquillamente essere tracciate da qualche altra parte.
È disperatamente semplice e disperatamente difficile. L’obiettivo è creare un’opera che sia allo stesso tempo bella e vera in ogni suo dettaglio. Non si può forse dire che se qualcosa non può essere diverso da com’è, possiede il più alto grado di realtà?
Lo stile è tutto, ho detto e sostenuto in altre occasioni. In un certo senso è vero, ma non come lo si intende generalmente. Lo stile è forma e contenuto allo stesso tempo, entrambi altrettanto necessari. Il lettore deve esitare costantemente tra la tentazione di ascoltare la musica delle parole e quella di dimenticarla per capire il contenuto. Un libro il cui stile non si impone e non induce il lettore alla tentazione della musica, non è letteratura. E nemmeno un libro che sia solo stile, sempre che sia possibile.
Ogni parola è sia suono che contenuto. Nessuno dei due è più importante dell’altro, nessuno deve prendere il sopravvento. Scrivere un capolavoro è scegliere ogni parola sia per la forma che per il contenuto. Ogni parola scelta solo per l’uno o per l’altro è un’imperfezione. Non solo un difetto estetico, perché questo equivarrebbe ad ammettere che la bellezza possa vivere di vita propria. E’ possibile che la bellezza pura esista nel mondo della musica, o almeno così si dice. Ma non esistono parole, a parte il vero e proprio nonsense, che siano solo belle. O solo vere. Ogni parola è l’uno e l’altro.
È possibile scrivere un’opera in cui ogni parola sia scelta tanto per la sua bellezza quanto per la sua verità, tanto per la forma – ovvero il suono – quanto per il contenuto? Non lo so. Ho lavorato a Madame Bovary per cinque anni, soppesando ogni parola, ogni frase, ogni capitolo sui due miei piatti della bilancia. Ci sono stati giorni in cui non una sola parola ha superato l’esame. Non una!
Ho detto e sostenuto che non esistono più verità. Mi riferivo a quelle verità che sono solo contenuto: idee, opinioni, credenze e convinzioni. Non appena vengono espresse a parole esiste invece una verità, e cioè che niente può essere detto senza una forma. Nemmeno la matematica è pura forma, come si sostiene, perché perfino gli assiomi matematici devono essere espressi a parole. Non abbiamo altro su cui basarci.
La ricetta per un capolavoro è dunque questa: scegliere ogni parola in modo che sia bella e vera allo stesso tempo.
È così semplice, e così disperatamente difficile.
Perché la bilancia su cui vanno pesate le parole è sprovvista di scala.


Flaubert apocrifo, tratto da uno dei miei libri preferiti

Björn Larsson
Otto personaggi in cerca (con autore)
Iperborea 2009
traduzione di Katia De Marco

domenica 20 maggio 2012

Separazione


Una separazione, è come un racconto crudele.
Comincia da una notte
E non finisce più.
Da una notte di luglio
I cavalli facevano fuoco coi loro ferri
Dei bambini insonni gridavano
Il gallo si sgolava al vedere una tale alba
Negli incendi crepuscolari,
La strada correva dietro alla polvere,
E tu partivi. La separazione,
È come un racconto crudele:
Quando si va al di là del mare
Non finisce più.

La separazione è come il cigolìo notturno
Dei convogli. Spariscono per sempre
Nelle fosse profonde delle prigioni,
Nelle gelide carceri di Buchenwald,
Nell'inferno tifoideo di Ravensbruk.
Ricordo come ti strappavi
A questo dolce mondo,
Ricordo come sorridevi,
Come benedicevi quelli che avevi attorno,
Me, il cielo verdastro,
La città, i passanti...
La separazione, è come il fracasso
Delle ruote - sul cuore.

La separazione, è come un lungo lamento
Che si mormora per qualcuno:
È il compianto dell'assedio di Mosca,
Accerchiata come da un anello
Dal tiro dei cannoni
Sui monumenti, sui palazzi,
Sui cadaveri, sul ghiaccio
Mentre là,
Sulla riva del mare azzurro
Vivevano un vecchio e la sua vecchia...
(Spesso, con i suoi pizzi
Mia madre mi asciugava gli occhi)
La separazione è come un lungo lamento
Quando gli incontri non esistono.


Nina Berberova

sabato 19 maggio 2012

Il miele delle cinque

A quest’ora sembra tutto nuovo, tutto
sembra appassionato, immerso nel miele
delle cinque e la notte
non ha ancora acceso le sue torce,
e a New York è buio,
e sto seduto a Piazza Navona
adesso nella mia terra cala la sera
con ardenti
colori, mentre qui tutto è lento, tutto
indugia.
E cosí fu sempre e cosí sarà, e anche
questo
è già stato scritto e cancellato, come
scrisse Keats .





Natan Zach
Sento cadere qualcosa.
Poesie scelte 1960-2008

a cura di Ariel Rathaus
Giulio Einaudi Editore 2009


venerdì 18 maggio 2012

Istanti



Se io potessi vivere nuovamente la mia vita nella
prossima cercherei di commettere più errori. Non
tenterei di essere tanto perfetto, mi rilasserei di più,
sarei più stolto di quello che sono stato, in verità
prenderei poche cose sul serio.


Correrei più rischi, viaggerei di più, scalerei più
montagne, contemplerei più tramonti e attraverserei
più fiumi, andrei in posti dove mai sono stato,
avrei più problemi reali, e meno problemi immaginari.

Io sono stata una di quelle persone che vivono
sensatamente, producendo ogni minuto della vita.
E' chiaro che ho avuto momenti di allegria, ma se
tornassi a vivere, cercherei di avere soltanto momenti buoni.
Perchè di questo è fatta la vita,
solo di momenti da non perdere.

Io ero uno di quelle persone che mai andavano
da qualche parte senza un termometro, una borsa
d'acqua calda,un ombrello e un paracadute;
se tornassi a vivere, viaggerei più leggero.

Se io potessi tornare a vivere
comincerei ad andare scalzo all'inizio della primavera
e resterei scalzo fino alla fine dell'autunno.

Girerei più volte nella mia strada,
contemplerei più aurore e giocherei con più bambini.
Se avessi un'altra volta la vita davanti...

Ma vedete, ho ottantacinque anni e non ho un'altra possibilità. 

J.L. Borges 

giovedì 17 maggio 2012

L'impeto del tuo oceano

Ho aperto l’atlante (per me la geografia non è una scienza, ma un insieme di rapporti di cui mi affretto ad approfittare) ed ecco, tu sei già segnata nella mia mappa interiore: da qualche parte fra Mosca e Toledo, ho creato uno spazio per l’impeto del tuo oceano. 


Rainer Maria Rilke a Marina Cvetaeva




Rainer Maria Rilke - Marina Cvetaeva - Boris Pasternak
Il settimo sogno. Lettere 1926
Editori Riuniti 1980
edizione italiana a cura di Serena Vitale

Esercitare l'anonimato

 Giovedì, 22 dicembre 1927


... e dimenticare la propria aspra, assurda, piccola personalità, reputazione e via discorrendo, si dovrebbe leggere; vedere gente di altri ambienti; pensare di più; scrivere con maggior logica; soprattutto essere pieni di lavoro ed esercitare l'anonimato. Silenzio in compagnia; o la più quieta asserzione, non la più brillante; anche questo è "curativo", come dicono i dottori...


Virginia Woolf
Diario di una scrittrice
Mondadori 1979
Minimum Fax 2005
traduzione di Giuliana De Carlo

martedì 15 maggio 2012

Lancio di dadi sull’acqua

C’era una tavola come apparecchiata, ma per terra.
Parevano scodelle quei fogli scritti e fitti
mezzo strappati da una tovaglia di carta –

“Avremo scritto il nostro sogno, avremo sognato il nostro scrivere”

    C’erano come dadi sulle carte sgranate,
ma erano i ciottoli del Mar nero
improvvisamente lanciati sulle nostre vite –

    “Abbiamo seminato? Fiori. Raccoglieremo? Fogli”
“Avremo raccolto ancora ciottoli, ma chi potrà crederci”

Sulla carta apparecchiata
quasi una mappa confusa
tra pesci pane e un ricordo di vino.

C’era stata una fiamma, e intorno una tavola
come apparecchiata sullo scoglio
cancellata dalla sabbia e solo dopo secoli riemersa
sul fondo di un fiume essiccato.

Eravamo morti da tempo
e si parlava nel vento

“vorrei rinascere per amarti in qualche forma”
    “Ma tu lo sai, avremmo forme strane e imperscrutabili – ”

“In mille forme potrai pure nasconderti, ti riconosco subito”
    “In mille forme, e ancora ti respiro”

La brezza aveva spento ogni lume,
e non avremmo saputo più dire
se eravamo ancora anime antiche
o forse bambini con piedi piccoli
nelle pozze dello scoglio,
attenti a non farci ferire
dai granchi e dal vetro.

Camilla Miglio
Maree
Il Passo di Efesto - Poesia
Atì editore 2010

lunedì 14 maggio 2012

Il libro liquido evapora

Tra le tante cronache che ho letto sulla "primavera digitale" al Salone del Libro di Torino, una in particolare mi ha colpito: l'introduzione del concetto di "libro liquido". Sono una feroce tradizionalista e morirò aggrappata ai miei amati libri di carta. E l'idea del libro liquido proprio non mi va giù. Ne ho parlato a lungo con il mio amico Danilo e lui mi ha fatto una battuta: "Se il libro è liquido, poi evapora". Ecco, l'impermanenza del digitale, il flusso continuo di immagini e informazioni che non hanno il tempo di diventare pensiero e memoria, questo non mi piace degli ebook. Non è l'unica cosa che non mi piace, perché la scomparsa del libro tradizionale si porta dietro il crollo di tutto un mondo sociale, librerie e biblioteche, tremendo. Ben vangano così sacche di resistenza, come quelle di Marcos y Marcos che ha deciso che non pubblicherà in ebook il best-seller del momento Se ti abbraccio non avere paura di Fulvio Ervas. Un po' tranquilizzata riprendo in mano la mia lista del "perché amo i libri" di carta. L'ho quasi finita, tra poco la pubblico. 

domenica 13 maggio 2012

Ritratto della scrittore che legge/2


Ma il terrore vero e proprio erano le letture di libri. Raffaele leggeva con grande facilità, addirittura gli piaceva! In quinta elementare conosceva già tutti i classici per l’infanzia, mi parlava affascinato di Salari, e io lo ascoltavo affascinato, pensando chissà come ha fatto a leggerli tutti, è molto più comodo stare qui ad ascoltare lui che ha fatto tutta la fatica!
Un giorno alla cartolibreria Pacini di via Fauché – quella dove mi sono poi comprato l’Enciclopedia dell’educazione sessuale – ho scoperto la collana che faceva per me: dorso rosso, formato dieci centimetri per dodici, foliazione, modesta, caratteri grossi, le avventure di Brains (che io pronunciavo rigorosamente all’italiana), un bambino prodigio (un po’ come Raffaele) che faceva l’agente segreto. Questa collana stupida per semianalfabeti ha avuto il merito di farmi capire che leggere poteva anche non essere una pura punizione. Così, nelle lunghe e noiosissime estati dell’adolescenza riuscivo magari a leggere, nell’arco di tre mesi La certosa di Parma (c’era la collana Einaudi ragazzi, irresistibile con il suo color mattone e i libri tutti uguali nel cofanetto, con quei caratteri misteriosi, forse un po’ britannici, che al posto del numero 1 avevano la I maiuscola; avevo programmato di leggerli tutti, calcolando esattamente quante pagine dovevo leggere al giorno per ultimare la lettura entro cinque anni, ma, come tutti i miei progetti, non sono andato oltre il primo volume). Dopo, quando un’amica di un’amica della mamma ha saputo che io studiavo la lingua russa, mi ha detto di andare dal professor Vincenzo Gibelli in via Pontaccio, che era vecchio e malato ma avrebbe avuto piacere di darmi delle lezioni gratis, e io ci sono andato. Quando suonavo dovevo aspettare tantissimo perché lui camminava piano piano, ma quando mi apriva aveva un grande sorriso e mi faceva serere a un tavolo, e parlava solo russo, che vergogna e che fatica!
Prima delle vacanze, lui mi ha dato l’elenco dei cinque romanzi russi che dovevo leggere senza fallo: Delitto e castigo, Padri e figli, Guerra e pace, Oblomov, Le anime morte. Sapevo che la letteratura russa era sterminata, e il fatto che lui, che era così vecchio ed esperto, me ne mettesse lì cinque, e che in quel modo suggerisse implicitamente (non è vero ma a me faceva comodo pensarlo) che c’era una specie di ‘condono letterario’, che quei cinque mi avrebbero assolto dall’obbligo di leggere tutti gli altri, mi ha invogliato enormemente. E poi come si faceva a dire di no a uno che faceva tanta fatica a camminare per venirmi ad aprire ogni volta che suonavo alla sua porta, aveva i capelli lunghi, bianchi, il bastone, e parlava solo russo (con me)? E così, in soli due anni (un’impresa per me), li ho letti tutti.
In realtà quello che detestavo era percepire la lettura come tempo che passava mentre io stavo fermo a non fare niente (ossia a leggere). Viaggiavo come la Millecento col freno a mano tirato. Che non mi piacesse leggere, che non mi piacesse studiare, ho scoperto poi che era una difesa, una barriera per evitare la vertigine prodotta dall’abisso di tiepidità della lettura e dello studio per piacere, non per dovere. Di fatto avevo un blocco, un collo di bottiglia, un ingorgo di libido libraria. Dopo i cinque libri russi, come una maschio sessualmente sano che non ha mai scoperto il nesso tra attività sessuale e beatitudine della scarica libidica, e che finalmente s’innamora e coglie questo nesso, la lettura è diventata un’attività alla quale mi sono sempre abbandonato con avidità, con ingordigia, al punto che se un libro dopo un certo numero di pagine non mi dice più niente e lo trovo prevedibile, lo abbandono senza sentirmi minimamente in colpa, perché non riesco a guardare tranquillo la pila dei libri in lista d’attesa sul comodino con la consapevolezza che sto perdendo tempo con un autore prolisso – dal mio punto di vista naturalmente.
Diverso è con l’ebraico. Non desidero imparare l’ebraico. Desidero studiarlo. Il tempo dedicato a capire la mia vita, a studiare l’ebraico, è sospeso, è di servizio, non serve a comunicare, è fine a se stesso. Le parole studiate alle elementari risuonano in me non tanto come parole, quanto come suoni odori sapori affetti; speravo che, facendomele risuonare nella mente, l’eco potesse risvegliare sensazioni, ricordi, momenti che ho vissuto in qugli anni cruciali per la mia formazione di ebreo tra i non ebrei, di diversamente ebro tra gli ebrei, di amico tra i nemici e nemico tra gli amici, a cui sono stato abituato da papà.

Bruno Osimo
Dizionario affettivo della lingua ebraica
Marcosy y Marcos 2011 

sabato 12 maggio 2012

Ritratto dello scrittore che legge/1


Ma alla fin fine, se lo debbo dire, io penso che a dischiudermi la vita sono stati in gran parte i libri. Non le grammatiche o i vocabolari ma tutte le opere in cui vive qualche sentimento. Dapprima, abbagliato dai grandi nomi, mi fermai sui poemi omerici, sulla Commedia, su Shakespeare, su Hugo. Quattro anni fa, io cominciavo ad aver per le mani le loro opere e mi esaltavo confusamente senza capirne il perché. Ora dopo quattro anni di fatiche e dopo che lei ci ha insegnato a leggere, a poco a poco, credo di esser giunto a capire qual è la loro magia.
La poesia non fa che dare una esistenza immortale alla vita e quindi esse, opere di poesia, sono il riassunto di secoli conservati appunto viventi: viventi, questa è la grande parola che ho trovato a forza di fatiche e di scoraggiamenti non pochi.
E di mano in mano che mi si scopriva questa che ritengo una mia verità, di mano in mano che trovavo nei libri la vita di secoli trascorsi, mi cresceva l’ardore a conoscere la nostra vita attuale. Il perché è ovvio. Ma è anche molto superbo. E lo lascio trovare a lei.
Veda quindi se sono proprio infunghito sui libri. Creda che ce ne son certi nei miei scaffali che solo a guardarli mi corre un brivido di entusiasmo per la schiena.
A questo punto, se non la scoccio, le do un ragguaglio del mio lavoro. Studio il greco per potere un giorno ben conoscere anche la civiltà omerica, il secolo di Pericle, e il mondo ellenista. Leggo Orazio alternato a Ovidio: è tutta la Roma imperiale che si scopre. Studio il tedesco sul Faust, il primo poema moderno. Divoro Shakespeare, leggo il Boiardo e il Boccaccia alternati, tutto il rinascimento italiano, e finalmente la Légende des Siècles e le Foglie d’erba di Walt Whitman, questo è il più grande. Scorrazzo così, aiutato dalla conoscenza (poca ma cresce sempre) del pensiero del tempo, tra tutte queste civiltà che durano ora unicamente nella poesia, mi esalto dei loro ideali nei loro ideali… e così studio la vita moderna.

lettera a Augusto Monti, agosto 1926

Sento che ti vai lamentando che io ti risponda “Lavoro” senza più.
Dunque non ti basta la santità della parola? Non lo sai che il lavoro nobilita l’uomo e lo rende simile alla bestia?
Ad ogni modo, se proprio lo vuoi, eccoti il grado del mio imbestiamento. Sono alle
         1. Poesie latine di Francesco Berni (secolo XVI)
2. Canto XIV della Parte II dell’Orlando Innamorato di Matteo Maria Boiardo (secolo XV)
3. Esatta metà della Légende des Siècles di Victor Hugo (secolo XIX)
4. Prime pagine del Faust di Wolfgang Goethe (secolo XVIII)
5 Ultime pagine dell’On Herpes and Hero-worship and the eroic in History di Thomas Carlyle (secolo XIX)
6. Levitino di Mosè (secolo)
7. prefazione degli Stimmen der Völker in Liedern di Johann Gottfried von Herder (secolo XVIII)

e ogni tanto do un’occhiatina alla
         8-9. Grammatica Greca, al Vocabolario italiano,
10.  alle Laudi del Cielo del Mare della terra e degli Eroi di Gabriele d’Annunzio,
11. alle Leaves of grass di Walt Whitman.
12. Ho finito l’Othello di William Shakespeare (secolo XVI),
13. il Decamorone di Giovanni Boccaccia (secolo XIV),
14. i Poems di Ossian (secolo IV),
15. i Carmina di Quintus Horatius Flaccus (secolo I).

(Sei ancora vivo? … Allora continuo).
Quasi tutto il mio lavoro si riduce alla comprensione e alla collocazione storica di questi scrittori, cosa che faccio con ardore, come la creazione di un dramma, e infatti è un dramma grandiosissimo che vado scoprendo e vivendo, questo di tuta la storia dell’umanità: un dramma che comprende tutti gli altri scritti e non scritti.
Lettera a Tullio Pinelli, 12 ottobre 1926

Cesare Pavese Lettere 1926-1950
Einaudi 1968

venerdì 11 maggio 2012

Scrivere a mano, copiare le citazioni


È da qualche tempo che scrivo ogni giorno in questo blog. Per il momento ci sono poche riflessioni e moltissime citazioni. Copio dai quaderni delle citazioni che ho accumulato in anni di vita da lettrice vorace, copio dai libri che ho letto e riletto, segnando le pagine con stelle, cerchi, onde e righe. Solo a matita però, forse perché la cancellabilità mi lascia credere che il libro non sia rovinato per sempre. La guida della scelta delle citazioni è sempre una piccola "c" chiusa in un cerchio. Parole che vale la pena rileggere, parole che danno senso a quel libro o a tutta l’opera dello scrittore. Scoperte vecchie e nuove si susseguono senza una sequenza temporale. Copio le mie poesie preferite dei miei poeti preferiti. Copio anche qualche pagina dal mio romanzo e le mie poesie. Nei vecchi quaderni le citazioni sono scritte a mano, magari copiate da qualche foglietto che ho pure conservato. Qualcuno risale a un’epoca in cui non esistevano ancora i post-it. Cosa mi spinge a copiare questi  frammenti? Le risposte per me sono molte. Perché ogni frammento dà senso alla mia ricerca di senso, perché è un modo per rendere omaggio ai poeti, scrittori e pensatori che hanno segnato il mio percorso. Perché leggere una bella citazione sullo scrivere e sui libri mi mette di buon umore, perché mi ricorda la comunità degli scrittori e dei poeti che sono e sono stati, che da un secolo all’altro si parlano attraverso i libri e i loro lettori. Copio questi frammenti perché da bambina quando ho scoperto la vita dei monaci amanuensi sono rimasta folgorata. C’era stato qualcuno che aveva vissuto leggendo i libri e copiandoli. Un doppio atto d’amore per salvare dall’oblio l’opera di un altro essere umano che a sua volta era vissuto nel silenzio e nella concentrazione richiesti dalla scrittura.  Non ho uno scriptorium dove ritirarmi a scrivere, ma il tavolo della cucina è un fedele sostegno da moltissimi anni. Posso continuare quest’opera di copiatura e scrivere i miei libri, sempre a mano la prima stesura, fantasticando della cella monacale che mi ero costruita a otto anni, incastrando un piccolo banco di scuola nell’angolo tra il letto e la finestra.                                                   
La felicità che provo oggi è la stessa di allora.

giovedì 10 maggio 2012

Un'acqua di sogno


’N’aqua de Sogno


’Ncora murà, fermo,
ciuso da piova e fumo.
Co’ la vose mai avùa
gò misurà cuel filo de luse
che sprangava la to casa,
gò alzà i brassi a la sera
parché i balconi
fusse des ciavà.
’N’aqua de sogno xe corsa
par gnente.
’Ndove li toremo, ’desso
che xe inverno,
i fruti de l’istà?
Persa la ciave de la cità,
semo deventà veci d’un trato.
E ’desso gnente pì resta,
a parte ’sto silensio
che te dago ’ncora co’ le parole.
altro no’ se concilia:
i fruti in istà
i ritornarà, ma ogni ùn
a l’altro ’l mancarà.


Ancora murato, fermo, 
chiuso da pioggia e fumo. 
Con la voce mai avuta 
ho misurato il raggio di sole

che sprangava la tua casa, 
ho sollevato le braccia alla sera
affinché le imposte 
fossero dischiuse.
Corse un’acqua di sogno, 
inutilmente. 
Dove li prenderemo, adesso 
che è inverno, i frutti dell’estate? 
Perduta la chiave della città, 
siamo invecchiati d’un tratto.
E ora niente più resta,
a parte questo silenzio 
che ti offro
ancora nelle parole. 
Altro non si concilia: 
i frutti in estate                                                                                                                                       ritorneranno, ma ognuno 
all’altro mancherà.

Renzo Favaron
Un de tri
tri de un
Il Passo di Efesto - Poesia 
Atì Editore 2011


mercoledì 9 maggio 2012

L’altra città


Esistono molte solitudini intersecate - dice - sopra e sotto
ed altre in mezzo; diverse o simili, ineluttabili, imposte
o come scelte, come libere - intersecate sempre.
Ma nel profondo, in centro, esiste l’unica solitudine - dice;
una città sorda, quasi sferica, senza alcuna
insegna luminosa colorata, senza negozi, motociclette,
con una luce bianca, vuota, caliginosa, interrotta
da bagliori di segnali sconosciuti. In questa città
da anni dimorano i poeti. Camminano senza far rumore, con
    le mani conserte,
ricordano vagamente fatti dimenticati, parole, paesaggi,
questi consolatori del mondo, i sempre sconsolati, braccati
dai cani, dagli uomini, dalle tarme, dai topi, dalle stelle,
inseguiti dalle loro stesse parole, dette o non dette



Ghiannis Ritsos

martedì 8 maggio 2012

Sei poesie per Tamar


1
La pioggia parla in silenzio
adesso puoi dormire.
accanto al mio letto il battito d’ali del giornale
non ci sono altri angeli
mi sveglio presto per corrompere il giorno che viene
che sia buono con noi
2
Avevi una risata di chicchi d’uva:
molte risate verdi e rotonde
il tuo corpo è pieno di lucertole
che tutte amano il sole
son cresciuti i fiori nel campo, son cresciuti i fili d’erba sulle mie guance
tutto è stato possibile
3
Sei sempre sdraiata
sopra i miei occhi
ogni giorno che siamo stati insieme
Qohelet ha cancellato una riga dal suo libro
siamo la prova a discolpa del giudizio terribile
assolveremo tutti!
4
Come sapore di sangue in bocca
è stata la nostra primavera – all’improvviso
l’universo è sveglio stanotte
è sdraiato supino a occhi aperti
il bacino della luna combacia con la linea del tuo sorriso
il tuo seno con la linea del mio sorriso.
5
Il tuo cuore gioca ad acchiappa sangue
dentro le tue vene.
i tuoi occhi sono ancora caldi come letti,
ci si è sdraiato il tempo
le tue cosce sono dolci di due giorni fa,
io vengo da te
tutti i centocinquanta salmi
ruggiscono insieme
6
I miei occhi vogliono scorrere uno verso l’altro
come due laghi vicini
dire uno all’altro
tutto quello che hanno visto
il mio sangue ha molti parenti
non lo vanno mai a trovare
ma quando muoiono,
il mio sangue eredita

Yehuda Amichai


(Traduzione dall’ebraico di Bruno Osimo)

lunedì 7 maggio 2012

Preghiera dei Titani


Gli dèi non hanno figura né volto
se non quelli che impone un dio,
tessono incanti coi fili impalpabili
dei silenzi dove stanno avvolti,
numerosi come grani di spighe,
chiusi oltre il tempo da soglie invisibili;
le albe hanno i loro sorrisi
vasti, contornati di rose,
le dita ardenti dei cieli al tramonto
sono le loro, tinte di porpora.
Nelle notti danzano lievi
fra i sentieri, con tocco segreto
versano torce lunari,
quiete e lume ai passanti,
hanno in dono oceani di musiche,
la visione che libera il canto
e quando in un battito d’ala
volgono in fiamma, e sono tremendi,
è perché un dio lo comanda,
è perché compiano quel volere.
Ma noi Titani stiamo raccolti
sotto un peso di pietra e d’ombra
ribattendo sulle nostre incudini
una sostanza che è senza dolcezza,
una materia che non ha alcun dono,
dura, inquieta, che agita
tracce di un’altra vita
dove ogni cosa appare
folgorata da una luce semplice
e riposa nello spazio aperto,
e matura nello sguardo limpido
che non preme i confini del mondo
per esistere, sguardo che accoglie
l’abbraccio di albe terrestri
e i profili dei giunchi sfogliati
nel torpore d’oro-silenzio
di un’estate, e il gorgo fiammante
che insanguina i gelsi al crepuscolo,
teatro di lotte sospese,
e il blu-argento profondo
germogliante costellazioni
come fiaccole sparse
nelle case scure dei boschi;
ma il dio non è mai benevolo,
è il dio implacabile che non concede,
è il dio chiuso che non sostiene,
è il dio assente che nega il suo gesto
non perché non ci ami,
ma perché a noi spetta conoscere
il tempo cieco e senza respiro,
lo spazio che non fiorisce,
e i nostri passi rincorrono
un tempo pieno, che libera il tempo,
che avvolge la terra e il cielo,
il possibile e l’impossibile
in un unico, vasto diamante
sfolgorante di mille facce,
ma un altro tempo ci inchioda
alla carne dei nostri corpi,
al confine dei nostri volti
dove ogni segno è quel segno,
dove ogni solco è scavato per sempre...
Un Titano ha voce di vento,
ma in segreto ha questa preghiera:

“Gli dèi non hanno figura né volto
se non quelli che impone un dio;
ma, dio che non sei benevolo,
non sostieni, neghi il tuo gesto,
fa’ che nel più nudo istante
gli dèi scendano e scendano
nelle nostre celle notturne,
nei deserti freddi di vento,
fa’ che scendano e scendano
nelle case vuote di sole,
dona loro il volto e la forma
della nostra consolazione”.
Sono lacrime alchemiche quelle che piangi,
lacrime di sale e di mercurio,
trasformano; ma qui sulla terra
non tutto è luce, non tutto è presenza.
Non sai niente della tua pena,
figlia scura del tempo,
e la fiamma che brucia i tuoi occhi è la stessa
che cuoce la pietra, è quella.

Questa è un'altra poesia che amo e ammiro: è tratta dal libro 
Idioti nell'ombra di Danilo Bramati, 
Il Passo di Efesto - Poesia
Atì Editore 2010

Variazioni sull'arte dello scrivere

 Sabato, 13 maggio 1933

E' facile ripromettersi di prendere appunti, ma scrivere è un'arte difficilissima. Bisogna scegliere continuamente; e ho troppo sonno, e perciò mi faccio semplicemente scorrere la sabbia tra le dita. Scrivere non è per niente un'arte facile. Pensare ciò che si vuole scrivere sembra facile; ma il pensiero evapora, sfugge qua e là. 


Virginia Woolf
Diario di una scrittrice
Mondadori 1979
Minimum Fax 2005
traduzione di Giuliana De Carlo

sabato 5 maggio 2012

Lo scrittore e il testo

Lo scrittore e il testo sono sono creati da una terza dimensione - da una profondità che innalza verticalmente il detto e il raffigurato sopra la pagina e, cosa ancora più importante, separa il libro dal suo autore.


dalla lettera del 20 aprile 1926 di Pasternak alla Cvetaeva


Rainer Maria Rilke - Marina Cvetaeva - Boris Pasternak
Il settimo sogno. Lettere 1926
Editori Riuniti 1980
edizione italiana a cura di Serena Vitale

venerdì 4 maggio 2012

Seconda lezione sullo spazio

Se le cose potessero restare per sempre in un loro chiarore,
partecipare del colore che per primo compare al mattino
e fino a tardi si distingue nella sera,
se fossero tutte debolmente luminose
non avremmo bisogno del sole,
non avremmo paura della notte;
una vaga vita animale sarebbe dentro le cose quotidiane
sentiremmo le stanze e ogni luogo
pieni di moti indecifrabili, quasi d’affetto.

Ma sparirebbero, sparirebbero le ombre,
il loro nascere, il loro crescere sul prato,
il loro lento, armonico giro
e questo cielo sgombro e luminoso
e il vedere cose vicine
e il vedere cose lontane ben chiuse nei contorni,
la gioia sottile di allungare la vista all’orizzonte,
la grande gloria delle distanze,
la libertà di andarsene, di separarsi dal resto.


Annalisa Manstretta 
Il sole visto di lato
Il Passo di Efesto - Poesia
Atì editore 2012

giovedì 3 maggio 2012

Inventando per quella lingua il suo deserto



Non esiste innocenza in questa lingua
ascolta come si spezzano i discorsi
come anche qui sia guerra
diversa guerra 
ma guerra – in un tempo assetato.
 
Per questo scrivo con riluttanza
con pochi sterpi di frase
stretti a una lingua usuale
quella di cui dispongo per chiamare
laggiù perfino il buio
che scuote le campane.

                          ***

C’è una finestra nella notte
con due sagome scure addormentate
brune come gli uccelli
il cui corpo indietreggia contro il cielo.
 
Scrivo con pazienza
all’eternità non credo
la lentezza mi viene dal silenzio
e da una libertà – invisibile -
che il Continente non conosce
l’isola di un pensiero che mi spinge
a restringere il tempo
a dargli spazio
inventando per quella lingua il suo deserto.

La parola si spacca come legno
come un legno crepita di lato
per metà fuoco
per metà abbandono.


Antonella Anedda
Notti di pace occidentale
Donzelli editore 2001 

mercoledì 2 maggio 2012

Scrivere, scrivere e scrivere

Sabato, 13 dicembre 1924 
Percorro al galoppo le pagine della Signora Dalloway, ricopiando a macchina tutto il libro dal principio, come avevo fatto, più o meno, con La crociera: un buon metodo, credo, perché si lavora con un pennello umido su tutta la superficie, unendo parti composte separatamente e già asciutte. Davvero, in tutta onestà, lo ritengo il più compiuto dei miei romanzi (ma non l'ho ancora letto a sangue freddo). I recensori diranno che è slegato perché le scene della pazzia non sono collegate alle scene in casa Dalloway. E suppongo vi sia qualche tratto di scrittura superficiale e vistosa. Ma è "irreale"? E' soltanto bravura? Non credo, E, come mi sembra di aver già detto, mi lascia immersa negli strati più ricchi della mia mente. Ora posso scrivere, scrivere e scrivere: la sensazione più felice del mondo.


Virginia Woolf 
Diario di una scrittrice
Oscar Mondadori 1979
Minimum Fax 2005
traduzione di Giuliana De Carlo

martedì 1 maggio 2012

Il compito severo di me stessa

Io sono il compito più severo 
di me stessa - in corsa dietro la pretesa
di riempire il terribile spazio
che la vita si lascia alle spalle


Emily Dickinson citata da Grazia Livi
Da una stanza all'altra 
Stanza al piano di sopra
Garzanti 1984