Visualizzazione post con etichetta sillabario della luce. Mostra tutti i post
Visualizzazione post con etichetta sillabario della luce. Mostra tutti i post

lunedì 8 marzo 2021

Cronache dagli anni senza Carnevale/365: nel cuore dell'inverno ho finalmente imparato che c'era in me un'estate invincibile.




Ecco che la sera è scesa anche su questo 365° giorno dall’inizio del primo confinamento. Non so perché un anno fa mi sia presa la pazzia di scrivere una Cronaca ogni giorno e di avere continuato a farlo, perché a maggio del 2020, dopo la prima riapertura, sapevo che non era  finita e non lo è ancora, non ancora. In realtà so perché scrivo ogni giorno, scrivo per rafforzare le memorie di questo periodo, scrivo per salvare frammenti di mondo e di umanità. Scrivo per il piacere dello scrivere, scrivo per dare testimonianza, per offrire il mio punto di vista sulle cose di questa realtà e su quelle della mia immaginazione che di realtà ne ha incontrate molte altre. Scrivo perché scrivere è una delle attività più belle della vita, perché così posso offrire e ricevere conforto e speranza attraverso le parole e sentire come risuona in me “l’invincibile estate” di Albert Camus.

Oggi, camminando come al solito, consideravo che la tecnologia, veleno della nostra società, in quest’anno di pandemia è stata la cura che ci ha permesso di non bloccare, almeno fino a un certo punto, il lavoro e la scuola. Smartworking e DAD (didattica a distanza) hanno salvato almeno in parte, le nostre vite. Avete provato a immaginare cosa sarebbe stata una pandemia del genere solo dieci anni fa? Io sì, e so che sarebbe stato tutto, ma proprio tutto, molto più difficile. È grazie alla tecnologia che questa sera ho potuto presentare, grazie all'invito del professor Giancarlo Covella grande appassionato di poesia, studioso e raffinato traduttore, il mio ultimo libro di poesie Un’estate invincibile all’Istituto Pascal-Mazzolari di Verolanuova. Circa 300 partecipanti con la presenza del sindaco e di un’assessora, la preside e la dirigente scolastica, molti professori e moltissime studentesse e studenti che hanno contribuito leggendo in lingua Sylvia Plath, Amelia Rosselli, Colette e Marguerite Yourcenar. Ho letto una poesia da ciascuno dei miei primi 4 libri e poi una scelta dal quinto. Nonostante gli schermi e la distanza, credo di avere sentito la presenza di tutte quelle giovani menti attente e curiose. Anche fare le presentazioni online è come gettare bottiglie con un messaggio in un oceano di cui non vedo i confini, né le isole, né le terre che lo delimitano.

Spero, spero davvero che i ragazzi e le ragazze stasera abbiano sentito la loro estate invincibile e che imparino a coltivare il loro giardino interiore.

Di seguito alcune delle poesie che ho letto stasera.

 

La stessa riva

Siamo rimasti fermi

sulla stessa riva, guardando

direzioni opposte tra la fine

e l’inizio della luce, accecati

intenti, pronti a riconoscere

il calvario della rosa

che fiorirà in novembre.

 

 

Il calvario della rosa

Moretti&Vitali 2004

 

 

L’opera del vento

 

Dovevo uscire dal gesto usuale

cambiare la foglia con l’acqua

piovana, non cercare presagi

sull’asfalto arroventato. Poco

molto poco, il calice non riempie

la brocca, il miele non addolcisce

l’ape, semmai ne fortifica il pungiglione.

Questo è il mio scrivere, ti confesso

mescolare polline e parole, il resto

è opera del vento.

 

 

Sillabario della Luce

Moretti&Vitali 2007

 

 

La rosa sapiente e profumata

 

Quella rosa, quella non un’altra

perfetta sull’orlo della sparizione

dove l’ultimo petalo esita a

proclamare la propria fioritura.

È quella la rosa che ha scolpito

il fondo della pupilla, immagine

pietrosa incisa in un occhio

che non sa il fondo perché

dentro l’abisso vive. Quello

è l’occhio scolpito, quella

vi dico, proprio quella rosa

aulentissima e perfetta, oh

mia mistica visione che a ogni

cosa doni il profilo di una

rosa. Quella rosa, quella

non un’altra. Dolorosa,

sapiente e profumata, mai

nata nel maggio odoroso.

 

Figure del silenzio

Atì editore 2010

 

 

In ogni passione avvengono prodigi

 

 

Le noci e il melograno

ancora intatti sul tavolo,

due parole opposte che si

attraggono, le sto cercando

quercia e pietra uniche

a sfidare il tempo

troppo simili nella pervicacia

meglio la pioggia e il vento

che passano e non sanno

il sollievo della sosta.

Così saranno la quercia

e il vento i primi opposti

e la pietra con la pioggia

ad accompagnare ogni ricordo

che avrai lasciato, ogni parola

che avrò perduto.

In ogni passione avvengono

prodigi.

 

Scrivere il vento

Atì editore 2016

 

 

Un muro, un tetto, il silenzio interiore

 

Quello che sta sopra di noi,

le nuvole, le stelle, i tetti delle

case, la luce del sole, la chioma

degli alberi, le foglie in aria,

la pioggia prima che cada.

Quello che sta intorno a noi,

il vento, la nebbia, la luce del sole,

la voce di ogni persona, la pioggia

mentre cade, il profumo dei tigli,

i ricordi che assediano i passanti.

Quello che sta sotto di noi,

la terra, la sabbia, le pietre,

l’erba che non è stata

tagliata, le foglie dopo che sono

cadute, l’acqua, la neve,

la carta gettata.

Dunque, sta sotto solo ciò che

possiamo evitare, ma il vento,

le voci, la stella marina e quella

appesa nel cielo, la luce del sole,

le nuvole, sono cose che non

possiamo scongiurare, se non

usando i poveri strumenti umani:

l’ombrello, il passo lungo, lo sguardo

chino e distratto, un muro, un tetto,

il silenzio interiore.

 

Un’estate invincibile

Atì editore 2019

 

 

Altre poesie da Un’estate invincibile, seguiranno nei prossimi giorni. Chiudo così questa Cronaca 365 di lunedì 8 marzo del secondo anno senza Carnevale

venerdì 17 luglio 2020

Cronache dall’anno senza Carnevale/131: il tempo è un pesce azzurro che salta nel mare dell’eternità


A volte capita che un sonno profondo scenda sul giardino e che tutti, ma proprio tutti ci addormentiamo e dimentichiamo che siamo qui per un motivo. All’inizio mi arrabbiavo, mi offendevo a vedere tutti gli abitanti della Casa delle Parole dormire come se fossimo piombati nel castello della Bella addormentata nel bosco, ma poi ho capito.

Il sonno è solo un viaggio che dobbiamo compiere per arrivare in quell’altro regno che abitiamo per almeno un terzo della nostra vita. Quando mi abbandono alle immagini e alle storie che si intrecciano, storie dove ritornano persone che ho amato, amici perduti, i miei genitori e altri parenti, un senso di conforto mi accompagna al ritorno in questo mondo, un’altra sosta veloce per ritornare poi nel mondo della mia scrittura che non è esattamente il mondo della mia immaginazione, ma qualcosa di più e di meno, qualcosa di molto diverso.




Noi che non abbiamo nomi

Ho dormito? Sì, ho sognato in
fondo al mio giardino e questo
sogno era rosa, come l’oleandro,
era rosa perché io ero il nostro
oleandro.
Vi ho visti avvolti nei vostri colori,
Alexandre dormiva all’ombra della
lavanda, François raggiante coi
girasoli, la regina Margot sognava
coi melograni e ultima Héloïse, in
boccio nella sua rosa.
E voi? E voi? Mi chiedete? Noi che
ancora non abbiamo nomi?
Presto, presto avremo i nomi e
i fiori, i colori sono già in noi.
Torneremo a dormire e sarà
domani, un altro domani.


Così mi siedo a gambe incrociate davanti al mio oleandro, che non è l’unico oleandro che sto guardando. C’è n’è uno rosa che fioriva in un giardino che ho perduto e poi, enorme e bianco, quello ai bordi del ruscello davanti alla casa di mia nonna.

E poi le querce, qui nel giardino ne abbiamo due, ancora giovani, crescono, crescono più veloci che nella terra della città silenziosa, ma io vedo la quercia ai bordi del campo di grano.

Siamo tutti ombre io, lei e gli altri bambini. Siamo ombre anche quando ci lanciamo con l’altalena, con corde così lunghe che volavamo sul burrone, oltre i campi conosciuti e le nuvole ci adornavano le mani come guanti di neve fuori stagione.

Quanto amavo quel volo, le promesse della sera, i calabroni intorno al comignolo, e la menta che sprigionava un profumo intenso.



Il buio senza nome

Il rito della sera è sfregare
una foglia di menta tra
le dita e guardare le stelle
staccarsi dalle cime degli
ulivi, sciamare oltre
le querce e occupare
il punto esatto della costellazione
perché occhi umani possano
dirne il nome vero per placare
l’oscurità che viene.
Fuori è la dispersione,
il tronco reciso. Dietro
l’angolo della casa
ancora mi aspetta il brivido
senza filiera, l’aratro sul
fianco della selce e il buio,
il buio senza nome.



Quante sere ho contato da allora, quante notti e quanti mattini. Il tempo era sempre un frutto non ancora maturo, la scrittura un desiderio e una promessa.

Mi capiscono gli altri abitanti della Casa delle Parole, conosco gli anni, loro li conoscono e li sanno a memoria. Scendiamo insieme alla spiaggia dove le tre sorelle ci stanno aspettando e i lupi entrano ed escono dall’acqua come se non ci fosse un altro giorno per poterlo fare.

Questa è la libertà dei regni che abitiamo: il sogno, la memoria, l’immaginazione, la scrittura, e i libri che sono l’ultimo regno e il più vasto perché portano dentro tutti i regni di chi li ha scritti.

E ora? Ma ora?



Ora è estate, guardatevi intorno

Ogni stagione, proprio ogni
stagione, vi assicuro, vive
nell’ombra delle altre tre.
Ora è estate, guardatevi
intorno, ascoltate l’aria, scrutate
il cielo. La prima foglia gialla
dice l’autunno, l’ultimo bocciolo
della rosa insegue la primavera,
la pioggia improvvisa chiama
l’inverno. E così accade, stagione
dopo stagione, che un frammento
di quelle passate addolcisca
la nostalgia e la promessa di
quelle future sia un salto del
tempo, un pesce azzurro nel
mare dell’eternità.




Noi che non abbiamo nomi e Ora è estate, guardatevi intorno sono due mie poesie inedite intorno a cui è nata questa Cronaca 131 di venerdì 17 luglio 2020.
Il buio senza nome, è tratta dalla mia seconda raccolta Sillabario della Luce, Moretti&Vitali editore, ed è dedicata alla mia amica Grazia.

venerdì 5 giugno 2020

Cronache dall’anno senza Carnevale/89: non vi sarà mai cosa che non sia una nube


Il brano di Montaigne che ho portato ieri alla Casa delle Stelle è stato letto, o almeno intravisto, perché anziché sopra il taccuino rosso sta sotto. Sono sicura che la sacerdotessa non sia passata da qui perché l’ho vista andare via questa mattina presto con il suo sapiente guerriero e non sono ancora ritornati.

Mi piacerebbe che vicino alla Casa delle Stelle sorgesse anche una Casa delle Nuvole, che sono un'altra delle mie passioni/ossessioni, forse ancor più forte di quella per le stelle. Così ho deciso di regalare al misterioso costruttore una poesia di Borges che si intitola Nubi, ma oggi gli porto solo la prima parte.


I.

Non vi sarà mai cosa che non sia
una nube. Lo sono le cattedrali
di vasta pietra e bibliche vetrate
che il tempo spianerà. Lo è l’Odissea,
che cambia come il mare. Se la riapri
sempre cambia qualcosa. Anche il riflesso
del tuo viso è già un altro nello specchio
ed il giorno è un dubbioso labirinto.
Siamo chi se ne va. La numerosa
nuvola che si disfa all'occidente
è nostra effigie. Incessantemente
la rosa si tramuta in altra rosa.
Sei nuvola, sei mare, sei l’oblio.
Sei anche tutto quello che hai smarrito.

                                        

Le nuvole mutano forma di continuo, le stelle ci guardano da un tempo remoto, la luce è una vibrazione che fa risplendere il mondo. Una casa nuova è il segno di un cambiamento, di un nuovo desiderio, mi chiedo quale sia il desiderio del misterioso costruttore e anche come riesca a venire a lavorare al suo primo mosaico, visto che neanche oggi l’ho visto passare. Le stelle binarie risplendono su un lato del soffitto, una brilla, l’altra è opaca. Ma basta spostarsi anche solo un poco perché la prospettiva cambi e ciò che era opaco diventi luminoso, mentre la prima luce si è raggomitolata nel tempo come un gatto nella sua cesta.

Fuori dalla Casa delle Stelle è una gloriosa giornata d’estate e l’unica nuvola che vedo è un sottile sbaffo di vapore evanescente. Guardandomi intorno ho finalmente capito cosa mi manca qui sull’Altipiano della Luna. Devo chiedere alla sacerdotessa di aiutarmi a tracciare un sentiero per il mare, un sentiero che ci accompagni verso una delle nostre forme preferite di contemplazione.

Mentre penso il mare, penso una poesia che ho scritto qualche anno fa. Torno in casa e apro il taccuino rosso. Spero che lui non si arrabbi se gli lascio questa poesia che è anche una confessione.


Le domande

Al mare chiedo quel che
non so rispondermi: le onde
sono interi versi, singole
parole o solo sillabe?
Il mare dice mutando
il suo colore di cielo riflesso
nel colore del vino che
ancora dorme negli acini
maturi. Interrogo il colore
dunque: è azzurro il verso,
verde la parola e schiuma
bianca la sillaba infranta?
L’azzurro si ripiega su se
stesso e mostra frammenti
di luce sulle onde ed è
la luce a scolpire il moto
dunque, il verso. Questa
è la poesia domando ancora?
Luce alta sull’acqua, colore
mutevole nell’occhio, una
voce che si tende e cade
ancora nello stesso luogo?
Il mare risponde, io depongo
la matita e giro il foglio.



Come si chiamerà il mare che fronteggia le Montagne della Nebbia? Vado a chiederglielo perché ancora non lo so.

Com'è bella quest’ora della sera nelle sere d’estate, com'è facile dimenticare le tribolazioni, i dolori, lo scontento, le ansie per il futuro.
Mi sdraio sulla spiaggia e guardo un po’ le nuvole che stanno arrivando e un po’ le onde.
Non vi è più separazione tra il mondo celeste e il mondo marino. Io abito entrambi i regni, galleggio sull'acqua come nel cielo. La luce mi sostiene, il vento mi sfiora.

Sono felice.


La poesia Le domande chiude la mia seconda raccolta Sillabario della Luce. Moretti&Vitali editore 2007

La poesia di Borges è tradotta da Domenico Porzio, in Tutte le opere. Volume I. Meridiani Mondadori, 1984

***

Nubes

                                           I
No habrá una sola cosa que no sea
una nube. Lo son las catedrales
de vasta piedra y bíblicos cristales
que el tiempo allanará. Lo es la Odisea,
que cambia como el mar. Algo hay distinto
cada vez que la abrimos. El reflejo
de tu cara ya es otro en el espejo
y el día es un dudoso laberinto.
Somos los que se van. La numerosa
nube que se deshace en el poniente
es nuestra imagen. Incesantemente
la rosa se convierte en otra rosa.
Eres nube, eres mar, eres olvido.
Eres también aquello que has perdido.

martedì 5 maggio 2020

Cronache dall’anno senza Carnevale/58: lo spazio chiede silenzio mentre la luce ama le carenze

Il viaggio tra la casa affollata e la casa nella città silenziosa è molto breve. 

Mi basta uscire dalla porta che si affaccia sulle Nebbie e con pochi passi ritorno nella casa del mio hortus conclusus

Qui posso vedere se il gelsomino è entrato nella piena fioritura, se l’albero bellissimo si è riempito di foglie, se i libri si sono moltiplicati nei loro modi singolari di riprodursi e in effetti ne trovo sul tavolo della cucina più di quanti non ricordassi di averne lasciati.

La città è ancora molto silenziosa, tranne che per il suono delle sirene che fende l’aria fresca cui si appendono le nuvole.

Esco a passeggiare in compagnia di Siri Hustvedt:

“Le radici della quercia sporgevano dalla ripida scarpata alle spalle della nostra casa, e si attorcigliavano creando un seggio regale, dove una sovrana poteva sedersi e contemplare il suo regno e perdersi in fantasticherie lasciando che i suoi pensieri veleggiassero verso l’inesprimibile e il sacro, e a quel punto io non ero più «io» ma un essere disseminato nel fruscio delle fronde che si muovevano in alto e nell'umido odore del letto del torrente e nei rami fradici che si andavano disfacendo e nei punti in cui la luce del sole saltava fra le foglie di equiseto. Quell'essere trascendente aveva la testa leggera come un palloncino pieno d’elio e saliva su, su, su, fra nuvole costellate di scintille. Ma gli strani viaggi che facevo fuori di me erano un segreto. Li conservavo in una tasca speciale sotto le costole, una tasca che solo Dio e gli angeli potevano vedere”.

Non ho la quercia della mia infanzia da circumnavigare ma il mio albero bellissimo mi aspetta.

Lo accarezzo, appoggio la mano sulla mia impronta come faccio da più di trenta anni, non ho scavato io quella forma nella corteccia, era già lì e io ho solo dovuto appoggiare la mano e sentire l’energia vitale dell’albero che mi attraversava e scambiare con lui quelle mute riflessioni che negli anni ci hanno legato. Anche questo è un segreto che ho tenuto per me per così tanto tempo.

Chiedo all’albero se vuole venire con me sull'Altipiano della Luna, proprio a ridosso delle Montagne della Nebbia.

Ma l’albero scuote le fronde verdeggianti e mi dice che gli piace stare dov’è, a conversare con i gelsomini e con le rondini, a solleticare le nuvole più basse e a fare fronte contro il vento anziché assecondarlo. Le sue radici sono ormai arrivate alle due piazze su cui sbucano le vie ad angolo dove si erge la casa, sotto la superficie ha conosciuto molte creature e non si annoia mai. Così è la vita di un albero, sembra immobile ma è tutto un fervere di vita sopra e sotto e tutto intorno.

Anche le due antiche querce che si erigevano davanti al palazzo di uffici dove ho lavorato tantissimi anni avevano questa vita sotterranea:

Dall’occaso

Ho visto le due querce
dopo sedici anni, erano
lì anche allora, mattina
dopo mattina. Ma ieri
le ho viste la prima volta
mentre la nebbia mista a
buio calava su noi. Due
tronchi forti, lontani, più
scuri della notte, con i rami
tutti intrecciati. Sotto la terra
sentivo le radici stringersi
nell’abbraccio immortale di
chi ama senza essere visto.
Sopra il cielo le tue foglie
accarezzavano le mie.


Saluto l’acero riccio con un’altra carezza e mi incammino verso il giardino dove adesso si può entrare. I lupi mi hanno raggiunta e vogliono venire con me, accarezzo il lupo sul muso e subito la lupa mi sfiora con una zampa perché anche lei vuole sentire il tocco della mia mano e io l’accontento.

Il giardino è vuoto, niente bambini che corrono, niente anziani che prendono il sole a occhi chiusi. Ci fermiamo alla fontanella dove l’acqua scorre senza sosta. Qui a Milano le chiamano “vedovelle”, forse perché il flusso dell’acqua ricorda il pianto inconsolabile delle vedove, o “draghi verdi” perché l’acqua esce da una testa di drago.

La città è talmente vuota e frastornata per la lunga clausura che nessuno bada a me e ai lupi, forse i passanti credono che si tratti di cani e quindi neanche si fermano a guardare.

Torniamo a casa e i lupi mi aspettano in cortile, raccolgo qualche libro che ho promesso al poeta e alla sacerdotessa e poi ritorniamo nel giardino della casa affollata, il passaggio è semplice, bisogna attraversare il giardino della città silenziosa all'incrocio delle strade dove passavano gli operai.

I lupi se ne vanno di corsa a rotolarsi nei prati pieni di fiori, io guardo le montagne che sono verdi e blu di solito a quest’ora, mentre oggi a causa delle nuvole sono grigie e argento, così una poesia si presenta alla porta:


Cime grigie

A mano a mano che il giorno cala il paesaggio si
semplifica. Cancella alberi, scava ombre elementari, è
una terra più concisa.
La concisione è un grande pregio; ma dire meno,
meno ancora…
Lo spazio chiede silenzio. Tramonta. Guarda le
cime grigie, guarda le nubi che si disfano, gli strappi
scuri nella trama delle nuvole. Guarda la luce come li
riempie, come penetra nei vuoti…
La luce ama le carenze, i buchi neri che la attirano
nel buio.


È ora di rientrare, non so ancora chi troverò nella casa, anche se il messaggero ha annunciato che Giovanna d’Arco arriverà con il suo esercito e le visioni. Cosa ne penseranno, il re che aspetta la sua regina, il poeta e la sacerdotessa che parlano fitto fitto davanti al fuoco?

Nessuno si gira a salutarmi, non ce n’è bisogno, tutti conosciamo i respiri e i pensieri degli altri.

La casa siamo noi in questo tempo sospeso tra un mondo scomparso e l’altro non ancora nato.

Le poesie di oggi sono:
Dall’occaso
Elena Petrassi
Sillabario della Luce
Moretti&Vitali editore 2007


Cime grigie

Danilo Bramati
Il fiore dell'assenza
Atì editore 2016


Il brano di Siri Hustvedt è tratto da
Ricordi dal futuro
traduzione di Laura Noulian
Einaudi 2019