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mercoledì 22 giugno 2022

Cronache dagli anni senza Carnevale/836. Più la giornata è intensa, più la Cronaca è pigra

 


Partire, partire, guardare il paesaggio dal treno come se fosse un viaggio lunghissimo che ci aspetta, poi fermarsi a Firenze qualche ora e prendere un regionale per l’Umbria dove un’amica ci aspetta. Arrivare a casa sua, un piccolo borgo incantato, case di pietra e una vista fenomenale sul lago Trasimeno. Una cena estiva e poi una rapida conoscenza con una gattina tutta nera, compreso nasino e vibrisse, che si è spazzolata tre fette di prosciutto e una di tacchino come se non ci fosse un domani. Gli occhi sono avidi di piccole cose, di bellezza, di novità. Tutto sembrava più bello e diverso oggi, perché era tempo che non guardavo un paesaggio così selvaggio e verde. Oggi è mercoledì 22 giugno del terzo anno senza Carnevale e del primo anno di guerra e questa Cronaca 836, piccola e pigra, è inversamente proporzionale all’intensità della giornata.

domenica 15 maggio 2022

Cronache dagli anni senza Carnevale/798. Altrove. Altrove. Come risuonano queste piccole parole

 

 


 

Ancora non ho deciso se la smania di essere altrove, di viaggiare, di dormire sotto cieli diversi da quelli abituali, di conoscere gente nuova sia più un desiderio della gioventù o proprio un modo di essere, di stare al mondo. Forse l’indole guida la smania anche quando siamo giovani, ma credo sia la gioventù a far ardere questo desiderio di incontri e di luoghi mai visti. Forse con l’età si diventa più nostalgici e più desiderosi di ritornare là dove siamo già stati. Quando ero ragazza i viaggi più carichi di smania e aspettative erano quelli che mi portavano in Svizzera, a Losanna dalle mie carissime e perdute amiche, le sorelle E. e AM. Quanto mi piaceva stare con loro! Erano poco più grandi di me ma avevano già viaggiato moltissimo, lavoravano, amavano i libri e parlavano tre o quattro lingue con disinvoltura. La letteratura francese e italiana sono state una scoperta che ho condiviso con entrambe. Io sola volevo diventare una scrittrice da “grande”. Loro amavano i libri ma volevano solo leggerli, non scriverli. Grazie alla loro ospitalità ho incontrato F. che invece voleva diventare scrittore, proprio come me, e leggeva Artaud, Kierkegaard e mi ha fatto ascoltare The Köln Concert di Keith Jarrett per la prima volta. Ho creduto nelle affinità elettive di quegli incontri, ma la forza centripeta della vita ci ha spinti altrove, l’unica cosa che so per certo è che lui non è diventato uno scrittore. Ma quanto era bello arrivare a Losanna e trovarli in stazione ad aspettarmi!

Per tornare in quegli attimi questa sera mi infilo in una poesia della poetessa che gli attimi li conosceva a memoria, cioè Wisława Szymborska. Questa poesia è tratta da Vista con granello di sabbia,  Adelphi, 1998.

 

 

La stazione

 

 

Il mio arrivo nella città di N. è avvenuto puntualmente.

Eri stato avvertito con una lettera non spedita.

Hai fatto in tempo a non venire all'ora prevista.

Il treno è arrivato sul terzo binario. È scesa molta gente.

L'assenza della mia persona si avviava verso l'uscita tra la folla.

Alcune donne mi hanno sostituito frettolosamente in quella fretta.

A una è corso incontro qualcuno che non conoscevo, ma lei lo ha riconosciuto immediatamente.

Si sono scambiati un bacio non nostro, intanto si è perduta una valigia non mia.

La stazione della città di N. ha superato bene la prova di esistenza oggettiva.

L'insieme restava al suo posto. I particolari si muovevano sui binari designati.

È avvenuto perfino l'incontro fissato.

Fuori dalla portata della nostra presenza.

Nel paradiso perduto della probabilità.

Altrove. Altrove. Come risuonano queste piccole parole.

 

 

Mentre cammino in quella stazione incantata che mi portava dai miei amori è scesa la notte di domenica 15 maggio del terzo anno senza Carnevale e del primo anno di guerra. Questa Cronaca 798 ama i viaggi in treno, proprio come me.

mercoledì 23 febbraio 2022

Cronache dagli anni senza Carnevale/717. Ogni viaggiatore è un grande occhio spalancato sul mondo

 



Stiamo qui in attesa, increduli che qualcosa di irreparabile possa accadere. Continuiamo a studiare, a lavorare, a scrivere e a leggere. Sono un po’ inquieta e oscillo di continuo tra il desiderio di stare rintanata in casa e il desiderio altrettanto forte di viaggiare, di ricominciare a viaggiare. Così ho iniziato l’ennesima risistemazione dei libri per avvicinare tutti i libri dedicati ai viaggi e al viaggiare. E poi, come faccio sempre, ne ho preso uno e ho iniziato a leggere, in questo caso rileggere. Il libro in questione è di Paolo Di Paolo, Ogni viaggio è un romanzo. 19 incontri con scrittori, e così ho smesso di sistemare gli altri libri.

Leggo la dotta introduzione di Pietro Citati che ammette che “Dopo anni di tranquillità e di pace, anche il sedentario è assalito dall’inquietudine. La vita, nella quale si adagiava così mollemente, ora lo soffoca. Gli stessi volti, che lo circondano da anni, le stesse parole ascoltate ogni giorno, la stessa cerchia nella quale vive con una indifferenza sempre più grande, senza vedere né ascoltare, sembrano stringerlo da ogni parte, con un’intenzione minacciosa. Egli teme di essere inchiodato per sempre nel medesimo luogo; e in segreto «col cuore grosso di rancore e di amari desideri», comincia a meditare la fuga, come tutti quelli che vogliono «cullare il loro infinito sul finito dei mari». La preparazione del viaggio è lenta e meticolosa. Raccoglie libri di ogni specie sul paese che visiterà, compra manuali di storia e di archeologia, e soprattutto le predilette guide di viaggio. Consulta le carte, studia gli itinerari, calcola le distanze: cerca di avere precisa nella mente la topografia di Luxor o di Amsterdam, di Palmira o di Praga; tenta di indovinare quale sorpresa lo coglierà ad ogni angolo della strada, come se, per un’ultima, invincibile resistenza, volesse consumare il viaggio prima di compierlo. Infine, l’aereo corre sulla pista, solleva il carrello, si slancia nel cielo, attraversa montagne di nubi; e mentre il viaggiatore slaccia la fibbia che lo tiene legato, l’ultimo distacco si compie dentro di lui. Si lascia tutto dietro le spalle, anche i volti più amati che sembrano cadere come ombre nel pozzo del passato. La vita che ha vissuto o finto di vivere, i libri che ha letto, i pensieri che ha coltivato per anni, gli sguardi che ha intrecciato con altri sguardi non esistono più. Ora egli è un grande occhio spalancato sul mondo: un occhio che non conosce passato e futuro, ma soltanto presente, e cerca di raccogliere quanto attraversa per un attimo la sua pupilla. Non ha molto tempo davanti a sé. Come tutti, sosta in alberghi anonimi e indifferenti, in aeroporti tediosi, percorre sopra un tassì nelle ore di un solo giorno lo spazio che altrimenti avrebbe percorso in un anno. I monumenti si affollano l’uno dopo l’altro nella sua mente; e sembra che le impressioni non abbiano il tempo di raccogliersi e di distinguersi. Ma proprio questa velocità dà al suo sguardo una forza visiva, che altri tempi ignoravano. Le linee essenziali del paesaggio vengono improvvisamente colpite dalla luce, le forme e i colori delle opere d’arte risaltano con un’intensità allucinante, ciò che è secondario viene cancellato, e i rapporti tra le tappe del viaggio, che un lungo soggiorno gli avrebbe nascosto, si intrecciano con una precisione geometrica. Così, il viaggiatore si accorge che il suo percorso non è casuale. Tra un aereo e un tassì, tra un albergo e un ristorante, il viaggio disegna senza che egli lo abbia voluto un itinerario simbolico, una forma misteriosa: qualcosa che accenna a un principio e a una fine, a ritorni, echi, pause e riprese; dove tutto è così carico di significati da generare una tensione quasi insostenibile”.

 

È questo anche per me il senso del viaggio?, mi chiedo mentre continuo a leggere e mi dimentico di tutte le altre incombenze.

Oggi è mercoledì 23 febbraio del terzo anno con un quasi Carnevale e questa Cronaca 717 ha deciso che è ora di andare a recuperare la tracolla da viaggiatrice, e credo che abbia ragione.

lunedì 31 gennaio 2022

Cronache dagli anni senza Carnevale/694. La fisica quantistica della carta e dei libri

 

 


 

Come scegliere cosa tenere e cosa gettare? Metterò mai più quel lungo abito color avorio? Rileggerò quel romanzo che mi era piaciuto così tanto? Ha senso continuare a conservare i ritagli delle recensioni più interessanti a libri che poi non abbiamo mai comprato? E quelle vecchie fotografie sfocate di gente che non abbiamo visto mai più, che senso ha tenerle ancora? Sono domande che mi pongo tutte le volte che faccio ordine negli armadi, nei cassetti e nelle librerie e più passa il tempo più mi rendo conto che il senso non esiste se non perché ogni oggetto è la chiave di una diversa porta che ci conduce nel passato, un passato di cui non siamo più consapevoli, salvo quando prendiamo in mano quel romanzo leggero e piacevole e ci ricordiamo anche della piacevolezza di quel pomeriggio in spiaggia stesi a leggere e a guardare il mare. Oppure quando riguardiamo le fotografie di vecchi colleghi con cui non lavoriamo più da anni ma, che nel tempo che abbiamo condiviso sono stati importanti. Allora cosa tengo e cosa butto? La biblioteca accetterà anche questi romanzi remoti? Le fotografie le conservo ancora, dei libri ho imparato a fare a meno e a regalarli, perché possano continuare a seminare piacere e curiosità anche in altre menti, soprattutto quando ho la certezza che non li rileggerò mai più. La cosa stupefacente di ogni riordino è che, nonostante la quantità di libri e oggetti regalati o buttati via, secondo la ben nota legge della carta polistirolo, sul ripiano della libreria non ci sarà comunque nessuno spazio per un libro nuovo. Questo è uno dei misteri della fisica quantistica dei libri, soprattutto quando siamo certi di avere finalmente riposto in ordine di pubblicazione tutti i libri di Paul Auster e, non si sa come, troviamo in mezzo un Philip Roth che, a parte la condivisione della casa editrice italiana, non centra proprio nulla. Lo stesso accade quando riordiniamo tutti i libri di e su Katherine Mansfield e Virginia Woolf. Sono sempre molti, molti di più di quanto non ricordassimo, così dobbiamo fare e disfare l’ordine dieci volte prima di averli raggruppati secondo un ordine solo a noi noto e che presto avremo dimenticato e rimettere le mani su quei ripiani sarà sempre come partire per una caccia nella jungla nera e selvaggia. Il segreto che tutti gli amanti dei libri conoscono è che i libri parlano tra loro e si raccontano di notte con voci sussurranti che le nostre orecchie sensibili di lettori e maniaci riusciamo a sentire. Per questo impariamo molto più di quanto una semplice lettura potrà mai darci. Perché i libri sono come i gatti, affamati e riconoscenti, fanno le fusa per attirare la nostra attenzione e quando cadiamo tra le loro sgrinfie, non possiamo resistere alla loro malia.

 

 

Navigare nel mare dell’infanzia

 

Con ogni libro costruisco

un mondo o lo distruggo.

Volo su un magico tappeto

e solco l’oceano più periglioso

mentre Nemo si inabissa tra

le onde dell’infanzia e la foresta

continua a richiamare non solo

cani e lupi, ma anche noi

bambini, quei bambini che

stanno sdraiati interi pomeriggi

e quando finiscono un libro,

lo iniziano da capo.

 

 

Che tenerezza avere ritrovato i libri che leggevo da bambina, sfogliarli e poi riporli in un ripiano speciale, quello dove stanno i libri che vogliamo continuino a farci compagnia. Una compagnia imperdibile di cui ci è impossibile fare a meno. Oggi è lunedì 31 gennaio del terzo anno senza Carnevale e questa Cronaca 694 ancora una volta ha smesso di spolverare i libri e si è messa a pancia in giù sul tappeto a rileggere Il giro del mondo in ottanta giorni, cosa che, a questo punto, penso farò anch’io.

giovedì 20 gennaio 2022

Cronache dagli anni senza Carnevale/683. Dove una sera di gennaio diventa un volo in mongolfiera

 


 

 

Freddo e lungo, infinito, gennaio è sempre e da sempre il mese più lungo dell’anno. È anche nebbioso, dubbioso e pigro, perché fa freddo e stare fuori non è molto piacevole. Ma poi basta avere un appuntamento per cena con un’amica e anche gennaio si illumina, come se mille lucine di Natale fossero sfuggite al mese passato e si fossero rimesse a funzionare. Così racconti di libri, Yourcenar e Woolf, viaggi mitici a Istanbul, Anatolia e Cappadocia irrompono nella noiosa quiete milanese e il tempo vola in racconti e progetti che prendono forma, romanzi iniziati da tempo che si avviano verso il loro compimento e romanzi appena iniziati che reclamano spazio, molto spazio per uscire a girovagare nel mondo. Non c’è niente di meglio che parlare di libri e letteratura in una fredda serata di gennaio a Milano, pensando anche alle amiche e agli amici lontani che vorremmo rivedere quanto prima.

 

Alle amiche lontane

 

Immaginare una storia,

iniziare a raccontare e

un’altra voce continua,

così non c’è più distanza

tra la mia e la tua voce

e possiamo continuare

a parlare per ore e ore

che non sono frammenti

di tempo, ma invenzioni

del mondo, sorrisi che

non finiscono mai e parole

che sgorgano e chiamano

le altre amiche lontane,

quelle che vorremmo

con noi stasera.

 

 

 

È molto tardi, è stata una serata bellissima, infinita e breve allo stesso tempo. Una serata che è stata una continuazione e un preludio. Sì è proprio così mia Cronaca 683 di giovedì 20 gennaio del terzo anno senza Carnevale, per oggi non abbiamo bisogno di altre parole.

giovedì 30 dicembre 2021

Cronache dagli anni senza Carnevale/662. Quando le città si parlano tramite noi viaggiatori impollinatori

 


Così sono tornata nella città mai più silenziosa e una volta ancora scopro che le strade di Pescara e Bologna mi sono rimaste nei passi. Le strade di ogni città sono come il sistema circolatorio del corpo umano e quando le percorri, soprattutto per la prima volta, ti restano appiccicate alle suole. È questo uno dei molti modi in cui le città conversano, affidano ai nostri passi i loro messaggi e noi, inconsapevoli come gli insetti impollinatori, li trasportiamo. Cosa mai si saranno dette stamane Milano e Bologna e Pescara? Quest’ultima città sono certa che avrà mandato aria marina e vento, Bologna le sue lamentazioni per i canali scomparsi, perché sa che Milano può capirla e avrà invidiato un po’ tutti quei bei palazzi rossi. Con tutte queste immagini nel cuore e negli occhi ho ingrandito la mia città interiore, con tutte le conversazioni ho arricchito la mia conoscenza della letteratura, con l’amicizia di Elisabetta, Giorgia e Francesca, Simone e Enrico nuovi libri e nuove parole hanno fatto il nido nelle mie librerie, quella reale e quella immaginaria, due succursali dell’immensa Biblioteca di Babele ipotizzata da Borges. Com’è strano ritornare nella mia città, anche se sono stata via solo due giorni mi vengono sempre in mente i grandi ritorni dalle vacanze estive in Calabria, quando viaggiavamo tutta la notte e all’uscita di Melegnano ci si fermava all’Autogrill a fare colazione con cappuccino e brioche e a respirare quell’aroma inconfondibile cose deliziose con quello di smog, benzina, corpi stanchi, nebbia e nuvole basse. Era quello l’odore di Milano, che gioia ritornare! E sentire l’autunno nelle vene, l’inizio della scuola che si avvicinava, e un nuovo anno che iniziava a dispetto del calendario solare. Ogni istante che viviamo è sempre un miscuglio di nostalgia, desiderio di cose nuove e attenzione al tempo presente. Ogni istante è un dono e una condanna, lo so molto bene. Soprattutto oggi che continuo a pensare a un’amica scomparsa ieri, per me all’improvviso, perché non sapevo che fosse ammalata. Conoscevo Bianca Garavelli da una ventina d’anni, in passato abbiamo condiviso molte cene e pranzi, gite in campagna, presentazioni di libri, premi letterari, lunghe discussioni e serate di San Silvestro con Grazia e Danilo, Annalisa e Edoardo e nel tempo anche Dario. Era una donna coltissima Bianca, una fine e riconosciuta dantista, appassionata studiosa e brava scrittrice. Era ancora giovane e avrebbe avuto tanti anni ancora davanti a sé, se il tempo non l’avesse strappata da noi così presto. Negli ultimi anni ci eravamo incontrate poche volte, ma non potrò mai dimenticare la sua eleganza, l’amore per i colori, un vestito estivo di lino color malva con il cappello a larghe falde coordinato, una camicia da notte con vestaglia coordinata di seta verde smeraldo e pizzo nero che aveva indossato dopo il veglione almeno quindici anni fa. Ovunque tu sia mia perduta amica, spero che avrai già incontrato Dante e che passerai l’eternità a discutere con lui.

Oggi è giovedì 30 dicembre del secondo anno senza Carnevale e questa Cronaca 662 è dedicata a Bianca, a volte le cose importanti devono restare senza parole.

martedì 28 dicembre 2021

Cronache dagli anni senza Carnevale/660. Se Stephen King vive anche in riva all’Adriatico

 

 


 

L’ombra è ancora più vasta della luce alle otto del mattino, il treno parte veloce, il sonno è ancora tutto negli occhi. Eppure vince l’istinto del viaggio, un viaggio veloce, dove la nebbia della pianura viene sostituita dal mare, che appare all’improvviso dalle parti di Pesaro, e dalle dolci colline marchigiane che vengono subito raggiunte dalle dolci colline abruzzesi. In questo viaggio di andata, tra gli accompagnatori, ci sono anche Giorgia Tribuiani e Blu, Emily Bronte con Heathcliff, Bert Hellinger e le sue costellazioni, Fernando Pessoa e i suoi inquieti frammenti. In compagnia di bei libri i viaggi sono veloci, all’arrivo una città nuova per me ed Elisabetta si spalanca con i suoi odori, il suo fiume, il cielo che si apre in un azzurro marino, le case basse, il lungomare infinito, come tutti i lungomare adriatici. Una sosta rapida al B&B a lasciare gli zaini, la nostra amica Giorgia ci raggiunge, che gioia! Le strade ci accolgono con tutta la diffidenza che ogni strada ha nei confronti di piedi forestieri, ma solo per un momento. Le bancarelle natalizie, le luci, il mare, finalmente il mare, una veranda aperta sulla spiaggia, il profumo della salsedine e poi quello del pesce alla griglia. Quante cose si possono dire nel tempo benedetto di un pranzo arricchito dall’amicizia? Poi di nuovo una lunga passeggiata in centro, un caffè sedute all’aperto anche se la temperatura si è abbassata. Un altro passaggio al B&B e poi a cena a casa di Giorgia ed Enrico, una casa piena d’amore e di libri. La fiamma dell’amicizia scalda più di qualsiasi fuoco e abbiamo fatto mezzanotte in un soffio, con i libri di Stephen King che ci osservavano rapiti da svariati scaffali della libreria. E quel piccolo mondo, quella piacevole cittadina in riva al mare, quel cerchio magico formato dalla nostra amicizia, erano attraversati da mondi fantastici millenari e futuristici che abbiamo amato, letto o inventato. Ma era sempre lui, il signore della letteratura fantastica, ad avere vegliato sulle nostre parole.

 

 

Dove soffia il vento dell’immaginazione

 

 

Se dico fantastico, chiamo

l’immaginazione alla nostra

porta. Chi busserà per primo?

Quale uomo straordinario?

Quale leggenda? Sono tutti

qui con noi stasera, mostri

fantasmi e vampiri, creature

fantastiche, creature dell’immaginario.

Da una torre nera esce l’ultimo

cavaliere, che sarà il primo

a raggiungere quelle cime

tempestose dove il vento

della creazione soffia per

noi ogni giorno.

 

 

Questa Cronaca fantastica di martedì 28 dicembre del secondo anno senza Carnevale è dedicata a Elisabetta Giromini, compagna di viaggio, e Giorgia Tribuiani ospite impagabile. Sono accadute molte più cose e molti più racconti, di quanto non abbia accennato, sono passati tra noi. Ma è bello tenere nel guscio dell’amicizia quella creatura luminosa e fragile che è la confidenza, quel tempo condiviso che è stato solo nostro.

mercoledì 8 dicembre 2021

Cronache dagli anni senza Carnevale/640. Vivere nella dimensione molteplice della visione, del ricordo e dell’immaginazione



La pioggia di Firenze, la neve di Milano accadono nello stesso momento ma io posso vedere solo una delle due. Come brillano i tetti antichi bagnati dalla pioggia, com’è bella Firenze anche quando piove. Camminare per le sue strade è camminare nella storia, respirare quell’aria fatta di tempo e bellezza che è tipica di questo luogo. Agli Uffizi, in una folla pre-pandemia, siamo riusciti a fermarci abbastanza tempo davanti ai quadri di Raffaello, Botticelli, Caravaggio, Leonardo, Michelangelo, Rembrandt e Rubens. Perché siamo così sensibili alla bellezza e quanto più i manufatti sono antichi tanto più ci emozionano e commuovono? Ho trovato straordinari anche i busti dei filosofi greci, mi sono fermata a guardare i profili, il naso, il taglio degli occhi, la bocca, i capelli, la barba. E ho avuto l’impressione che Aristotele stesse per iniziare a parlare. La pioggia è caduta per diverse ore nel pomeriggio, così quando siamo arrivati a Santa Croce, eravamo zuppi e infreddoliti, ma abbiamo fatto il giro delle tombe e di nuovo emozioni più grandi di me, mi hanno sovrastata. Alfieri e Foscolo si fanno compagnia da secoli, come Michelangelo e Galileo. Di cosa parleranno nelle notti senza luna, quando escono a passeggiare nel giardino e nel chiostro? Saranno nate altre opere immortali tra queste ombre? Opere che non vedremo e non leggeremo fino a che saremo intrappolati in questa realtà? Ogni città italiana porta con sé le storie degli artisti che vi hanno vissuto, l’hanno amata o detestata, abbandonata o rimpianta. Così, ancora immersa in tutta questa bellezza, mentre guardo la pioggia di Firenze, penso alla neve di Milano che non vedrò, al silenzio sovrannaturale che accompagna sempre la neve, allo scricchiolio dei passi, al fiato che si materializza, al fulgore di tutta l’aria intorno. E vivo nella dimensione molteplice della visione, del ricordo e dell’immaginazione. Ha smesso di piovere a Firenze, si può riprendere a camminare mentre la nuova sera si impadronisce di questa città che è uscita dal matrimonio di sogno e memoria.

Oggi è mercoledì otto dicembre del secondo anno senza Carnevale e questa Cronaca 640, ancora in trasferta, la seconda Cronaca in trasferta dall’inizio della pandemia, vuole tornare a guardare l’Arno e i ponti, la bellezza non basta mai. La fotografia l'ha scattata mio nipote Marco.

domenica 28 novembre 2021

Cronache dagli anni senza Carnevale/630. Le farfalle sono parole che si sono alzate in volo

 

 


 Quando vogliamo partire non sempre sappiamo che una parte di noi è già arrivata a destinazione. Può essere la tundra siberiana o la costa bretone battuta dai venti, ma sempre un pezzetto della nostra anima è già arrivato nei luoghi che abbiamo anche solo sognato. In tutto il mondo ci sono tracce di noi, anche se non lo sappiamo, e allo stesso modo tracce di mondo sono in noi. Sia quando lo abbiamo davvero visto con i nostri occhi, quando lo abbiamo toccato, annusato, mangiato, respirato, sia quando lo abbiamo solo immaginato e desiderato, filamenti di mondo, frammenti di mondo ci attraversano e poi sedimentano in noi e diventano parte di noi. C’è chi viaggia per piacere, chi per necessità, c’è anche chi non parte mai perché l’anima è al suo posto sempre nello stesso orizzonte, sotto lo stesso cielo e sotto gli stessi tetti e cornicioni dove le rondini tornano ogni primavera a nidificare. Ci sono anime che vagano perché devono vagare e nelle strade che percorrono, nelle persone che incontrano trovano i luoghi giusti per lasciare frammenti di sogni e storie e altrettanti portarne a casa. In questo doppio movimento dello stare e dell’andare possono nascere storie meravigliose che vogliono essere raccontate e ci sono anime vagabonde che nella tensione tra la casa e le origini, tra il tetto sconosciuto e lunghi percorsi su bus scassati che vanno a venti all’ora sulle strade del Marocco, trovano un senso nel loro essere e stare al mondo. È nel movimento che nascono le storie, è nel movimento che il tempo ricama il senso delle narrazioni e le parole sanno sempre dove andare quando la scrittrice fa volare sulla tastiera le dita come fossero ali di farfalla. Si alzano in volo tutte insieme queste farfalle e sfiorano l’anima di chi ha scritto per prima e poi le anime di chi legge, dopo.

 

Quando la storia sarà finita

 

Desiderio di essere altrove,

per cercare chi davvero

siamo. Per questo non

basta restare e immaginare,

bisogna immaginare e

andare, rinforzare le suole

di vento e credere che ogni

storia sia più grande della

nostra immaginazione. Per

questo ti dico vai e ritorna

solo quando la storia sarà

finita e la grande terrazza

pronta ad ascoltarti ancora,

anima mia vagabonda che

sogna sotto questi cieli.

 

 

 

Che voglia di prendere e partire, che voglia di stare in giro e non sapere mai al risveglio i luoghi, le persone, i cieli, il cibo e l’aria che avremmo incontrato. Una delle grandi maledizioni figlie di questa pandemia infinita è proprio l’aver reso i viaggi più complicati e rischiosi. Ma per fortuna ci sono i libri e i film, mi ricorda questa Cronaca 630 di domenica 28 novembre del secondo anno senza Carnevale, mentre guardiamo dall’alto Milano e il suo libero cielo.

giovedì 30 settembre 2021

Cronache dagli anni senza Carnevale/571. Viaggiare su ogni confine del mondo, tracciare la mappa dei nostri sentimenti

 



Come si riconoscono i confini nel deserto se la linea è solo una teoria di granelli di sabbia?

Come possiamo sapere dove finisce il mare e dove inizia il cielo sul filo dell’orizzonte?

E che ne è stato di quel confine sulle rocce, soprattutto ora che la prima neve è caduta?

E noi siamo del mondo e nel mondo o la nostra pelle è confine tra noi e il mondo, tra noi e l’altro? Un confine è un confine anche quando è invisibile, può essere dentro di noi o fuori di noi, è ciò che ci distanzia dal mondo e ci definisce nel mondo.

Quando non ci sono altre mappe da tracciare, ma intuiamo che ci siano terre ancora inesplorate, ecco che possiamo scrivere Hic sunt leones e fermarci al di qua, dove la terra è nota e dove non verremo assaliti da belve feroci. Tracciare confini e violarli per andare a caccia, per depredare le terre altrui, pare che sia una delle attività predilette dalla nostra specie. Chi ha dominato politicamente il mondo negli ultimi due secoli ha tracciato confini col righello, insostenibili nella realtà. Chissà se qualche viaggiatore ha mai camminato su tutti i confini del mondo. Quanti chilometri saranno? Sarebbe possibile fare questo viaggio in questi non-luoghi tracciati per spartire, dividere, confinare? Sarebbe possibile vivere senza confini? Forse in una favola, non certo in questo mondo, non certo in questo tempo. Ora che tutto è stato mappato, che abbiamo mappe satellitari e fotografiche pressoché perfette, può continuare il mondo a essere un luogo interessante e misterioso? Per fortuna sì, perché è l’esperienza individuale di ciascuno che definisce un mondo e i confini. E dobbiamo averne fatto esperienza. Dobbiamo averlo veduto di persona o in immagini e video per farcene un’idea. Forse basterebbe anche un racconto, ascoltato seduti accanto a un fuoco per avere un’idea di un luogo remoto e desiderare di andare a conoscerlo. La pandemia ha moltiplicato in noi questo desiderio e ha scavato abissi nei ricordi dei viaggi fatti e nel rimpianto di quelli che non abbiamo potuto fare.

 

 

Chiamare per nome ogni rosa

 

Mi muovo sempre tra

due linee immaginarie:

una segna il passato,

l’altra il futuro. Una traccia

la nostalgia, l’altra il desiderio.

Sono parallele queste

due linee, ma basta quel

piccolo scarto dell’immaginazione

per tornare o andare, per

dire io o pronunciare il tuo

nome. Solo l’amore varca

i confini senza lasciare

traccia, perché non li

vede, perché non li sente.

E tu, e io, siamo vicini

in queste parole amorose

che chiamano per nome

ogni stagione, ogni rosa.

 

 

 

Oggi è giovedì 30 settembre del secondo anno senza Carnevale e ho sistemato il cassetto dove tengo le cartine geografiche, ho ripercorso gli itinerari di alcuni grandi viaggi compiuti nel passato e mi è venuta questa idea folle che sarebbe bello fare un viaggio ripercorrendo tutti i confini del mondo. Questa Cronaca 571 ha già lo zaino in spalla e scarpe comode, la lascio partire, voglio proprio vedere dove mi porterà.

venerdì 6 agosto 2021

Cronache dagli anni senza Carnevale/516. Ogni libro è la promessa di un viaggio

 


Il viaggio inizia con l’euforia, con il desiderio di scoprire nuovi luoghi, nuovi cieli e incontrare persone sconosciute. Di assaporare sapori inconsueti, di immaginare come sarebbe vivere in un altro paese o città. Noi umani abbiamo bisogno di cambiare, il nostro cervello ha bisogno di stimoli nuovi ogni giorno, abbiamo bisogno di imparare. Ma insieme a questo bisogno di movimento, a questa irrequietezza convive in noi il bisogno di stare, di costruire la nostra casa, il nostro rifugio, di creare un ambiente dove crescere i figli, condividere il tempo con le persone che amiamo, dare una dimora ai ricordi. Vogliamo allo stesso tempo una cosa e l’altra e nel tempo oscilliamo tra questi due movimenti della nostra natura profonda che sono imprescindibili. Abbiamo desideri polarizzati che si contraddicono, il nostro animo è una contraddizione e si parte anche per il gusto di ritornare, e poi si sta chiusi in casa pensando al prossimo viaggio. Ho familiarità con i lunghi viaggi di andata, e ritorno, in auto grazie alle estati trascorse in Calabria con la mia famiglia e poi ai vagabondaggi giovanili in giro per tutta Europa. Auto e campeggio continuano a essere una combinazione irresistibile per me. E ho sempre fantasticato sui viaggi, a partire dalla lettura infantile di Jules Verne e del suo romanzo Il giro del mondo in 80 giorni. Che bello viaggiare in compagnia di Phileas Fogg in un mondo che non esisteva neanche più. E poi Marco Polo e Il Milione, l’Odissea, e poi la scoperta di Bruce Chatwin, Nicolas Bouvier, Robert Byron, Patrick Leigh Fermor, Alexandra David-Neel, Isabelle Eberhardt, Paolo Rumiz, Predrag Matvejevic, Luis Sepulveda, Norman Douglas, Andrea Bocconi, Simone Perotti e Marco Steiner, di cui ho comprato oggi, Nella musica del vento e poi chissà quanti altri che sto dimenticando.

Ogni libro è la promessa di un viaggio, un viaggio che qualcun altro ha compiuto e poi ha voluto raccontare. I libri di viaggio sono un eccellente antidoto alla nostra irrequietezza che niente riesce mai davvero a placare. I libri dove non ci sono viaggi sono lo stesso uno strumento per viaggiare nel tempo e nello spazio e poi ritornare, mai davvero uguali a chi eravamo quando siamo partiti.

 

 

Viaggiare è il tradimento del focolare

 

Cerchiamo l’ombra, nostra

sovrana nei mondi nuovi e

poi le orme di chi è passato

prima di noi. Abbiamo Itaca

che ci aspetta e il silenzio

declinato nelle lingue che non

parliamo. Forse avremo

circumnavigato il mondo,

ma quando torneremo,

il cielo non sarà lo stesso e

nemmeno il nostro mare

interno, ce lo dirà lo specchio

l’enorme cambiamento, quel

tradimento del focolare che

abbiamo distrutto e poi

ricostruito, della barca che

abbiamo sognato e che

ci ha portato in ogni altrove,

in ogni sogno, in ogni poesia.

 

 

 

Ecco, sono pronta a partire, finirò il giro della stanza, saluterò la casa. E partirò con un libro nuovo e un taccuino intonso.

Oggi è venerdì 6 agosto del secondo anno senza Carnevale e questa Cronaca viaggiatrice è la 516, ancor più desiderosa di andare di quanto non lo sia io.

lunedì 2 agosto 2021

Cronache dagli anni senza Carnevale/512. Un viaggio non è solo movimento dei corpi nello spazio

 


Il silenzio e la città, un’antinomia che si è risolta solo una volta da sempre e per sempre, ad aprile del primo anno senza Carnevale, durante il grande lockdown. A parte le cantate sui balconi, poche nel mio quartiere, niente traffico e niente rumori umani. Oggi, anche se siamo in agosto, traffico abbastanza sostenuto, bambini capricciosi rimbrottati da genitori impazienti, muratori che lavorano in diversi cantieri con trapani, martelli pneumatici, seghe elettriche. Tutta Milano è punteggiata da ponteggi e i lavori in corso fervono anche in negozi che eravamo abituati a vedere uguali a se stessi da decenni. Potrei scrivere un campionario dei rumori cittadini, ma è molto più rilassante pensare al canto dolce dei grilli che sono tornati persino qui e regalano un’atmosfera di vacanza anche alla città in perenne mutamento.

La maggior parte dei negozi chiuderà per ferie alla fine della settimana, uno dei panettieri è già in vacanza, così l’aroma del pane è diventato solo uno sfumato sentore. E non è che ci siano molti altri odori gradevoli nell’aria milanese. A Parigi ricordo profumi di cibo fritto, pane e croissant burrosi, e un vento che arrivava dall’oceano che era però così lontano. A New York odore salino nell’aria e poi spazzatura, niente di poetico. A Londra l’odore del legno e delle moquette nelle case vittoriane, a Dublino l’odore del tè al latte e dei biscotti al burro, a Tel-Aviv l’odore inconfondibile della macchia mediterranea, a Gerusalemme quello della pietra scaldata dal sole, a Catania dominavano il profumo degli eucalipti e delle zagare, a Lisbona era l’aroma del merluzzo al forno con le patate e quello del vino bianco, a Trieste l’odore della resina dei pini e quello salino del mare. Ecco, ci sono cascata, la mia passione per le liste mi ha portato a ricordare alcune delle città che ho visto e visitato, in alcune ho anche vissuto per qualche giorno o settimana e che voglia di tornarci. Così mi sa che dovrò fare una lista completa dei luoghi e delle città che ho visitato. Che non sono poi molti, ma neanche così pochi. Sì, che voglia di viaggiare, a zonzo per l’Italia e per la Francia soprattutto!

 

 

La luce nel suo compimento

 

Un viaggio non è solo

un movimento del corpo

nello spazio, un viaggio è,

più di tutto, un lavoro

preparatorio per la memoria.

Bisogna fare spazio agli

incontri, ai venti e ai volti,

lasciare che le pagine

bianche in noi, siano

pronte a lasciarsi incidere

da altre voci, da altri

sguardi e diversi profumi.

Anche la luce sarà diversa,

ma non nel suo compimento:

lasciare che ogni ombra

trovi il suo rifugio.

 

Ho conservato tutte le mappe geografiche e le guide dei luoghi che ho visitato, so che hanno e avranno senso solo per me. Ma che bello leggere i nomi e ricordare almeno un’immagine, un suono per ognuno. Ora ci sono altre pagine abbastanza bianche, bianco è il colore dello stupore e l’età un po’ inficia la capacità di provare meraviglia, ma la poesia viene sempre a consolare e si lascia scrivere nell’aria e nel vento, nel momento dell’onda e nel mare. E poi qui, proprio qui, alla mia scrivania nella città mai più silenziosa, dove si compiono buona parte dei miei viaggi immaginari.

Oggi è lunedì 2 agosto del secondo anno senza Carnevale e questa è la Cronaca 512, incerta tra la paletta gialla e quella blu da abbinare al secchiello rosso per la sabbia.

sabato 31 luglio 2021

Cronache dagli anni senza Carnevale/510. Estate e Calabria erano una sola parola, gioia di vivere e mare e sole

 



Agosto, le vacanze finalmente! Che grande rito collettivo sono state le ferie d’agosto per noi baby-boomer. E in questa comunanza ogni famiglia aveva la propria ritualità.

I preparativi: acquisto dei doni per i parenti, chili di zucchero e caffè, come se giù non ce ne fosse, stoffe, vestiti, scarpe. Zucchero e caffè ci ho messo un po’ a capirlo come regalo, ma il caffè, freddo e già pronto, o appena fatto con la caffettiera napoletana e zuccheratissimo era una cortesia per gli ospiti imprescindibile. Ho conservato io la “guantiera” – piccolo vassoio di vetro – che era a della nonna, e che girava per casa a qualunque ora.

La partenza: quasi sempre nel cuore della notte, tra le 2 e le 3 del mattino, qualche volta un po’ più tardi, prima dell’alba. Ho imparato così a conoscere l’odore della notte a Milano, un misto di umidità, erba e aria stagnante.

Il viaggio: si partiva con due thermos, uno di caffè per i genitori e uno, più grande e largo, di polpette per tutta la famiglia. Poi pesche e pomodori, pane a fette, damigiana termica da 5 litri gialla e bianca che poi ci avrebbe accompagnato al mare ogni giorno. Di solito, quando si arrivava in Calabria era d’obbligo una sosta a Spezzano Albanese per riempirla con l’acqua buona. Ai bambini era concesso un supplemento di patatine Pai, gomme del Ponte, tavoletta di cioccolata e una buona scorta di fumetti Topolino. Il tutto veniva consumato entro le prime due ore di viaggio e poi iniziavano i litigi. Le soste ai distributori di benzina della Esso “metti un tigre nel motore” erano imprescindibili. L’odore della benzina, le code ai bagni, gli Autogrill Pavesi, un cappuccino con brioche se era ora di colazione, i giochi colorati e il cibo in abbondanza che, anno dopo anno, sembravano sempre uguali. La prima meta era Bologna, ci volevano dalle 2 alle 4 ore a seconda dell’ora e del giorno di partenza del primo fine settimana di agosto. Poi bisognava scegliere se proseguire sull’Autostrada del Sole, una vera avventura, o prendere l’Adriatica. Posso dire di aver visto quasi nascere e crescere le due principali reti autostradali d’Italia. Gli Appennini erano tutto un “Sali, Sali” e “Scendi, Scendi”, uno dei miei primi viaggi durò quasi 3 giorni, la macchina era una Prinz azzurra e ancora potevo stendermi da sola sul sedile posteriore e ronfare per quasi tutto il viaggio o giocare con la mia bambola Susanna e il bambolotto Mario, calciatore dell’Inter con la classica maglia a righe nerazzurre (a proposito, la nuova maglia pitonata, ma a chi è venuta in mente?). E poi i raccordi anulari di Roma e Napoli, la Basilicata, Lagonegro – che è davvero un lago scuro – il monte Pollino e poi Calabria e odore di gaddruzzo, cioè galletto, come diceva papà.

L’arrivo: i parenti erano tutti lì che ci aspettavano, io correvo subito dalla nonna. “Nonna, nonna! Dove sei? Siamo arrivati!” e lei mi rispondeva ridendo: “Bella!” era così che mi chiamava insieme a bell’i nanna, Ninni e Titti, si proprio come il canarino di gatto Silvestro che adoravo. E poi la cuginetta Maria, detta Mariuccia, la mia gemella e complice di tutte quelle estati. E tutti gli altri zii e zie, fratelli e sorella di papà, con i miei cuginetti e i cugini di papà e sorelle e fratello della nonna. Quanti eravamo? Mal contati direi almeno in 70. Da non crederci, davvero. E l’estate era davvero solo quella calabrese, perché luglio era il prologo al grande viaggio e settembre il mese della nostalgia dolce, che si stemperava solo con l’inizio della scuola.

La vacanza: qua e là ne ho già scritto nelle Cronache, oggi dico solo che la vacanza era sinonimo di felicità. Una felicità fatta di mare, e poi dei boschi di querce, dei fichi, dei mandorli e dei noci, dei campi di grano bruciati, dell’odore del focolare, dei peperoni verdi fritti, dei pomodori dell’orto, del tabacco steso a essiccare, del fieno, del grande oleandro bianco davanti a casa e di quelli rosa verso l’orto, del pergolato di uva fragola, del gattone tigrato e delle galline che razzolavano libere ovunque, del bucato che profumava di sapone di Marsiglia. E il rito della salsa di pomodoro che iniziava all’alba con il lavaggio delle bottiglie e finiva con la bollitura delle stesse, avvolte in sacchi di iuta in un enorme bidone che era stato abbandonato dalla Wermacht tedesca alla fine della guerra. E soprattutto della gioia di essere tutti insieme, di divertirci, di correre a piedi scalzi sulla terra come facevano i cuginetti, di cucinare le pizze nel forno a legna di zio Giacomo, di giocare interminabili partite a Scala 40, Briscola e Scopa d’Assi con i cuginetti Domenico, Luigi e Salvatore. E poi a Zorro/Luigi, di cui io ero la fidanzata – che nella serie non c’era – e il sergente Garcia/Salvatore e il servo muto Bernardo/Mariuccia – non chiedetemi perché, ma ero io che assegnavo le parti, e gli inseguimenti su e giù per la collina dello zio, e le scorribande nel granaio e poi nel pollaio a far scappare le galline e i niani, tacchini. E i fichi tiepidi mangiati appena colti dall’albero, le more dei gelsi, le nespole, merenda squisita gratis a ogni ora. E le mandorle e le noci acerbe che un’estate ci causarono un avvelenamento da tannino con febbre a 40°. E ancora i salti sul lettone di zia Maria, gli arrampicamenti sul baule della camera da letto che era sotto la finestra e saltare giù stando in piedi, così sembrava alto il doppio quel salto. E le colline che ci circondavano e il mare che era di là, oltre, ma sempre presente. Quelle erano vacanze, quella era la gioia del corpo, lo stordimento del sole, la freschezza dell’acqua.

La partenza: significava ore di pianti, abbracci, promesse per l’estate dell’anno prossimo che iniziava già da quel giorno. Si partiva con la macchina con le valigie legate sul portapacchi insieme a cassette di legno con le bottiglie di salsa che dovevano bastare a superare l’inverno, i pomodori freschi, i mazzi di basilico, i peperoni verdi da friggere e quelli secchi rossi da mangiare in inverno con i broccoli e qualche cucchiaiata di scarafuogli, cioè tutto il grasso e la carne del maiale che restavano sul fondo del pentolone dopo avere bollito le ossa. E ancora il pollo fritto con l’aglio, l’origano e le patate avvolti poi nella carta oleata, la pagnotta e le pite, le frese, i pomodori, le cipolle rosse di Tropea, i fichi maturi, le more.

L’arrivo a Milano: l’odore della pianura, il cielo grigiastro all’alba, l’ultimo Autogrill dopo Bologna, il casello di Melegnano, la tangenziale. E la gioia che diventava sogno e desiderio per l’estate che sarebbe arrivata dopo tre stagioni milanesi.

Se potessi fare un viaggio nel tempo è proprio lì che vorrei andare, in quella terra, con quelle persone, con quel sole e quei profumi, a cercare la bambina di campagna che sono stata e di tornare ad arrampicarmi sul gelso da more con Mariuccia e un vaso di Nutella sottratto a zia Maria, che per lei era nonna Maria, che ci spalmammo sulla faccia prima di mangiarla.

 

Oggi è sabato 31 luglio, l’inizio delle vacanze, la fine vera dell’anno che è ancora un anno senza Carnevale, come questa Cronaca calabrese che è la 510.

P.S. del giorno dopo: mio fratello mi ha ricordato che tra le merende del viaggio di andata c’erano anche i biscotti Togo. La memoria ha davvero anche una dimensione collettiva incredibile, per questo 1+1 fa 5.


venerdì 30 luglio 2021

Cronache dagli anni senza Carnevale/509. Una galassia che ruota, una costellazione, un sole sconosciuto

 

L’inizio di ogni viaggio era una festa, si comprava la cartina del paese che avevamo voglia di visitare e una guida, Michelin o Touring. Si decidevano poi il giorno della partenza da Milano e quello del ritorno. Tutto il tempo in mezzo, da una a cinque settimane, era da inventare giorno dopo giorno. Di quei primi viaggi amavo proprio il non sapere cosa sarebbe accaduto, le persone che avremmo incontrato, i luoghi nuovi che avremmo visitato, il cibo nuovo che avremmo assaggiato e sotto quale cielo avremmo dormito. Il riparo notturno erano piccole tende canadesi, si dormiva nei sacchi a pelo, qualche volta si cucinava sul fornello a gas, prima il sugo e poi la pasta. Partivamo sempre con due borsoni di libri, un taccuino, pochi abiti comodi, qualche scatola di spaghetti, lattine di pelati, sale, olio e peperoncino. Viaggiare significava uscire dalla propria pelle, sottrarsi agli stessi cieli che ci conoscevano dalla nascita, cercare un senso alla vita adulta che si stava presentando, sfuggire al controllo delle famiglie.

Fu durante uno di quei remoti viaggi che provai per le prime volte quel senso di sgomento cosmico, un miscuglio di inquietudine, finitudine e immensità dell’universo intorno a me. Una volta mi accadde a Narbonne plage, in un campeggio dove c’eravamo solo noi e una famiglia tedesca con due bambini piccoli. Aveva piovuto quasi tutto il giorno, avevamo mangiato solo un panino per pranzo, ma eravamo troppo stanchi per andare a cena in un bistrot. Così preparammo uno di quei piatti di spaghetti da vacanza che erano una pallida imitazione di quelli che si mangiavano a casa. Prima di cena mi allontanai da sola a passeggiare sulla spiaggia, vasta, vuota e grigia, come il mare e come il cielo. Provai un senso di vertigine e gli occhi mi si riempirono di lacrime. Intorno era come se l’intera galassia fosse ruotata per mostrarmi che, in quasi tutte le angolazioni, ero a testa in giù e che le stelle non danzavano sopra di me, ma il cielo stellato era un diverso mare nel quale non sapevo nuotare, non ancora, almeno. Non condivisi quella singolare esperienza con i compagni di viaggio, ma subito dopo cena andai a rinchiudermi nella mia tenda. Avevo bisogno di un guscio protettivo intorno a me e persa nella visione di quell’oceano stellato, mi addormentai, tranquilla. Fu proprio durante quei viaggi, che interrompevano la routine quotidiana fatta di lavoro d’ufficio, studio matto dopo il lavoro e scrittura e lettura fatte di notte, che imparai a lasciarmi andare alla sensazioni che mi avvolgevano o mi precipitavano addosso dalla natura circostante. Il vento, il cielo, le nuvole, il mare, le onde, la pioggia, gli alberi, che già appartenevano al mondo degli amori infantili, scavarono nel mio immaginario quei luoghi che negli si sono riempiti di immagini, di suoni, di gioia e di sgomento. In questi due anni di pandemia i viaggi sono stati soprattutto immaginari o ricordati, molti ricordi di ciò che ho visto e vissuto. Non so dire se la fonte di consolazione principale sia la memoria o l’immaginazione, ma so che tutti quei mondi, visti, sognati, immaginati, scritti e ricordati, vivono in me, sono parte di me. Come se anch’io fossi una galassia che ruota, come se insieme non fossimo che costellazioni o il sole remoto di un sistema solare ancora sconosciuto. 




Quanto mare è nascosto in me?


Mi sorprende ogni 

volta sapere che tutte

quelle immagini stanno

al chiuso, in un posto 

invisibile come il mio 

cervello che non vedo,

mentre vedo quella

spiaggia francese e

le onde di quel mare

serale che mi inquietava.

Quanto mare è nascosto

in me? Quante nuvole

non possono più andare

libere in quei cieli? Eppure

so, che in questo microcosmo,

nessuno ha nostalgia di

quella libertà. Nessuno, 

perché essere vivi in

un ricordo o in una poesia,

è molto più che essere

stati quel giorno, in quel

tempo, su quella spiaggia. 




Così accompagno al suo declino questo venerdì 30 luglio del secondo anno senza Carnevale, mentre questa Cronaca 509 è tutta orgogliosa di essere una galassia e una costellazione.