giovedì 31 dicembre 2020

Cronache dall’anno senza Carnevale/298: canto dell’anno vecchio e di quello nuovo

 



Le parole da sole bastano o non bastano? Hanno ancora senso alla fine di quest’anno parole come società, solidarietà, responsabilità, abbracci, onore, sacrificio, devozione, speranza, futuro, impegno, promessa?

Le parole da sole bastano e non bastano. La parola data, un tempo, era sacra. Oggigiorno, dipende.

Mentre nel nostro Senato del Tempo, le discussioni continuano, VentiVenti inizia a rilassarsi, poche ore e il suo di tempo, sarà passato. Il giovane recalcitrante VentiVentuno continua a dire di no, ma sente un sì enorme, gigantesco, che gli si gonfia nel petto. Ha anche notato che i suoi colori stanno cambiando, è meno traslucido, più rosato. Sono i segni della nascita che iniziano a manifestarsi.

Gli tremano anche le mani, ha paura, sente le viscere stringersi e sa che molto dipenderà dal sì che pronuncerà o dal no che continuerà a ripetere.

-     Vecchio, non so cosa stia accadendo in me… sto cambiando, e ora so che devo andare. Perché forse potrò fare la differenza.

-     Mi fa piacere che tu senta il cambiamento annunciarsi in te. Non tutto dipenderà dalla tua volontà e dalla tua forza. Ma tu puoi fare la differenza. Anch’io l’anno scorso non ne volevo sapere di andare, tu non hai assistito alle mie scenate perché stavi ancora di là, con i bambini. Poi ho deciso, ho scelto. Anche se avessi continuato a dire di no sarei comunque piombato nel mondo degli umani e sarebbe stata ancora più dura di quel che sai. Sono l’anno della pandemia, sono l’anno senza Carnevale. Forse lo sarai anche tu, almeno all’inizio. Ma vivere, si deve vivere e sperare di fare il meglio per sé e per gli altri.

 

Canto dell’anno vecchio e di quello nuovo

 

Nella notte del passaggio si

tendono le mani i due anni

vicini. Fa male questo tempo

incerto, fa male la distanza e

quanto pesano gli abbracci e

i baci non dati. Li terremo per

il futuro, per una nuova piega

del tempo che si aprirà e

rivedremo il mare e torneranno

i lupi nella terra della mia

immaginazione e ti vedrò arrivare

mescolato alla folla, ti vedrò e tu

mi vedrai. Sorrideremo e il tempo

che ci ha divisi, sarà il balsamo

di queste nostre ferite.

 

 

Bene, o quasi, il tempo è venuto per VentiVenti, che inizia ad allontanarsi avvolto nel suo mantello di nebbia. VentiVentuno si avvolge, invece, in un mantello leggero di nuvole e neve e inizia a comporre il suo canto che ancora non conosciamo.

Oggi è giovedì 31 dicembre dell’anno senza Carnevale. L’ora si avvicina, brindiamo al futuro, alla fine della pandemia, mandiamo baci col pensiero e stringiamoci forte con chi possiamo. L’anno nuovo si avvicina, vado ad accoglierlo.

mercoledì 30 dicembre 2020

Cronache dall’anno senza Carnevale/297: tessere il tempo, tirare un filo, scoprire che uno non è mai solo, uno è sempre molti

 


Com’è e come non è tutti gli anni del Novecento stanno continuando a litigare, mentre quelli del Ventunesimo secolo assistono straniti e d’improvviso si rendono conto di avere vissuto una vita che non era la loro.

Perché, vedete mie care lettrici e miei cari lettori, accorgersi, magari in età tarda, che non si è vissuta la propria vita ma quella che la famiglia d’origine, il coniuge, il lavoro, la società in cui viviamo ci hanno spinto a vivere, è un momento da cui non si torna indietro.

E quei due primi decenni proprio a questo stavano pensando. Perché il Novecento è stato un fardello pesantissimo, il Novecento è morto con la pandemia del 2020. Qui abbiamo un anno nuovo che non vuole arrivare, lì abbiamo un secolo che non vuole andarsene.

Ma è lo spirito del tempo che alla fine prende sempre il sopravvento e lo spirito del tempo è la finissima tessitura di pensieri, azioni e intenzioni degli umani. Che ormai sono all’incirca 8 miliardi e non il miliardo e duecento milioni di 100 anni fa.

Forse aveva ragione il filosofo (Sartre?) che scriveva che libertà significa assumersi la propria responsabiltà. Ha ragione la preghiera variamente attribuita a una popolazione nativa: “Aiutami Grande Spirito a cercare di cambiare le cose che possono essere cambiate, ad accettare quelle che non possono essere cambiate e, soprattutto, a capire la differenza tra loro”.

Tutti noi siamo figli di un’epoca, di una storia, di una famiglia, degli incontri che facciamo, delle amicizie e degli amori. Moltiplicate tutto ciò per 8 miliardi e capirete come si sente VentiVenti e perché VentiVentuno abbia paura.

In questa giornata di sole leggero che ha fatto sciogliere la neve, la pigrizia ha preso il sopravvento, una lunghissima passeggiata a fine pomeriggio ha liberato la mente di ciascuno dei contendenti. Così, stasera, ospito davanti al caminetto acceso e scoppiettante VentiVenti e VentiVentuno. Mentre il primo sta perdendo la sua aria da vegliardo e ringiovanisce, perché sa che tra un giorno sarà finita in questa dimensione e sarà altrove, a riordinare l’immenso archivio dell’anno che è stato, dell’anno che sarà ricordato come il peggiore da parecchi decenni, e suo malgrado, VentiVentuno continua a imbozzolarsi nei dubbi.

-     VentiVentuno, vieni più vicino. Voglio fare con te lo stesso ipotetico bilancio dell’anno che verrà. VentiDiciannove lo ha fatto con me e, devo dirti, non abbiamo azzeccato una sola previsione, come fossimo dei banalissimi astrologi terrestri. Inizia tu giovanotto…

VentiVentuno, girò la testa e disse soltanto queste parole:

-     Non ho bilanci da fare, non ho desideri, se non uno soltanto: spero di non assomigliarti mai, mai, mai.

Su queste parole perentorie e definitive chiudo questa Cronaca 297 che, di colpo, sente tutto il peso del Tempo sulle proprie spalle ed è come se non avesse la forza di andare avanti.  

Oggi è mercoledì 30 dicembre dell’anno senza Carnevale, il vecchio e triste VentiVenti. Ma a volte è vero che la vecchiaia diventa una grande opportunità. Quale sara l’eredità di quest’anno terribile? Penseremo alle parole che lo contraddistinguono e domani sera sapremo cosa avrà deciso VentiVentuno.

 

martedì 29 dicembre 2020

Cronache dall’anno senza Carnevale/296: due paesaggi, un unico mare, una sola domanda

 



VentiVenti e VentiVentuno erano sbarcati sulla spiaggia dell’Isola dei Conigli, a Lampedusa.

-     Non voglio farla tanto lunga, queste acque non hanno bisogno di spiegazioni e descrizioni. Ma dimmi tu cosa vedi…

Come previsto il giovane ribelle rimase senza fiato. Non poteva ancora entrare in mare e crogiolarsi al sole, ma era abbagliato da tanta bellezza.

-     È una spiaggia meravigliosa, me l’avevano descritta i vecchi, ma è ancora meglio dal vivo.

-     Ti ho portato qui anche perché quest’isola è un esempio perfetto delle contraddizioni del mondo umano che dovrai imparare a conoscere. Qui vedi solo un paesaggio mozzafiato, dall’altro lato dell’isola troverai persone arrivate dal mare che stanno scappando dalla vita che avevano o stanno correndo verso la vita che vorrebbero avere.

VentiVentuno volle andare a vedere e scoprì che la gente arrivava su barchini sempre più piccoli e che non c’era paura che tenesse, dovevano partire e partivano. Nessuno credeva fino in fondo che qualcosa di male potesse accadere. Ma accadeva ogni giorno e quel territorio vasto e ricco chiamato Europa, ancora non era riuscito a trovare una sola voce e un solo modo di rispondere a questa emergenza, ancor più da quando era scoppiata la pandemia.

-     Adesso ti porto a vedere un’altra spiaggia famosa, in Liguria questa volta.

 

E in men che non si dica – perché non dimentichiamo che questa è una fiaba e gli Anni si muovono avanti e indietro per il pianeta e su e giù per il Tempo come gli pare e piace – si trovarono sulla spiaggia della Baia del Silenzio a Sestri Levante.

Era l’alba, un’alba estiva e il sole andava svelando i colori delle case e del mare e il silenzio era davvero sovrumano a quell’ora e solo le onde piccole che arrivavano a riva lo infrangevano.

-     Sei pronto per un altro luogo? Dai, andiamo.

-     No, basta! Lo so che il mondo è bellissimo e mi piacerebbe visitarlo. Ma non sono i luoghi a preoccuparmi vecchio… sono le persone e quello che le persone fanno di se stesse e del tempo, cioè di noi. Tu sarai ricordato come uno degli anni peggiori della storia dell’umanità e io non voglio dover passare quello che stai passando tu. Lo so che nessuno si è mai ribellato, ma è ora che qualcuno lo faccia. E quel qualcuno sarò proprio io!

VentiVenti non replicò, rivide se stesso di un anno più giovane, recalcitrante, pieno di dubbi e ancora convinto di poter fare la differenza. Decise di non raccontare al suo erede come si era sentito, forse è vero che ci sono esperienze da fare in prima persona per poter davvero capire.

Visto che il vecchio non parlava, fu VentiVentuno che continuò a parlare a ruota libera, ancora incredulo della facile vittoria.

-     Dai, vecchio torniamo al Senato, si rassegneranno alla mia decisione, non è colpa tua.

Quando VentiVenti e VentiVentuno entrano al Senato del Tempo da una porta laterale, c’è in corso una baruffa vivace tra alcuni degli anni del Ventesimo Secolo. Lui era abituato a vederli così, tutti insieme riuscivano a essere, quei cento anni, il meglio e il peggio della storia dell’umanità. Ed erano stati così intensi che si erano allargati ben oltre la fine del secolo cui appartenevano per essere, poi, costretti a fermarsi solo sulla soglia dell’anno senza Carnevale.

Mentre il secolo breve, che è stato lunghissimo, sospira, sospiriamo anche noi nel Teatro del Mondo e anche io, qui nella città silenziosa, in un giorno freddo e livido, funestato dal terremoto in Croazia e dai mille interrogativi che ci poniamo in merito al vaccino e al piano vaccinale. Ma la domanda è una sola: quando finirà questa dannata pandemia?

 

Oggi è martedì 29 dicembre dell’anno senza Carnevale, questa Cronaca 296 è molto poco poetica, ma ci sono giorni in cui anche la poesia preferisce non uscire dal suo bozzolo.

lunedì 28 dicembre 2020

Cronache dall’anno senza Carnevale/295: un viaggio d’inverno che tiene la musica racchiusa nel cuore

 


Ecco che sono partiti nel cuore della notte, mentre la neve iniziava a scendere qui nella città silenziosa e a cantare quel canto segreto che solo le città conoscono.

Il vecchio VentiVenti camminava a testa bassa nella tempesta, avvolto in un mantello che lo ricopriva da capo a piedi. Il giovane ribelle VentiVentuno lo seguiva spavaldo a capo scoperto, con un mantello corto e i calzari come se non sentisse la neve e il gelo. Ma forse davvero non li sente, perché non è ancora nato e questa dimensione non è ancora la sua, se mai lo sarà.

Non c’era bisogno di percorrere tutta quella strada, ma il vecchio voleva che il giovane capisse il valore dei riti di passaggio. Quando arrivarono nella città silenziosa, nella mia città, ma potrebbero essere arrivati ovunque, l’alba era già sorta e tutto era bianco sia sopra che sotto.

Il cielo continuava a scaricare neve e la terra accoglieva tutto quel bianco che diventava una coperta gelida e immacolata, almeno sino a quando gli umani non sarebbero passati a calpestarla.

Nessuno li ha visti camminare sotto le mie finestre, se non io. Questa fiaba la sto immaginando io, giorno dopo giorno, e fino a che non scrivo, io sola vedo quello che accade intorno e dentro questo livello di realtà.

L’anno presente e l’anno futuro hanno attraversato le vie sino a uno dei più grandi ospedali, hanno visto uomini e donne che respiravano solo attaccati ai macchinari. Hanno visitato uno di quei ricoveri dove gli anziani sono morti come mosche nella calura. Hanno visitato le scuole vuote da mesi, i supermercati, i tanti negozietti di quartiere che hanno chiuso per sempre, i ristoranti e i bar che forse riapriranno, i teatri e i cinema, i parchi.

-     Vecchio, cosa pensi di ottenere da me, facendomi vedere tutta questa devastazione? Così mi convinci, semmai, a restare nella mia stanza all’infinito, non certo a venire qui.

VentiVenti pensava al Teatro del Mondo, dove Lino e Chino, con Miren e Geppo e il bambino divino, Bimba e la Sirenetta si stavano scaldando intorno al piccolo fuoco.

-     Ti comporti come i giovani umani che pensano di fermare il tempo continuando a fare vite adolescenti. Neanche tu puoi mutare l’ordine del tempo. Noi siamo solo servitori e dobbiamo piegarci al mistero che lui è e che noi, di conseguenza, siamo. Noi siamo l’ineluttabile. Guarda questi fiocchi di neve, non hanno chiesto di esistere, non in questa forma almeno, non hanno chiesto di scendere dal cielo e planare su queste strade nella città silenziosa, anziché nella terra ai piedi delle Montagne della Nebbia. Eppure, scendono, fioccano, brillano un istante e poi si spengono. La vita è questa e non sarai certo tu a rivoluzionarla. Tutto quello che possiamo fare è riparare i danni, le storture e, quando siamo fortunati, vivere in questa dimensione con un corpo umano e i loro sensi. Tu ancora non sai quanto sia bello questo posto, quanto sia profumata l’aria e dolce bagnarsi nel mare o in fiume tranquillo. E cibarsi del loro cibo, innamorarsi, provare emozioni. Potrai essere uno di loro, per un anno soltanto tutto di seguito. E potrai tornare, se lo desideri, ma solo per aiutare gli altri e vivere nei loro panni.

VentiVentuno, che del Teatro del Mondo conosceva solo quello che gli altri vecchi gli avevano raccontato, era sempre più curioso e si chiedeva se non fosse il caso di fidarsi. Fidarsi, cioè affidarsi al Tempo, al suo inarrestabile fluire, al senso che nessuno comprende di primo acchito.

-     Prima di prendere la mia decisione definitiva voglio che mi porti a vedere alcuni dei posti che tu hai trovato bellissimi. Vediamo se riesci a convincermi.

VentiVenti sorrise tra sé e sé… sapeva che la curiosità del giovane apprendista avrebbe avuto il sopravvento e iniziò a elencare mentalmente i luoghi che avrebbero potuto vincere le incertezze di VentiVentuno.

-     Vieni – gli disse – siamo in Italia, qui sono concentrati la maggior parte dei paesaggi, dei luoghi e delle opere d’arte imperdibili. Qui mangerai cibi deliziosi, ma solo dopo che sarai “nato”.

Mentre VentiVenti e VentiVentuno si incamminarono verso la prima tappa di questo inaspettato e inconsueto viaggio, mi insinuo nella mente dell’anno che sta per finire e gli suggerisco posti che vorrei rivedere o vedere anch’io.

Questa è la Cronaca 295 di lunedì 28 dicembre dell’anno senza Carnevale e, sotto fiocchi di neve veduti e poi solo immaginati, parto anch’io per questo viaggio d’inverno che tiene la musica racchiusa nel cuore.

domenica 27 dicembre 2020

Cronache dall’anno senza Carnevale/294: come sono luminose certe domeniche invernali, luminose e piene di grazia

 


 

Tutti gli anni trattenevano il respiro in attesa delle parole di VentiVenti che continuava a tacere. Poi, con passo stanco raggiunse il suo predecessore che presiedeva il Senato del Tempo e il solito brusio si diffuse tra le antiche mura.

Indossava, VentiVenti, un lungo mantello colore della nebbia e portava i capelli lunghi quanto la barba e aveva mani di tenebra, nascoste nelle maniche e una voce roca che giungeva dritta dagli inferi.

-     Eccomi, sono passato dalle Porte della Luce quando ho saputo che VentiVentuno ha dichiarato di non voler adempiere alla sua missione. Chiamo in qualità di testimoni i miei predecessori DiciannoveDiciotto e DiciannoveDiciannove.

-     Siamo qui povero VentiVenti, ancora più odiato di quanto non lo siamo stati noi, ma noi abbiamo avuto a che fare con un’umanità che conosceva ancora le antiche leggi e, soprattutto, sapeva di essere impermanente, sapeva di essere di passagio in questa dimensione della realtà. I tuoi contemporanei, caro VentiVenti non lo sapevano più o pensavano di esserne venuti fuori da quello stato di ineluttabile natura, grazie alla potenza della tecnologia, dichiarò DiciannoveDiciotto.

Un lungo sospiro uscì dal petto di VentiVenti che faticava a parlare e si rivolse all’emiciclo che aspettava con trepidazione.

-     Per alcuni versi è stato uno degli anni peggiori del consesso umano, ma solo per alcuni versi. Le pandemie più antiche hanno fatto molte più vittime, ma gli umani sul pianeta in questo strappo di spazio-tempo, si comportano come se si trattasse di un delitto di lesa maestà, perché l’Io di ciascuno di loro è cresciuto al pensiero di essere unico, irripetibile e originale. Ed è vero, due o tre generazioni fortunate che hanno attraversato la vita viaggiando, studiando, lavorando, amando e sperimentando tutte le possibili combinazioni amorose ed esistenziali. Hanno vissuto la piena giovinezza e pretendono di continuare a viverla, nonostante le loro sembianze mortali seguano il rintocco della nostra campana e il corpo porti tutti i segni in sé e su di sé, tutti i segni della vita pienamente vissuta. Quello che nessuno riesce a far capire loro, è che il tempo non si ferma, che il misterioso movimento di espansione che ci fa andare avanti, provenienti da chissà dove, non dipende dalla volontà, ma dalla natura stessa del tempo che ha un proprio ordine e le proprie ragioni.

Anche VentiVentuno si era avvicinato ad ascoltare e risplendeva in quel consesso di vecchi, un giovane uomo con i capelli ricci e lunghi sino alle spalle, bello come un dio greco e vestito con una toga bianca ma senza bordo rosso, che era riservato solo a quelli che erano tornati.

 -     Io non ci vado laggiù, mandatemi da qualunque altra parte del cosmo, ma non in mezzo a tutto quel dolore.

Fu DiciannoveDiciannove a prendere la parola.

-     Pensi che io avessi voglia di andarci? Neanche per sogno, avrei preferito mille volte soggiornare sulle lune di Giove, ma nemmeno io ho potuto scegliere. Perché è il Tempo che ci risucchia nel vortice che ci farà arrivare sulla terra ed il Tempo che ci riporterà qui, attraverso le Porte della Luce e ci farà sedere in questo consesso dell’Eternità.

VentiVentuno mica si fidava.

-     Sarà pure come dici tu, fratello, ma io non ci vado. Mi sono informato e posso procrastinare all’infinito il mio distacco. Tanto loro non se ne accorgono, la percezione che hanno del tempo che passa dipende da noi. E io posso rallentare all’infinito che arrivi il primo gennaio dell’anno nuovo.

Il vecchio VentiVenti decise, allora, di fargli una proposta.

-     Senti, ti propongo di anticipare a oggi un evento che apra i cuori degli umani alla speranza. Iniziamo a far sì che i vaccini vengano somministrati alla popolazione e vedrai che tutti desidereranno che tu arrivi presto per dimenticarsi di me.

Una delle prodezze della memoria umana è quella di poter ricordare e dimenticare, e di ricordare senza più soffrire, solo per questo riusciamo a sopportare la durezza della vita dalle nostre parti.

-     Si può fare, vecchio, sono d’accordo. Andiamo a vedere cosa stanno facendo e io inizierò il mio compito da oggi stesso. Tanto sono ancora in tempo a tirarmi indietro, basta che io non indossi il tuo mantello di nebbia, la mia eredità e il mio fardello.

Così l’anno non ancora nato e quello che stava per lasciare lo scranno del presente al suo successore, si avviarono verso la terra.

E noi, noi siamo qui, che aspettiamo avvolti nella gelida giornata di domenica 27 dicembre dell’anno senza Carnevale. Questa cronaca 294 ci ha portato un altro frammento della storia dell’anno che non voleva arrivare.

sabato 26 dicembre 2020

Cronache dall’anno senza Carnevale/293: dove l’anno vecchio e quello nuovo stanno per incrociarsi in una giornata di sole imprevisto



Immaginate l’antico Senato di Roma e i senatori con la toga bianca bordata di rosso, immaginateli tutti presi dalle arringhe, dalle conversazioni, dalle dotte citazioni. I senatori sanno tutto quello che c’è da sapere e con sapienza guidano l’Impero e la città.

Immaginate che accanto al Senato ci sia un asilo dove i piccoletti schiamazzano e le maestre non riescono a tenerli a bada. Immaginate che i bambini stiano disegnando sui muri, stiano imparando l’alfabeto e a colorare le figure. Immaginate che un pallone rosso senatoriale venga scalciato tra i Senatori che, però, non si arrabbiano, ma sorridono.

Immaginate che questo luogo abbia anche una terza stanza, piena di adolescenti e giovani adulti con la musica a tutto volume, che ballano, bevono, si sbaciucchiano – e non solo – fumano qualunque cosa di aspetto fumabile gli arrivi a tiro, ridono, gridano, stanno davanti alla playstation come se fosse la vita vera. Immaginate i Senatori che sentono gli effluvi dei fumi giungere sino a loro; non si arrabbiano i Senatori, ma sorridono.

Se il Senato romano vi pare un po’ troppo arcaico, sappiate che in questo specifico Senato siedono anche Senatrici altrettanto bianco togate e bordate di rosso.

In questo luogo nessuno si è mai sottoposto alla chirurgia estetica, quindi ciascuno ha l’età che ha e l’aspetto che il destino e un po’ di buona manutenzione concedono ai visi anziani.

Ma, come vi dicevo, se questo luogo tripartito non vi aggrada, proviamo a immaginare il Senato della Repubblica Galattica, quello di Star Wars per intenderci, organizzato per piattaforme aeree e il podio del cancelliere. In questa dimensione non ci sono rappresentate solo le età della vita e i generi, ma specie e razze provenienti da altri sistemi stellari. Ma anche questo luogo è tripartito: ci sono bambini, adolescenti e giovani, anziani.

Bene, ora che vi siete sistemati al centro dell’emiciclo, quello romano o quello galattico, sappiate che state per assistere a una scena mai vista prima, mai vista da quando, in svariati modi, noi umani abbiamo cominciato a contare il tempo e numerare gli anni, i mesi, i giorni.

Avrete notato che, in entrambi i senati che stiamo immaginando mancano gli adulti. Ma che razza di mondo è senza gli adulti? Appunto, che razza di mondo è?

Dovete sapere che gli anni, incarnati dagli abitanti del Senato, passano eoni d’infanzia, milioni di ere da adolescenti e poi, quando sono maturi, uno alla volta, un anno alla volta, cadono come una mela dall’albero e rotolano nel tempo. Hanno solo un anno per prendere confidenza con noi umani in questo strato di realtà, un anno che è il corpo e il pensiero che loro sono.

Passato questo frammento di tempo concitato, dove la cosa e l’essere, lo spazio e il tempo coincidono, poum!

Si ritrovano, sempre rotolando, nell’emiciclo del Senato, indossano la loro toga, o armatura galattica, ma io resto sulla toga che è molto elegante. Qualcuno ha già i capelli ingrigiti, altri rimpiangono il breve passaggio sulla terra, la maggior parte accetta questo destino e inizia a raccontare agli altri tutto quello che ha visto accadere, tutto quello che ha fatto accadere, e le azioni degli umani, i pensieri e le reazioni.

Mentre l’Anno Vecchio si prepara al congedo, l’Anno Nuovo si prepara al debutto. Ogni anno nuovo sa che sta per arrivare il suo turno perché gli prudono l’equivalente, di piedi, mani e capelli.

Ma nella stanza degli anni che verranno ecco che si alzano grida talmente alte che tutti, ma proprio tutti gli anni che sono stati e quelli che saranno, si zittiscono per ascoltare le rimostranze di questo giovane anno, di fattezze maschili come quello che sta finendo, e che pare non ne voglia proprio sapere.

-     No! No! E poi ancora no! Io non ci vado sulla Terra, non dopo il passaggio di Ventiventi!

-     Beh – dice la consueta voce fuori campo – non puoi scegliere se andare o no, devi andare e basta!

-     No! No! E poi ancora no! Io non ci vado da quei poveretti con la pandemia ancora in corso! È colpa di Ventiventi, quindi prima lui risolve il problema e poi io vado a rimettere insieme i cocci.

Ventiventi, chiamato in causa, fece capolino dalla porta di servizio trascinando i piedi. Va anche detto che aveva l’aspetto di Matusalemme, molto, ma molto più vecchio dei suoi predecessori recenti che si erano anche molto divertiti, almeno in certe parti del globo.

Tutti stavano aspettando che dicesse qualcosa, soprattutto al ribelle VentiVentuno, che continuava a strepitare e a battere i piedi per terra.

Ma VentiVenti non apriva bocca e una lacrima solitaria e silenziosa gli scese dall’occhio sinistro e rotolò sino al suo cuore.

 

Oggi è sabato 26 dicembre, giorno di Santo Stefano dell’anno senza Carnevale e questa è la Cronaca 293, quella in cui abbiamo scoperto che l’anno nuovo non vuole venire da noi.

venerdì 25 dicembre 2020

Cronache dall’anno senza Carnevale/292: la tradizione è custodire il fuoco, non adorare le ceneri

 


 

Allora, bisogna che io chiarisca subito che questa è una fiaba di Natale, per questo nessuno dei personaggi indossa una mascherina. Ma tutti, proprio tutti, coloro che si sono affacciati in queste pagine stanno subendo l’anno della pandemia. Queste Cronache avrei anche potuto intitolarle così, ma era scontato.

È stata la mancanza del Carnevale, la prima festa collettiva che è saltata a darmi il titolo. Per questo Chino – cioè Arlecchino – ha la giubba malconcia ed è disoccupato da marzo insieme a centinai di migliaia di lavoratori e artisti del mondo dello spettacolo, dell’arte, del cinema e del teatro, dei musei eccetera, eccetera.

Il Natale appena trascorso, in tono minore, mi ha ispirato il personaggio di Lino, cioè di Babbo Natale, Natalino, Lino.

Miren e Geppo, la maestra elementare e il falegname, hanno patito il lockdown come tutti noi. Ma gli artigiani più degli impiegati e gli insegnanti, le maestre, i bambini e i ragazzi ancora più di noi adulti e privilegiati smartworker.

Maria e Giuseppe hanno messo al mondo una nuova creatura, un bambino divino che ancora non ha nome.

Mettere al mondo, un bambino prima di tutto, una fiaba, una storia, una musica, una poesia, un dipinto è una delle azioni più potenti che un essere umano possa compiere.

La nascita non è un’abilità individuale, la nostra specie si riproduce così e il corpo femminile diventa la porta tra i mondi.

Mettere alla luce significa dare a una creatura nuova la possibilità di attraversare con un corpo umano, con i nostri sensi, un tragitto dello spazio-tempo strappato all’eternità.

Vorrei tanto che la luce di questa nascita risplendesse sulla difficile, ma non impossibile ripresa che ci attende. Se i vaccini funzioneranno potremo ricominciare a muoverci, a camminare, a respirare. Le cose più elementari che davamo per scontate e che abbiamo imparato a sentire in noi come vitali.

Oggi abbiamo onorato una giornata speciale per centinaia di milioni di persone nel mondo.

Questo solo mi interessa, oggi abbiamo provato quello che scriveva il musicista e compositore Gustav Mahler:

“La tradizione è custodire il fuoco, non adorare le ceneri”.

Oggi abbiamo custodito il nostro fuoco e lo abbiamo attizzato con gioia, letizia e speranza.

Non siamo che piccole stelle che brillano un istante nell’eternità, ma quanto splende la nostra luce!

 

Questa è la Cronaca 292 di venerdì 25 dicembre dell’anno senza Carnevale e qui, nel grande Teatro del Mondo, abbiamo terminato la giornata con i tortellini in brodo e il pandoro. Che delizia, spero che anche voi che mi leggete con fedeltà abbiate trascorso una giornata bella e buona. Domani vi racconterò ancora qualcosa di questa fiaba e forse inizierò a raccontarvi quella dell’anno nuovo che stava facendo di tutto per non arrivare.

giovedì 24 dicembre 2020

Cronache dall’anno senza Carnevale/291: lasciare che il cuore si apra alla gioia, alla letizia e alla speranza

 

L’appello al mondo dell’immaginazione e delle fiabe non è caduto nel vuoto. È arrivata per prima Sina la sirena che ha gambe sulla terraferma e una splendida coda nell’acqua. Lei si muove tra il mondo della Sirenetta e quello di Splash, una sirena a Manhattan.

È arrivato Scrooge con il suo canto di Natale, è arrivato Kevin, il protagonista della saga Mamma ho perso l’aereo.

È arrivata, al completo, tutta la banda di Una poltrona per due con intatto l’edonismo degli anni Ottanta.

È arrivata la piccola fiammiferaia che non morirà di freddo, e anche tutta la famiglia degli orsi che qui ricadranno in letargo.

Ci sono i fiocchi di neve che si preparano a invadere la nostra povera terra, ci sono le luci stanche che brillano comunque e i mille escamotage per festeggiare stasera e domani.

Perché potremo anche non avere i nostri cari accanto, potremo anche dover trascorrere giorni interi da soli, ma è comunque Natale, una stella brilla alta nel cielo delle nostre tradizioni e della nostra immaginazione.

Dalla terra ai piedi delle Montagne della Nebbia sono arrivati anche i due lupi innamorati, dal convento segreto di Colorno Borges lo scrittore e Roxanne la badessa.

Qui, nella buca d’orchestra del Teatro del Mondo, con lo spirito del Natale che pensavamo irreperibile, abbiamo capito all’improvviso che Bimba ha potuto dormire perché lo spirito del Natale non era una sola persona, ma tutti noi insieme.

Tutti noi, feriti e spaventati, soli e addolorati. Tutti noi salutiamo il miracolo di una nuova vita che si affaccia, perché Miren ha le doglie e il bambino arriverà a momenti.

Lo spirito del Natale collettivo che noi siamo, inclusi l’onnipotente narratrice e la voce fuori campo, festeggerà questa sera e questa notte e poi domani, l’arrivo della creatura divina che ha stravolto il corso della storia.

Tutti insieme festeggeremo la luce che ha di nuovo superato l’intensità della notte e, pian piano, sta riconquistando il mondo.

Tutti insieme festeggeremo la speranza di un mondo senza pandemia, anche se sappiamo che ci vorrà tempo, ancora tempo. A meno che il virus non scompaia quasi all’improvviso come accadde con la Spagnola un secolo fa.

Vogliamo essere pronti per quando il mondo tornerà a essere abitato e in movimento, quando potremo respirare senza le mascherine in faccia.

Questa mattina sono uscita prima dell’alba per andare a fare la spesa all’Esselunga, per un breve tratto di strada, ho scoperto il naso e respirato l’odore della pioggia e mai nessun altro profumo mi è sembrato così buono.

Così continueremo a fare le cose che amiamo, a scrivere, a leggere, a guardare vecchi film, a cucinare. Sperando che il futuro sia diverso, che i vaccini siano efficaci, che il mondo trovi un nuovo ritmo e una nuova solidarietà.

È sempre stata questa la forza della nostra specie, la capacità di cooperare e di metterci nei panni degli altri. Una forza che in molte fasi della storia è venuta meno, il XX secolo ne è la prova per noi occidentali. Ma abbiamo sempre ricominciato, perché come dice Scarlett O’Hara che è appena arrivata qui in Teatro: “Dopotutto, domani è un altro giorno”.

Buon Natale mie care lettrici e miei cari lettori. Buon Natale e Buone Feste!

Domani vi racconterò qualcosa dei protagonisti di questa storia che è un patchwork di racconti e immagini.

Domani, dopo che avrò messo i pacchetti sotto l’albero e acceso le lucine, domani dopo che avrò onorato la memoria dei miei genitori, ricordando la magia di quei Natali d’infanzia, dove andavo trepidante con il mio fratellino per mano a chiedere loro, se per caso Babbo Natale e Gesù Bambino fossero passati. Per non scontentare nessuno da noi passavano entrambi, e passava anche San Nicola di Bari il 6 dicembre, perché mia madre era pugliese. E il 6 gennaio arrivavano anche i Re Magi e la Befana. Papà andava in sala a controllare, poi mamma lo raggiungeva e poi ci chiamavano e noi andavamo. C’erano accese solo le luci dell’albero di Natale, che era stato messo sul tavolo e illuminava la stanza di colori intermittenti e di una magia che appartiene e apparterrà per sempre a quel luogo e a quella famiglia che ha condiviso gioia, letizia e speranza.

Mi basta questo ricordo, in particolare il ricordo del Natale del 1970, quello che vi ho appena descritto, perché il mio cuore si apra alla gioia e si riempia di letizia e di speranza.

Gioia, letizia e speranza, come fossimo ancora bambini e il mondo vasto e inesplorato.

 

Oggi è il 24 dicembre, vigilia di Natale dell’anno senza Carnevale, questa è la Cronaca 291 che ha accompagnato sulla soglia dell’epilogo la mia fiaba.

mercoledì 23 dicembre 2020

Cronache dall’anno senza Carnevale/290: i molti che stanno salvando il mondo, lavorano nell’ombra


È trascorso un altro giorno di affanni e ricerche a vuoto. Abbiamo scoperto che l’intruso di ieri sera, tanto intruso non è.

È lo spirito del Natale del 2018 e dice che è venuto a cercarci perché Bimba ha dormito quasi tutto l’anno e non ha trovato lo spirito del Natale 2020.

-     Forse se lo cerchiamo insieme troveremo la persona giusta, forse.

Lo dice lo spirito natalizio del 2018 e non ci crede nemmeno lui…

Così è Lino che ci fa una proposta, una proposta che non possiamo rifiutare.

-     Sentite, abbiamo solo domani per trovare il nuovo spirito del Natale, è improbabile che ci riusciamo. Bimba, che avrebbe dovuto cercarlo si è addormentata, lei era l’unica ad avere gli indizi ma pare che se li sia dimenticati insieme a tutto il resto.

Lo spirito dell’ultimo Natale alza le spalle e abbassa gli occhi, non sa cosa dire, ed è già abbastanza mortificata. Inutile infierire.

-     Senti tu, bel tomo! Sei stato lo spirito del Natale di due anni fa e cosa hai fatto di speciale? E come ti chiami?

L’uomo è imbarazzato tanto quanto Bimba, dice di chiamarsi Carlo e che lo spirito del Natale lo ha portato in un laboratorio di falegname che stava per chiudere e lui aveva portato nuovi clienti e il lavoro aveva ricominciato a girare.

-     Mi ricordo di te, adesso – intervenne Geppo – sei stato fondamentale e io te ne sono sono grato. Anche se adesso il laboratorio è di nuovo chiuso e non so quando potremo riaprire.

- Ehi! Signora narratrice, ha qualche suggerimento per noi? Ehi! Dico proprio a lei, quella che ha le idee brillanti e pensa di avere sempre ragione.

Io, che sarei la narratrice, ridacchio, ma che ragione… io sto sempre dalla parte del torto, dico loro con malcelato compiacimento.

E poi mi blocco, perché mi viene da ridere e al contempo un’idea.

-     Sentite, abbiamo solo un giorno, domani è la Vigilia di Natale, Miren non può andare in giro con quella pancia, Geppo devo stare con lei e con gli animali. Lino e Chino ad andare in giro con quelle giubbe scolorite morirebbero di freddo, Bimba è ancora rintronata e tu sei appena arrivato. Sai che vi dico? Lo spirito del Natale lo facciamo noi tutti insieme, qui proprio in questa pagina, così le persone che ci stanno leggendo potranno essere con noi e raccontare questa storia. Con il passaparola vedrete che raggiungeremo molta più gente di quanto non potremmo fare da soli. Anche se non è il numero di persone che è importante.

Mi fermo un attimo e poi apro la cesta della poesia e porgo loro I giusti di J. L. Borges, tratta dalla raccolta La cifra del 1981.

 

 

Un uomo che coltiva il suo giardino, come voleva Voltaire.

Chi è contento che sulla terra esista la musica.

Chi scopre con piacere un’etimologia.

Due impiegati che in un caffè del Sur giocano in silenzio agli scacchi.

Il ceramista che premedita un colore e una forma.

Il tipografo che compone bene questa pagina, che forse non gli piace.

Una donna e un uomo che leggono le terzine finali di un certo canto.

Chi accarezza un animale addormentato.

Chi giustifica o vuole giustificare un male che gli hanno fatto.

Chi è contento che sulla terra ci sia Stevenson.

Chi preferisce che abbiano ragione gli altri.

Queste persone, che si ignorano, stanno salvando il mondo.

 

-     Ognuno può arricchire questo elenco secondo esperienza e sensibilità. Ognuno di noi conosce dei giusti che lavorano nell’ombra ci dice Lino che parla come un oracolo, al punto che la sua giubba torna a risplendere dell’antico colore rosso.

Allora siamo d’accordo, scriviamo una lista dei giusti e domani, sera della vigilia, la condividiamo e vediamo cosa accadrà.


Questa Cronaca 290 è la quinta parte della mia favola di Natale che si sta avviando alla sua naturale conclusione. Oggi è mercoledì 23 dicembre dell’anno senza Carnevale, spargiamo poesia e parole nuove per dire la speranza che non ci abbandona. Di seguito il testo originale della poesia di Borges.

 

Un Hombre que cultiva su jardín, como quería Voltaire.

El que agradece que en la tierra haya música.

El que descubre con placer una etimología.

Dos empleados que en un café del Sur juegan un silenzioso ajedrez.

El ceramista que premedita un color y una forma.

El tipógrafo que compone bien esta página, que tal vez no le agrada.

Una mujer y un hombre que leen los tercetos finales de cierto canto.

El que acaricia a un animal dormido.

El quel justifica o quiere justificar un mal que le han hecho.

El que agradece que en la tierra haya Stevenson.

El que prefiere que los otros tengan razón.

Esas personas, que se ignoran, están salvando el mundo.