venerdì 30 aprile 2021

Cronache dagli anni senza Carnevale/418. L’isola di corallo che sogna l’albero grande

 


 

Un naufragio immaginato, un approdo altrettanto immaginato su di un’isola immaginaria. Bisogna movimentare un po’ le tiepide passeggiate nella città silenziosa e abbandonarsi alla tempesta che travolge le strade e i giardini e mi porta su quest’isola che non conosco, dove la sabbia è rosa e avorio e devo addentrarmi per trovare ombra e ristoro. Mi tornano in mente le prime scene di Robinson Crusoe e ritorno ai giochi dell’infanzia, dove l’isola era un angolo dietro il palazzo, invisibile agli occhi di mia madre e dove portavamo coperte, bambole, palloni, schettini, sacchetti di patatine, tavolette di cioccolata. Un telo steso sui cespugli era la nostra capanna, sentivamo il mare che mugghiava, ci stringevamo vicini vicini, così non avremmo avuto paura. L’isola veniva smontata ogni sera e rimontata quando il sole era già alto. Poi qualcuno portò proprio il romanzo di Robinson e allora iniziammo a cercare le tracce di Venerdì. Pochi sapevano cosa potesse significare la solitudine, avevamo vite affollate sia a casa che a scuola. Mi chiedo come avremmo reagito se fossimo stati costretti a restare chiusi in casa senza andare a scuola, senza vedere gli amici e le maestre. In quell’estate ognuno di noi trovò il suo Venerdì, qualcuno fece notare che la mancanza di un Venerdì stava a indicare una persona un po’ stramba, forse proprio un po’ matta. Per gli approvvigionamenti dipendevamo sempre dalle mamme, qualche volta, però, riuscivamo a comprare le meravigliose focacce nella panetteria del signor Paolo e della signora Elisa. Di rado si parlava con gli adulti a quei tempi, il mondo bambino e il mondo dei grandi avevano confini invisibili ma netti. Non ci si intrometteva nei loro discorsi, si rispondeva se interrogati, si veniva premiati e puniti come graziosi cagnolini e i tempi della vita erano dettati dalle esigenze della famiglia. Ma quando eravamo in cortile, oh quando eravamo in cortile, con i pantaloni a zampa d’elefante, le magliette a righe, le camicie con i colletti alati, diventavamo padroni del tempo che si dilatava e ci rendeva invisibili, così credevamo, agli occhi di quelli più vecchi di noi. A volte correvamo inseguiti dai selvaggi, a volte nuotavamo come delfini per sfuggire agli squali. Più veloci delle aquile scendevamo in picchiata dalle cime più alte della montagna.

 

 

Quando l’isola ti abbraccerà

 

Se sei stato su di un’isola

deserta quando eri bambino,

continuerai a cercarla e se

sarai fortunato la troverai

ancora, ancora vedrai le tracce

del tuo Venerdì che ti aspetta

proprio in fondo all’isola. Sarai

delfino, aquila o squalo, avrai

mani di corallo e occhi di radici,

tutta l’isola ti abbraccerà e tu

saprai di non essertene mai

andato. Perché le tue orme

bambine hanno inciso il periplo

dell’isola e le tue mani sono

scolpite nella corteccia di

quell’albero che chiamavi grande,

con radici sicuro rifugio e sogni

dei granchi e delle orchidee

che non erano lì, ma bastava

anche solo immaginarle.

 

 

È molto più vasta l’isola di quanto non ricordassi. Cerco le mie tracce, sfoglio le pagine e sorrido, quanto poco cambia un mondo che abbiamo già immaginato.

Oggi è venerdì 30, l’ultimo giorno del secondo aprile vissuto con la pandemia. L’isola è un porto sicuro, ci arrivo seguendo le tracce del mio naufragio e le sue Cronache senza fine.

giovedì 29 aprile 2021

Cronache dagli anni senza Carnevale/417. L’attesa è solo il passato di qualcosa che avremo amato

 


 

Oggi sono ritornata a camminare in riva al fiume. Pioveva, l’acqua era verde e i salici a stento potevano specchiarsi nelle onde scure. Il sambuco si sta preparando a fiorire e il biancospino già si apre sotto questo cielo ricco d’acqua. Cammino, raccolgo foglie e fiori, soprattutto raccolgo impressioni da questo fiume che viene da un tempo ignoto e verso un altro ignoto naviga.

 

Impressioni del giorno a fine aprile

 

Il fiume non ha ponte, perché

il fiume è un ponte tra le terre

alte e il mare che già conosciamo.

Lascio che il salice mi avviluppi

tra i rami, respiro le foglie e

l’acqua verde che non parla e

mi sfiora come se fossi un pesce

che ha scambiato le branchie

con i polmoni. Incerta tra i due

respiri, resto al riparo e aspetto

che uno dei due mondi chiami

il mio nome. Aspetto e solo

il silenzio aspetta con me.

 

 

È vero che silenzio e solitudine parlano la stessa lingua, un alfabeto che dobbiamo apprendere come ogni alfabeto, come ogni lingua. Ma il silenzio e la solitudine sono tali solo in questa forma della realtà, dentro di noi una conversazione ininterrotta con le persone amate e nei sogni ancor di più incontri inaspettati, fuori dal tempo, dove qualcuno ha gridato “Il corpo è una prigione metafisica”, e allora l’essere dove dimora?

Su questa scia di interrogativi, mi sciolgo dall’abbraccio del salice e torno dove il corpo dimora, a volte senza domande, a volte senza risposte.

Oggi è giovedì 29 aprile del secondo anno senza Carnevale, pioggia qui e pioggia in ogni dimensione. Alla pioggia è meglio arrendersi e farsi piccoli, cercare rifugio sotto una foglia e ricordare che l’attesa è solo il passato di qualcosa che avremo amato.

mercoledì 28 aprile 2021

Cronache dagli anni senza Carnevale/416. Quando la solitudine chiama il silenzio

 


 

Quest’anno abbondante di pandemia, ci ha fatto riflettere molto sulla solitudine. Soprattutto sulla solitudine degli anziani intrappolati nelle case di riposo, la solitudine delle madri lavoratrici inchiodate davanti ai computer con anche i figli in didattica a distanza cui badare. Abbiamo parlato della solitudine delle famiglie separate dal virus, dei nonni e dei nipoti che non si potevano abbracciare, delle coppie separate dalle frontiere chiuse, delle amicizie sospese in attesa di tempi migliori. Ciascuno di noi ha provato una solitudine non scelta, imposta dagli eventi, ancora più dura per chi già prima della pandemia viveva in uno stato di disagio sociale. Le risorse e le strategie messe in atto per sopravvivere sono state e sono le più svariate. Per alcune persone la solitudine forzata è stata una fonte di scoperta della propria interiorità e della propria casa. Ma la solitudine funziona bene solo quando è una scelta, la grammatica della solitudine ha regole sconosciute che vanno comprese e adattate.

 

La moltitudine che ha scelto un solo nome

 

È sola la sabbia? È più sola

della neve? Non risponde

la sabbia, non risponde neanche

la neve. Solo le orme sembrano

dirsi parole segrete che nessuno

conosce. Non so cosa fare

oggi, dove un piede affonda

nel bianco e l’altro sulla riva

del mare. La solitudine è un

duetto cantato da una voce

sola, un madrigale fermo

alla prima strofa, nessuno è

ancora arrivato, qualcuno

arriverà mai? Questa è solo

una romanticheria, noi siamo

sempre in compagnia di noi

stessi, una moltitudine

che ha scelto un solo nome.

 

 

Scandaglio la solitudine, la sfioro, la riporto nel giorno, la sento e la ripongo. La solitudine chiama il silenzio, ma col silenzio parlerò domani.

Oggi è mercoledì 28 aprile del secondo anno senza Carnevale, un anno di poche parole e molte solitudini che si stanno cercando.

martedì 27 aprile 2021

Cronache dagli anni senza Carnevale/415. Guardare nel tempo, mentre il tempo ci guarda

 

 


 

Di tanto in tanto apro il cofanetto dove custodisco vecchie fotografie, a partire da quelle in bianco e nero dei miei genitori e che risalgono alla loro adolescenza negli anni Cinquanta. La tenerezza che provo è immensa, cerco di ricordare i loro racconti, mi commuovo sempre più man mano che procedo nel tempo e arrivo agli anni Sessanta, dalle fotografie in bianco e nero di famiglia, parenti vicini e lontani, amici, compaiono le prime polaroid che hanno ormai assunto quella patina azzurro-arancione che le contraddistingue. Ci sono poi alcune foto che ho scattato io a partire dagli anni Settanta fino a pochi anni fa, quando ho smesso di stampare le foto e ho creato confusi archivi digitali che di rado vado a sfogliare. Le fotografie mi hanno sempre incantato, soprattutto quelle in bianco e nero, come se questi colori fossero gli unici ammessi per il passato, e forse è così. Quando mi è capitato di guardare fotografie e vecchi documentari che sono stati colorati, lo spiazzamento è sempre stato enorme.

Le foto raggruppate nel cofanetto sono quelle per me più significative e più care. Prima o poi dovrò decidere che farne di tutte le altre, interessano solo me, comunque, e non vorrei che finissero gettate accanto a un bidone della spazzatura per strada, come è accaduto a un album di fotografie di un matrimonio degli anni Sessanta, qui a Milano, poche settimane fa. Forse bisognerebbe creare un archivio nazionale anche per gli album fotografici in analogia a quello esistente dei diari nella cittadina di Pieve Santo Stefano. Il passato familiare e collettivo racchiuso nelle vecchie fotografie ha, secondo me, molto più senso degli album sui social. Quando sono andata a Pavia a vedere la mostra di Vivian Maier mi sono commossa fino alle lacrime, quanto storie in ogni fotografia. E con lei ho sempre amato altri grandi fotografi del passato come Henri Cartier-Bresson, Man Ray, Robert Capa, Robert Doisneau, Eduard Boubat William Claxton, W. Eugene Smith, Alfred Stieglitz, Ansel Adams, ecc. ecc. che se continuo non faccio altro che duplicare liste facilmente reperibili in rete, quindi mi fermo qui.

Amo le vecchie fotografie soprattutto perché i selfie, che si chiamavano autoscatti un tempo, sono rarissimi e la nostra immagine ci ritorna mediata dallo sguardo di qualcun altro, molto spesso un genitore e poi amici e amori. Ogni fotografia ci suggerisce un punto di vista, un paesaggio, uno sguardo e una storia. Per questo ho comprato in sperduti mercatini di provincia fotografie in bianco e nero che appartenevano a famiglie estinte. Mi è sempre piaciuto immaginare storie a partire dalle vecchie fotografie scattate da sconosciuti che tali resteranno per sempre. Le fotografie dei grandi fotografi sono ciascuna un racconto in una infinita antologia.

 

 

 

Ogni immagine è un mistero

 

Non hai voce, non hai colore,

sei solo un’immagine fissata

per sempre a un istante, a

quella carta, a quello sguardo.

Nessuno svelerà il tuo mistero,

quel mistero che noi presumiamo

perché il tempo ti tiene ancora

tra le braccia e ti guarda, come

sto facendo io.

 

 

Voglio ringraziare Valentina Durante e  Giulio Mozzi per le infinite sollecitazioni e idee che zampillano durante i loro incontri dedicati proprio a Immaginare le storie, il cofanetto delle mie fotografie si è improvvisamente animato e mi ha chiamato a iniziare una nuova strada. Così sfoglio e immagino in questa Cronaca 415 di martedì 27 aprile del secondo anno senza Carnevale.


lunedì 26 aprile 2021

Cronache dagli anni senza Carnevale/414. Esiste un luogo sulla terra dove poter ritornare?

 


 

Oggi non ho camminato nella città silenziosa e nemmeno nelle terre ai piedi delle Montagne della Nebbia. Ho scritto e letto molto, poi mi sono immersa nel documentario Il mio amico in fondo al mare, in realtà era una femmina di polpo, che ha appena vinto il premio Oscar. La storia è bella e toccante, Craig Foster stava attraversando un profondo momento di crisi esistenziale, quando decide di tornare a Cape Town nella casa di famiglia che dà sulla False Bay e inizia a immergersi ogni giorno in questo paesaggio marino dominato dalla foresta di alghe giganti Kelp. Durante queste immersioni incontra un polpo o piovra, che inizia a seguire nella vita quotidiana e di cui diventa in qualche modo amico, arrivando anche a stabilire un contatto fisico. Ci sono scene di una bellezza assoluta, questo paesaggio sottomarino è un luogo che pochi esseri umani potranno visitare di persona, quel che noi possiamo vedere è una precisa scelta dello sguardo di Craig e degli altri realizzatori del documentario Pippa Ehrlich e James Reed e la loro narrazione. Neanche la natura è davvero naturale, intatta, intoccata, perché dove passa un essere umano, il suo sguardo e la sua narrazione ritagliano e ricostruiscono per condividere con il resto della specie ciò che è stato visto e amato. Tra le tante scene struggenti ne cito solo due: in uno dei primi incontri la piovra, ancora diffidente, si riveste di conchiglie vuote attivando gli otto tentacoli e le duemila ventose, sino a sembrare una roccia ricoperta di gusci; la seconda scena, brevissima, riprende il canto delle megattere che è uno dei suoni più ipnotici che ci sia dato ascoltare.

C’è vita ovunque intorno a noi, malgrado noi esseri umani, e queste vite, i loro habitat naturali sono, come sappiamo da tempo, messi a repentaglio dalle nostre azioni. Ma non voglio entrare in questo ambito di riflessioni e preoccupazioni. Già dopo avere letto Oliver Sacks non sono più riuscita a mangiare il polipo in insalata con le patate o saltato in padella con il pangrattato. Dopo avere visto questo documentario credo che mi sarà impossibile, mi sono interrogata a lungo su questo mio lento avvicinamento a una dieta priva di proteine animali. Forse ciò sta accadendo perché con l’avvicinarsi della vecchiaia sento più intensamente la fragilità del nostro passaggio sulla terra e per questo il desiderio di non nuocere e di avere cura delle creature che incontro.

 

Il venire della sera

 

Esiste un luogo sulla terra? Esiste

in fondo al mare o sulle cime più

alte, dove la mia mano non abbia

fatto solo danni e soprusi? Sì, posso

dire di sì, sui volti delle persone

amate ho lasciato carezze e baci,

le ho sostenute, ho aiutato quella

piccola gatta tanto amata a partorire

i suoi cuccioli. Esistono molti luoghi

sulla terra dove la cura vince sulla

prevaricazione e dove le nostre

parole sono una culla di dolcezza

che accompagna il venire della sera.

 

 

Voglio riguardare questo documentario, restare sott’acqua e ascoltare solo onde e balene. Esiste un luogo dove poter ricordare e tornare a ricordare, questa Cronaca 414 di lunedì 26 aprile del secondo anno senza Carnevale e la sua pagina non più bianca.

domenica 25 aprile 2021

Cronache dagli anni senza Carnevale/413. Ogni paesaggio è tutti i paesaggi che sono custoditi nei nostri occhi

 


Sono nel paesaggio come fossi vento, sto un passo indietro, trascino le nuvole, torno indietro. Cambio punto di osservazione, mi fermo sulla soglia prima e sbircio dentro, colgo i quieti gesti della vita quotidiana, esploro con lo sguardo gli oggetti, con uno sguardo altrettanto indagatore loro mi rispondono. Dalla finestra vedo e contemplo il mio albero bellissimo e le case sullo sfondo, una scuola, un giardino. Dal giardino posso camminare sia verso il mare che respira placido, sia verso il fiume che oggi è verde, sia verso le montagne e l’altipiano, dipende dal passo, dipende dal desiderio.

 

 

L’incendio nella voce e il sogno negli occhi

 

All’improvviso plano su una città

e poi una via, un palazzo e il suo

cortile, una stanza in penombra

che prende luce, fioca e lattiginosa,

dalla sua destra. Parla il poeta

nello schermo e la voce è una nenia

di canti lontani, tacciono e

ascoltano i presenti e arrotolano

quei quarantanove minuti come

i grani di un rosario che renda

grazie alla poesia. A un tratto

la voce diventa una fiamma e

risplende l’ulivo millenario nelle

parole del poeta, l’unico luogo

dove potremo vederlo, perché

in questa terra non c’è più

redenzione. Tace la voce e

le immagini sfumano, si ritira

anche il sonno, torna nella

notte e dimentica i sogni bambini

dei presenti. Il tempo è solo

un cerchio che rotola nel grano.

 

 

Ho trascorso ore di grande intensità e profondità con Fiammetta Palpati e gli amici e amiche della Bottega di Narrazione, questa poesia nasce da un suo racconto e dalle suggestioni che hanno tessuto le nostre ore comuni.

Questa è la Cronaca 413 di domenica 25 aprile del secondo anno senza Carnevale.

sabato 24 aprile 2021

Cronache dagli anni senza Carnevale/412. Dove il tempo non ha pensieri e la mattina piovosa è un comodo rifugio


 

Primavera senza confini, gente che passeggia, uno su tre con la mascherina abbassata, giovani ammucchiati sulle panchine e davanti ai bar, senza mascherina, impoeticità dei numeri e la sensazione di un “liberi tutti” che esploderà da lunedì, ma che in realtà è già esploso. So che le mie considerazioni da osservatore partecipante valgono quel che valgono, ma Milano è un buon posto da cui osservare il mondo. Tra un paio di settimane sapremo se questo “liberi tutti” sarà stato un azzardo o una scelta felice. È un tempo complicato e confuso questo, si procede navigando a vista e sperando che le cose migliorino. Ecco, forse oggi è un giorno di quelli dove è possibile fingere che sia un giorno normale. Così sono andata a fare un giro alla Feltrinelli di piazza Piemonte, molta gente, coda lunga alle casse. Nella sezione Libraccio “usati ma non vecchi” ho ricomprato un romanzo di William Styron letto trent’anni fa La scelta di Sophie, da cui è stato poi tratto il film meraviglioso di Alan J. Pakula. Il libro mi venne regalato da R., mio compagno di gioventù e io a mia volta, dopo averlo letto, lo regalai a M., amica di gioventù perché lei aveva un gran desiderio di leggerlo. Due persone che sono state importanti nella mia vita e per ognuna delle quali potrei scrivere almeno un racconto lungo, o forse no, perché ci sono persone e storie che bisogna lasciare al fiume del tempo e non pensarle più. Ma la mia memoria è molto forte, almeno sino ad ora, e involontaria. Mi ricordo una quantità di cose inutili, personali e collettive, che mi ricordo senza averne avuto mai l’intenzione. Insieme a Styron ho comprato Etichette di Evelyn Waugh, un libro autobiografico di viaggi e viaggiatori «Non sapevo in realtà dove stavo andando; se me lo chiedevano, dicevo in Russia», ecco sarebbe bello partire per la Russia, però mi accontento di sognarlo questo viaggio programmato per l’anno scorso e saltato a causa della pandemia. Dalla sezione Libraccio sono balzellata sino agli scaffali della poesia, non mi sono fermata a sfrugugliare, uso improprio del verbo lo so, ma quando frugo in libreria questo verbo mi viene sempre in mente ed è legato alla ricerca affannosa del libro perfetto, ma ho cercato Ararat di Louise Glück e Tutte le poesie. I e II, il cofanetto con l’opera completa di Carver che ho già in tutte le edizioni italiane e americane, ma questa edizione ha le poesie con il testo a fronte e poi ho voglia di rileggere Carver che ho sempre amato follemente e che corrisponde, in parte, a quell’immagine dello scrittore come essere tormentato dalla vita e ossessionata dalla scrittura che tanto amo. Per finire parlando di libri, ho letto anche una buona metà di La stagione che verrà, romanzo del 2015 della scrittrice Paola Soriga che non avevo ancora letto e che mi sta piacendo moltissimo, vivere coi libri e nei libri, è sempre parte del meglio della vita.

Il commiato di questa sera è una poesia di Raymond Carver che mi piace molto.

 

Pioggia

Mi sono svegliato stamattina con
una gran voglia di restare tutto il giorno a letto
a leggere. Ho cercato di combatterla per un minuto.

Poi ho guardato fuori dalla finestra alla pioggia.
E mi sono arreso. Mi sono affidato totalmente
alla custodia di questa mattinata piovosa.

Rivivrei la mia vita un'altra volta?
Rifarei gli stessi imperdonabili errori?
Sì, se appena potessi, sì. Li rifarei.

 

Di errore in errore sono arrivata alla Cronaca 412 di sabato 24 aprile del secondo anno senza Carnevale, un sabato carveriano. La poesia di Raymond Carver è tratta da Racconti in forma di poesia, traduzione di Riccardo Duranti, minimum fax 1999. Di seguito il testo originale


Rain

Woke up this morning with
a terrific urge to lie in bed all day
and read. Fought against it for a minute.

Then looked out the window at the rain.
And gave over. Put myself entirely
in the keep of this rainy morning.

Would I live my life over again?
Make the same unforgiveable mistakes?
Yes, given half a chance. Yes.

venerdì 23 aprile 2021

Cronache dagli anni senza Carnevale/411. Ogni cielo ha le sue rondini e i suoi pensieri

 


 

Oggi ho valicato i confini delle mie strade, è stato come esplorare una città sconosciuta. Quartieri residenziali silenziosi e composti, vecchi viali affollati di auto e affiancati dalle vetrine cieche dei negozi chiusi. Poca gente in giro, un gruppetto di ragazzi senegalesi fuori da un bar, un cliente in un barbiere, una salumeria vecchio stile ricolma di cibi allettanti e profumati. Questa zona rossa e poi arancione, non ha mai avuto niente a che fare con il primo lockdown dell’anno passato. Aprile del primo anno senza Carnevale è stato il mese più silenzioso della mia vita, sinora, un mese strano, particolare, ma spumeggiante di bellezza, le città vuote, il silenzio, lo stringersi degli affetti, la musica sui balconi insieme al dolore per i morti e gli ammalati, alla preoccupazione per il futuro, agli interrogativi che non hanno trovato risposta né allora, né ora. Così ho continuato a gironzolare per la città, a riscoprire le sue bellezze nascoste, a desiderare di ricominciare ad andare in biblioteca, al cinema, al ristorante. Cosa accadrà dalla prossima settimana? L’aumento costante dei vaccinati e del numero di immuni ci riporterà a una qualche specie di antica normalità? Saranno i nuovi ruggenti anni Venti del Ventunesimo secolo o dovremo rassegnarci a convivere con questo virus come se fosse un raffreddore o un’influenza stagionale? L’unica certezza che abbiamo è l’imprevedibilità di questo virus che continua a mutare, insieme all’evidenza degli smisurati interessi economici che ruotano intorno alla produzione e distribuzione dei vaccini.

Ma sono tornate le rondini, l’aria è piacevole, c’è il sole, mi tengo nel tempo presente e non rimugino né sul passato né sul futuro, forse questo è davvero un giorno che basta a se stesso.

 

 

Come ascoltare la voce della primavera

 

Scegli il tuo luogo preferito e

nel luogo preferito trova

una posizione comoda, chiudi

gli occhi, respira e un vasto

cielo ti si aprirà nel petto.

Lì le tue rondini scenderanno

in picchiata a sfiorare le cime

di tetti e alberi, due rifugi

altrettanto sicuri, un nido

per i pensieri e uno per

i desideri. È primavera,

vestita di verde e di questo

silenzio che tutto accompagna

e acquieta.

 

 

Ora che sono tornata nel mio giardino, ascolto la primavera e ascolto le rondini che affollano questa Cronaca 411 di venerdì 23 aprile del secondo anno senza Carnevale.

 

giovedì 22 aprile 2021

Cronache dagli anni senza Carnevale/410. Il confine tra i mondi e il nostro canto

 


 

Tutto accade come in un sogno, forse è un sogno. Cammino verso casa e incontro vecchi amici, ci guardiamo e sorridiamo, loro parlano ma non in una lingua conosciuta, so che non posso fermarmi oltre, che devo andare. Arrivo alla casa dove c’è una sola finestra illuminata e che ha anche le imposte rosse. È ormai notte, come adesso, ma io vedo tutto intorno, ho una vista come quella di un gatto, il mondo è meraviglioso anche senza la luce del sole, senza neanche un riflesso.

 

 

Nessuno conosce la frontiera, tutti conoscono il canto

 

Oltrepasso il confine tra

i mondi, che non è sottile

come dicono, ma invisibile.

Restano intrappolati sogni,

ricordi e anche le nuvole,

in queste mura che non

vediamo. Non la paura

però, non c’è paura, perché

nessuno attraversa la frontiera

con gli occhi aperti, nessuno

preferisce andare e poi

tornare. Siamo qui o là,

il mondo intorno accade, e

nel canto generale, si mescola

il nostro canto, sconosciuto e

pieno di stupore, così che

anche le stelle debbano

affacciarsi a chiedere chi

sia il cantore.

 

 

Scritta tra la veglia e il sogno questa Cronaca 410 di giovedì 22 aprile del secondo anno senza Carnevale, dove nessuno sa fare previsioni, tutti vogliono uscire e le rondini hanno invaso, infine, tutti i nostri cieli.

mercoledì 21 aprile 2021

Cronache dagli anni senza Carnevale/409. La pioggia cade con queste poche parole

 

 


 

Poi arriva la pioggia, forte, improvvisa, come se fossimo entrati nella stagione dei monsoni e non siamo pronti a questa brusca variazione di tempo, ora che siamo nel cuore di questa primavera così tanto agognata.

Piove sulla città silenziosa e piove nel mio giardino che circonda la Casa delle Parole. Della pioggia non possiamo contemplare la singola goccia, possiamo solo guardare l’effetto d’insieme, la violenza degli scrosci, il rumore. Adesso sento anche dei tuoni, l’intensità dello scroscio aumenta. Sono riuscita a rientrare prima che il ticchettio della caduta coprisse qualunque altro rumore.

 

Felice la pioggia che cade

 

Mi chiedi se la pioggia cade

a testa in giù o con i piedi,

strano non ci avevo mai

pensato, ma non è difficile

immaginare una goccia

sorretta da un paracadute

fatto di luce e polvere.

Al tocco della terra, sussulta

la pioggia, capisce che la forma

era finita e non eterna. Felici

coloro che cadono sapendo

che rialzarsi sarà possibile,

ma solo accettando quel

che è accaduto. Così

accetto questo mondo nuovo,

questo tempo sospeso, e

capisco che siamo cittadini

del cielo quanto della terra.

Esco senza ombrello, mi siedo

a gambe incrociate, non cerco

protezione. Il buio scende con

la pioggia, la nuova sera è

iniziata. Piove e io con lei.

 

 

Come sempre sono ipersensibile ai minimi cambiamenti di pressione, temperatura e luce, e le Cronache rispecchiano ogni più piccolo cambiamento e restano sospese molte immagini, una poesia e queste poche parole nella Cronaca 409 di mercoledì 21 aprile del secondo anno senza Carnevale.

martedì 20 aprile 2021

Cronache dagli anni senza Carnevale/408. Essere in sintonia con l’organismo: osservare e respirare

 


Ricominciare ogni giorno dalla foglia più piccola, che non sempre è la più giovane. Guardiamola a lungo, impariamo a riconoscere ogni singola nervatura, ogni sfumatura di verde, ricordiamo la sintesi clorofilliana, sfioriamo la superficie liscia da un lato e più ruvida dall’altro, respiriamone il profumo. Lo sguardo che avremo prodigato, uno a uno sul tutto, alla fine sarà un solo sguardo, uno sguardo, il nostro sguardo.

Sappiamo che il movimento delle particelle subatomiche cambia a seconda della presenza di un osservatore, così come conosciamo, grazie al premio Nobel per la medicina Barbara McClintock e alla fisica e filosofa Evelyn Fox Keller che la intervistò a lungo e che ha scritto una magnifica biografia – In sintonia con l’organismo - prima della vittoria del Nobel, che “ciò che per gli altri è frutto di interpretazione, o di speculazione, per lei è questione di allenamento alla percezione diretta”. Entrare in sintonia con l’organismo per la McClintock significava davvero osservare per ore la stessa pianta, o foglia, soprattutto di granoturco perché non esistono due piante uguali e lei seguiva la stessa piantina sin dal momento in cui sbucava dal terreno, la contemplava per ore prima di passare all’utilizzo del microscopio. Così questa sera mi lascio ispirare da queste scienziate per declinare altre lettere dell’Alfabeto della Cura e aggiungere altre parole al suo Vocabolario. Alla lettera A aggiungiamo “Attenzione”,  alla lettera O “Osservazione”, alla lettera P “Percezione”, alla lettera S “Sguardo”, alla lettera V “Vista”.

Percepiamo il mondo con 5 sensi, ma è soprattutto grazie alla vista che il mondo fuori di noi diventa mondo dentro di noi e per questo noi possiamo evocarlo, costruirlo, ricostruirlo e restituirlo.

Ma come allenarsi allo sguardo nella frenesia delle nostre vite? Come evitare che le preoccupazioni ci sovrastino e ci impediscano di agire?

Credo sia meglio iniziare dal molto vicino e, forse, dal molto piccolo, da una pianta o un cespuglio che facilmente possiamo osservare ogni mattino appena svegli, ma anche più volte nel corso della giornata. Io lo faccio con l’albero bellissimo che cresce davanti alle mie finestre, lo faccio da anni quando sono nella città silenziosa. Quando sono nella Casa delle Parole, la scelta è molto più ampia e quasi sempre scelgo una rosa.

 

 

Ode alla mia piccola rosa

 

Ti ho già vista l’anno passato e

quello prima ancora, mi sembra

di conoscerti, ti saluto. Poi

sfioro i tuoi petali con la punta

delle dita. La tua bellezza mi

sovrasta e mi rallegra, ma

è il tuo profumo, quello che non

posso descrivere, a fare la differenza.

Travolta dai miei sensi, posso

però ritrarti e descriverti, raccontare

come muta il tuo colore al

variare della luce. Siamo solo io

e te nel tempo. In apparenza ogni

anno uguali, in sostanza a ogni

istante diverse, mia piccola, nuova

rosa che fiorisci senza chiederti

mai perché.

 

 

Ecco, la cura del mondo arriva anche attraverso lo sguardo, l’osservazione e la percezione. Adesso posso scrivere questa Cronaca 408 di martedì 20 aprile del secondo anno senza Carnevale, un giorno speciale come ogni giorno.

lunedì 19 aprile 2021

Cronache dagli anni senza Carnevale/407. Immaginare la rosa dei venti e leggere il cielo

 


 

Ci sarà un viaggio nel cuore, ci sarà un viaggio che cambierà tutto intorno e dentro di noi. Viaggiamo per scoprire altri modi di stare al mondo, viaggiamo per cambiare il nostro orizzonte e accrescere i paesaggi, esteriori e interiori, che conosciamo. Alcuni di noi cercano mète che confermino il già noto – la stessa spiaggia o montagna ogni anno -, altri cercano la diversità, le variazioni, nuovi profumi e nuovi sapori. Ho sempre oscillato tra il desiderio di noto e ignoto, molto è dipeso dalle fasi della vita, dalle aspettative e dai desideri, di certo il viaggio e il viaggiare meritano una lettera nell’Alfabeto della Cura. Sono tante le accezioni di viaggio, migliaia i libri e i viaggiatori che ne hanno scritti, centinaia di migliaia, forse milioni, le persone che sono, o meglio erano, in giro per il mondo prima della pandemia. Muoversi a piedi, in bicicletta, auto, aereo, treno fa parte delle attività normali che la maggior parte di noi compiva senza darsi pensiero, perché muoversi fa parte delle attitudini innate della nostra specie. Anche per questo la pandemia ci ha colpito in maniera così forte, perché siamo costretti all’immobilità. Ma è proprio in questa immobilità che possiamo ricordare i viaggi che abbiamo fatto e quelli che vorremmo fare. Dovremo essere pronti per ricominciare a vagabondare nel vasto mondo. Avendo cura di noi stessi, dei compagni di viaggio e dei luoghi dove andremo. Il nostro sguardo potrà finalmente riposarsi proprio perché non sarà costretto alla sola ripetizione della vita quotidiana, a fermarci per troppo tempo nello stesso luogo e con le stesse cose intorno.

 

Un libro fatto d’aria e poche parole

 

Parto, il viaggio non era

finito, era solo sospeso,

appeso tra due tempi

che non avevamo sognato:

per questo il passato non è

una collezione di foto in

bianco e nero, e il futuro

una tela bianca da immaginare.

Resto senza partire, non mi

serve andare dove non

mi conoscono e io sono

straniera a me stessa:

sorrido al vento e chiudo

questo libro d’aria e

poche parole.

 

Ecco, dopo queste brevi annotazioni, posso ritornare alle mie mappe e immaginare le strade, immaginare la rosa dei venti e i passi allegri che sono anche in questa Cronaca 407 di lunedì 19 aprile del secondo anno senza Carnevale.

domenica 18 aprile 2021

Cronache dagli anni senza Carnevale/406. La grazia del sonno e il canto della notte

 


 

Imparare la notte non è semplice, è un impegno il cui esito non è scontato. Da bambini conosciamo la notte, abbiamo paura del buio, ma sappiamo abbandonarci al sonno come solo i gatti sanno fare allo stesso modo. La notte e il sogno coincidono, se arrivano gli incubi ci si risveglia di colpo, ma qualcuno si prenderà cura di noi e dei nostri incubi. Le minacce svaniscono con la luce, gli abbracci e le parole dolci confortano. Nei casi più seri occorre un bicchiere di latte tiepido e qualcuno che ci tenga abbracciati per farci riaddormentare.

Nel sonno ridiventiamo tutti vulnerabili come bambini, per questo ci rassicura sapere che qualcuno veglierà su di noi se ne avremo bisogno. Quando ero bambina e vivevo con i miei genitori, era mio padre ad accorrere in caso di incubi, aveva il sonno leggero e arrivava fulmineo a rassicurare. Ricordo i suoi interventi soprattutto perché sono stati rari, il sonno e i sogni erano un momento fondamentale della giornata, non tempo perso o non vissuto, ma tempo denso di significato che ravvivava la vita da svegli, come quando si passa una pennellata supplementare di olio su un dipinto già iniziato. Ricordo dormite fenomenali nell’infanzia e nell’adolescenza, anche dodici ore di fila, ma non ho ne ho nostalgia. Ogni età ha bisogno del suo sonno, così da adulta ho iniziato ad andare a letto sempre più tardi per poter leggere, scrivere e studiare, cosa che faccio ancora oggi. I piccoli riti per convocare il sonno sono sempre gli stessi: una tisana, le ultime chiacchiere con le persone che amo, un profumo gentile di lavanda sul cuscino, un libro che mi piace abbastanza ma non mi appassiona, così non sono costretta a restare sveglia per finirlo. La cura del sonno inizia così, anche quando mi occupo del sonno di altre creature. Penso ai gatti, che dormono anche di giorno con le zampine che gli proteggono gli occhi, che di notte vengono a dormire appollaiati sulla nostra spalla con il musino incollato alla nostra guancia. Dovrei aprire una grandissima digressione adesso, per parlare del sonno degli amanti e degli amati, ma è una dimensione sacra e anche segreta. Mi fermo quindi sulla soglia della camera da letto.

 

 

Quando dormi accanto a me

 

Il tuo sonno è la prima

stella che brilla sull’orizzonte,

una guida sicura per

continuare e non avere paura.

Attraversare la notte e scrivere

parole con la mano sinistra,

appartengono al dominio dei

sogni. Non si può eludere questo

brusco richiamo che ci stacca

dalla nostra veglia. Nostra e di

nessun altro, perché ciascuno

sta sveglio a modo suo e

ciascuno si lascia rapire dal

mondo dei sogni, quel mondo

dove spesso ho avuto la percezione

che quella fosse la vita vera e

l’altra solo una pallida imitazione.

Mentre dormi ti guardo

dormire, respiro il profumo

della tua tempia, sento

il sangue che circola lento, non

occorre l’affanno del mattino

per compiere il proprio dovere.

Dormi allora, amore mio, lascia

che l’Angelo scuota le ali e che

le piume siano soffici e che

il canto della notte sia dolce

quando dormi accanto a me.

 

 

Questa è la Cronaca 406 di domenica 18 aprile del secondo anno senza Carnevale, la sera ha lasciato il passo alla notte e io strofino fiori di lavanda tra le dita e sogno sogni mai sognati.


sabato 17 aprile 2021

Cronache dagli anni senza Carnevale/405. Buona notte dolce principe…

Ci sono eventi epocali, che riguardano persone ricche e potenti, che segnano il nostro immaginario e diventano iconiche. Accadde per il matrimonio della giovanissima Diana e poi per la sua morte, è accaduto anche oggi con le esequie del principe Filippo, dove l’immagine della regina seduta da sola e lontana da tutti, una volta di più danno testimonianza e salutano anche la fine di un’epoca, di quel Novecento infinito che solo la pandemia ha spezzato e spinto fuori dalla scena. La fine di un sodalizio, di una vicinanza, di una complicità segnano qualunque essere umano, perché la vita cambia per sempre quando muore qualcuno che amiamo, finiscono le parole, il calore umano, la presenza fisica. Salutare i propri morti con i rituali che appartengono alla religione e alle nostre credenze, è uno dei modi dell’avere cura dell’altro. Per questo è stato straziante l’anno scorso non poter dare degna sepoltura alle centinaia di morti da virus, accade ancora oggi anche se in misura minore. Quando le esequie mancate sono state sostituite dalle file di camion militari che partivano da Bergamo per raggiungere diverse destinazioni, ecco che lo scandalo di queste morti solitarie ci ha investito in tutta la sua drammaticità. Solo i riti collettivi danno un senso al tempo che passa, alle nascite, come alle morti, alla creazione di nuove famiglie, al passaggio dall’adolescenza all’età adulta. Per questo gli esami di maturità e quelli di laurea hanno ancora senso, perché dichiarano il passaggio di condizione tra un’età e quella successiva. Per questo ci mancano Carnevale, Natale, Pasqua e Capodanno, le vacanze estive, le gite fuori porta nei fine settimana. Ci mancano addirittura anche i piccoli rituali dell’ufficio, dalla pausa caffè alla pausa pranzo, che hanno la loro importanza nella vita quotidiana e che la pandemia ci ha strappato, dandoci nostalgia anche di questi banali momenti della vita quotidiana di cui ci siamo accorti solo non potendoli più praticare.

Oggi che il principe Filippo ha chiuso il cerchio della sua vita terrena, non possiamo che recitare L’eterno riposo, come già facciamo per onorare la morte e la vita di chiunque. Lui ha avuto una vita lunghissima e fortunata, di certo più facile e allegra di miliardi di creature sulla terra. Ma ora è entrato nell’eternità e i suoi cari ne piangeranno l’assenza, e i sudditi britannici la mancanza del simbolo prima ancora che dell’uomo. Ci sarà anche chi ne avrà gioito, come sempre accade quando muore qualcuno di famoso, ma la verità è che tutti vorremo avere una vita così lunga e piena di significato.

Avere cura della vita vuol dire anche avere cura degli anni della vecchiaia, imparare a invecchiare con grazia è una disciplina difficilissima, significa accettare che dietro di noi abbiamo la maggior parte del tempo, significa accettare che siamo creature simili ai fiori, che nascono e muoiono lasciando tracce minimali, significa accettare che la morte e la vita corrono insieme da sempre sul carro del tempo, ma significa anche sentire che la vita è più forte, perché è composta sempre da più attimi e momenti, mentre la morte si esprime una sola volta e poi non esiste più, soppiantata dall’eternità. 

Anche le esequie di mio padre sono state celebrate un 17 aprile come oggi e ogni anno io lo ricordo in maniera particolare. E anche per lui scrivo:

Good night sweet prince, in questa Cronaca 405 di sabato 17 aprile del secondo anno senza Carnevale.
 

venerdì 16 aprile 2021

Cronache dagli anni senza Carnevale/404. Cercare la gioia nell’alfabeto del mondo

  


La gioia dei bambini fuori da scuola è un termometro della normalità. Più implacabili di una sveglia, già dalle otto del mattino si affollano davanti all’ingresso e ridono, scherzano, si inseguono. I genitori hanno sempre visi tirati, vanno di fretta, si fermano solo nei bar a prendere un caffè nei tristi bicchierini di carta, in piedi davanti ai negozi, abbastanza distanziati. Le prove di vita quotidiana scivolano in un binario dove tutti vorremmo camminare, macché cambiati per sempre, tutti moriamo di tornare alla vita che facevamo prima della pandemia. O no? Il secondo binario è quello del virus che continua a fare il virus, cioè infettare il più alto numero di ospiti, replicarsi e mutare. Gli ospiti continuano a morire a centinaia ogni giorno qui da noi, a migliaia in altri paesi, come in Brasile. I numeri che ci vengono sciorinati ogni giorno soffrono di una distorsione temporale, e qualche volta anche con lo zampino degli umani che decidono di spalmare i deceduti per fare vedere che le cose stiano andando meglio di quanto non sia in realtà. Il terzo binario è quello dei vaccini, delle case farmaceutiche e dei piani vaccinali che non decollano. Terrore degli effetti collaterali, impegni presi maggiori rispetto alle effettive capacità di produzione, centinaia di migliaia di persone che non si prenotano o rimandano la vaccinazione perché non vogliono fare il vaccino che, sinora, ha avuto il più alto tasso di mortalità. I binari che ho brevemente descritto, ma ce ne sarebbero altri, corrono paralleli e risentono delle narrazioni mediatiche che ce li raccontano come se le cose fossero scollegate tra loro. La verità è il caos cui non riusciamo a dare né ordine né nome, e tutti continuiamo a navigare a vista. Ci sono poi persone come Natalia Aspesi, che sanno vivere nel presente e riescono a goderne anche se ha 92 anni e non sa quanto tempo le resti. È una donna formidabile lei ed è un esempio, per quanto mi riguarda, della capacità di avere cura di se stessi, un altro cammino all’interno dell’Alfabeto della Cura che tutti dovremmo intraprendere. Ha ragione lei, i tempi passati sono passati e lei non li rimpiange “perché non li ho perduti, li ho avuti. Non li ricordo ma ci sono stati e fanno parte anche del mio presente, di quello che sono”, come racconta a Mario Calabresi nell’intervista pubblicata oggi nel podcast Altre/Storie. Il tema della cura di sé è ancora più difficile da trattare di quello della cura degli altri e del mondo. Forse perché ci hanno insegnato, chi ha avuto un’educazione religiosa, che l’abnegazione e gli altri sono dei dettati morali che vengono prima di noi e delle nostre esigenze. Ma dimenticarsi di se stessi è nocivo quanto pensare solo a se stessi. Trovare l’equilibrio tra noi e il mondo è molto difficile, ma è anche il primo passo per imparare ad avere cura di noi stessi, anche con piccoli gesti e azioni nella vita quotidiana che diano un senso al nostro essere al mondo.

 

L’alfabeto del mondo parte con la lettera G

 

Raccolgo una piuma

azzurra, sembra che

il cielo sia stato strappato

e lasciato cadere proprio

per noi. Ritorno a casa,

preparo il caffè, scorro

l’alfabeto del mondo,

sfoglio la lettera G che

inizia con Gioia, la piuma

si agita, è passato quel

vento primaverile che

soffia da lontano, io

resto sospesa tra gli

spazi di questo mattino

e scrivo a voce bassa

queste parole.

 

 

Primo suggerimento dell’Alfabeto della Cura, che è strettamente connesso all’Alfabeto del Mondo: il mattino presto uscire a fare una passeggiata, raccogliere una piuma o un sasso o una foglia. Preparare il caffè, scrivere una poesia, un pensiero o una preghiera.

 

Questa è la Cronaca 404 di venerdì 16 aprile del secondo anno senza Carnevale, un giorno iniziato con gioia, termina con una gioia distesa che ci prepara al sonno notturno.