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martedì 31 dicembre 2024

forse son queste cose la poesia

 IL SUD

Da un tuo cortile aver guardato
le antiche stelle,
dalla panchina in ombra aver guardato
quelle luci disperse
che non so ancora chiamare per nome
né ordinare in costellazioni,
aver sentito il cerchio d’acqua
nel segreto pozzo,
l’odore del gelsomino e della madreselva,
il silenzioso uccello addormentato,
la volta dell’androne, l’umido
– forse son queste cose la poesia.

Jorge Luis Borges
Fervore di Buenos Aires
Adelphi, 2010
(Traduzione di Tommaso Scarano)

mercoledì 8 giugno 2022

Cronache dagli anni senza Carnevale/822. Nel vago confine immaginario dello specchio vive la luce

 

 


 

Ho scoperto da poco un pittore che non conoscevo, così sono andata a Palazzo Reale a vedere Joaquin Sorolla. Pittore di luce con i cari amici Grazia e Danilo. Sorolla è stato un pittore famosissimo in vita, che è stata piuttosto breve, ha ottenuto riconoscimenti e venduto moltissimi quadri, un destino d’artista opposto a quello di Van Gogh in definitiva. La mostra non è molto grande ma vale la pena vederla perché davvero i suoi quadri sprigionano luce.

Credo lo si possa definire un pittore post-impressionista e, come mi faceva notare Danilo, grande appassionato ed esperto d’arte, mentre lui continuava a procedere in una tradizione, Picasso dipingeva Les damoiselles d’Avignon, ma a ciascuno il proprio destino e la propria maestria. Dopo la mostra sono andata con il nipotine Marco a cena dall’amico regista Luciano, gran bella serata anche questa. C’era anche la sua amica Nicola Eugenia, e abbiamo ben mangiato e bevuto e parlato moltissimo di cinema, politica, letteratura e vacanze. Luciano ha un carattere magnifico è curioso di tutto e si muove nella vita con la stessa vitalità di un ragazzo. Chissà se invecchiare bene è questione di geni, carattere o fortuna o di tutte le cose messe insieme. Comunque ho continuato a leggere Borges nei vari viaggi in metro, per cui anche oggi ecco una sua poesia tratta da Storia della notte:

 

 

Lo specchio

 

Da bambino, temevo che lo specchio

mostrasse un volto altrui o una cieca

maschera impersonale che celasse

oscure atrocità. Temevo inoltre

che il silenzioso tempo dello specchio

deragliasse dal corso quotidiano

delle ore dell’uomo e che ospitasse

nel suo vago confine immaginario

forme e colori nuovi, esseri ignoti.

(Non lo dissi a nessuno; il bimbo è timido).

Oggi, io temo che lo specchio colga

il volto autentico della mia anima,

segnata dalle ombre e dalle colpe,

quello che vede Dio. E forse gli uomini.

 

 


Ora è tardissimo, il calendario sta per girare pagina, sono gli ultimi minuti di mercoledì 8 giugno del terzo anno senza Carnevale e del primo anno di guerra e insieme alla Cronaca 822 sto vivendo come se niente fosse

lunedì 6 giugno 2022

Cronache dagli anni senza Carnevale/820. Per i versi che non ci hanno incontrato (il cui numero è il numero della sabbia)



 

Che lunedì anomalo e festoso! Che gioia avere incontrato per pranzo tre giovani scrittori talentuosi, Simone, Elisabetta e Daniela! Siamo stati all’Osteria del Binari, di recente già citata. Dato che è un giorno lavorativo e c’è il Salone del Mobile e il Fuori Salone in ogni angolo di Milano, il ristorante era pieno di gente. Ma era tutto bello come sabato, quando eravamo pochissimi, perché la luce filtrata dal pergolato, il profumo dei gelsomini, ci hanno trasportato in un altrove fuori dal tempo, come se fossimo stati in vacanza. Abbiamo regalato a Simone tre libri: Max e i fagociti bianchi di Henry Miller, In fuga di Anne Michaels, Tutto quel che è la vita di James Salter, tre libri che sono anche nei mie scaffali dei libri preferiti. Di cosa abbiamo parlato? Di scrittura, di vita, di progetti, del matrimonio prossimo di una nostra amica comune, di libri, di viaggi, di vacanze. Poi Simone è ripartito e noi tre milanesi siamo ritornate ai nostri lavori e alle nostre incombenze. Io ho continuato a leggere Storia della notte  di Borges e così ho deciso di postare un’altra poesia che è una dedica e una dichiarazione d’amore:

 

Iscrizione

 

Per i mari azzurri degli atlanti e per i grandi mari del

mondo. Per il Tamigi, per il Rodano, per l’Arno. Per le radici

di una lingua di ferro. Per una pira su un promontorio del

Baltico, helmum behongen*. Per i norvegesi che

attraversano il fiume chiaro, gli scudi levati in alto. Per una

nave in Norvegia, che i miei occhi non hanno visto. Per una

vecchia pietra dell’Althing. Per una strana isola di cigni.

Per un gatto a Manhattan. Per Kim e il suo Lama che

scalano le ginocchia della montagna. Per il peccato di

superbia del samurai. Per il Paradiso su un muro. Per

l’accordo che non abbiamo sentito, per i versi che non ci

hanno incontrato (il cui numero è il numero della sabbia),

per l’inesplorato universo. Per la memoria di Leonor

Acevedo. Per Venezia di vetro e di crepuscolo.

Per la persona che Lei sarà; per quella che forse non

comprenderò.

Per tutte queste cose disparate, che sono forse, come

presentiva Spinoza, mere figurazioni e facce di un’unica

cosa infinita, dedico a Lei, María Kodama, questo libro.

 

J.L.B.

Buenos Aires, 23 agosto 1977

 

 

Dopo una giornata così bella e intensa, di amicizia e letteratura, sento di non volere altro da questa giornata, lunedì 6 giugno del terzo anno senza Carnevale e del primo anno di guerra e questa Cronaca 820 continua a leggere con me queste magnifiche poesie di Borges il cantore cieco.

 

* Helmum behongen (Beowulf, verso 3139) in anglosassone significa «adorna di elmi». 

domenica 5 giugno 2022

Cronache dagli anni senza Carnevale/819. La vertigine di ciò che negli specchi si moltiplica

 

 


È domenica mattina, non posso indugiare oltre, salto giù dal letto e vado a fare una passeggiata prima che il resto della città entri in movimento. Come ogni domenica tutto sembra sospeso, l’aria è luminosa e fresca, mi fermo su una panchina a leggere Borges.

 

L’attesa

 

Prima che il frettoloso campanello

squilli e ti aprano e tu entri, oh attesa

dall’ansia, l’universo dovrà già

aver compiuto un’infinita serie

di atti concreti. Non potrà nessuno

calcolarne la cifra, la vertigine

di ciò che negli specchi si moltiplica,

di ombre che si allungano e ritornano,

di passi che divergono e convergono.

La sabbia non saprebbe enumerarli.

(Nel petto l’orologio del mio sangue

batte il trepido tempo dell’attesa).

 

Prima che tu arrivi,

un monaco deve sognare un’ancora,

una tigre morire a Sumatra,

nove uomini morire nel Borneo.

 

 

Mi piace questo libro Storia della notte che non conoscevo, rileggo la poesia e penso che la utilizzerò per scrivere la nuova Cronaca. Il resto della giornata è trascorso a svuotare, pulire e sistemare tutti i mobili della cucina, ma proprio a fondo. E anche a scegliere cosa tenere e cosa buttare della collezione di bottiglie di vetro di vario colore e di boccette. Ci sono oggetti che non so più perché avevo conservato. Ci sono oggetti che hanno smesso di parlarmi e così continuo a scegliere cosa tenere e cosa buttare o regalare. La magica arte del riordino non mi appartiene, la mia arte è piuttosto quella del rigattiere, ma un rigattiere che sta imparando a regalare anche le cose che ama. Oggi è domenica 5 giugno del terzo anno senza Carnevale e del primo anno di guerra e questa Cronaca 819 ha deciso di impadronirsi di qualche oggetto che ho scartato e mi guarda feroce se le dico che bisogna lasciar andare le cose.

sabato 4 giugno 2022

Cronache dagli anni senza Carnevale/818. Io voglio ricordare quel bacio con cui tu mi baciavi in Islanda

 

 


In questo lento arrivo dell’estate, intervallato da piogge e ripensamenti, ho gironzolato per i Navigli con il nipote Marco e sono tornata a pranzare, dopo qualche anno, all’Osteria del Binari che non ha perso una virgola del suo fascino inizio Novecento. Dopo un’eccellente cotoletta alla milanese, beatamente spaparanzati sotto il pergolato del giardino estivo, siamo andati a gironzolare al Libraccio di via Corsico; prima tra i i libri d’arte e teatro e poi nel negozio piccolo dove vendono tutto a 2 euro. Ho non ho potuto fare a meno di pensare alla fatica improba che ogni libro costa al suo autore e alla fine ingloriosa di essere messo in vendita a 2 euro. Si trovano sempre anche libri di autori bravi e noti, mescolati a libri improbabili che pure, ai loro tempi, avevano avuto un certo successo. Mi sono chiesta allora, per l’ennesima volta, quale demone tenga inchiodate alcune persone, qualche centinaia di migliaia da che esiste la scrittura, a uno scrittoio, come se la scrittura fosse la cosa più importante della vita. Ma la questione è che per i bacati che amano scrivere più di ogni altra cosa al mondo, nessun’altra cosa al mondo vale quanto la scrittura, lo scrivere libri, ancor meglio se poi si riesca a pubblicarli. Borges aveva una fede cieca e assoluta nella scrittura e questo suo amore è stato largamente ricambiato. Lui è riuscita a mescolare storie impossibili con profili di gente incredibile e da questi strani miscugli ne è sempre scaturita grande poesia.

 

GUNNAR THORGILSSON

(1816-1879)

La memoria del tempo

è gremita di spade e di vascelli

e polvere di imperi

e mormorio di esametri

e alti cavalli pronti per la guerra

e caos di grida e Shakespeare.

Io voglio ricordare quel bacio

con cui tu mi baciavi in Islanda.

 

 

Di cosa altro abbiamo bisogno in una giornata come questa? Di nulla e così prendiamo commiato per andare avanti a leggere Storia della notte di J.L. Borges. Oggi è sabato 4 giugno del terzo anno senza Carnevale e del primo anno di guerra e questa Cronaca 818 ricorda Shakespeare e i baci di Giulietta.

venerdì 3 giugno 2022

Cronache dagli anni senza Carnevale/817. Il sole mi interessa soltanto perché fa ombra

 


Mi piace sempre quando a un giorno di festa segue un altro giorno di festa. Ho finito di rivedere i tre film originali della saga Millennium e ho ricordato perché la storia di Lisbet e Mikahil mi era piaciuta così tanto: perché loro due combattono le ingiustizie, non si arrendono mai e se anche diventano vittime, trovano sempre il modo di rialzarsi e di continuare a combattere a prescindere da quanto siano feriti, malconci e delusi. Dopo un buon pranzetto alla trattoria Burla Giò in compagnia di mio nipote Marco, siamo andati a fare un giretto alla libreria American Bookstore in Cairoli, libreria che non è solo una miniera di libri in lingua, ma anche di oggetti vintage, soprattutto scatole e cofanetti, e di edizioni fuori commercio di tanti magnifici libri in italiano. Siamo stati a curiosare tantissimo, lasciato gli acquisti in deposito e poi siamo andati a vedere la mostra di Ferdinando Scianna a Palazzo Reale Viaggio RaccontoMemoria che ci è piaciuta moltissimo, soprattutto i ritratti, soprattutto quelli di Borges e Sciascia. Il payoff della mostra è una bella frase del fotografo: “Io guardo in bianco e nero, penso in bianco e nero. Il sole mi interessa soltanto perché fa ombra”. Le fotografie in bianco e nero hanno una potenza espressiva che difficilmente quelle a colori riescono a raggiungere. Forse perché noi umani sogniamo anche in bianco e questi sono i colori della memoria. Non vi è mai successo di vedere foto del passato, della Seconda Guerra Mondiale in particolare, e di provare un certo sgomento? Per ricordare questa esperienza notevole pubblico anche una poesia di Borges tratta da Storia della notte (a cura di Francesco Fava, Adelphi 2022)

 

Un sabato

 

Un uomo cieco in una casa vuota

logora circoscritti itinerari

e tocca le pareti che si allungano

e il vetro delle porte delle stanze

e sfiora i dorsi ruvidi dei libri

preclusi al suo amore e l’annerita

argenteria che fu degli antenati

e i rubinetti e le modanature

e alcune vaghe monete e la chiave.

È da solo e nessuno è nello specchio.

Va e viene. La sua mano tocca il bordo

di uno scaffale. Senza aver voluto,

si è disteso sul letto solitario

e sente che ogni atto che ripete

all’infinito in questo suo tramonto

segue le regole di un gioco oscuro

che è diretto da un dio indecifrabile.

Con alta voce e cadenzata, sillaba

frammenti di poemi antichi e tenta

variazioni nei verbi e negli epiteti

e bene o male scrive questi versi.

 

Oggi però è venerdì 3 giugno del terzo anno senza Carnevale e del primo anno di guerra e questa Cronaca 817 scruta il cielo con occhi borgesiani.

domenica 1 novembre 2020

Cronache dall’anno senza Carnevale/238: nebbia, rosa sognata, misteriosa forma del tempo

 


Ogni anno il primo novembre, ricordo il primo novembre lontanissimo del mio sedicesimo anno. La mia amica Loredana era venuta a studiare a casa mia, mi aveva fatto leggere un suo bellissimo tema dedicato a Dante, avevamo chiacchierato a lungo e poi, verso le diciotto, quando aveva deciso di tornare a casa, ci eravamo accorte che una nebbia fittissima era scesa sulla città, anche se, all’epoca, non era cosa rara vivere avvolti nella nebbia. Così l’avevo accompagnata sino a casa e poi ero tornata sui miei passi che risuonavano ovattati e non avevo incontrato nessuno. Respiravo l’aria fredda e umida e quell’odore particolare di nebbia che solo la nebbia emana.

Questo ricordo si presenta uguale a se stesso anno dopo anno, della mia amica non so più nulla da tantissimo tempo, la nebbia scende sulla città ma non così fitta. Quella nebbia era uno degli elementi del fascino autunnale della città silenziosa, un po’ sì e un po’ no, e ci fa entrare in una dimensione onirica e dolce che moltiplica il piacere di starsene chiusi in casa. Anche se da tempo viviamo chiusi in casa e presto saremo di nuovo costretti a farlo.

Viviamo in una percezione del rischio e della malattia moltiplicata dagli echi mediatici, il virus è veramente molto contagioso, ma il tema più importante è la tenuta del sistema sanitario e più ancora, forse di medici e infermieri. E la tenuta fisica e psicologica di chi si ammala di altre patologie e ha un più difficile accesso alle cure per via della pandemia.

La massima prevenzione garantita dal distanziamento sociale continua a essere la strada più sensata anche se faticosa. Non è facile continuare a dare un senso a quanto accade se non abbiamo un orizzonte temporale dove la situazione potrebbe infine migliorare.

Così, per aiutarmi e farmi compagnia, rileggo L’altra poesia dei doni di Borges, tratta dalla raccolta L’altro, lo stesso:

 

 

Voglio rendere grazie al divino

Labirinto degli effetti e delle cause

Per la diversità delle creature

Che compongono questo singolare universo,

Per la ragione, che non cesserà di sognare

Una mappa del labirinto,

Per il viso di Elena e la perseveranza di Ulisse,

Per l’amore, che ci permette di vedere gli altri

Come li vede la divinità,

Per il duro diamante e l’acqua libera,

Per l’algebra, palazzo di esatti cristalli,

Per le mistiche monete di Angelus Silesius,

Per Schopenhauer,

Che forse decifrò l’universo,

Per lo splendore del fuoco

Che nessun essere umano può guardare senza un’antica meraviglia,

Per il mogano, il cedro e il sandalo,

Per il pane e il sale,

Per il mistero della rosa

Che dona il suo colore e non lo vede,

Per certe vigilie e giornate del 1955,

Pei rudi mandriani che nella pianura

Incitano le bestie e l’alba,

Per il mattino a Montevideo,

Per l’arte dell’amicizia,

Per l’ultimo giorno di Socrate,

Per le parole dette in un crepuscolo

Dall’una all’altra croce,

Per il sogno dell’Islam che abbracciò

Mille e una notte,

Per l’altro sogno dell’inferno,

Della torre del fuoco che purifica,

E delle sfere gloriose,

Per Swedenborg,

Che conversava con gli angeli nelle vie di Londra,

Per i fiumi segreti e immemorabili

Che confluiscono in me,

Per l’idioma che, secoli addietro, parlai in Northumbria,

Per la spada e l’arpa dei sassoni,

Per il mare, che è un deserto splendente

E un simbolo di cose che ignoriamo,

Per la musica verbale d’Inghilterra,

Per la musica verbale di Germania,

Per l’oro, che rifulge nei versi,

Per l’epico inverno,

Per il nome di un libro che non ho letto: Gesta Dei per Francos

Per Verlaine, innocente come gli uccelli,

Per il prisma di cristallo e il peso di bronzo,

Per le strisce della tigre,

Per le alte torri di San Francisco e dell’isola di Manhattan

Per il mattino nel Texas,

per il sivigliano che scrisse l’Epistola Morale

E il cui nome, come egli avrebbe preferito, ignoriamo,

per Seneca e Lucano, di Cordova,

I quali prima che lo spagnolo fosse scrissero

Tutta la letteratura spagnola,

Per il geometrico e bizzarro gioco degli scacchi,

Per la tartaruga di Zenone e la mappa di Royce,

Per l’odore medicinale degli eucalipti,

Per il linguaggio, che può simulare la sapienza,

Per l’oblio, che annienta o modifica il passato,

Per l’abitudine,

Che ci ripete e ci conferma come uno specchio,

Per il mattino, che ci dà l’illusione di un principio

Per la notte, la sua tenebra e la sua astronomia,

Per il coraggio e la felicità degli altri,

Per la patria, sentita nei gelsomini

O in una vecchia spada,

Per Whitman e Francesco d’Assisi, che già scrissero la poesia,

Per il fatto che la poesia è inesauribile

E si confonde con la totalità degli esseri

E non giungerà mai all’ultimo verso

E muta secondo gli uomini,

Per Frances Haslam, che chiese perdono ai suoi figli

Perché era così lenta a morire,

Per i minuti che precedono il sonno,

Per il sonno e la morte,

Questi due tesori segreti,

Per gli intimi doni che non enumero,

Per la musica, misteriosa forma del tempo.

 

 

Voglio iniziare a scrivere la mia poesia dei doni e lo farò da domani. Oggi è il primo novembre dell’anno senza Carnevale. La notte dell’apertura tra i mondi mi ha portato in dono una cattedrale, la mia cattedrale, la cattedrale della città silenziosa e il sogno di una rosa. La traduzione di Borges è di Domenico Porzio ed è tratta dal secondo volume dei Meridiani Mondadori del 1985.


sabato 8 agosto 2020

Cronache dall’anno senza Carnevale/153: due ombre sul confine dell’alba e del giorno

Di notte mi addormento in compagnia di un grillo, è un canto sommesso e dolce, mi culla e mi riporta indietro alle notti d’estate della mia infanzia.

Quelle notti dove vedevo brillare le luci dei paesi sulle colline di fronte alla casa di mia nonna e pensavo che fossero le lanterne dei giganti addormentati di giorno e che di notte percorrevano le campagne.

Il canto del grillo non arriva solo dal giardino, anche quando sono nella città silenziosa, proprio sull’albero bellissimo davanti alla mia finestra, un grillo canta e mi fa compagnia.

Funziona così la memoria, come se ogni immagine potente del passato avesse bisogno di riemergere per rafforzare l’istante simile a un istante già vissuto. Chiedo a Luis se accade anche a lui la stessa cosa.

 

 

Io non è solo un altro

 

Vorrei potermi dire che

la memoria non è assedio

ma rivolta, un assalto contro

la fortezza e non la difesa

estrema di un io che si

frantuma e cerca un modo

per dirsi al singolare. Ma,

vedi, ormai lo sappiamo e

lo abbiamo imparato, noi

poeti e noi scrittori, lo sanno

Fernando e Antonio quanto

lo so io: perché “Io” non è

solo un altro, ma è molti

altri che vivono con me e

contro di me. Chi chiamate

Borges è solo il portavoce,

nulla di più.

 

 

È da molto tempo che non leggo Pessoa, forse è arrivata la stagione, gli dico e lui annuisce, con le sue solite nuvole negli occhi e un sorriso gemello della Gioconda, glielo dico.

- Quel sorriso enigmatico, mi ha sempre svelato un segreto con la sua muta confessione, cioè che non arriveremo mai a comprendere fino in fondo il mistero di un’altra creatura, né tanto meno il nostro. Alla fine, non avremo scoperto chi siamo, mi fanno sempre ridere quelli che partono alla scoperta di se stessi, alla fine avremo scoperto, forse, in quanti siamo.

- So, conosco e capisco il senso di essere molti e non solo una. I bambini, i giovani e gli adulti che siamo stati, stanno dentro di noi che siamo le matrioske. E di ogni nostra versione nelle età della vita, custodiamo quella che Tabucchi chiamava la confederazione di anime:

 

“Ebbene, disse il dottor Cardoso, credere di essere 'uno' che fa parte a sé, staccato dalla incommensurabile pluralità dei propri io, rappresenta un'illusione, peraltro ingenua, di un'unica anima di tradizione cristiana, il dottor Ribot e il dottor Janet vedono la personalità come una confederazione di varie anime, perché noi abbiamo varie anime dentro di noi, nevvero, una confederazione che si pone sotto il controllo di un io egemone. Il dottor Cardoso fece una piccola pausa e poi continuò: quella che viene chiamata la norma, o il nostro essere, o la normalità, è solo un risultato, non una premessa, e dipende dal controllo di un io egemone che si è imposto sulla confederazione delle nostre anime; nel caso che sorga un altro io, più forte e più potente, codesto io spodesta l'io egemone e ne prende il posto, passando a dirigere la coorte delle anime, meglio la confederazione, e la preminenza si mantiene fino a quando non viene spodestato a sua volta da un altro io egemone, per un attacco diretto o per una paziente erosione”.

 

- Dimmi allora, Caterina, chi è il tuo io egemone in questa fase della tua vita? Mi chiede Roxanne.

- È la bambina che voleva entrare in convento per copiare i libri, lei che sta bene chiusa in casa e respira la polvere dei libri, il loro odore antico come fosse un profumo raffinato. È sempre lei che tiene legato in vita il mazzo di chiavi che apre le mie porte, lei che ha determinato le mie scelte. E il tuo mia cara Badessa?

- È complicato, perché è almeno una coppia che mi strattona qua e là. La donna meditativa accompagnerà Luis al convento e resterà con lui per qualche tempo. Ma sento già la sedicenne avventurosa strattonarmi perché vuole andare a Parigi e ci andrà, così so già che partirò per un lungo viaggio, ma non verso Parigi, ma verso Oriente, alla ricerca delle tracce della mia famiglia russa.


Crediamo, per usanze, convinzioni ereditate, il corpo che si annoda su se stesso, la società che ci guarda male, che la vecchiaia sia il momento della resa, del ripiego, della quieta attesa del trapasso. E, invece, le forze vitali esplodono e se usciamo dalla cerchia dello sguardo di chi ci vede solo come una generazione e non un individuo, noi siamo pieni di energia, di vita e di progetti, di eternità che incarniamo giorno dopo giorno. In fondo, il pulviscolo dell’universo non è forse fatto dai nostri sogni e dai nostri desideri?

 

 

Due ombre sul confine del giorno

 

Ho cercato lo stupore in ogni parola,

è questo il mio senso della vita, non

altro. La memoria è stata la mia

feroce compagna e la notte la mia

casa. Sul suo confine un giorno

ti ho incontrata e solo le stelle e

i cani sono stati testimoni del

miracolo di un’alba dove la tua

ombra camminava accanto alla mia.

 

 

Luis ci ha recitato un’altra poesia, abbiamo continuato a parlare sino alla fine del mattino, ma ora è arrivato il momento di accompagnarlo a Colorno. Con me e le sacerdotesse viene anche David il poeta. A Colorno deve chiudere il cerchio di una giornata mancata, di una poesia che è rimasta ferma nella sua matita.

Partiamo, camminiamo a piedi, ci lasciamo avvolgere dalla nebbia leggera del bosco e poi arriviamo alla porta e il convento è davanti noi, rosso di mattoni e splendente nel sole.

  

Questa Cronaca dell’ottavo giorno del mese di agosto dell’anno senza Carnevale è un viaggio pluriennale condensato in pochi minuti. Pessoa è venuto a fare visita a Borges. Li rincontreremo al convento di Colorno insieme alle due sacerdotesse e al poeta David. Per quanto riluttante la narratrice deve tornare indietro nella città silenziosa e continuare a scrivere.

Anche le poesie di oggi, attribuite a Borges, sono opera mia. 

mercoledì 5 agosto 2020

Cronache dall’anno senza Carnevale/150: un fiore di melo, una mela matura, la stella danzante e lo sguardo oscurato

Ecco l’ora piccola, i tre viaggiatori sono pronti. Le due sacerdotesse salutano le consorelle e aiutano il poeta cieco a salire in carrozza. Non daranno nell’occhio, è un tiro a due cavalli e non appena arriveranno nella foresta potranno scegliere la porta della città silenziosa e arrivare in poco tempo sino al monastero di Colorno.

Quando il portone si chiude alle loro spalle il mondo cambia voce perché il silenzio del chiostro è rimasto tra le mura e anche il canto degli uccellini sembra più alto e libero.

Attraversano il ponte senza parlare, il cocchiere è un viaggiatore esperto e sa che deve lasciarli all’inizio del bosco che non è lontano dalle mura della città che è già in fermento. Nelle viuzze dei mercanti il cavallo procede al piccolo passo. Gli odori forti che si mescolano sono una delle caratteristiche di quel tempo cui non è facile abituarsi. Anche Luis storce il naso ma non si lamenta. Roxanne scosta le tendine perché non sa quando potrà ritornare al suo convento e Héloïse è tutta concentrata sulle tappe che sta scrivendo e riscrivendo su un taccuino di pelle rossa che non appartiene a quel tempo.

Nessuno di loro appartiene a quel tempo ma lo hanno scelto, anche se non hanno scelto di essere api dell’invisibile, è l’amore per la poesia che le ha condotte a nascondere e proteggere il poeta cieco. 

- Non credevo, sapete – disse Luis all’improvviso – che la poesia mi avrebbe dato l’immortalità e non in senso metaforico ma letterale. Sono più di trent’anni che mi nascondo al mondo e continuo a scrivere poesie che il mondo non leggerà. Mi consola, però, sapere che i miei manoscritti saranno a breve allineati su di uno scaffale della Biblioteca di Babele. 



Un fiore di melo, una mela matura, la stella danzante e lo sguardo oscurato

Ho salutato così tante
volte la vita, che questo
nuovo commiato ha più
il sapore di una mela
acerba che quello di un 
frutto giunto al giusto
tempo. Che non esiste,
lo so adesso, perché sulla
mano destra tengo un fiore
di melo e sulla sinistra 
la mela già rossa e succosa.
Così mi guardo allo specchio
e un giovane mi guarda allo
stesso modo stupito e alle
sue spalle un bambino con
laghi di tristezza alla finestra
sembra volerci dire di avere
cura di quello sguardo che
presto non sarà più. Ma
tutto, come il tempo, è solo
una questione di punto di vista,
di un angolo diverso nelle
pieghe degli universi, forse
la mia stella è la risposta,
stella che danzava quando sono
nato e ha oscurato il dono di 
quegli occhi che troppo hanno 
visto nei mondi e in fondo 
ai cieli.



- Vi ho mai detto che ormai conosco a memoria tutte le mie poesie? E che di ognuna potrei dirvi il momento preciso in cui ho iniziato a scriverla e quante versioni ne esistono? A proposito, i miei manoscritti viaggiano con noi?

Fu Roxanne a rispondere: 

- No Luis, i tuoi manoscritti sono già a Colorno, li abbiamo spediti ieri sera e il messo sapeva come attraversare le porte tra i tempi. Tra poco scenderemo dalla carrozza e dovremo fare un tratto di strada a piedi sino alla nostra porta e ci fermeremo a riposare nella Casa delle Parole, questi viaggi sono sfibranti, sembrano durare poco, ma la materia è sottoposta a una prova durissima, perché infrange le regole celesti e terrestri della nostra dimensione che chiamiamo realtà.

Scesero dalla carrozza, si disposero in fila indiana con Héloïse che guidava, Luis in mezzo e Roxanne a chiudere la fila. 

Il profumo del bosco, resina e aghi essiccati, funghi e rugiada, ripuliva il naso dagli odori penetranti della città. Arrivarono nella radura e si fermarono a riposare, bevvero acqua fresca dalla fonte che sgorgava in una polla trasparente e profonda. Erano rinchiusi nel tempo delle fate, quello in cui gli umani si lasciavano incantare e dimenticavano il proprio nome, gli affetti, i motivi che li avevano spinti ad attraversare il bosco. Le fate arrivarono danzando ma smisero subito quando riconobbero Roxanne. Sapevano che i tre viandanti erano di passaggio, che non volevano dimenticare, ma che soffrivano di quell’eccesso di memoria che colpisce le api dell’invisibile e i poeti. Salutarono tra scintille e farfalle dorate, svanirono nell’ombra verde che circondava gli alberi.


Gli occhi dell’amore sono occhi ripetuti

Gli universi non svaniscono, cosa
credete? Ogni istante si replica,
così che con la parola giusta,
sarà possibile ritornare nel preciso
momento in cui avete fiammeggiato
per la prima volta d’amore. E ogni
ritorno sarà un ritorno ripetuto e
i tuoi occhi, amore, saranno gli
occhi che per la prima volta avrò
veduto e il tuo essere la quiete che
la mia anima stava cercando.


- Andiamo – li esortò Héloïse – la porta è poco più avanti, il sentiero successivo passa ai piedi delle Montagne della Nebbia e la mia casa è poco distante.


Questa Cronaca 150, scritta nel quinto giorno del mese di agosto dell’anno senza Carnevale, prosegue il racconto delle vicissitudini delle due sacerdotesse e del poeta cieco.
Anche le due poesie apocrife di Borges sono opera mia.

domenica 2 agosto 2020

Cronache dall’anno senza Carnevale/147: un’isola è un’isola, il resto, lo sappiamo, è opera del vento

Le isole non sono solo nel mare, non sempre si affastellano in arcipelaghi. Così la prima isola di cui vi narrerò è un’isola che si trova in mezzo a un fiume. E il fiume attraversa una delle città più belle del mondo, la città delle luci.

L’Île Saint-Louis è una piccola oasi di silenzio nel cuore di Parigi, le vie sono strette, le facciate sobrie e i cortili molto piccoli.

Ma non è sempre stato così, un tempo sull’isola sorgeva un monastero dove la sacerdotessa aveva vissuto per qualche mese.

Era arrivata in una mattina di pioggia e vento, avvolta in un ampio mantello scuro aveva bussato, certa dell’ospitalità. La monaca che stava al portone riconobbe subito il velo e la spilla che lo teneva fermo. La fece entrare senza fare domande e la portò subito in cucina perché potesse rifocillarsi. Una zuppa calda che stava bollendo sul fuoco, una fetta di pane, una tazza di vino mescolato ad acqua.

Mentre Héloïse mangiava e lasciava che le consorelle la scrutassero con la dovuta curiosità, la madre guardiana andò dalla Badessa ad annunciare la visita. Sapeva che l’amica era arrivata sino a lei per un motivo ben preciso. Non poteva più nascondere tra le mura dell’Abbazia quell’uomo arrivato da un altro tempo. Il problema più grande era la sua cecità perché doveva sempre lasciarlo con una consorella che gli facesse compagnia leggendogli le Sacre Scritture. Ma poi lui chiese che gli venissero lette altre storie e dei componimenti che chiamava poesie in una lingua ardua che solo lei riusciva a decifrare.

Quando furono una di fronte all’altra, Roxanne sfilò dal suo velo uno spillone che finiva con una piccola ape ed Héloïse lo unì alle altre api che adornavano il suo velo e, finalmente, sorrise.

- Dubitavo di riuscire ad arrivare sino a qui, dubito sempre che riusciremo a prestare fede al nostro giuramento:

 “Siamo le api dell’invisibile. Raccogliamo incessantemente il miele del visibile per accumularlo nel grande alveare d’oro dell’Invisibile”.

 Insieme ripeterono il giuramento e si abbracciarono, anche se non era il momento di lasciarsi andare ai sentimenti.

 - Posso fermarmi solo due giorni, poi devo portare il tuo ospite nel suo nuovo nascondiglio che non sarà in questo tempo e in questo spazio.

- Lo so, amica mia, abbiamo ricevuto troppe visite in questi ultimi mesi e credo che ormai anche il re sospetti che Luis sia qui con noi.

- La nuova Abbazia dove lo porterò è in Italia, in quella che sarà l’Italia dopo anni di una interminabile pandemia che ha decimato la popolazione mondiale. Non è stato un crollo della civiltà occidentale come la conoscevamo, ma un lento sbriciolamento. La religione è diventata un rifugio per molte anime e l’ultimo Papa di Roma ha accettato anche il sacerdozio delle donne pur di riportare all’ovile più anime possibile.

- Luis dovrà continuare a scrivere i suoi racconti e le sue poesie anche se il mondo lo crederà morto. Lui è una delle api più importanti, con le sue parole ha costruito il nostro ultimo rifugio, quella biblioteca dove solo lettrici e lettori accaniti come noi possono accedere. Anche la Biblioteca è un’isola e io non vedo l’ora di tornarci.

 

Il resto, lo sappiamo, è opera del vento

 

Un’isola non è un luogo

qualunque, isola è lo spazio

che ti occupa il fondo della

mente. Isola è il rifugio tra

i mondi e può essere circondata

da acqua o dalle tue parole.

L’isola è un sentimento che

lasci crescere, un respiro che

si allarga e ti apre le porte

verso quell’invisibile di cui

sei una delle custodi, di cui

lui è un custode e un creatore.

Il resto, lo sappiamo, è opera

del vento.


- Vieni sorella, andiamo da lui. Vorrà ascoltare le tue nuove poesie, le nuove storie che arrivano dalle Montagne della Nebbia. Non ti ha mai potuta vedere, quindi ti toccherà il viso, non spaventarti, lascialo fare. Quando lo vedrai sorridere potrai parlare perché il tuo volto sarà in lui.

Insieme andarono nello scriptorium dove l’ospite amava passare il tempo per sentire l’odore dell’inchiostro e dei manoscritti. Chiusero la porta per far intendere alle consorelle che non dovevano essere disturbate.

Al suono dei loro passi, il poeta cieco si girò verso di loro e sorrise prima ancora che le donne gli si fossero avvicinate.

Non appena Héloïse gli fu accanto lui le porse un altro spillone con un’ape in cima e che andava a incastrarsi nel fermaglio che lei già indossava.

- Ditemi signore, da quale tempo lascerò che arrivi la mia voce?

 

 

Questa Cronaca 147 nasce dagli strani cortocircuiti tra letture vecchie e nuove e conversazioni reali e immaginarie con i poeti. Che ora sappiamo, viaggiano nel tempo e nello spazio.

 

“Le api dell’invisibile” sono una citazione da una lettera di R. M. Rilke al suo amico Withold von Hulewicz.

 

Il resto, lo sappiamo, è opera del vento è una poesia scritta per questa Cronaca e che cita la mia poesia L’opera del vento, apparsa nella Cronaca 76 e nel mio libro Sillabario della Luce. Moretti&Vitali 2007