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domenica 2 gennaio 2022

Cronache dagli anni senza Carnevale/665. Un paesaggio con sentieri e ombrelli rossi per la pioggia e per il sole

 

Una domenica uguale al sabato che l’ha preceduta, silenziosa, pensosa e solitaria. Tranne che per le code davanti ad alcune farmacie non si vede nessuno in giro, pochi i passanti anche sotto l’albero bellissimo. Così stare qui è anche essere altrove, con i pochi amici in vacanza che mi mandano fotografie di paesaggi marini e montani. Questa sera è stato proprio il paesaggio, in senso molto narrativo, a essere il perno di una serata divertente trascorsa con Fiammetta Palpati e tante altre persone conosciute al suo laboratorio “Il paesaggio del romanzo”. Tutti insieme abbiamo fatto una cosa molto tradizionale che adoro sin da quando ero bambina: abbiamo giocato a tombola! In palio c’erano un mucchio di libri attinenti il tema del paesaggio, purtroppo non ho vinto nulla, ma è stato bello ritrovare così tanti volti amici e ridere insieme, fare battute e ripromettersi di vedersi presto. A proposito del ridere, confesso che sto approfittando del periodo festivo per guardare dei cartoni animati, anche questo un retaggio dell’infanzia, dove non mi perdevo un film Disney e il sabato sera stavo appiccicata alla TV svizzera e non mi perdevo una puntata di Scacciapensieri, e come la domenica Supergulp fumetti in TV. Così ho deciso di riguardare un vecchio film visto coi nipoti quando erano piccini, cioè L’era glaciale, e ho riso moltissimo grazie a Sid il bradipo e Scrat lo scoiattolo alla ricerca perenne della sua ghianda sacro Graal che sarà causa della maggior parte dei disastri climatici e geologici che muteranno lo stato delle cose sul pianeta. Mi sono fatta prendere dalla magia dell’infanzia, dalle luci natalizie, dalla cometa che ritornava ogni anno a illuminare il piccolo presepe casalingo. Intanto, fuori dai miei ricordi e dalla mia casa, continuano le notizie preoccupanti sulla pandemia, sui no vax che non vogliono farsi curare neanche quando sono in punto di morte. Però, con la perfetta schizofrenia dei nostri media, vengono annunciate le aperture dei saldi invernali in alcune regioni, come se non stesse accadendo altro nel mondo. Il mondo che va come va oggi, così chiedo a questa piccola Cronaca 665 di domenica 2 gennaio del terzo anno senza Carnevale, di accontentarsi di questa oasi di quiete e di stare con me a guardare le avventure di Scrat e della sua ghianda.

 

 

Solo un margine non scritto

 

Come sono piccole queste

tue mani, eppure niente

potrà mai riempirle, non

la pioggia che cade solo

in riva al mare, non il sole

che illumina i prati sotto

al ghiacciaio, non l’eco

di queste parole che ti

lancio dall’altro lato della

valle e spero che tu unirai

le tue mani a coppa e così

raccoglierai la mia invocazione

prima che la città bruci, prima

che il fumo misto alla nebbia

copra questa consolazione

di immaginarti nel nostro

paesaggio di colline dolci

e mare che scivola verso

l’infinito, lì dove non ci sono

aree di sosta, ma solo sentieri

e ombrelli rossi per la pioggia

e per il sole, solo un margine

non scritto per tenermi in

compagnia i pensieri.

venerdì 16 ottobre 2020

Cronache dall’anno senza Carnevale/222: il mondo è una finestra affacciata su un oceano di stelle e tempo


questa Cronaca è dedicata ai miei nipoti Andrea e Marco


Quando la terra diventa piccola e muta, sgomenta come in questi giorni, ancora più del solito mi perdo a guardare il cielo.

Il cielo nuvoloso dell’autunno, dai colori spenti e dalle nuvole pallide. Il cielo notturno, dove le stelle brillano e respirano come un unico cuore nella vasta distesa che ci avvolge.

Guardo il cielo e mi stupisco ogni volta della sua immensità e della nostra lillipuziana presenza in questa realtà, in questo mondo e su questo pianeta.

 

Noi che conosciamo il vero nome delle rose

 

 

Dalla mia finestra guardo il mio

mondo, molti alberi, vecchi

palazzi, un quarto di cielo spesso

solcato da nuvole e qualche

volta illuminato da rade stelle.

 

Le guardo e guardo ancora e

capisco che tutto il mondo,

tutto questo nostro mondo,

non è che un’unica finestra

affacciata sull’infinito universo

e sull’eternità e il tempo che

noi non possiamo contare se

non con le nostre povere, umili

coordinate che segnano una

nascita e un arco che taglia

questa eternità e la chiude

col nome del nostro ultimo

giorno, col nostro ultimo

sguardo verso quel cielo.

 

Mi consola pensare che l’atto

del cadere appartiene solo

alle creature e alle cose che

hanno vissuto: foglie, gocce di

pioggia, stelle e noi per ultimi

che conosciamo il vero, vero

nome di tutte, proprio tutte,

le rose.

 

 

Questo è il “sentimento oceanico”, così come lo definiscono lo scrittore francese Romain Rolland e il filosofo Pierre Hadot che ne racconta in un libro magnifico che mi attendeva da anni negli scaffali della mia libreria:

“Le cose sono cambiate con l'adolescenza. Del resto, per lungo tempo ho avuto l'impressione di essere venuto al mondo solo a partire dal momento in cui sono diventato adolescente e rimpiangerò sempre di avere buttato via, per umiltà cristiana, le prime note scritte che erano l'eco della mia personalità nascente, perché mi è difficile adesso ricostruire il contenuto psicologico delle scoperte sconvolgenti che ho fatto allora. Mi ricordo però il contesto. Successe una volta nella rue Ruinart, lungo il tragitto tra il Seminario minore e la casa dei miei genitori, dove rientravo tutte le sere, essendo allievo esterno. Era calata la notte e le stelle brillavano in un cielo immenso. A quell'epoca si poteva ancora vederle. Un'altra volta accadde in una stanza di casa nostra. In entrambi i casi fui invaso da un'angoscia insieme terrificante e soave, provocata dal sentimento della presenza del mondo, o del Tutto, e di me in questo mondo. In realtà ero incapace di esprimere la mia esperienza, ma in seguito sentii che poteva corrispondere a domande come: «Chi sono?» «Perché sono qui?» Provavo un senso di estraneità, lo stupore e la meraviglia di esserci. Nello stesso tempo, percepivo di essere immerso nel mondo, di farne parte, e che il mondo si estendeva dal più piccolo filo d'erba fino alle stelle. Il mondo mi era presente, intensamente presente. Molto più tardi avrei scoperto che questa presa di coscienza del mio essere immerso nel mondo, questa impressione di appartenenza al Tutto, era ciò che Romain Rolland ha chiamato il «sentimento oceanico». Credo di essere filosofo a partire da quel momento, se per filosofia si intende la coscienza dell'esistenza, dell'essere al mondo. A quell'epoca non sapevo come esprimere ciò che provavo, ma sentivo il bisogno di scrivere e mi ricordo molto chiaramente che il primo testo che ho scritto era una sorta di monologo di Adamo che scopre il suo corpo e il mondo circostante. A partire da quel momento, ho sentito di essere distante dagli altri, poiché non potevo concepire che i miei compagni o addirittura i miei genitori o i miei fratelli potessero immaginare cose simili. Solo molto più tardi ho scoperto che molte persone hanno esperienze analoghe, ma non ne parlano. Ho cominciato a percepire il mondo in modo nuovo. Il cielo, le nuvole, le stelle, le «sere del mondo», come dicevo a me stesso, mi affascinavano. Sporgendomi dalla finestra a testa in su, guardavo il cielo notturno, con l'impressione di immergermi nell'immensità stellata. Questa esperienza ha dominato tutta la mia vita. L'ho provata di nuovo, molte altre volte, ad esempio davanti delle Alpi dalle rive del Lemano a Losanna, o da Salvan, nel Vallese. Questa esperienza è stata anzitutto per me la scoperta di qualcosa di emozionante e affascinante che non era assolutamente legato alla fede cristiana. Ha dunque avuto un ruolo importante nella mia evoluzione interiore. Per altro verso, ha fortemente influenzato la mia concezione della filosofia: ho sempre considerato la filosofia come una trasformazione della percezione del mondo. Da allora ho percepito molto fortemente l'opposizione radicale che esiste tra la vita quotidiana, che viene vissuta in una semincoscienza, in cui siamo guidati dagli automatismi e dalle abitudini, senza essere consapevoli della nostra esistenza nel mondo, e quegli stati privilegiati nei quali viviamo intensamente e abbiamo coscienza del nostro essere al mondo”.

Questa sera vi saluto con le parole di un filosofo e vi auguro che dalla vostra finestra possiate perdervi in un cielo stellato.

La Cronaca 222 è frutto di venerdì 16 ottobre dell’anno senza Carnevale. La poesia Noi che conosciamo il vero nome delle rose è mia ed è inedita. La citazione è tratta dal libro di Pierre Hadot La filosofia come modo di vivere. Conversazioni con Jeannie Carlier e Arnold I. Davidson, traduzione di Anna Chiara Peduzzi e Laura Cremonesi, Einaudi 2008.


 

venerdì 24 luglio 2020

Cronache dall’anno senza Carnevale/138: quelle luci disperse che non so ancora chiamare per nome


La parola che manca è acqua, la seconda parola che manca è cortile, manca anche la rosa per finire.

Ieri ho scritto della pioggia e la pioggia ha invaso tutti i regni e noi siamo rimasti chiusi in casa e abbiamo raccontato storie e abbiamo letto storie.

Poi abbiamo scritto, per non dimenticare, per poter rileggere e stupirci a ogni nuova lettura.

Perché le pagine sono tavole scolpite, ma le parole sgorgano come acqua e nessuna sorgente ha memoria dei limpidi zampilli.

Perché ogni zampillo è nuovo, è parola primigenia che cerca uno spazio dove stare, non importa se nell’aria o nella pagina scritta a mano.

Non importa se nel vento che geme o nell’incavo del silenzio.

Il silenzio non è lineare, non è piatto, è fatto di angoli, è concavo, è convesso. 

Se ne sta acciambellato come un gatto e si stira quando arrivano parole nuove a solleticarlo.

Nessuna parola è tale se prima non ha attraversato l’oceano del silenzio, se prima non si è bagnata e ha mutato colore, sillabe e consistenza.

Ogni parola lascia qualcosa di sé nell’oceano, per questo basta immergere le mani e contare le stelle che sono rimaste impigliate nella rete della lingua.

È dolce il movimento che porta le mani dalla bocca all’orecchio, solo così le parole possono attraversare la luce e risplendere dei significati che sappiamo donare loro.

Com’è dolce la pioggia, anche se impetuosa, si è arresa a cadere quaggiù sui selciati piegati dal caldo e scolpiti dal sole.

Cade la pioggia e una parte scivola nel terreno e l’altra parte, subito, evapora e torna nel cielo.

Lassù saranno nuove nuvole ad accoglierla e la pioggia perderà prima il nome e poi il ricordo della caduta.

La parola che manca è necessità, nessuno sa di cosa ha bisogno. La vita antica ha smesso di scintillare e tutti vediamo nitidamente che non abbiamo bisogno di più cose di quante già non siano nelle nostre case.

La parola che manca è futuro, un tempo vasto e più immenso di quel che è stato, un tempo migliore perché è nelle radici della nostra cultura credere che progrediremo e cresceremo verso un sole più luminoso.

Le parole che mancano sono così tante che ci fermiamo. Raccolgo dalla cesta di Alexandre e François – il misterioso architetto e il sapiente guerriero - le parole che hanno raccolto in giardino e in spiaggia dopo la tempesta.

Oceano è la prima parola e se ne sta in un guscio d’uovo di tartaruga, sguardo è la seconda ed è scolpita su una pietra di lava nera, stella è la terza e la stella marina morta contiene una briciola di quella luce che è arrivata dal cielo.

C’è questa tristezza da emisfero australe stasera che mi percorre i brividi e le mani e allora cerco una poesia per i miei amici e le mie amiche che condividono questi giorni, uno diverso ogni giorno, e mi danno felicità con le loro parole.



Il Sud 

Da un tuo cortile aver guardato
le antiche stelle,
dalla panchina in ombra aver guardato
quelle luci disperse
che non so ancora chiamare per nome
né ordinare in costellazioni,
aver sentito il cerchio d’acqua
nel segreto pozzo,
l’odore del gelsomino e della madreselva,
il silenzioso uccello addormentato,
la volta dell’androne, l’umido
– forse son queste cose la poesia.



Sono la cicala e il vento, il grillo che canta ogni notte sotto la mia finestra, il mare che ho visto e quello che ho sognato. Sono il cortile e questo giardino, la promessa dei melograni, un gatto addormentato nel prato, un gatto addormentato sul mio letto. Posso chiedere all’infinito e all’eternità di stilare una nuova lista.

Loro accettano, io mi siedo alla mia scrivania e resto in attesa, ascolto, poi scrivo….



Il titolo di questa Cronaca 138 è un verso dalla poesia Il Sud di Jorge Luis Borges, tratta da Fervore di Buenos Aires, traduzione di Tommaso Scarano, Adelphi 2010


El Sur

Desde uno de tus patios haber mirado
las antiguas estrellas,
desde el banco de sombra haber mirado
esas luces dispersas,
que mi ignorancia no ha aprendido a nombrar
ni a ordenar en constelaciones,
haber sentido el círculo del agua
en el secreto aljibe,
el olor del jazmín y la madreselva,
el silencio del pájaro dormido,
el arco del zaguán, la humedad
– esas cosas, acaso, son el poema.

venerdì 3 marzo 2017

Cerco una prosa rapida e meditante.

Breve nota autobiografica

Tutta la vita psichica è investigazione, investigazione che cerco di tradurre in immagini. E ognuno è solo su questa terra su sfondi di cielo, di mare o di montagne.
Cerco una prosa rapida e meditante.
Per ciò che c'è di infinito nella vita, vivere è un po' come navigare. Per Baudelaire il mare è una metafora dell'anima. Nella scrittura si vorrebbe imprigionare il canto delle sirene.
Amo il francese, lo spagnolo, il provenzale. In quest'ultimo, come nel dialetto, cerco un'acre verdezza.

Francesco Biamonti
Scritti e parlati
a cura di Gian Luca Picconi e Federica Cappelletti
prefazione di Sergio Givone
Einaudi 2008

giovedì 18 febbraio 2016

La poesia dell'universo


Una manciata di tipi di particelle elementari, che vibrano e fluttuano in continuazione fra l'esistere e il non esistere, pullulano nello spazio anche quando sembra non ci sia nulla, si combinano assieme all'infinito come le venti lettere di un alfabeto cosmico per raccontare l'immensa storia delle galassie, delle stelle innumerevoli, dei raggi cosmici, della luce del sole, delle montagne, dei boschi, dei campi di grano, dei sorrisi dei ragazzi alle feste, e del cielo nero e stellato la notte.

Carlo Rovelli
Sette brevi lezioni di fisica
Adelphi 2014