venerdì 31 gennaio 2014

Ogni libro è scritto per una voce e chiede una devozione assoluta

La voce di António Lobo Antunes è arrochita, profonda, quasi baritonale. L'autore portoghese, uno dei riconosciuti maestri della letteratura europea contemporanea (...) spiega che lo scrittore è una sorta di tramite: "Il libro sceglie il proprio cammino, io mi considero solo un intermediario tra due istanze: la prima che non so qual è, e la seconda che è il lettore ". Con forza rigetta l'idea stessa di vocazione  -  "È la mano che scrive con la testa che viaggia lontano"  -  e nega qualsiasi collegamento tra la sua letteratura e le esperienze lavorative come psichiatra: "Gli ospedali non mi diedero né mi portarono altro che non fosse orrore, sofferenza e dolore".

(…)

Quando ha capito che avrebbe voluto scrivere?
"All'età di sei o sette anni. Mio padre era un neurologo, professore all'università, ed io il primogenito di una famiglia che proveniva dal Brasile. Divenni psichiatra perché non volevo essere un medico. L'unico mestiere che ho mai desiderato fare nella vita è però lo scrittore. Ho sempre saputo che non sarebbe stato facile, e infatti sono trascorsi molti anni prima che trovassi la mia voce. Ho pubblicato il mio primo libro (Memória de elefante, n.d.r) a trentasei anni, e quasi fino ad allora la mia reazione era sempre la stessa: così non va. Riscrivevo in continuazione".

Come sono scandite le sue giornate?
"Dedico alla scrittura mediamente dieci ore al giorno e per ogni libro impiego uno o due anni. Il processo più complesso è però la correzione, quanto cambi di ciò che hai scritto; perché un testo non è mai finito, c'è sempre un avverbio, un pronome, un articolo che non convincono. Così quando finalmente chiudo un libro provo un sentimento ambivalente: da un lato sento una specie di sollievo, dall'altro so che ho iniziato a perderlo".

Soltanto la dedizione ad una passione esclusiva conferisce potenza, sostiene Stefan Zweig nella biografia su Balzac. Per resistere ore alla scrivania, Balzac si teneva sveglio bevendo moltissimo caffè; e lei?
"Fumo sigarette. Ciò che dice Zweig è esatto: serve una devozione assoluta se vuoi fare questo mestiere. Forse il talento non esiste, ci sono solo persone che provano e provano e provano ancora. Un giorno, ad uno che gli chiedeva come avesse potuto realizzare un certo magnifico passaggio, Bach rispose che se avesse lavorato quanto aveva fatto lui avrebbe ottenuto lo stesso risultato".

(…)

Io mi ricordo  -  scrive Hegel  -  vuol dire "io penetro nel mio interno, ricordo me". Che relazione sussiste tra memoria e immaginazione?
"L'immaginazione è l'unica possibilità che hai per affrontare la memoria concreta. Non facciamo altro che riadattare, riorganizzare e risistemare tutto il materiale memoriale in un ordine differente. L'immaginazione deriva da come lavoriamo questo materiale; prende forma dalla memoria. In uno studio su persone che hanno avuto un ictus, si dimostra che chi è stato privato della memoria è stato privato anche dell'immaginazione".

Ci sono immagini che più di altre hanno formato il suo animo?
"Non sono perseguitato da immagini ma da ossessioni. Sono loro che plasmano il mio animo. Ogni regista, o scrittore, o artista o pittore, è spinto dalle proprie ossessioni. Io poi non penso in forma logica, le cose mi appaiono già così nella testa, mi limito a seguirle; ed è male".

(…)

L'infelicità dei suoi personaggi sembra derivare dall'interpretazione di alcuni istanti del loro passato, e dall'esserne prigionieri.
"Non vedo i miei personaggi come felici o infelici, nemmeno li vedo i miei personaggi. Vedo una voce che viene, che va, che torna, che attacca, che scrive il libro. Ogni libro è scritto per una voce".

Una voce?
"Prende corpo dentro di me, e non so perché né da dove provenga. Alle volte, quando inizio a scrivere la mattina, devo aspettare tre o quattro ore prima che questa voce cominci a parlare. Non posso spiegare meglio, perché non scrivi ciò che vuoi ma ciò che devi, ciò che ti viene ordinato di scrivere. Sembrerà un pochino folle, ma questo è quello che faccio ed è quello che sono. Non ho mai capito in cosa consista davvero il sistema creativo. Quando ero uno studente di medicina ho letto moltissimi libri sui processi creativi e non ho mai trovato una spiegazione soddisfacente. Probabilmente rimarrà per me sempre un mistero".


frammenti della bellissima intervista di Sebastiano Triulzi a Antonio Lobo Antunes su Repubblica di sabato 25 gennaio 2014



giovedì 30 gennaio 2014

Il personaggio è quell'alter-ego che ci viene incontro dai romanzi

L’alter ego. Una straordinaria definizione di personaggio l’ha data Giacomo Debenedetti: “Chiamo personaggio-uomo quell’alter-ego, nemico o vicario, che in decine di migliaia di esemplari, tutti diversi fra loro, ci viene incontro dai romanzi” per dirci “si tratta anche di te”. “Si può affermare”, scrive David Lodge, “che il personaggio è la più importante componente del romanzo”. Ecco perché, chiuso un grande libro, ci resta per sempre in mente una figura, come una persona davvero conosciuta.
Elizabeth Strout ha il dono di trasformare donne normali, donne qualsiasi, in personaggi eccezionali. In Olive Kitteridge la protagonista è un’insegnante di provincia. In Amy e Isabelle, Isabelle è una segretaria qualunque e Amy un’adolescente piena di paure come tante. In Resta con me, Tyler è un reverendo di un piccolo paese del Maine e Connie una domestica. Anche 
I ragazzi Burgess è la storia di gente comune, Susan e Helen sono madri che hanno vissuto per i figli e basta, Bob e Jim due fratelli in competizione come migliaia di altri. Eppure è proprio da questo nucleo di normalità che la Strout tira fuori grandi storie e figure potenti, indimenticabili. Qual è il segreto?
Elizabeth Strout risponde, gentile e disponibile, lei per prima si considera una persona normale e ci tiene a farlo capire. Dopo aver vinto il Pulitzer, quando la gente la guardava in mondo diverso, era persino preoccupata. Continuava a dire a tutti “Ma sono sempre io… Non è cambiato niente”.

Cominciamo da qui. Come si fa a trasformare una persona qualunque
in un grande personaggio?
Quando ero al college, discutevo con un amico tutta la notte: lui diceva che esistono delle persone veramente noiose e io rispondevo di no, che nessuno è noioso se lo conosci. Eravamo giovani, quindi litigavamo. Ogni tanto penso che forse aveva ragione lui, ma in realtà sono ancora abbastanza convinta di questa idea. Una persona può fare la vita più normale del mondo, ma per lei la sua vita è importante, quindi lo è anche per me come scrittrice.
(…)
Come lavora? Vede qualcuno e le viene un’idea? Mescola nella testa
pezzi di persone reali? Dimentica tutto e tutti e lascia che sia
l’immaginazione a fare questa sintesi?
A volte, quando sono nella metro, mi capita di osservare una faccia per quaranta minuti e di dirmi: Ah, che faccia interessante. Poi però queste persone le mescolo, le costruisco. I personaggi sono un’unione di tante persone reali.

frammento della conversazione di Caterina Bonvicini con Elizabeth Strout
seconda delle Lezioni di scrittura sul Fatto quotidiano del 9 dicembre 2013

mercoledì 29 gennaio 2014

Le mie mani mantengono stelle

Le mie mani mantengono stelle,
Afferro la mia anima perché non si spezzi
La melodia che va di fiore in fiore,
Strappo il mare dal mare e lo pongo in me
E il battere del mio cuore sostiene il ritmo delle cose.


Sophia de Mello Breyner Andresen
Come un grido puro 

traduzione e cura di Federico Bertolazzi
Crocetti Editore 2013

martedì 28 gennaio 2014

Se hai il blocco della scrittura scrivi una biografia

La biografia è il racconto di una vita altrui, che ha valore per la bizzarria, il fascino, il significato storico o culturale. La vita altrui dovrebbe stare là, e tu dovresti stare qua. La distanza è data dall’analisi critica. Se sei uno storico, la regola funziona. Ma con uno scrittore non va mai a finire così. Il soggetto della biografia diventa personaggio di romanzo. Urta, sollecita, spreme e rende ambigue le coscienze. E lo scrittore non sta più lontano, chiuso in astratte disquisizioni, ma è dentro il mare dell’esistenza altrui, naviga a vista tra fascino e paura.
Emmanuel Carrère è uno scrittore di biografìe: Jean-Claude Romand, il bugiardo compulsivo che assassina moglie figli e genitore, Philip Dick lo
scrittore di fantascienza, e Eduard Limonov esule, poeta, carcerato e politico. Ma le biografìe si intrecciano incessantemente con la vita dell’autore, creando, in un certo senso, una propria an-ti-biografìa. Quasi che attraverso le vite degli altri si possa raccontare la propria, vista nelle sue zone di limite. Chi decide lo stato di eccezione? Questa era la domanda che si poneva Schmitt ragionando sul potere, e che poi ha definito la figura dell’homo sacer di Giorgio Agamben. Qual è quindi il nostro stato di eccezione, quale il confine fra normalità e follia? Cosa una vita altrui ci può dire sulle semplici cose della nostra vita: fare figli, andare a prenderli a scuola, scrivere un libro o intraprendere un viaggio. Perché la presenza altrui può essere così inquietante, e come si affronta la perturbazione personale con la scrittura? Nella sua opera, Carrère risponde con uno stile lucido a questi interrogativi. Spietatamente lucido, verrebbe da dire.

Molti scrittori in erba si chiedono come si sceglie un personaggio. Lei
come sceglie un soggetto a cui valga la pena dedicare una biografia?

Non ho un solo modo. Ogni volta uso un metodo diverso. Per quello che riguarda Romand, quando avevo letto i primi articoli sul fatto, la sua storia mi aveva appassionato, come penso avesse appassionato molta gente. Da qui è cominciato un processo molto lungo e molto complicato.
Per Limonov è diverso. Avevo scritto un reportage lunghissimo su di lui, e avevo l’impressione che ci fosse ancora molto altro da scrivere.
C’era un mélange che mi pareva eccitante fra romanzo di avventura e
libro di storia. Ma in fondo, in nessuno dei due casi ho mai pensato in termini di biografia. L’ho fatto una volta quando avevo scritto il libro su Philip Dick. Ero in un periodo in cui non riuscivo più a scrivere e mi ricordo che il mio agente mi aveva detto che quando un autore ha il blocco, deve scrivere una biografia.

incipit della conversazione di Alberto Garlini con Emmanuel Carrère
prima delle Lezioni di scrittura sul Fatto quotidiano del 2 dicembre 2013

lunedì 27 gennaio 2014

Latte nero dell’alba lo beviamo la sera

Per il giorno della memoria

Fuga della morte 

Latte nero dell’alba lo beviamo la sera 
lo beviamo a mezzogiorno e al mattino lo beviamo la notte 
beviamo e beviamo 
scaviamo una tomba nell’aria là non si giace stretti
Nella casa abita un uomo, gioca coi serpenti scrive 
scrive quando cala la notte in Germania i tuoi capelli d’oro Margarete 
scrive esce davanti alla casa e lampeggiano le stelle e fischia ai suoi mastini
fischia ai suoi ebrei e fa scavare una tomba nella terra 
ci comanda ora suonate alla danza

Latte nero dell’alba ti beviamo la notte
ti beviamo al mattino e a mezzogiorno ti beviamo la sera 
beviamo e beviamo 
Nella casa abita un uomo, gioca con i serpenti, scrive,
scrive quando cala la notte in Germania i tuoi capelli d’oro Margarete
I tuoi capelli di cenere Sulamith
scaviamo una tomba nell'aria là non si giace stretti.
Lui grida vangate la terra più a fondo voi e voi cantate e suonate
impugna il ferro alla cintura lo agita i suoi occhi sono azzurri
spingete più a fondo le vanghe voi e voi suonate alla danza

Latte nero dell’alba ti beviamo la notte
ti beviamo a mezzogiorno e al mattino, ti beviamo la sera 
beviamo e beviamo 
nella casa abita un uomo i tuoi capelli d’oro Margarete
i tuoi capelli di cenere Sulamith lui gioca coi serpenti

Lui grida suonate più dolce la morte la morte è un Mastro di Germania
lui grida, suonate più cupo i violini, dopo salirete come fumo nell'aria 
e avrete una tomba nelle nubi là non si giace stretti 

Latte nero dell’alba ti beviamo la notte 
ti beviamo a mezzogiorno la morte è un Mastro di Germania
ti beviamo la sera e la mattina beviamo e beviamo 
la morte è un Mastro di Germania il suo occhio è azzurro
ti colpisce con palla di piombo ti colpisce preciso
nella casa abita un uomo i tuoi capelli d’oro Margarete
aizza i suoi mastini contro di noi ci regala una tomba nell’aria
gioca coi serpenti e sogna la morte è un Mastro di Germania

i tuoi capelli d’oro Margarete 
i tuoi capelli di cenere Sulamith


Paul Celan
Poesie
traduzione di Giuseppe Bevilacqua
Mondadori Meridiano 1998

Todesfuge 
     Schwarze Milch der Frühe wir trinken sie abends
    wir trinken sie mittags und morgens wir trinken sie nachts
    wir trinken und trinken
    wir schaufeln ein Grab in den Lüften da liegt man nicht eng
    Ein Mann wohnt im Haus der spielt mit den Schlangen der schreibt
    der schreibt wenn es dunkelt nach Deutschland dein goldenes Haar Margarete
    er schreibt es und tritt vor das Haus und es blitzen die Sterne er pfeift seine Rüden herbei
    er pfeift seine Juden hervor läßt schaufeln ein Grab in der Erde
    er befiehlt uns spielt auf nun zum Tanz


    Schwarze Milch der Frühe wir trinken dich nachts
    wir trinken dich morgens und mittags wir trinken dich abends
    wir trinken und trinken
    Ein Mann wohnt im Haus der spielt mit den Schlangen der schreibt
    der schreibt wenn es dunkelt nach Deutschland dein goldenes Haar Margarete
    Dein aschenes Haar Sulamith wir schaufeln ein Grab in den Lüften da liegt man nicht eng


    Er ruft stecht tiefer ins Erdreich ihr einen ihr andern singet und spielt
    er greift nach dem Eisen im Gurt er schwingts seine Augen sind blau
    stecht tiefer die Spaten ihr einen ihr andern spielt weiter zum Tanz auf


    Schwarze Milch der Frühe wir trinken dich nachts
    wir trinken dich mittags und morgens wir trinken dich abends
    wir trinken und trinken
    ein Mann wohnt im Haus dein goldenes Haar Margarete
    dein aschenes Haar Sulamith er spielt mit den Schlangen
    Er ruft spielt süßer den Tod der Tod ist ein Meister aus Deutschland
    er ruft streicht dunkler die Geigen dann steigt ihr als Rauch in die Luft
    dann habt ihr ein Grab in den Wolken da liegt man nicht eng


    Schwarze Milch der Frühe wir trinken dich nachts
    wir trinken dich mittags der Tod ist ein Meister aus Deutschland
    wir trinken dich abends und morgens wir trinken und trinken
    der Tod ist ein Meister aus Deutschland sein Auge ist blau
    er trifft dich mit bleierner Kugel er trifft dich genau
    ein Mann wohnt im Haus dein goldenes Haar Margarete
    er hetzt seine Rüden auf uns er schenkt uns ein Grab in der Luft
    er spielt mit den Schlangen und träumet der Tod ist ein Meister aus Deutschland


    dein goldenes Haar Margarete
    dein aschenes Haar Sulamith 

domenica 26 gennaio 2014

Sono stato invitato all’improvviso fra le rose

Strada
Un bagliore di automobili in fuga
i miei pensieri riordinava in bianco e nero.

Io che attraverso la strada
solo nei punti consentiti dalla legge,
sono stato invitato all'improvviso
fra le rose.

E come si chiarisce un bruno ramo
nel punto in cui si spezza, così io
nel mio amore
sono chiaro.
Yehuda Amichai
Poesie
introduzione di Ted Hughes
traduzione di Ariel Rathaus
Crocetti Editore 1993, 2001

sabato 25 gennaio 2014

Una rivelazione contando le stelle

Una sola volta
Una sola volta compresi lo scopo della vita.
Accadde a Boston, inaspettatamente.
Camminavo lungo il Charles
e vidi le luci duplicarsi, tutte
con il cuore al neon e vibrante,
spalancando la bocca come cantanti d’opera;
e contai le stelle, le mie piccole veterane,
cicatrici fiorite, e capii che stavo portando
il mio amore sulla sponda verde notturna, e in lacrime
aprii il cuore alle auto dirette a est e a ovest
e feci passare un ponticello alla mia verità
e la condussi a casa in fretta col suo fascino
e fino all'alba accumulai queste costanti
per scoprire poi che se n’erano andate. 

Anne Sexton
L’estrosa abbondanza
a cura di Rosaria Lo Russo,
Antonello Satta Centanin, Edoardo Zuccato
Traduzione di Edoardo Zuccato
Crocetti Editore 1997

venerdì 24 gennaio 2014

La realtà non è quella che si vede

Ho sceso, dandoti il braccio, almeno un milione di scale
e ora che non ci sei è il vuoto ad ogni gradino.

Anche così è stato breve il nostro lungo viaggio.

Il mio dura tuttora, né più mi occorrono

le coincidenze, le prenotazioni,

le trappole, gli scorni di chi crede

che la realtà sia quella che vede.


Ho sceso milioni di scale dandoti il braccio

non già perché con quattr'occhi forse si vede di più.

Con te le ho scese perché sapevo chi di noi due

le sole vere pupille, sebbene tanto offuscate,

erano le tue.


Eugenio Montale

giovedì 23 gennaio 2014

Scrivere è affidarsi al solo tessuto del testo

I testi sono una partitura che sfrutta le risorse della lingua, che sono non sette note, ma settantasettemila: il possesso di una lingua, di sue forme, regole e significati, ci consegna la chiave per potenzialità illimitate di espressione e, se abbiamo pazienza, di comprensione. Credo che chi scrive un romanzo debba affidare alla costruzione stessa del suo testo il suggerimento della lentezza o della affannosità del ritmo. Non ha didascalie, non può dire, qui con affanno, qui allegro andante. Lo scrittore deve affidarsi al solo tessuto del testo.
E questo in qualche modo si applica persino alla scrittura saggistica, fatte salve le logiche interne a una disciplina. Di certo una partitura sembra ravvisarsi nei grandi libri di storia, penso ai libri di Braudel, dove c'è tanta scrittura. Una partitura che non ha bisogno di essere suonata in prima persona, soluzione sempre più usata nella cattiva saggistica umanistica. C'è un'esondazione di io, si è scordato che la fluidità, il coinvolgimento del lettore si ottiene, per gran parte, col dominio dell'argomento di cui si scrive, una volta che si è fatto proprio il tessuto delle argomentazioni e delle contro-argomentazioni. 

Tullio De Mauro
La lingua batte dove il dente duole
dialogo tra Andrea Camilleri e Tullio De Mauro

Editori Laterza 2013

mercoledì 22 gennaio 2014

Poesia è parole amate che col tempo cambiano luogo

Non è
“ per una selva oscura”

La poesia non è
che un discorrere nella penombra
del forno vecchio, quando,
lontani tutti, crepita
fuori il profondo bosco; poesia

non è che le parole
già amate, che col tempo
cambiano luogo e sono
nient’altro che una macchia, una
speranza che non dici;

la poesia non è
che la felicità, un discorrere
nella penombra, tutto
quanto è svanito ed è
ormai silenzio.

Eliseo Diego
Traduzione di Francesco Tentori Montalto

Poesia n. 223 Gennaio 2008
Speciale 20 anni
500 poesie sulla poesia

Crocetti Editore 2008

martedì 21 gennaio 2014

Il mio albero della lingua italiana

Dal mio punto di vista la lingua è tutto. E' il modo di comunicare che hanno gli appartenenti a una nazione, è il terreno comune che adoperiamo per comprendere ciò di cui stiamo parlando. In altri momenti della nostra storia, quando l'italiano come lingua ufficiale non esisteva, la comprensione tra una regione e l'altra dell'Italia non era facile né ovvia. Pensa alla spedizione di Garibaldi, a tutte quelle persone provenienti da tante regioni diverse che non si capiscono tra loro, e che in due tre giorni di navigazione diventano un esercito. E' un miracolo che ancora oggi mi commuove, più della spedizione in sé. E' il miracolo compiuto dal comune ideale, dal comune obiettivo, dall'intesa che c'è fra queste persone.
Così vedo la lingua italiana: ciò che ci fa ragiungere degli scopi comuni. Ecco perché tengo sempre a dichiararmi uno scrittore italiano nato in Sicilia, e quando leggo scrittore siciliano mi arrabbio un poco, perché io sono uno scrittore italiano che fa uso di un dialetto che è compreso nella nazione italiana, un dialetto che ha arricchito la nostra lingua. Se l'albero è la lingua, i dialetti sono stati nel tempo la linfa di questo albero. Io ho scelto di ingrossare questa vena del mio albero della lingua italiana col dialetto, e penso che la perdita dei dialetti sia un danno anche per l'albero.

Andrea Camilleri
La lingua batte dove il dente duole
dialogo tra Andrea Camilleri e Tullio De Mauro
Editori Laterza 2013

lunedì 20 gennaio 2014

Poesia per Emily Dickinson

Dall'altro lato della notte
l'attende il suo nome,
la sua ansia surrettizia di vivere,
dall'altro lato della notte!

Qualcosa piange nell'aria,
i suoni disegnano l'alba.

Lei pensa all'eternità.

SOLO UN NOME


alejandra alejandra
io sono sotto
alejandra


Alejandra Pizarnik
La figlia dell'insonnia
traduzione e cura di Claudio Cinti
Crocetti Editore 2004


domenica 19 gennaio 2014

La luce nella stanza quasi un’ aria nevosa

Le poesie del nostro clima

I.
Acqua trasparente in un vaso brillante,
garofani rosa e bianchi. La luce
nella stanza quasi un’ aria nevosa,
riflette neve. Una neve appena caduta
a fine inverno quando tornano i pomeriggi.
Garofani rosa e bianchi… si desidera
tanto, tanto di più. Il giorno stesso
si semplifica: un vaso di bianco,
freddo, una porcellana fredda, bassa e tonda,
con nient’altro che i garofani dentro.

II.
Mettiamo che questa semplicità completa
ci spogliasse di ogni nostro tormento, celasse
l’io vitale, malvagiamente assommato,
e lo facesse fresco in un mondo di bianco,
un mondo di acqua trasparente, dai bordi brillanti:
pure si vorrebbe, si avrebbe bisogno di più,
più di un mondo di bianco e profumi di neve.

III.
Resterebbe pur sempre la mente inappagata,
cosi che si vorrebbe fuggire, tornare
a quello che era stato tanto a lungo composto.
L’imperfetto è il nostro paradiso.
Notare che in questa amarezza la gioia,
poiché l’imperfetto ci brucia tanto dentro,
sta in parole rotte e suoni ostinati.


Wallace Stevens
da Parti di un mondo
Harmonium
Poesie 1915-1955
traduzione e cura di Massimo Bacigalupo
Einaudi 1994


The Poems of Our Climate

I.
Clear water in a brilliant bowl,
Pink and white carnations. The light
In the room more like a snowy air,
Reflecting snow. A newly-fallen snow
At the end of winter when afternoons return,
Pink and white carnations – one desires
So much more than that. The day itself
Is simplified: a bowl of white,
Cold, a cold porcelain, low and round,
With nothing more than the carnations there.

II.
Say even that this complete simplicity
Stripped one of all one’s torments, concealed
The evilly compounded, vital I
And made it fresh in a world of white,
A world of clear water, brilliant-edged,
Still one would want more, one would need more,
More than a world of white and snowy scents.

III.
There would still remain the never~resting mind,
So that one would want to escape, come back
To what had been so long composed.
The imperfect is our paradise.
Note that, in this bitterness, delight,
Since the imperfect is so hot in us,
Lies in flawed words and stubborn sounds.


sabato 18 gennaio 2014

E la nuvola, l’albero usato e l’usata nuvola

Finché la terra usata e il cielo, e l’albero
E la nuvola, l’albero usato e l’usata nuvola,
Perdono i vecchi usi che si facevano di loro,
Ed essi: questi uomini, e la terra e il cielo,
Si comunicano l’un l’altro comunicazioni precise,
Precise, libere conoscenze, secrete fin’allora,
Rotture di ciò che li teneva stretti. E come
Se la poesia centrale diventasse il mondo

Wallace Stevens
Aurore d’autunno
cura, prefazione e traduzione di Nadia Fusini
Garzanti 1992

Until the used-to earth and sky, and the tree
And cloud, the used-to tree and used-to cloud,
Lose the old uses that they made of them,
And they: these men, and earth and sky, inform
Each other by sharp informations, sharp,
Free knowledges, secreted until then,
Breaches of that which held them fast. It is

As if the central poem became the world

venerdì 17 gennaio 2014

La mente è la grande poesia dell’inverno

Uomo e bottiglia
La mente è la grande poesia dell’inverno, l’uomo,
che per trovare quanto possa bastare
distrugge dimore romantiche
di rosa e ghiaccio
nella terra della guerra. Più che l’uomo, è
un uomo con la furia d’una razza d’uomini,
una luce al centro di molte luci,
un uomo al centro di uomini.
Deve soddisfare la ragione sull’essenza della guerra,
deve persuadere che la guerra è parte di se stessa,
una maniera di pensare, un modo di
distruggere, come la mente distrugge,
un distogliere, come una delusione antica volge
le spalle al mondo, una vecchia tresca con il sole,
un’aberrazione impossibile con la luna,
una volgarità di pace.
Non è la neve che è pagina, penna.
La poesia sferza più feroce del vento,
mentre la mente, per trovare quanto possa bastare,
distrugge dimore romantiche di rosa e ghiaccio.

Wallace Stevens
traduzione di Damiano Abeni

Man and Bottle
The mind is the great poem of winter, the man,
Who, to find what will suffice,
Destroys romantic tenements
Of rose and ice
In the land of war. More than the man, it is
A man with the fury of a race of men,
A light at the centre of many lights,
A man at the centre of men.
It has to content the reason concerning war,
It has to persuade that war is part of itself,
A manner of thinking, a mode
Of destroying, as the mind destroys,
An aversion, as the world is averted
From an old delusion, an old affair with the sun,
An impossible aberration with the moon,
A grossness of peace.
It is not the snow that is the quill, the page.
The poem lashes more fiercely than the wind,
As the mind, to find what will suffice, destroys
Romantic tenements of rose and ice.



giovedì 16 gennaio 2014

Dove creo sono vero

Per il centenario della nascita di Etty Hillesum trascrivo un frammento di una lettera di Rilke a Lou Salomé che Etty aveva copiato nel suo diario:
"dove creo sono vero, e vorrei trovare la forza per fondare la mia vita interamente su questa verità, su questa infinita semplicità e gioia che talvolta mi sono concesse".

Etty Hillesum
Diario 1941-1943
edizione integrale
Adelphi 2012 

Un istante che divide a metà il paesaggio

Istante 

Per nessuna verità al mondo.
Ma se vuoi,
per un soldo di silenzio.

È un istante che divide a metà il paesaggio.

Un attimo umile,
quando qualcuno respira al posto nostro.

Jan Skácel
Solo un poeta
traduzione e cura di Annalisa Cosentino
Poesia n. 28 Aprile Crocetti Editore 1990

mercoledì 15 gennaio 2014

Narrare è ricordare ciò che non è mai avvenuto

«Ovvio che non si può smet­tere di vivere e poi rico­min­ciare, ma credo che ci siano momenti in cui si ha biso­gno di riti­rarsi in se stessi. Sono momenti in cui non suc­cede quasi niente, tranne ricor­dare e imma­gi­nare. L’ estate senza uomini è quindi prima di tutto una rifles­sione sulla potenza sal­vi­fica dell’ immaginazione».

Ma i ricordi di Mia sono selet­tivi. Pensa al suo matri­mo­nio, a quando era bam­bina, ma non a quello che le è suc­cesso quando il marito se n’ è andato. Non mi piace ricor­dare quella pazza, dice Mia di se stessa, mi fa vergognare.

«Per un periodo sono stata volon­ta­ria in un ospe­dale psi­chia­trico. Facevo lezioni di scrit­tura ai pazienti. Ho capito lavo­rando con loro quanto può essere dolo­roso un crollo così vio­lento. Soprat­tutto per la sua inde­ci­fra­bi­lità. Chi era quell’alieno, quell’ altro da me che gri­dava, si dibat­teva o tre­mava? Come fac­cio a fare i conti con que­sta parte di me? Ricor­dare signi­fica anche saper dimen­ti­care. O rein­ven­tare. L’ arte delle nar­ra­zione può essere defi­nita come la capa­cità di ricor­dare quello che non è mai accaduto».

Per­ché si rac­conta una sto­ria anzi­ché un’altra?
« Que­sto è il tema cen­trale della nar­ra­tiva. Le sto­rie sono delle appa­ri­zioni. Si può scri­vere di qual­siasi cosa, si pos­sono scri­vere libri su sciami di zebre volanti che volano da un pia­neta all’altro. Ma quanto è urgente? I grandi scrit­tori rispon­dono sem­pre a un’ urgenza pro­fonda. La fabula, come i for­ma­li­sti russi chia­mano il nucleo del rac­conto, ciò che non muta. C’ è una sorta di “Ur-Narrazione”, che non chia­me­rei auto­bio­gra­fia in senso stretto, ma è una sto­ria di auto­bio­gra­fia emo­zio­nale. In que­sto caso avevo finito di scri­vere due romanzi il cui pro­ta­go­ni­sta era un uomo ( Quello che ho amato e Ele­gia per un ame­ri­cano ). Ero stata per dieci anni nella voce di un maschio. Volevo tor­nare a essere una donna. Non ci sarà nes­sun uomo in que­sta sto­ria, ho pen­sato. E mi è arri­vata que­sta voce, leg­gera, buffa. Non avevo mai scritto in maniera iro­nica, gio­cando coi doppi sensi».

L’estate senza uomini è infatti, para­dos­sal­mente, una com­me­dia. Mia non fa altro che pian­gere per tutto il libro ma non pensi mai a lei come a una che sof­fre sul serio.
«Per­ché si prende in giro. Non volevo scri­vere un dia­rio della dispe­ra­zione. Soprav­vi­vere e tor­nare a vivere, è di que­sto che volevo par­lare. Mia è una donna colta, che ha i mezzi per inter­pre­tare e anche supe­rare il dolore. Legge Lacan, Der­rida, stu­dia la lin­gui­stica e ha con­fi­denza con Merleau-Ponty, ma sa arren­dersi di fronte alla forza dell’ umano. E quando, all’incon­tro in cui le anziane signore ana­liz­zano Per­sua­sione di Jane Austen, viene messa di fronte al biso­gno del let­tore di una sem­plice iden­ti­fi­ca­zione col per­so­nag­gio, cede. Ed è quello che è capi­tato a me. Anch’io, adesso, sono molto più attratta dalla sem­pli­cità. In fondo se il let­tore non rie­sce a iden­ti­fi­carsi con i pro­ta­go­ni­sti, vuol dire sol­tanto che lo scrit­tore non ha fatto un buon lavoro».

Nei suoi libri l’arte e l’invi­si­bi­lità sono due temi fon­da­men­tali, e sem­brano l’ una lo spec­chio dell’ altra.
«È così. Moki, l’ amico imma­gi­na­rio di Flora, ma anche mister Nes­suno, 
l’ uomo che appare dal nulla, come mit­tente di stram­pa­late email. La mia agente mi aveva chie­sto di spie­gare, alla fine, chi dia­volo fosse mister Nes­suno. Ma io non ho voluto. Mister Nes­suno è una pro­ie­zione di Mia, che appare in rispo­sta alla sua soli­tu­dine. È una sorta di altro da lei, da lei stessa imma­gi­nato. Nello stesso modo l’ arte non è un vero altrove, ma un altrove imma­gi­na­rio. L’ invi­si­bile e l’ arte sono quello che manca. Qual­cuno diceva che le per­sone per le quali il mondo non è abba­stanza sono i filo­sofi, i poeti e i let­tori di romanzi».


frammento dell'intervista di Elena Stancanelli a Siri Hustvedt
Repubblica 9 giugno 2012

martedì 14 gennaio 2014

Si immagina sempre, anche il reale

Quanto è impor­tante per lei l’immaginazione?
 L’immaginazione è una cosa che viene fuori sem­pre e comun­que men­tre scrivi, si mate­ria­lizza ogni volta che cer­chi di descri­vere qual­cosa. Anche se quel qual­cosa è real­mente acca­duto. Se vuoi rac­con­tare una sto­ria sei costretto a imma­gi­narla, per certi versi inven­tarla. Nabo­kov a un certo punto disse che scri­vere Lolita lo costrin­geva a inven­tare l’America. L’America era già stata inven­tata, certo, e lui l’ha solo descritta, ma l’ha fatto in un modo che solo lui avrebbe potuto fare. E scri­vere è esat­ta­mente que­sto: inven­tare qual­cosa che c’è sem­pre stato, ma che non era mai stato rac­con­tato in quel modo. Nabo­kov l’ha fatto con l’America, Char­les Dic­kens con Londra”.

Lei con Bad Beha­vior voleva inven­tare New York?
 No, quando ho scritto quei rac­conti non era alla città che pen­savo, ma alle per­sone. Certe per­sone in par­ti­co­lare, in momenti pre­cisi delle loro vite. Anche se poi, scri­vendo, New York è venuta fuori comunque”.

Parte sem­pre dai per­so­naggi quando scrive una storia?
 Sì, per me sono e restano la cosa più importante”.

E sa sem­pre dall’inizio se la sto­ria che sta per scri­vere sarà un rac­conto o un romanzo?
 Sì, anche se per Vero­nica c’è stato un momento in cui non ero più sicura di cosa fosse. Ma è durato poco. Non sapevo se la sto­ria avrebbe retto nel lungo periodo”.

E che cosa ha fatto?
 Con­ti­nuando a scri­vere, ho capito che non poteva che essere un romanzo”.

frammenti dell'intervista a Mary Gaitskill di Tiziana Lo Porto
D di Repubblica 16 giugno 2012

Il mondo in una frase

La mag­gior parte dei giorni ini­zia con frasi scritte al com­pu­ter su un dia­rio che nes­suno ha mai visto. C’ è una libertà in que­sto: la libertà di scri­vere cose su cui non mi cimen­terò mai. Le frasi sono per lo più banali, ser­vono per scal­dare le dita e il cer­vello. Nei giorni in cui sono pre­oc­cu­pata, in cui mi sento tri­ste, in cui sono a corto di parole, la mec­ca­nica del for­mu­lare frasi e met­terle in uno scri­gno è la sola cosa che rie­sca a farmi con­cen­trare di nuovo.

Costruire una frase è come scat­tare un’istan­ta­nea con una Pola­roid: premi il bot­tone e guardi cosa viene fuori. Scri­vere una frase equi­vale a docu­men­tare e svi­lup­pare al tempo stesso. (...)

Il mio lavoro cre­sce frase dopo frase. Dopo una fase ini­ziale in cui mi siedo pazien­te­mente, non tanto pazien­te­mente, e mi sforzo di inse­rirle da qual­che parte, di fis­sarle, le frasi ini­ziano ad arri­vare al mio cer­vello, già for­mate. Di solito le sento quando mi appi­solo per dor­mire. C’è qual­cuno che me le sug­ge­ri­sce, ma non so bene chi sia. Sono io, lo so, ma la fonte sem­bra indi­pen­dente, recon­dita, spe­cial­mente all’ ini­zio. La luce si accende, scri­bac­chio in fretta su un pezzo di carta una frase o due e poi al mat­tino le riporto al piano supe­riore, sul mano­scritto. Sento le frasi quando guardo fisso fuori dalla fine­stra, quando affetto la ver­dura, o quando aspetto da sola su un bina­rio della metro­po­li­tana. Sono le tes­sere di un puzzle, che mi ven­gono date senza un ordine par­ti­co­lare, senza una logica appa­rente. Sento solo che fanno parte della cosa.

Col tempo, in pra­tica ogni frase che ricevo e regi­stro a casac­cio viene ordi­nata, esa­mi­nata, orga­niz­zata e cam­biata. La mag­gior parte le eli­mino. Tutto il mio lavoro di revi­sione — ed è un pro­cesso che ini­zia imme­dia­ta­mente e accom­pa­gna la gesta­zione — avviene al livello di frasi. È arro­vel­lan­domi sulle frasi che si chia­ri­sce un per­so­nag­gio, che si svi­luppa una trama. Lavo­rare in modo tanto com­pul­sivo sulle parole, magari anche prima del neces­sa­rio, è come vedere gli alberi prima della fore­sta. Eppure sono inca­pace di imma­gi­nare la fore­sta in qual­siasi altro modo.

Quando sto per ulti­mare un libro o un rac­conto svi­luppo una sen­si­bi­lità acuta e osses­siva per ogni frase del testo. Mi entrano nel san­gue. Per un attimo sem­brano pren­derne il posto. Quando c’ è qual­che frase ancora in prova, mi siedo in un soli­ta­rio iso­la­mento e comin­cio a lavo­rarci. Le con­fronto, le esa­mino, inverto l’ ordine delle parole. E per ognuna emetto una sen­tenza: decido se farà parte del testo oppure no. Que­sto esame così minu­zioso può por­tare alla cecità. A volte — e que­sto mi ter­ro­rizza — le frasi smet­tono di avere un senso. Alla fine, quando ho ulti­mato un libro, mi sento svuo­tata. È l’ assenza di tutte quelle frasi che erano cir­co­late den­tro di me durante un periodo della mia vita, un com­plesso sistema di radici che viene estirpato.

Jhumpa Lahiri

frammenti dell'articolo pubblicato su Repubblica del 29 luglio 2012

domenica 12 gennaio 2014

Dove la luce del cielo è intensa come qui

Una mattina in Svezia

Mattina,
il vento soffiava, sventolava e tendeva
le bandiere della zona, c’era
ghiaccio sotto le betulle bianche.

Allora passa qualcuno vestito di nero,
cammina con passo pesante,
come se dovesse andare molto lontano.
La strada vuota sale spontanea
per un pendío dove egli si avvia.

Certo che lo conoscevo, potevo raccontare
                                 di lui
e di tutte le strade che ha percorso.
Ora il vento soffia già molto meno.
Le betulle bianche stanno assolutamente
                                 immobili,
con un ghiaccio lucido ai piedi,
                                 bagliore solare.

Dall’orizzonte
dove la luce del cielo è intensa come qui
arriva un piccolo tram sulle rotaie.
Si ferma un po’ qui e poi scompare,
senza che nessuno scenda.


Lars Gustafsson 
Sulla ricchezza dei mondi abitati
traduzione e cura di Maria Cristina Lombardi
Crocetti Editore 2010

sabato 11 gennaio 2014

Azzurro era il giorno, bianca la neve

Neve
Mi sono svegliato
e riluceva la mia stanza
del bianco
santuario.

Azzurro era il giorno.
La betulla fuori,
ramoscelli brinati sul
vetro del cielo.

La pernice soltanto
poteva calcare
la bianca
pura neve!




Olav H. Hauge 

La terra azzurra
traduzione e cura di Fulvio Ferrari
Introduzione di Idar Stegane
Crocetti Editore 2008

venerdì 10 gennaio 2014

I poeti lavorano nel buio

poeti lavorano di notte
quando il tempo non urge su di loro,
quando tace il rumore della folla
e termina il linciaggio delle ore.
I poeti lavorano nel buio
come falchi notturni od usignoli
dal dolcissimo canto
e temono di offendere Iddio.
Ma i poeti, nel loro silenzio
fanno ben più rumore
di una dorata cupola di stelle.

Alda Merini 

Testamento 
a cura di Giovanni Raboni
Crocetti Editore 1988

giovedì 9 gennaio 2014

La memoria è un fuoco incessante

Chi illumina

Quando mi guardi
i miei occhi sono chiavi,
il muro ha segreti,
il mio timore parole, poesie.
Solo tu fai della mia memoria
una viaggiatrice affascinata,
un fuoco incessante.



Alejandra Pizarnik
La figlia dell’insonnia

traduzione e cura di Claudio Cinti
Crocetti Editore 2004

mercoledì 8 gennaio 2014

All'origine della scrittura c'è sempre una domanda

Henning Mankell prende il cartone del latte, una tazzina da caffè e un bicchiere d'acqua che mi ha appena offerto. Li sistema sul tavolo della cucina disegnando i punti di una retta e usa questa strana composizione per spiegare come pianifica le sue storie: «All'origine c' è sempre una domanda, e la volontà di approfondire un determinato argomento. Mi documento finché non so tutto, poi penso a un inizio e alla fine. Solo successivamente subentra la scrittura». 
Tra pochi giorni esce Il cinese, romanzo, afferma Mankell, «che ho scritto perché lo leggano i dirigenti politici» e «perché la memoria è come un vetro, è così fragile che si può rompere in mille pezzi». 
Attorno a un ordito poliziesco, materiali autobiografici si mescolano ad alcuni temi ricorrenti - la globalizzazione, il rapporto fra vecchio e nuovo, il ponte che unisce Africa ed Europa: «Le fondamenta del romanzo poliziesco - precisa - si trovano nella tragedia greca. Prendiamo Medea, che uccide i propri figli perché gelosa del marito. Se non è questa una storia criminale allora quale lo è?». 
I prologhi dei suoi gialli sociali sono sempre sincopati, così come le atmosfere sempre silenziosamente drammatiche, un po' in bianco e nero...

frammento dell'intervista di Sebastiano TriulziHenning Mankell
Repubblica 13 giugno 2009