martedì 31 dicembre 2013

L'opera che scriverò

Per uno scrittore, scoprire l’opera che scriverà è un miracolo e al tempo stesso una ferita, è il miracolo della ferita.

Edmond Jabès 
citato da Rob Brezsny nell'oroscopo 2014 del Cancro
su Internazionale 

lunedì 30 dicembre 2013

Se la letteratura è il grano di una terra

Non solo il poeta dischiude immagini, distilla significati; il poeta apre gli occhi del lettore su visioni di luce strappate sull'orlo buio della voragine...

frammento della recensione di Nadia Fusini "Se la letteratura è il grano di una terra"  al nuovo libro di 

Antonio Spadaro 
Nelle vene dell'America. 
Da Walth Whitman a Jack Kerouac
Jaca Book 2013

domenica 29 dicembre 2013

Forse il mondo esiste per essere perduto

Quando la sera scende sul volto di Julian Barnes e il buio s' impadronisce dello studio, verrebbe voglia di non lasciarlo solo. Ha deciso di non accendere la luce e i contorni delle cose si perdono nella sua casa così tipicamente inglese con la facciata dai mattoni rossi. Il buio si prende il giardino interno e la scala centrale, di legno, che porta al secondo piano. Continuerà a parlare nella penombra dell' arma che usa contro la solitudine: il lucido esercizio della ragione, che però non mitiga il senso di angoscia e di disperazione. Einaudi ha appena pubblicato il suo memoir, Livelli di vita, in cui analizza il processo dell' elaborazione del lutto dopo la morte della moglie Pat Kavanagh, avvenuta nel 2008. Racconta della complicità che sorge con altri dolenti, di aver continuato a parlare con lei tenendo in vita il loro linguaggio comune, dell' idea del suicidio che s' è affacciata «prestissimo, e molto razionalmente». Confessa di piangerla senza vergognarsi e di averla sognata per anni pur fallendo quando voleva evocarla volontariamente. L' ha amata così tanto da sostenere che è la vita ad aver perso con la sua morte, e cercando un disegno ripete: «È solo l' universo che fa il suo mestiere». Anche nel suo penultimo libro, Il senso di una fine, vincitore del Man Booker Prize nel 2011, Barnes ricostruiva l' insignificanza della vita umana attraverso i personaggi che continuamente si interrogano senza trovare una spiegazione. E falliscono miseramente perché non riescono a darsi un' educazione sentimentale, come la definiva il suo amato Flaubert. Prima di affrontare il lutto, Barnes compie in Livelli di vita un lungo giro che comprende brandelli della storia del volo o della fotografia, emblemi del prodigio e della verità che formano la chimica dell' amore:
« Sentivo la necessità di inserire il lutto in una sorta di impalcatura, altrimenti - spiega - sarebbe solo un grido di dolore». 
Ha scritto questo libro come se stesse mettendo in pratica una forma di terapia?
«Nei primi tempi, dopo che venne diagnosticato il tumore a mia moglie, tenevo un diario; scrivevo ogni giorno, annotando tutto ciò che succedeva perché temevo di dimenticare. È stato, questo sì, molto terapeutico. Sentivo che dovevo descrivere la sua malattia il più accuratamente possibile: era il mio compito come essere umano oltre che come scrittore. Quando iniziai Livelli di vita erano passati tre o quattro anni, lo scopo era un altro. E non ha cambiato il livello del mio dolore». Che cos' è il dolore? «L' immagine negativa dell' amore. Il dolore ha bisogno della condivisione, mette alla prova le amicizie, rende egoisti, indebolisce più che rafforzare. A volte a lui ci affezioniamo. E. M. Forster dice che "una morte può anche trovare una spiegazione, ma non getterà mai luce su un' altra"; succede anche al dolore, che non spiega un altro dolore». 
(...)
Lei usa un termine preciso: Sehnsucht. Che cosa significa? 
«È una parola del pensiero romantico tedesco che non ha equivalenti in inglesee che descrive il tipo di solitudine che ho conosciuto dopo essere stato privato della persona che amavo. Significa "struggimento", avere un inconsolabile desiderio per qualcosa o qualcuno che non si può raggiungere». 
Come il mito di Orfeoe della sua Euridice? 
«È un esempio del rapporto che abbiamo con l' abisso. Orfeo scende nell' oltretomba per riprendersi la moglie morta. Oggi le nostre possibilità di andare in profondità sono minori di una volta: per riportare alla luce possiamo solo scendere dentro i nostri sogni. O nella memoria. Quella metafora ci ha abbandonati. Si può perdere tutto per uno sguardo come fa Orfeo? Forse il mondo esiste per questo, per essere perduto».

frammenti dell'intervista (Repubblica 4 ottobre 2013)

di Sebastiano Triulzi
Julian Barnes in occasione della pubblicazione del nuovo libro
Livelli di vita
traduzione di Susanna Basso
Einaudi 2013

sabato 28 dicembre 2013

Bisogna avere una mente di inverno

Il pupazzo di neve
Bisogna avere una mente di inverno
Per ammirare il gelo e i rami
Dei pini incrostati di neve;
E aver avuto freddo a lungo
Per osservare i ginepri arruffati di ghiaccio,
Gli abeti ispidi al luccichio distante
Del sole in gennaio; e non trovare
Sofferente il suono del vento,
Il suono di poche foglie,
Che è il suono della terra
Piena dello stesso vento
Che sta soffiando sullo stesso posto spoglio
Per chi ascolta, chi ascolta nella neve,
E, lui stesso niente, non osserva
Niente che non ci sia e osserva il niente che c’è.
Wallace Stevens
*
THE SNOW MAN
One must have a mind of winter
To regard the frost and the boughs
Of the pine-trees crusted with snow;
And have been cold a long time
To behold the junipers shagged with ice,
The spruces rough in the distant glitter
Of the January sun; and not to think
Of any misery in the sound of the wind,
In the sound of a few leaves,
Which is the sound of the land
Full of the same wind
That is blowing in the same bare place
For the listener, who listens in the snow,
And, nothing himself, beholds
Nothing that is not there and the nothing that is.

venerdì 27 dicembre 2013

L'immaginazione folle e senza casa

Nelle città straniere  


                                            A Zbigniew Herbert 


Nelle città straniere c’è una gioia sconosciuta, 
la fredda felicità di un nuovo sguardo. 
Gli intonaci gialli delle case, sui quali il sole 
si arrampica come un agile ragno, esistono 
ma non per me. Non per me furono costruiti 
il municipio, il porto, il tribunale, la prigione. 
Il mare scorre per la città con una marea 
salata e allaga le verande e le cantine. 
Al mercato i prismi delle mele, piramidi 
che svettano per l’eternità di un pomeriggio. 
E pure la sofferenza non è poi così 
mia: il matto locale farfuglia 
in una lingua straniera, e la disperazione 
di una ragazza sola in un caffè è come 
il frammento di una tela in un cupo museo. 
Le grandi bandiere degli alberi si agitano 
al vento così come nei luoghi 
a noi noti, e lo stesso piombo fu cucito 
negli orli di lenzuola, di sogni, 
dell’immaginazione folle e senza casa

Adam Zagajewski

Dalla vita degli oggetti
poesie 1983-2005 
a cura di Krystyna Jaworska
Adelphi 2012

giovedì 26 dicembre 2013

Poesia con natura morta e quadro di interni olandese

Le poesie di Seamus Heaney posseggono una straordinaria intimità con la terra e il mondo rurale irlandese. La stessa lingua inglese che lui usa è plasmata e pensata dal paesaggio, in una connessione tra il sé, la storia insanguinata dell' Ulster e la cultura classica che gli fa da guida. 
«Ho bisogno di qualcosa che susciti o risvegli un ricordo per l'ispirazione - confessa Heaney, ospite a Roma dell' American Academy - ma la mia scorta di immagini dell' infanzia si discosta molto dalla mia vita da adulto».
(...)
Pensa di essere cresciuto in una Arcadia?
 «Sì. Ho trascorso l' infanzia in un fattoria, durante gli anni Quaranta, in una parte del paese che si muoveva a ritmo lento. Il materiale delle mie poesie proviene dalla memoria di quel locus amoenus. Come conciliarlo col resto 
dell' esperienza è stato il mio rovello principale. Oggi posso dire che parte della mia poesia è un tipo di natura morta, o un quadro di interni olandese». 
(...)


In realtà è come se lei scrivesse da sempre della guerra, solo che è una guerra diversa. 
«Sì, lo so. È ciò di cui parla Milosz in The World, in cui le immagini idilliche e ironiche sono usate per andare contro ciò che sta accadendo altrove. Diceva che l' occupazione nazista di Varsavia, la distruzione del ghetto, la ribellione dei polacchi erano come un grido prolungato e la poesia non riusciva a gridare così. In un famoso verso si chiede: "Che cos' è la poesia che non salva i popoli né le persone?". Rispondo citando Brodsky: "L' unica cosa che l'arte ci insegna è che la condizione umana è privata". Ma ogni teoria, suppongo, è 
un' autobiografia».


frammenti dell'intervista di Sebastiano Triulzi a Seamus Heaney
Repubblica 23 maggio 2013

mercoledì 25 dicembre 2013

Fa freddo, la neve è alta

Povero nord
Fa freddo, la neve è alta,
il vento sbatte nella sua gabbia di piante,
le nuvole paiono stracci sozzi e laceri per l’uso,
e gli storni becchettano il ghiaccio.
È il nord, povero nord. Niente va bene.
Il capofamiglia è andato al lavoro,
vende sedie e sofà in un negozio che sta per fallire.
La moglie sta a casa e fissa dalla finestra le piante,
cerca di ricordare la vita che ha perso, anche se non era un granché.
Fiori bianchi di brina sbocciano sul vetro.
È quasi sera. Anatre e oche canadesi dormono
sulle acque della baia di Saint Margaret.
Marito e moglie passeggiano: guardate come si piegano
controvento; alzano il bavero
e i minuscoli sbuffi del loro respiro volano via.
Mark Strand
Il futuro non è più quello di una volta
a cura di D. Abeni
Minimum fax 2006

martedì 24 dicembre 2013

Il fiore rosso che ha solcato l'estate

La colpa dell’ape

Il miele pagherà la colpa
dell’ape senza peso, l’indecisa
prona sul nettare, proprio
quella che giocava contro
il cielo seguendo la corte
del vento. È del suo
fiore che non sapremo
l’aroma, quell’unico fiore
mancherà all’appello nella
gola, il fiore rosso che
ha solcato l’estate ed è
rimasto nel tuo sguardo
dove ogni inverno lo andrò
a cercare.

Elena Petrassi
Sillabario della luce
Moretti&Vitali 2007

lunedì 23 dicembre 2013

Una notte d’inverno

La tempesta poggia la sua bocca alla casa
e soffia per emettere un suono.
Dormo inquieto, mi giro, leggo
il testo della tempesta assopita.

Ma gli occhi del bambino sono spalancati al buio
e il temporale mugola per lui.
Entrambi amano le lampade che dondolano.
Entrambi sono a metà strada dal linguaggio.

La tempesta ha mani infantili e ali.
La carovana si lancia verso la Lapponia.
E la casa avverte la sua costellazione di chiodi
che tiene insieme le pareti.

La notte è immobile sul nostro pavimento
(dove tutti i passi attutiti
riposano come foglie affondate in uno stagno)
ma fuori infuria la notte!

Sul mondo passa una piú grave tempesta.
Poggia la sua bocca alla nostra anima
e soffia per emettere un suono – temiamo
che la tempesta soffiando ci svuoti.


Tomas Tranströmer
Poesia dal silenzio
a cura di Maria Cristina Lombardi
Crocetti Editore 2001, 2008, 2011

domenica 22 dicembre 2013

Apri il baule, vedrai è colmo di neve

De natura rerum

Lucrezio lo sapeva:
Apri il baule,
vedrai, è colmo di neve
che turbina
e a volte due fiocchi
s’incontrano, unendosi
oppure uno si volta, graziosamente
nella sua poca morte.
Di dove quel chiarore
in alcune parole
quando l’una non è che notte,
l’altra, solo sogno?
Di queste due ombre
che, ridendo, vanno
e l’una raggomitolata
in una lana rossa?


Lucrèce le savait:
Ouvre le coffre,
Tu verras, il est plein de neige
Qui tourbillonne.
Et parfois deux flocons
Se rencontrent, s’unissent,
Ou bien l’un se détourne, gracieusement
Dans son peu de mort.
D’où vient qu’il fasse clair
Dans quelques mots
Quand l’un n’est que la nuit,
L’autre, qu’un rêve?
D’où viennent ces deux ombres
Qui vont, riant,
Et l’une emmitouflée
D’une laine rouge?

Yves Bonnefoy
Quel che fu senza luce. Inizio e fine della neve 
Einaudi 2001


sabato 21 dicembre 2013

Buio e profondo è il bosco, ma io ho promesse da non tradire

Fermandosi accanto a un bosco in una sera di neve

Di chi sia il bosco credo di sapere.
Ma la sua casa è in paese: così
Egli non vede che mi fermo qui
A guardare il suo bosco riempirsi di neve.
Troverà strano il mio cavallino
Fermarsi senza una casa vicino
Tra il bosco e il lago gelato
La sera più buia dell’anno.
Dà una scrollata al suo sonaglio
Per domandare se c’è uno sbaglio:
Il solo altro suono è il fruscìo
Del vento lieve, dei soffici fiocchi.
Bello è il bosco, buio e profondo,
Ma io ho promesse da non tradire,
Miglia da fare prima di dormire,
Miglia da fare prima di dormire.

Robert Frost
Conoscenza della notte e altre poesie
traduzione italiana di Giovanni Giudici 
Oscar Mondadori 1988

Stopping By Woods on a Snowy Evening

Whose woods these are I think I know.
His house is in the village though;
He will not see me stopping here
To watch his woods fill up with snow.
My little horse must think it queer
To stop without a farmhouse near
Between the woods and frozen lake
The darkest evening of the year.
He gives his harness bells a shake
To ask if there is some mistake.
The only other sound’s the sweep
Of easy wind and downy flake.
The woods are lovely, dark and deep.
But I have promises to keep,
And miles to go before I sleep,
And miles to go before I sleep.

venerdì 20 dicembre 2013

Le cose che nomino in poesia

Musica

Non sono nobili le cose che nomino in poesia:
stanno sotto il palato, attente, coscienti solo del caldo
ignare della lingua.

Se ascoltano, sentono il moto, l’onda di un’eco
che porta rosse lettere, destini, e un turbine di voci
smarrite - come sempre - in ciò che è cupo e cavo.

Dunque di nuovo dico: alberi – anzi – platani
attirati dall’acqua e sostenuti ai bordi dalle pietre.

Questo sì è difficile: cantarne piano il miracolo
quel peso nella luce, quell’ombra
che s’incrocia col tempo e divampa sull'odore del prato.

Tutto è corpo che l’anima raggiunge con ritardo
ma sfolgora l’autunno in un cantuccio e la parola si forma
con il ritmo che deve: a grumi, a vuoti
a scatti, dentro i secoli.

E non è la musica che dici, ma un rombo di stoviglie, di grandine che batte contro i muri.

Antonella Anedda
Il catalogo della gioia
Donzelli 2003

giovedì 19 dicembre 2013

Toccavamo il cielo, in un rivoltarci continuo tra le onde e la corrente, nella pioggia di stelle

Robertino (1953-2003)

Veniva con noi in spiaggia, o meglio ci raggiungeva a notte fonda, chiudendo la cosiddetta discoteca.
Aveva qualche anno più di noi, cioè di me e Marco. Come tutti i giovani, ci nascondevamo dalla milicia. Non parlava quasi mai di politica, ma di diritti civili. Non parlava del Cile, sua terra natia, non poteva, e non appariva nostalgico, aveva interesse per la vita, la sua  e quella di tutti i popoli e il suo era un sorriso sempre disponibile, e tutto ciò che parlava spagnolo era abitato solo da giovani. 
Con i baschi spesso uscivamo a bere melocotones, ovvero pesche immerse nella grappa, bruciate nei loro pentolini di latta, e, distesi con le braccia sotto la nuca, sognavamo di costruire il futuro, che non era proprio il nostro, ma quello di tutti i giovani. Eravamo noi l'unico popolo, tra il mare e il sole. I quattro colpi alla porta del destino dello Straniero, l'attesa di Roquentin, il valore chiassoso di Fuentes, il labirinto portegno.
Eravamo a Castelldefels, a una ventina di chilometri da Barcellona, un camping per il popolo, Estrella de mar, e sapevamo come sopravvivere a noi stessi. La letteratura era la via d'uscita. Per ore parlavo di Azorìn con Roberto che sempre giocava con il mio nome: Darìo, diceva, come il poeta Rubén Darìo. E per ore parlavamo di Ernesto Sabato, del Tunnel e di Sobre heroes y tumbas e, soprattutto, dell'ultimo, Abàdon el exterminadòr... la Terra sembrava tramutarsi nel rosso del sole al mattino, in un'alba senza tregua.
Qualcuno, attraversando la carrettera nacionàl, lasciava la vita per raggiungere il mare, non so come ma tutti noi interpretavamo questo come un'eredità di Franco.
Nell'oltre, nel mediterraneo a perdifiato, col sole calante, sapevamo che Roberto si era allora svegliato e organizzava la serata per qualche famiglia catalana. Girava sempre il disco La fiesta di Raffaella Carrà che, come Colombo, i catalani consideravano una loro connazionale. Nel suo mestiere del tempo era costretto a mettere i dischi per il ballo.
Poi nella notte veniva il mare e là toccavamo il cielo, in un rivoltarci continuo tra le onde e la corrente, nella pioggia di stelle.
Roberto non amava giocare al calcio, ma quando ci battemmo in Espana-Resto del mondo, portò la risata che ci permise di sconfiggere gli avversari, distraendoli.
Era l'estate del 1977.

lo scrittore Dario Arkel 
ha scritto apposta per questo blog un ricordo di 

Roberto Bolaño


mercoledì 18 dicembre 2013

Scrivere è rendere le parole capaci di reggere il peso di quello che devono comunicare

La scrittura di Strout è spesso definita dalla critica “classica”, per quanto questa parola sia da maneggiare con cura. 

Che dire, lo spero, mi ci ritrovo: se, come mi auguro, si intende con questo il fatto di riuscire a donare alle parole la gravitas che meritano. Riuscire a rendere le parole capaci di reggere il peso di quello che devono comunicare”.

frammenti dell'intervista di Liborio Conca a Elizabeth Strout
pubblicata sul Mucchio e ripresa da Minima&Moralia il 16 dicembre 2013

martedì 17 dicembre 2013

I contorni di quel che è reale

I contorni del reale

per Maddalena S.

Siamo entrati all’improvviso nella nebbia
inghiottiti dalla luce lattiginosa
i contorni di quel che è reale
sono apparse le forme in volute di
alberi spaiati, tralicci impauriti e
case ferme sul limine della notte
più scura. Altre sagome sono sfilate
tra gli occhi onesti dei viaggiatori,
erano campi arati resi muti dall’inverno
e alberi che sapevano il tempo solo
dal pizzicore sui rami. Tu dormivi tra
il finestrino e il sedile mentre
i tuoi sogni sciamavano tra i filari
di alba e nebbia che tutto racchiudevano.

Elena Petrassi
Sillabario della luce
Moretti&Vitali2007

lunedì 16 dicembre 2013

Il silenzio, che tutto sa

Nella stagione fredda

Eccoti, non ultima mattina
figlia della stagione fredda,
porti nei tuoi interstizi
i fantasmi delle foglie smarrite
la promessa di quelle germinate.
Nella tua luce, la sua ombra
si placa un poco, e aspetta
sotto la finestra che uno sguardo
le riporti nel movimento
meccanismo e sfida

del silenzio, che tutto sa.

Elena Petrassi
Il calvario della rosa
Moretti&Vitali 2004

domenica 15 dicembre 2013

Ascoltare la lana filata nei telai

 Sui confini                                       

È non sapere questo non
sapere, spargere il sale
sui confini, ascoltare la lana
filata nei telai, un brivido e
poche soluzioni per il vino
chiaro nei bicchieri. È sfogliare
la tua esitazione tra le orme
delle rive estinte. Così l’inverno
varca del tempo le onde e
noi restiamo, incerti tra
la soglia e la luce, mentre
la donna di sabbia ci guarda

e guarda ancora.

Elena Petrassi
Il calvario della rosa
Moretti&Vitali 2004

sabato 14 dicembre 2013

Il senso dello scrivere

Io credo soltanto nella parola. 
La parola ferisce, la parola convince, la parola placa. 
Questo, per me, è il senso dello scrivere. 

Ennio Flaiano

venerdì 13 dicembre 2013

Un romanzo è uno specchio lungo il cammino

Si è detto che I detective selvaggi potrebbe essere letto come un insieme di racconti autonomi. Di fatto, proprio da lì è nato un nuovo racconto indipendente: Amuleto. Il tua sarebbe, pertanto, "il genere di romanzo che Borges avrebbe accettato di scrivere". Che ne pensi?

"È molto generoso da parte di Ignacio Echevarría, che fu colui che fece il commento. Per me Borges è senza dubbio il più grande scrittore di lingua spagnola del XX secolo, lo scrittore completo. Un gran poeta, un gran prosatore, un grande saggista, è perfetto. Borges è un mostro sacro. Borges è Borges. Voglio però puntualizzare che I detective selvaggi non è un insieme di storie: è un romanzo, ed è un romanzo con una struttura difficilissima e un'unità tremenda. Che da lì scaturisca una storia, non ha nulla a che vedere con l'unità del romanzo. Un romanzo, come dice Stendhal, è uno specchio lungo il cammino, sono storie che passano lungo questa passeggiata per il sentiero. 

Alla ricerca del tempo perduto non è altro che una successione di piccole storie. Tuttavia, Alla ricerca del tempo perduto è un romanzo con una solida struttura. Ogni cambiamento, dal momento in cui metti il punto e a capo in un romanzo, in un modo o nell'altro ti pone di fronte a una nuova storia. È come il flusso e il riflusso del mare. Ogni volta che c'è un punto a capo, la storia deve prendere un nuovo respiro. Devono apparire nuovi personaggi o una situazione nuova. Almeno un bar diverso. Questo fa sì che una storia sia una concatenazione di piccole storie. Ma tutto nella vita reale è una concatenazione. Il corpo non è altro che un'accumulazione di piccole storie, molecole, atomi, che nel congiungersi lo creano. A ogni modo, una cosa è un racconto e altra cosa un romanzo. In un romanzo può entrarci di tutto, sì. Però un romanzo è un romanzo, ha delle regole: in un romanzo una storia che sia totalmente separata, come in un corpo, o si tramuta in un cancro che hai dentro, o si trasforma in qualcosa che esce, come un figlio, però nei miei romanzi, non esce niente, tutto è assolutamente coeso. 


Roberto Bolaño 

frammenti di un'intervista
Repubblica martedì 15 ottobre 2013

giovedì 12 dicembre 2013

Tutti noi siamo creature narrative

Siamo tutti Don Chisciotte. Io, tu, voi: tutti. Lo poteva dire a ragion veduta il suo creatore, sicuramente lo può dire Francisco Rico, a cui dobbiamo una magistrale edizione critica del capolavoro di Miguel de Cervantes. E lo possiamo dire tutti, perché la grandezza del Don Quijote de la Mancha è esattamente questa: "Rappresenta una volta per tutte il punto d'incontro della vita e della letteratura, il crocevia tra verità e finzione. Ci riguarda tutti, perché tutti noi siamo creature narrative: ci raccontiamo ogni giorno a noi stessi, tra la speranza di un domani alla misura del nostro desiderio e la nostalgia del come avrebbe potuto essere il passato, a volte fuggendo dalla realtà e altre volte fuggendo verso la realtà".
(...)
Qual è la cifra stilistica del romanzo?
"Il Chisciotte non è tanto "scritto" quanto "detto", steso senza sottostare alle costrizioni della scrittura, ma lasciando correre la penna come se fosse la voce, quindi con lo stile della lingua quotidiana e contro la lingua letteraria. Le persone e le cose, viste sotto il prisma domestico della vita, da una prospettiva familiare, vivono sul piano dell'esperienza di ogni giorno: avere elevato questa esperienza comune a norma della finzione romanzesca rappresenta un momento di capitale importanza nell'avventura letteraria europea".


Francisco Rico

frammenti dell'intervista a Benedetta Craveri
Repubblica martedì 5 novembre 

mercoledì 11 dicembre 2013

La vita dedicata alla scrittura è la vita segreta


La sua famiglia viveva a Drewsboro, in una villa elegante con pilastri ornamentali, verande e un portico. "Un autentico luogo sacro", come scrive lei, lontanissimo dal mondo e dalla mondanità. È un buon posto dal quale diventare uno scrittore?
"Il fatto che io sia nata in un posto isolato come la campagna irlandese mi ha messo in una prospettiva inedita. Non che fosse proprio un posto desolato, ma certo era poco conosciuto, un luogo vergine da raccontare. E i miei studi irregolari hanno contribuito a questa "originalità". Ai libri sono arrivata da sola, studiando in maniera frammentaria, avida. Forse se avessi ricevuto una formazione scolastica regolare sarebbe stato diverso. La natura, il paesaggio, il senso claustrofobico del mio mondo, tutte queste cose hanno contribuito a farmi diventare la scrittrice che sono. E la famiglia, certo".
(…)
Nella sua vita le case sono state molto importanti. Sembra quasi che siano state usate per sostituire affettivamente il fallimento delle famiglie, a partire da Drewsboro.
"Una volta il grande James Joyce ha detto una cosa meravigliosa. Lui e la sua famiglia, a causa delle difficoltà economiche, erano costretti a spostarsi spesso e a scappare dalle case di nottequando non riuscivano più a pagare l'affitto. Disse che le case sono dei"calamai infestati". Questa bella metafora per dire che ogni casa in cui aveva vissuto era anche la casa della sua mente, del suo immaginario e di conseguenza la casa delle storie della sua scrittura…”.
(…)                                                  
Una vita pienissima, ma anche decine di romanzi, saggi, sceneggiature, testi teatrali. Pirandello diceva: "La vita o la si vive o la si scrive": niente di più sbagliato, quindi?
"Una volta García Márquez ha detto una cosa molto saggia: "Io ho una vita privata, una pubblica e una segreta". Quella segreta è la vita che dedichiamo alla scrittura, l'unica vita che vorrei vivere ora, se non avessi così tante cose da fare. Ed è segreta perché l'immaginazione è impalpabile, misteriosa. Non sai mai di cosa scriverai fino a che non scrivi… ".

Edna O’Brien
frammenti dell’intervista con Elena Stancanelli
Repubblica sabato 7 dicembre 2013


martedì 10 dicembre 2013

L'assenza che è una presenza strana

L'insostenibile solitudine dei barattoli secondo Ferzan Ozpetek: "Sullo scaffale del supermercato c'erano solo due confezioni. Ne ho presa una, a casa avevo la scorta. Ho camminato un po', ho fatto il giro, poi sono tornato e ho preso anche l'altra. Non volevo lasciarla sola". Il regista di Le fate ignoranti vive la vita in simbiosi. Il suo è un mondo popolato di oggetti senzienti, magnifiche presenze, amori infiniti.
(...)
"Quando ho amici a cena mi piace isolarmi. Sentire le chiacchiere in sottofondo. Mi basta sapere che ci sono". Oppure, "mi capita di entrare in una stanza dopo che è venuto a trovarmi un amico. Guardo gli oggetti rimasti, la tazzina del caffè, il cuscino spostato. Mi emozionano le tracce, l'assenza di quelle persone, che è una presenza strana".

Ferzan Ozpetek
frammenti dell'intervista di Arianna Finos
Repubblica sabato 7 dicembre 2013

lunedì 9 dicembre 2013

Anche il cielo ha queste nuvole la cui evidenza è figlia della neve

Su rami carichi di neve
Da un ramo innevato all’altro, di anni
Trascorsi senza che alcun vento ne spaventasse le foglie,
Come un disseminarsi della luce
A tratti, mentre avanziamo in questo silenzio.
E questa polvere ricade infinita,
Non sappiamo bene se un mondo esiste
Ancora, o se raccogliamo nelle nostre mani umide
Un cristallo di realtà perfettamente puro.
Colori per il freddo più denso, di porpora e di azzurro
Che chiamate più in lontananza del frutto,
Siete forse il nostro sogno più duraturo
Di quanto non lo siano prescienza o via?
Anche il cielo ha queste nuvole
La cui evidenza è figlia della neve,
E se svoltiamo per la strada bianca,
È la stessa luce e la stessa pace.

Se non che, è vero, il mondo ha solo immagini
Simili a fiori che bucano la neve
Di marzo, e poi si schiudono, rigogliosi,
Nel nostro sognare un giorno di festa.
E non appena ci chiniamo là a raccogliere
Bracciate della loro gioia nella nostra vita,
Eccoli subito morire, non tanto nell'ombra
Del loro cuore appassito ma nei nostri cuori.
Ardua è la bellezza, quasi un enigma,
E sempre da rincominciare è l'apprendistato
Del suo vero senso sul pendio del prato in fiore
Coperto qui e là di chiazze di neve.


Yves Bonnefoy
Quel che fu senza luce. Inizio e fine della neve
Traduzione di Davide Bracaglia

Einaudi 2001

domenica 8 dicembre 2013

Saprei aspettare la tua voce in silenzio, per secoli di oscurità

Confidare

Ho tanta fede in te. Mi sembra
che saprei aspettare la tua voce
in silenzio, per secoli
di oscurità.
Tu sai tutti i segreti,
come il sole:
potresti far fiorire
i gerani e la zàgara selvaggia
sul fondo delle cave
di pietra, delle prigioni
leggendarie.
Ho tanta fede in te. Son quieta
come l’arabo avvolto
nel barracano bianco,
che ascolta Dio maturargli
l’orzo intorno alla casa.
Antonia Pozzi
8 dicembre 1934

sabato 7 dicembre 2013

La perfetta mira di quest'aria d'inverno

Più fredda l'aria
Dobbiamo ammirare la perfetta mira
di quest’aria d’inverno, cacciatrice provetta
la cui arma spianata non ha bisogno di mirino,
se non fosse che, lontano o vicino,
la sua preda è sicura, il colpo netto.
L’infimo tra noi è così che tira.
Per ridurre il margine d’errore
Sono ferme le barche e di gesso gli uccelli;
la galleria dell’aria coincide
con quella angusta che il suo sguardo incide.
Il centro del bersaglio, la pupilla,
collima con la mira e con l’ardore.
Ha il tempo in tasca, colò suo ticchettio
segna il passo su un attimo. Non cura
momento e circostanze, lei, ha invocato
l’atmosfera per questo risultato.
(E l’orologio chiude l’avventura
tra ruote e fogli e nubi a scampanio)

Elizabeth Bishop
Miracolo a colazione
Traduzione di Damiano Abeni, Riccardo Duranti e Ottavio Fatica
Adelphi 2005

venerdì 6 dicembre 2013

Scrivere è essere presi dal combattimento con i propri demoni

Un’altra cosa che accomuna me e Vargas Llosa è la riflessione sul rapporto tra scrittura che inventa (la fiction che finge, potremmo anche dire che “mente”) e l’impegno per la verità, ineludibile nel nostro confronto col mondo e con la necessità di mutarlo. Nella raccolta di saggi che ho citato (Sables y utopías), Vargas Llosa denuncia la caduta dell’impegno nella letteratura contemporanea, dato che nell’epoca attuale parrebbe che molti autori abbiano rinunciato a quello che una volta si chiamava l’engagement. Egli dice inoltre che in America Latina uno scrittore non è soltanto scrittore ma, inevitabilmente, qualcosa d’altro. E aggiunge che talvolta si è lacerati tra i propri demoni e i propri doveri verso la causa pubblica e che, in tal caso, bisogna essere fedeli in primo luogo ai propri demoni. È questo, ritengo, un problema fondamentale per la letteratura, spesso una vera contraddizione. C’è l’intellettuale che si vota essenzialmente ed esplicitamente alla causa pubblica e c’è lo scrittore che è essenzialmente preso dal combattimento con i propri demoni. Cosa succede quando uno scrittore è entrambe le cose, come certamente è lui e come sono anch’io? Quando cioè si sente che queste due facce sono le facce di una stessa medaglia, una cosa sola e contemporaneamente due cose diverse, e soprattutto quando ci si rende conto che dall’una nasce una scrittura molto diversa da quella che nasce dall’altra?
Leggere La casa verde o Conversazione nella “Catedral” o tanti altri libri di Vargas Llosa è un’esperienza simile ma anche molto diversa dal leggere Sables y utopías. Lo stile, la lingua sono radicalmente diversi, perché in un caso si tratta di un linguaggio che vuole esplicitamente definire, giudicare, difendere o combattere, mentre nell’altro si tratta di un linguaggio che vuole essenzialmente narrare, far vivere le contraddizioni piuttosto che risolverle o giudicarle. In un caso non si può, nell’altro si può e talora si deve deformare la realtà per capirne il senso e la verità più profonda.
Non credo, soprattutto per quel che riguarda lo stile, che si tratti di una scelta deliberata, perché uno scrittore non sceglie bensì fa quello che può ossia quello che deve; è la vicenda, l’oggetto che gli dettano per così dire lo stile, l’incalzare paratattico delle chiare e nette definizioni oppure la struttura ipotattica che cerca di afferrare contemporaneamente la complessità contraddittoria delle cose.

Claudio Magris e Mario Vargas Llosa
La letteratura è la mia vendetta
Mondadori 2012


giovedì 5 dicembre 2013

L'ispirazione è la vuota regione dell'attesa

Alfabeti senza lingua e voci senza ritmo trascorrono sul bianco della pagina che attende un verso. 
Le poetiche hanno dato il nome di ispirazione a questa vuota regione dell'attesa.
Tempo d'una privazione che attende d'essere colmata. Sogno di un patto tra il corpo e la lingua, tra il volteggiare delle immagini e le parole, tra l'essenza delle cose e i nomi.
L'attesa d'un verso è il bianco della pagina in cui tremano tutte le trasparenze di bianco prima che, accogliendo la parola, la pagina si faccia esperta dell'alfabeto degli uomini.

Antonio Prete
Il demone dell'analogia.
Da Leopardi a Valéry studi di poetica
Feltrinelli 1986

mercoledì 4 dicembre 2013

Attorno a noi, invisibili nell'aria, le idee si formano e si disfano continuamente come nuvole

Attorno a noi, invisibili nell'aria, le idee si formano e si disfano continuamente come nuvole. 
(...) Noi possiamo modificare, trasformare, adattare la prima forma ad un contenuto pittorico, grafico o plastico, ma dobbiamo sinceramente dire che le idee non sono nostre, possiamo soltanto dire che si sono manifestate per mezzo di noi e il nostro merito sarà di aver preso contatto con il loro mondo al momento giusto, sarà di capire quando dobbiamo agire e quando di dobbiamo fermare, così che l'idea venga pura alla nostra luce. 
Questi disegni, che oggi si chiamano astratti, non vogliono essere considerati come opere d'arte nel senso completo dell'espressione, ma presi per quello che sono: dei messaggi dal mondo delle armonie, leggibili solo da artisti, messaggi che già contengono un germe, quel germe che potrà dar vita a una nuova espressione d'arte. 
Vi sono uomini e artisti e questi ultimi hanno il compito di rendere percepibile ai primi il mondo limpido delle armonie.

Bruno Munari
dalla presentazione del catalogo
Disegni astratti di Ciuti, Fontana, Lupo, Munari, Pintori, Radice, Soldati, Steiner, Veronesi.
G.G. Gorlich editore 1944

martedì 3 dicembre 2013

Le pietre dormono sotto la neve con sogni verdi nel cuore

Giornata d’inverno

Cosa vuole questa luce strana?
Il giorno è sotto stelle bianche.
E i sogni germogliano sotto la luna.

La montagna ha parole racchiuse dentro di sé
ma il petto è rigido e la barba gelata.
Il fiume risponde con brevi riflessi, si apre per un attimo breve,
e i pini offrono un po’ di resina.
Il regalo scuote la neve
e il cavallo freme con il muso coperto di brina.
La legna spreme fuori una crosta di grasso gelato,
e il ghiaccio divora il taglio della scure.

Ma ora la vetta manda in mille pezzi il disco del sole, torce
il suo sguardo furtivo verso un mondo lontano.
Gli alti abeti candele sulle creste dei monti si spengono,
e gli alberi si acquietano nel bosco per la notte.
Il fiume sospira nella gola, condensa in ghiaccio la nostalgia di mare,
e le pietre dormono sotto la neve con sogni verdi nel cuore.

Olav H. Hauge
La terra azzurra
traduzione di Fulvio Ferrari
Crocetti editore 2008


lunedì 2 dicembre 2013

Da nuvola, da nebbia

ΕΛΠΙΣ, Speranza

Ma di questo confine, di questo muro ferreo
l'orrenda porta è scardinata eppure
resta, per durata antica di roccia.
Qualcosa si muove, sciolto e lieve:
da nuvola, da nebbia, da scrosciare
d'acqua si leva con noi alata –
la conoscete, folleggia ovunque
un batter d'ali – e dietro di noi, gli eoni.

J. W. Goethe, 1827   

traduzione di Camilla Miglio dedicata a un amico che ha perso un amico

domenica 1 dicembre 2013

Se fosse il nome a custodire il segreto

Il segreto di Santa Lucia

Se fosse il nome a custodire
il segreto, se fosse oltre
la luce che porti dentro
il dono che illumina non
le fredde notti d’inverno ma
le ore fosche di quella notte
oscura che dimora nei cuori
senza più speranza.

È il nome che rivela la crepa
tra le nubi compatte d’occidente
è la luce che dipana la stagione
e intreccia i tempi per i giorni
che verranno dopo l’oscurità.

È il dono del tuo sguardo a noi
invisibile, che pur senza guardare
noi o il mondo, accoglie ogni
nostro dolore e sfiora i rami
spogli e le strade deserte, guida
i nostri passi nel viaggio lungo
di questa stagione fredda.

Elena Petrassi


Questa poesia è stata pubblicata sull'Eco di Bergamo di oggi, nel servizio dedicato a 
CARA SANTA LUCIA…
Serata di luce e di doni tra musica e poesia
Seconda edizione (Iniziativa a scopo benefico a favore dell’Associazione Amici della Pediatria Onlus) che si terrà a Bergamo il 13 dicembre
Ideazione e progetto dello scrittore Alessandro Bottelli
con poesie e racconti di Ermanno Olmi, Nanni Balestrini, Mario Benedetti, Fernando Bandini, Pier Luigi Bacchini, Giancarlo Majorino, Roberto Mussapi, Gianni D’Elia, Franco Buffoni, Daniele Piccini, Danilo Bramati, Stefano Raimondi, Lorenzo Gobbi, Aldo Nove, Valeria Parrella, Gabriella Sica, Ida Travi, Vivian Lamarque, Elena Petrassi, Chandra Livia Candiani, Maria Pia Quintavalla, Giuseppe Conte, Giancarlo Pontiggia, Silvio Ramat, Valentino Zeichen, Andrea Vitali

Seduta nella fredda stanza di pietra sceglievo parole forti, granito, selce

Demetra

Dove vivevo: inverno e terra dura.
Seduta nella fredda stanza di pietra
sceglievo parole forti, granito, selce,

per spezzare il ghiaccio. Il mio cuore spezzato,
provai con quello, ma sfiorò,
piatto, il lago gelato.

Veniva da molto, molto lontano,
ma alla fine la vidi, mia figlia,
la mia bambina, camminava lungo i campi,

a piedi nudi, a casa di sua madre
portava tutti i fiori di primavera. Giuro
che l'aria si fece dolce e tiepida al suo passaggio,

sorrise il cielo azzurro, senza posa alcuna,
con la piccola bocca timida della nuova luna.

Carol Ann Duffy
Traduzione di Giorgia Sensi e Andrea Sirotti



Where I lived – winter and hard earth. 
I sat in my cold stone room
choosing tough words, granite, flint,

to break the ice. My broken heart – 
I tried that, but it skimmed, 
flat, over the frozen lake.

She came from a long, long way,
but I saw her at last, walking,
my daughter, my girl, across the fields,

in bare feet, bringing all spring’s flowers
to her mother’s house. I swear
the air softened and warmed as she moved,

the blue sky smiling, none too soon
with the small shy mouth of a new moon