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martedì 31 maggio 2022

Cronache dagli anni senza Carnevale/814. Abbiamo vissuto nell’ordine del tempo

 

 


 

La pittura è stata spesso foriera di folgorazioni nel corso della mia vita ed è accaduto di nuovo anche oggi alla mostra Tiziano e l’immagine della donna nel Cinquecento Veneziano. Sono esposti anche quadri di Tintoretto, Paolo Veronese, Giorgione, Palma il Vecchio e molte delle opere sono di grande bellezza. Ma la forza espressiva di Tarquinio e Lucrezia, dipinto tra il 1570 e il 1576, probabilmente l’ultimo quadro dell’artista, mi ha fatto molto riflettere sulla potenza espressiva dell’ultima fase della vita. Perché è vero, così come esistono artisti che brillano nel loro massimo fulgore durante la giovinezza, Rimbaud vale per tutti, ci sono artisti che cambiano, maturano, crescono anno dopo anno. Crescere non è forse il verbo adatto, utilizzare la parola crescita come sinonimo di miglioramento è una stortura della mentalità economicista della nostra epoca. Nel suo ultimo dipinto Tiziano ha rinunciato, o forse dovuto rinunciare, alla chiarezza del tratto, alla limpidezza dei lineamenti, ma quanta potenza emerge da una scena di violenza senza tempo? È come se il tempo fosse un setaccio e attraverso le sue maglie sempre più strette, solo le cose più importanti arrivano a risplendere proprio mentre è la luce del tramonto che illumina la vita. Un altro quadro meraviglioso è di Palma il Vecchio, un ritratto di donna nota come “la Bella” e la sua bellezza davvero ci giunge intatta dai quasi cinquecento anni che ci separano.

 

Quando la luce svanisce

 

 

Se guardo il tuo viso

liscio, privo di rughe,

riesco a immaginare

tutti i sentieri che saranno

scolpiti dalla vita. Se

guardo il tuo viso segnato

e sfioro i segni del tempo,

so che hai vissuto e

che nell’ordine del tempo

sei entrato. Un tempo

che era nostro, che è

nostro anche se la luce

scema sul filo dell’orizzonte.

 

 



Così anche questo mese finisce e oggi, martedì 31 maggio del terzo anno senza Carnevale e del primo anno di guerra, ha raggiunto il limite dell’orizzonte e si congeda con questa Cronaca 814, rugosa e allegra.

sabato 12 febbraio 2022

Cronache dagli anni senza Carnevale/706. Piccole riflessioni e tre parole: incertezza, perdita e fiducia

 



Ho imparato l’incertezza in questi anni, forse ho imparato a ricordarla, a ricordare pandemie minori degli anni Sessanta del secolo scorso, crisi geo-politiche, la Guerra fredda e la sua fine, la caduta del Muro di Berlino, l’implosione della Jugoslavia, l’assedio di Sarajevo, le guerre del Golfo e così a ritroso e avanti e indietro nel tempo. La nostra civiltà aveva relegato la morte nei videogiochi, dove si risorge, e nei libri gialli e neri, dove l’assassino viene quasi sempre punito. Il virus non aveva volto, odore, consistenza e ha iniziato a colpire alla cieca i più fragili delle nostre società, gli anziani, gli ammalati. In qualche modo, a fatica, abbiamo resistito, abbiamo creduto di essere fuori dopo le prime cinque settimane di lockdown nel maggio 2020. Poi un’estate libera, la sensazione di essere tornati a quella normalità che avevamo negato strillando ai quattro venti che “niente sarà più come prima”. Niente è più come prima, la fragilità della nostra civiltà, di tutta l’umanità, non è più polvere che si può nascondere sotto un tappeto. Ciò nonostante soffiano venti di guerra in Ucraina e non è certo che la pandemia si stia davvero trasformando. Quando finì l’epidemia di Spagnola, oltre cento anni fa, nessuno ebbe la voglia di analizzarla, ricordarla, scriverne. Un grande meccanismo di rimozione collettiva ha fatto sì che quella storia fosse ancor meno ricordata delle grandi epidemie di peste nera. Accadrà così anche la nostro virus? È probabile, probabile che i ricordi si facciano sempre più blandi, che altre preoccupazioni arrivino a travolgerci. Come reagirà il corpo sociale? Parleremo sempre e solo di ripresa e crescita economica? La politica riuscirà a trovare quella centralità che l’economia le aveva scippato da decenni? Cambieranno le politiche pubbliche di investimento in istruzione e sanità? Sono tutte domande aperte che troveranno risposte nel tempo. Intanto continuiamo a vedere i numeri del contagio contrarsi, le proteste anti-sistema aumentare a partire da Canada e Francia, arrancare in Italia, dove ha prevalso il buon senso e il riconoscimento dell’autorevolezza della medicina. Se ci pensiamo bene tutta la nostra vita si basa sulla fiducia in qualcosa o qualcuno. Non possiamo vivere senza fiducia, non possiamo vivere senza prudenza. Ma la giovinezza ci chiama a essere spericolati e l’età di mezzo a guardare con un po’ di rimpianto quella libertà e quella sfrontatezza che abbiamo conosciuto da giovani. Certo, le giovani generazioni dovranno imparare a elaborare il trauma della distanza fisica e della scuola in DAD, ma ci riusciranno, chi prima e chi dopo, ognuno a modo suo e con i suoi tempi. Mi colpiscono molto di questi tempi soprattutto le storie degli anziani che in questi anni di pandemia hanno fatto ordine nelle proprie case, nei ricordi, hanno regalato le cose preziose o significative, buttato quelle che non lo erano più e poi hanno cominciato a progettare nuovi viaggi, cene con gli amici e hanno imparato ad accettare la perdita come una dimensione stabile della nostra vita. Dunque le parole di questi giorni sono incertezza, fiducia e perdita. Un’oscillazione continua di senso che delinea e delimita la condizione umana. E che per questo rende la nostra esperienza, il nostro passaggio su questo bellissimo pianeta, così straordinario. Mi sto chiedendo spesso se continuerò a scrivere queste Cronache ancora a lungo e penso che lo farò, perché sono un esercizio quotidiano, una ricerca personale di senso per me e per i miei lettori e mi concedono la gioia di una condivisione. Scrivo perché mi piace scrivere, perché è il mio modo di stare al mondo, perché l’atto dello scrivere mi riporta ai libri e agli autori che amo, alla grazia di averli nella mia vita, alla gratitudine.

Oggi è sabato 12 febbraio del 2022, terzo anno senza Carnevale e questa Cronaca 706 è meditabonda e riflessiva quanto me che la sto scrivendo, perché al contempo è lei a scrivere in me, a portarmi il mondo e a portarmi nel mondo.

venerdì 7 gennaio 2022

Cronache dagli anni senza Carnevale/670. Canzone del figlio dimenticato in fondo al giardino

 


Mi sono svegliata con due frasi in inglese che mi ronzavano in testa: “the morning son” e “the morning song” così le ho raccolte dal nido dei sogni e le ho portate con me nella città più depressa che silenziosa. Alcune scuole hanno riaperto, ma pare che da lunedì parta di nuovo la DAD, le code davanti alle farmacie che fanno i tamponi sono sempre chilometriche, i saldi sono partiti in sordina, le notizie sulla pandemia sono sempre sconsolanti. Così ho deciso che quelle poche parole inglesi sarebbero state una migliore compagnia per le mie parole, le intenzioni per questa nuova Cronaca e le cose da fare in questa giornata interlocutoria dopo la fine del periodo festivo. Così questa mattina ho letto un racconto di Irène Némirovsky che avevo comprato da tanto tempo: Legami di sangue, una storia familiare, madre anziana, una figlia nubile di mezza età, tre figli con rispettive consorti e loro figli e le dinamiche relazionali scandagliate con l’usuale profondità e sottigliezza psicologica da grande scrittrice qual è stata.

Il desiderio di fuga e di libertà del fratello più piccolo, disposto ad abbandonare moglie e figlie per raggiungere la propria amante e il bambino avuto con lei, sembra concretizzarsi solo quando sembra che la madre sia ormai sul letto di morte. Ma lei sopravvive, il dolore e il sollievo dei congiunti si ritirano come la marea e tutto torna a orbitare intorno ai tremendi pasti domenicali che tutti destano ma cui nessuno osa sottrarsi. Eppure c’è stato un tempo dove questa è stata una famiglia felice, quando i figli erano bambini e nella casa delle vacanze si tenevano feste bellissime. Nel presente è la vecchiaia della madre che tiene imprigionato il resto della famiglia:

 

“Nel frattempo, la madre aveva richiuso la porta dietro Alain e Alix, gli ultimi ad andarsene. Rimasta sola, passò un istante da una stanza all’altra, aprendo tutte le finestre. Che silenzio! Di solito non lo sentiva, ma quella sera, dopo che i passi dei suoi figli si erano allontanati, che tutte quelle giovani voci avevano taciuto, quel silenzio la opprimeva. Spaventoso silenzio della vecchiaia, dove tutto sembra tacere nello stesso istante, il rumore della vita fuori e quel tumulto gioioso dell’anima che si sente risuonare come una fanfara durante la giovinezza…”.

Così le due frasi che mi accompagnano dal risveglio fanno crasi con questo racconto e il suo silenzio e una poesia si presenta nella testa, nelle orecchie e negli occhi.

 

 

Il figlio di un mattino che ha cantato

 

Cammina nell’alba il ragazzo,

ancora non sa dire se il cielo

sarà grigio o rosa. È lunga

questa strada che lo allontana

dalla notte, è stanco di buio e

cerca solo la luce, lui che è

figlio di un mattino e di una

rosa. Inizia così, con queste

parole il canto mattutino del

giorno nuovo e del figlio

dimenticato dalla rosa in fondo

al giardino. È silenzioso ora

quel canto lontano, il figlio non

è più bambino, ma nell’alba cerca

ancora il distacco dal buio e

dalle stelle.

 

 

Intanto che scrivevo questa Cronaca sono anche venuta a sapere della morte, forse per un gesto volontario, dello scrittore Vitaliano Trevisan. Forse la sua notte non lo ha mai lasciato, ma qui mi fermo perché solo il silenzio, di nuovo il silenzio, può contenere tutto lo sgomento e il dolore.

Oggi è venerdì 7 gennaio del terzo anno senza Carnevale e questa Cronaca 670 fischietta un motivetto in inglese che mi sembra di riconoscere.

giovedì 8 luglio 2021

Cronache dagli anni senza Carnevale/487. Invecchia con me! Il meglio deve ancora venire

 


 

La pioggia estiva è spesso accompagnata da tuoni e fulmini e ci costringe a trovare un riparo nelle nostre case e rende dolce l’attesa che il temporale passi e ritorni il sereno. Amo la pioggia, come ho già scritto tante altre volte, amo la parola pioggia e allo stesso tempo l’evento atmosferico. Della pioggia potrei continuare a scrivere e scrivere, senza mai annoiarmi. Oggi Milano è stata sconquassata da un nubifragio in tre tempi che ha fatto saltare tutti i programmi pomeridiani e serali. La casa è diventata quindi lo scenario di questa vita sommessa che attraversa la pandemia in punta di piedi e spera che non ci saranno altri confinamenti e le centinaia di morti quotidiane che abbiamo subito nel corso dell’ultimo anno e mezzo. Oggi, alla fine, non sono uscita, ma ho notato nei giorni scorsi una grande cautela tra le persone che si aggirano per la città perlopiù mascherate e guardinghe. Poter camminare a viso scoperto è una meraviglia, l’aria passeggia sulla faccia saltellando come un capretto appena nato, il sole riscalda lembi di pelle che erano ormai rassegnati a stare coperti. Ecco, è proprio la rassegnazione, unita a un certo fatalismo, sono i due atteggiamenti che più ho colto nei frammenti di discorsi delle persone che ho incrociato, anche tra le persone molto giovani. Forse davvero ci stiamo abituando all’idea che dovremo imparare a convivere con questo virus che diventerà endemico come il raffreddore e l’influenza stagionale. Se fosse questo lo scenario, non sarebbe certo il peggiore. Una cosa che mi sembra molto evidente è che i confinamenti ci hanno fiaccato, hanno tolto lo slancio di vivere, ci hanno costretto a radicali mutazioni nell’organizzazione della vita lavorativa impiegatizia, solo gli impiegati possono fare smart working, cioè i lavoratori che hanno a che fare con il lato immateriale delle cose, gli altri hanno dovuto continuare a lavorare in presenza, sempre. Discorso a parte è quello della DAD, del lavoro degli insegnanti, della vita degli studenti. Certo, i giovani d’oggi, rispetto a noi maturi e anziani baby-boomers, non saranno impreparati se dovesse accadere di nuovo, noi lo eravamo, allegre cicale del Ventesimo Secolo, in preda a un delirio di immortalità. Sto riflettendo molto su questi temi, perché imparare a invecchiare è ancora un tema tabù, i baby-boomers sono preda della chirurgia estetica, della fitness, del cibo biologico, niente di sbagliato in sé, ma credo sia importante imparare ad accettare il tempo nel suo fluire e i nostri corpi nel loro costante mutamento che accompagna i mutamenti dell’essere, anche se, dentro di noi, continuano a vivere la ragazzina che correva sui pattini a rotelle e il bambino che giocava a pallone nel campetto dell’oratorio, gli adolescenti che scoprivano l’amore e i giovani convinti che il futuro sarebbe stato meraviglioso e progressivo. L’idea di progresso è uno dei miti costitutivi del pensiero occidentale, forse è anche un limite, di certo è uno dei motori che ci hanno spinto sempre verso nuovi traguardi e progetti. Mentre stavo scrivendo mi sono tornati in mente questi versi di Robert Browning

 

Invecchia con me!

Il meglio deve ancora venire…

 

Adesso mi scateno a cercare la poesia completa e se riesco a trovarla magari la posto.

Così concludo questa scarna Cronaca 487 di giovedì 8 luglio del secondo anno senza Carnevale, dove rinnovo, per la terza volta, gli auguri di Buon Compleanno al mio carissimo amico Maurizio.

sabato 5 giugno 2021

Cronache dagli anni senza Carnevale/454. La pioggia non sa e nemmeno il tempo conosce la grazia che avvolge il frutto ormai maturo

 

 

Usciamo dalla tana annusando l’aria, intorno il mondo sembra uguale, forse lo è. Ma siamo noi a non esserlo più. Emozioni che provengono da un tempo lontano ci assalgono, ci portano indietro, ma sappiamo che indietro è un luogo che continua a esistere solo nella nostra immaginazione. E allo stesso momento è l’unico tempo certo che possiamo raccontare, se c’è qualcosa da raccontare.

Anche nelle giornate più uggiose, come questa, ci sono sempre cose da raccontare, prima di tutto guardandosi intorno. Per strada incontro dei vicini che non vedevo da parecchio tempo, li conosco da trent’anni e su di lui sono visibili le tracce del tempo della pandemia. È invecchiato di colpo, i capelli gli si sono imbiancati e si è come rimpicciolito. Sua moglie ha retto meglio, ci salutiamo e mi viene in mente che lei l’ho vista un paio di mesi fa e mi ha raccontato che le piacerebbe fare un altro grande viaggio in moto verso Nord, prima che sia troppo tardi e che le forze e il desiderio vengano meno.

Ci sono esperienze che, per quanto siamo ferrati avendone letto in decine di libri e visto un mucchio di film, sono talmente forti nella vita di una persona che la teoria non basta. Credo che la prima grande esperienza sia entrare nell’adolescenza, quando scoppiano gli ormoni e ci si sente spaesati in un corpo che non riconosciamo più. Tutto muta e il desiderio e gli innamoramenti sono un pensiero costante, non solo perché siamo stati educati all’amore. È un mandato biologico cui è impossibile sottrarsi. Credo che per le ragazze l’esperienza sia ancora più dura perché ogni mese dovranno fare i conti con il ciclo mestruale e con le possibili conseguenze della fertilità. A proposito, nella Cronaca 447 avevo raccontato della serie televisiva El Sultan, sulla storia di Solimano il Magnifico. Lo guardo ogni tanto su Youtube e ho scoperto un piccolo segreto dell’intelligenza degli algoritmi che governano il mondo. In questa serie TV gravidanze, parti e malori femminili si sprecano, così gli inserti promozionali che mi vengono proposti riguardano integratori, assorbenti e test di gravidanza. Se guardo qualche spezzone su FB, dove metto abbracci e cuoricini soprattutto ai gatti, la pubblicità è relativa a cibo per gatti, lettiere intelligenti, fontanelle, cucce morbidissime. I social presumono di conoscermi e chi sono io per smentirli?

L’altra esperienza fondativa nella vita di una donna è quella della maternità. Un quarto di secolo fa un’amica psicoanalista mi avevo raccontato che le sue pazienti che avevano deciso di diventare madri intorno ai quarant’anni, si erano poi pentite di averlo fatto in tre casi su quattro. L’esperienza speculare è quella della non maternità che è un destino per molte e una scelta per molte altre donne della mia generazione. Scegliere, fino a qualche decennio fa, non era un’opzione contemplata neanche in Occidente. E continua a non esserlo nella maggior parte del mondo. Essere spossessate da se stesse, piombare nella depressione post-partum, che è molto spesso legata agli ormoni impazziti a causa della gravidanza, è un’esperienza che devasta moltissime donne cui non è rimasto altro che essere madri. In quest’epoca di social e di condivisioni impudiche su qualunque aspetto della propria vita, i racconti delle esperienze si moltiplicano e la sofferenza che ne emerge è straziante.

Per quanto riguarda gli uomini, e non sto dicendo niente di nuovo o di straordinario, l’esperienza della paternità ha conseguenze psicologiche ed economiche, ma il loro corpo continua a essere sempre lo stesso.

E poi arriva l’ultima grande esperienza, che è un territorio inesplorato dove sono arrivati i baby boomer in massa. Sto parlando della vecchiaia e, di nuovo, per quanto possiamo esserci preparati leggendo e studiando, non siamo mai davvero pronti.

La divisione tra le generazioni è esplosa con la pandemia e l’invecchiare con grazia è un apprendimento quotidiano cui neanche la vecchiaia dei nonni e dei genitori ci ha preparato. Ma è un tempo della vita che ci dona una ricchezza inaspettata e ci aiuta a dare un senso a tutto quello che è venuto prima. Ma proprio, proprio tutto, a partire dalla relazione con se stessi, dall’amore, dalla famiglia, dal lavoro.

Ma è un tema talmente vasto che non voglio affrontare qui, ci tornerò, perché le riflessioni si accumulano e i nodi da dipanare sono sempre di più.

Adesso è scoppiato un temporale, uno di quei temporali estivi che un tempo scoppiavano solo nella seconda metà di agosto alle nostre latitudini e che da almeno quindici anni sono diventati una consuetudine che guasta il mese più bello dell’anno e ci ruba la luce, le belle serate estive lunghe fino a tardi, dove cenare fuori e passeggiare.

Ma io amo la pioggia, che è una ricchezza immaginativa e anche un’ossessione poetica, quindi saluto questa Cronaca 454 di sabato 5 giugno del secondo anno senza Carnevale, con una poesia e un piccolo rimpianto per la luce che non avrò stasera.

 

 

Le creature irrequiete che preferisco nel mondo

 

 

Crediamo che la pioggia

sappia solo cadere, ma è

un’illusione dovuta al fatto

che noi siamo convinti

di essere verticali. Bisogna

assumere la prospettiva

delle gocce e della terra,

dove la caduta è, a dire

il vero, una dura ascesa

perché la pioggia non conosce

la forza di gravità e crede

di essere forte e di avere

scelto questo movimento.

La pioggia non sa e anch’io

non voglio sapere, così

esco a camminare senza

ombrello e respiro il gelsomino

nella cortina d’acqua e penso

che potrei essere un gatto o

una nuvola, le creature irrequiete

che preferisco nel mondo. Insieme

ai poeti.

venerdì 26 ottobre 2012

L'essenza rimane in fondo

Mi pare di sapere solo ora chi sono veramente. I miei punti di forza, le mie debolezze, le mie gelosie... È come se tutto ciò fosse bollito in una pentola per questi anni, e mentre bolle evapora, formando del vapore, e poi, quello che rimane sul fondo della pentola è la tua essenza, la materia con cui si è partiti all'inizio.

Kirk Douglas a 85 anni nel 2002