Non importa quanti siano i chilometri che ci separano dai territori dove la guerra è in corso, la guerra è entrata in noi, ci ha invaso la mente e i cuori. Il peggio del Novecento, il secolo che non finisce mai, è piombato tra di noi con il suo carico di ideologie malate, carri armati, bombardamenti, famiglie nei rifugi, giovani soldati ignari mandati a combattere senza sapere perché. Non c’è niente che giustifichi gli atti del dittatore, niente. Passo un sacco di tempo a leggere articoli per farmi un’idea, mi angoscio, decido di non continuare a leggere. Poi mi capita sotto il naso la notizia che allo scrittore Paolo Nori viene bloccato un corso su Dostoevskij all’università Bicocca di Milano. Non ci credo, mi sembra tutto così assurdo, e lo è. Il pro-rettore si rimangia la decisione e Nori decide comunque di andare altrove a tenere il corso, bravo. Siamo tutti sospesi su un abisso che abbiamo tenuto a bada in questi due anni di pandemia e abbiamo imparato che basta la folle volontà di pochi uomini a decidere il destino di milioni. Smetto di leggere le notizie, vado a cercare Notti di pace occidentale il libro in cui Antonella Anedda combatte con la poesia le atrocità del Novecento. Queste nuove notti di pace occidentale sono ancora più insensate, più atroci, dove possiamo far sentire le nostre voci sui social, ma dall’altra parte non c’è nessuno ad ascoltare. La poesia che ho scelto per oggi è uno dei Notturni:
marzo, notte
Nel solco di meli duri che scava la settimana di marzo
con lo sguardo al muro di cucina
dove ho inchiodato un verso mai finito che leggo e leggo
trascinandomi acqua sulle dita.
Nell’alba spezzata dalla sete, quando corro sul pavimento
e nell’oscurità non riconosco le stanze ma incido –
con la stessa mano che forse mi sbarrerà l’orecchio nel
dolore – lettere immense lungo le pareti.
Ci saranno altre notti insonni, altri versi incisi sui
muri, altro dolore e altro silenzio. E noi saremo qui, chiusi nella nostra
attesa, nella speranza di una parola diversa, di un giorno nuovo.
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