martedì 31 dicembre 2019

La memoria a volte è un coltello

La memoria a volte è un coltello.

Siri Hustvedt
Ricordi del futuro
traduzione di Laura Noulian
Einaudi 2019

lunedì 30 dicembre 2019

Scrivere il diario, rileggere il diario

Qui sono libera di fare un balzo di decenni nel piccolo spazio bianco fra un paragrafo e l’altro o di attardarmi per pagine e pagine su un singolo momento luminoso nella mia vita o giocare con i tempi verbali che indicano ora il passato, ora il futuro. Sono libera di seguire il mio io precedente pur con qualche intervallo dal punto di osservazione del mio io successivo perché la persona anziana ha una prospettiva che la persona giovane non può avere. Incontro me stessa sulla pagina, dunque, sulle pagine che lei scrisse tanti anni fa e su quelle che sto scrivendo adesso. Una giovane donna è seduta nella Pasticceria Ungherese, fra Amsterdam Avenue e la Centoundicesima Strada Ovest, e alza gli occhi dal suo libro quando sente che la porta si apre e gli occhi le cadono su un’affascinante creatura sconosciuta che varca la soglia del locale. Suppongo che, maschio o femmina che fosse, se si fosse presa la briga di scrutare anche solo per un istante il viso di quella giovane donna, nella sua espressione avrebbe visto la speranza.

Siri Hustvedt
Ricordi del futuro
traduzione di Laura Noulian
Einaudi 2019

venerdì 27 dicembre 2019

La letteratura non è un luogo dove nascondersi, è un luogo dove ritrovarsi

Una vita dura ha bisogno di una lingua dura perché duro è il linguaggio della poesia. Ecco cosa ci offre la letteratura: una lingua che ha il potere di dire le cose come stanno. Non è un luogo dove nascondersi. È un luogo dove ritrovarsi.

Perché essere felice quando puoi essere normale?
Jeanette Winterson
traduzione di Chiara Spallino Rocca
Mondadori 2012

venerdì 29 novembre 2019

una frase di luce piena e vento forte

Scrivere, ancora. Insistere, persistere. Ancora scrivere, anche se ieri sera ho scoperto in una sola frase di Pascal tutto quello che avrò mai da dire. È una frase musicale, nervosa, rapida come l'infanzia e come Mozart. La pioggia non vi prende parte alcuna. È una frase di luce piena e vento forte: In gioia per l'eternità per un giorno di esercizio sulla terra. È da tutta la mia infanzia, così leggera, che sono in trattativa con me stesso. Faccio fra me e me una conversazione che il mondo si sforza di interrompere. Per continuare a parlarmi ho iniziato a scrivere. Quel che si dice in me non sta nei miei libri. I libri sono un contro-rumore al rumore del mondo. Quel che si dice in me si confida al silenzio, non è altro che silenzio. I libri sfiorano questo silenzio. Non lo toccano, lo sfiorano. I libri sono quasi interessanti come il silenzio. Scrivere è quasi appassionante come far niente e aspettare le prime gocce di pioggia nei concerti per pianoforte di Mozart.

Christian Bobin
Mozart e la pioggia 
traduzione di Noela Ballerio
Anima Mundi Edizioni 2015




giovedì 28 novembre 2019

Novembre, novembre, novembre...

L'anno ha 16 mesi: novembre
dicembre, gennaio, febbraio, marzo, aprile
maggio, giugno, luglio, agosto, settembre
ottobre, novembre, novembre, novembre, novembre.

Henrik Nordbrandt
Il nostro amore è come Bisanzio

traduzione di Bruno Berni
Donzelli editore 2000

mercoledì 6 novembre 2019

Arrivano le parole


Ecco novembre irreparabile
se sia fuori dal petto sul fondale
del cielo. Se sia ficcato dentro
quel suo ridere mesto dentro me -
una schiera di piccoli morti getta
nello sfacelo dei corpi la sua ronda.
Arrivano le parole. Si resta. Si resta.
Custodirle - pettinarle - dentro le bare.
Soffiare. Farle nuove.

Mariangela Gualtieri
Quando non morivo
Einaudi 2019

lunedì 9 settembre 2019

fissare l’attimo su cui allunga la sua ombra o la sua luce

Sì, certo, se domani è bel tempo,–disse la signora Ramsay.–Ma dovrai alzarti con le allodole,–aggiunse. A suo figlio quelle parole diedero una gioia immensa, come se la spedizione dovesse senz'altro aver luogo, e l’evento che aveva tanto atteso, per anni e anni gli sembrava, fosse infine, oltre il buio di una notte e la navigazione di un giorno, a portata di mano. Poiché apparteneva, già all'età di sei anni, a quella categoria di persone che non sanno tenere separate le proprie emozioni e lasciano che i progetti futuri, con le loro gioie e dolori, oscurino ciò che invece possiedono, e poiché per questo tipo di persone sin dalla più tenera infanzia ogni scarto nella ruota delle sensazioni ha il potere di cristallizzare e fissare l’attimo su cui allunga la sua ombra o la sua luce, James Ramsay, che era seduto per terra e ritagliava figure dal catalogo illustrato degli Army & Navy Stores, alle parole della madre riversò sulla figura di un frigorifero una celestiale beatitudine.

incipit

Virginia Woolf
Gita al faro
traduzione di Anna Nadotti
Einaudi 2018

venerdì 6 settembre 2019

L'ora più allegra

Passavo per via Margutta, un mattino di primavera, l’anno scorso. Andavo a un piccolo stabilimento di doppiaggio, che ha la sua sede in uno di quegli antichi cortili tra le pendici del Pincio e la via Margutta: improvvisi spazi tranquilli dentro l’agitata complicazione di muri scale ringhiere case e casette. Mezza sole e mezza ombra, via Margutta era nell'ora più allegra della giornata, le undici. Varcato il mezzodì, già la ruota gira. È vero che, quasi per fermarla, i romani ritardano il pasto e prolungano il mezzodì fino alle due e più in là. Ma l’ora più allegra resta sempre le undici. Passavo tra le botteghe degli artigiani, fabbricanti di cornici, falegnami, una piccola officina di riparazioni meccaniche che probabilmente era succeduta a un antico fabbro, una mescita di vino, una stireria. Gli operai lavoravano anche sulla strada, tutta ingombra dei loro attrezzi e di automobili e motociclette al posteggio. E lavoravano, pareva, lietamente, picchiavano con esagerato fracasso su legni e lamiere; si chiamavano l’un l’altro, qualcuno cantava. Camminando, rallentavo come per raccogliere un po’ di più di quella gioia, prima di arrivare allo stabilimento. Là mi attendeva il mio lavoro.

Mario Soldati
Le lettere da Capri
Garzanti 1954

giovedì 5 settembre 2019

Scrivere significa riuscire a sentire le cose con più forza degli altri

"Harry, com'è possibile trasmettere emozioni che non si sono vissute?” “È esattamente il lavoro di ogni scrittore. Scrivere significa riuscire a sentire le cose con più forza degli altri e trasmetterle di conseguenza. Scrivere significa permettere ai propri lettori di vedere ciò che a volte non possono vedere. Se fossero solo gli orfani a raccontare storie di orfani, sarebbe un problema. Significherebbe che non potresti parlare di madri, di padri, di cani o di piloti d’aereo, né della rivoluzione russa, perché non sei né una madre né un padre, né un cane, né un pilota d’aereo, e non hai vissuto la rivoluzione russa. Tu non sei altro che Marcus Goldman. E se ogni scrittore dovesse limitarsi a se stesso, la letteratura sarebbe di una tristezza spaventosa e perderebbe il proprio senso. Noi scrittori abbiamo il diritto di parlare di tutto, Marcus, di tutto ciò che ci tocca. E non c’è nessuno che possa criticarci per questo. Noi siamo scrittori perché facciamo in maniera diversa una cosa che tutti sanno fare: scrivere. In questo sta tutta la sottigliezza.”"



Joël Dicker
La verità sul caso Harry Quebert
traduzione di V. Vega
Bompiani 2013 

mercoledì 4 settembre 2019

I libri sono più forti della vita

Perché scrivo? Perché i libri sono più forti della vita. Sono la più bella delle rivincite. Sono i testimoni dell’inviolabile muraglia della nostra mente, dell’inespugnabile fortezza della nostra memoria. E quando non scrivo, una volta l’anno, vado a Baltimore. Mi fermo per qualche momento nel quartiere di Oak Park, poi vado a trovarli nel cimitero di Forrest Lane. Depongo dei sassolini sulle loro lapidi, per continuare a costruire la loro memoria, e mi raccolgo. Rifletto su chi sono, su dove vado e da dove vengo. Mi accovaccio vicino a loro, poggio le mani sui loro nomi incisi e li bacio. Poi chiudo gli occhi e li sento vivere in me. Mio zio Saul, benedetta la sua memoria. Tutto è cancellato. Mia zia Anita, benedetta la sua memoria. Tutto è dimenticato. Mio cugino Hillel, benedetta la sua memoria. Tutto è perdonato. Mio cugino Woody, benedetta la sua memoria. Tutto è riparato. Se ne sono andati, ma io so che sono ancora qui. So che dimoreranno per sempre in questo luogo che si chiama Baltimore, il Paradiso dei Giusti, o forse soltanto nella mia memoria. Non importa. So che mi aspettano da qualche parte.


Joël Dicker 
Il libro dei Baltimore
traduzione di V. Vega
La Nave di Teseo 2018

martedì 3 settembre 2019

Diventare oceano

Dicono che prima di entrare in mare
Il fiume trema di paura.
A guardare indietro
tutto il cammino che ha percorso,
i vertici, le montagne,
il lungo e tortuoso cammino
che ha aperto attraverso giungle e villaggi.
E vede di fronte a sé un oceano così grande
che a entrare in lui può solo
sparire per sempre.
Ma non c’è altro modo.
Il fiume non può tornare indietro.
Nessuno può tornare indietro.
Tornare indietro è impossibile nell'esistenza.
Il fiume deve accettare la sua natura
e entrare nell'oceano.
Solo entrando nell'oceano
la paura diminuirà,
perché solo allora il fiume saprà
che non si tratta di scomparire nell'oceano
ma di diventare oceano.

Khalil Gibran(forse... su Internet è attribuita anche a Ibsen e Osho)

lunedì 2 settembre 2019

La fragilità del passato

Il passato è fragile, fragile come le ossa che diventano deboli con l’età, fragile come i fantasmi visti alle finestre o i sogni che si disfano appena ci svegliamo e si lasciano dietro solo una sensazione di disagio o di angoscia o, più raramente, una specie di inesplicabile appagamento.


Siri Hustvedt
Ricordi del futuro
traduzione di Laura Noulian
Einaudi 2019

domenica 1 settembre 2019

La memoria del mare

Yazid non mi accompagnò. La strada per il tempio era solo mia. Così come le mie passeggiate liguri alle Cinque Terre, dalla punta Mesco alla punta San Pietro. Mi ero lasciato condurre di paesino in paesino: Monterosso, Vernazza, Corniglia, Manarola, Riomaggiore. Evocare quei nomi era già una felicità. In paesini così piccoli non ci si può perdere, eppure è questo il vero piacere, smarrirsi nel labirinto in cui si sovrappongono su più livelli viuzze buie, strette, a volte fatte solo di scale. A un certo punto, si sa, torneremo verso il mare. Per forza. Tutti i paesini costruiti in fondo alle cinque vallate danno risolutamente le spalle alla montagna e stanno di fronte al Mediterraneo. Per molto tempo fu possibile arrivare qui solo in barca. D'altronde, la memoria del mare sembra incisa negli scafi delle barche quando, di ritorno sul greto per una mano di vernice, mostrano, attaccata alla prua, una conchiglia.



Jean-Claude Izzo 
Aglio, menta e basilico
traduzione di Gaia Panfili
e/o 2012

sabato 31 agosto 2019

le cose che esistono nel solo istante in cui guardiamo

A Biskra, una sera di leggera brezza calda, quando sono arrivato aleggiava un aroma di polvere e caffè, il fumo di un falò di cortecce, l’odore della pietra, del montone. Me ne appropriai. Come ci si regala un paesaggio. Questo è l’essenziale, quando viaggiamo su queste rive: concederci quello che non potremo mai portarci via, che esiste nel solo istante in cui guardiamo, e che non fa parte dei ricordi ma del piacere di vivere. Piccole cose, come per esempio l’ultimo palpito della luce prima di mezzogiorno. Perché, direbbe Leila, “la vita è un frammento di nulla.


Jean-Claude Izzo 
Aglio, menta e basilico
traduzione di Gaia Panfili
e/o 2012

venerdì 30 agosto 2019

La città delle estati e l'inverno dei volti

Con animo furente hai navigato lontano dalla casa paterna, varcando le doppie rocce del mare, e abiti una terra straniera.
Medea 

Da cinque giorni la pioggia colava senza tregua su Algeri, aveva finito per inzuppare persino il mare. Dall'alto d’un cielo che sembrava inesauribile s’abbattevano sul golfo incessanti acquazzoni, tanto spessi da diventare vischiosi. Nella baia senza contorni, il mare si gonfiava grigio e molle come una grande spugna. Ma la superficie delle acque sembrava quasi immobile sotto la pioggia costante. Solo di tanto in tanto un largo moto impercettibile sollevava sul mare un vapore torbido che veniva ad approdare al porto, sotto la cinta dei viali inzuppati. Anche la città, con tutti i suoi muri bianchi gocciolanti d’umidità, esalava un vapore che veniva incontro al primo. Da qualunque parte ci si voltasse, sembrava che si respirasse acqua: l’aria insomma si beveva. Io camminavo di fronte al mare affogato; aspettavo, in quell'Algeri decembrina che per me rimaneva la città delle estati. Ero fuggito dalla notte d’Europa, dall'inverno dei volti. Ma anche la città delle estati s’era vuotata delle sue risa e mi offriva solo schiene curve e lucenti. La sera, nei caffè violentemente illuminati in cui mi rifugiavo, leggevo la mia età su visi che riconoscevo senza poter dar loro un nome. Sapevo soltanto che erano stati giovani con me e non lo erano più.



Albert Camus
L'estate e altri saggi solari 
Ritorno a Tipasa
in Saggi letterari
traduzione di C. Pastura, S. Perrella, S. Morando, E. Capriolo
Bompiani 1966

giovedì 29 agosto 2019

Edipo è il primo romanzo noir

Patrick Raynal si dilungava su questo rapporto di filiazione: “Se definiamo brevemente la scrittura noir, l’ispirazione noir come uno sguardo sul mondo, uno sguardo sul lato oscuro, opaco, criminale del mondo, pervaso dall'intensa percezione della fatalità che ci portiamo dentro e che nasce dal fatto che l’unica cosa che sappiamo veramente è che moriremo, allora sì, dico che l’Edipo è il primo romanzo noir.

Jean-Claude Izzo 
Aglio, menta e basilico
traduzione di Gaia Panfili
e/o 2012

mercoledì 28 agosto 2019

Una geografia delle felicità possibili

Non so cos'ero venuto a cercare a Santa Cruz, quel giorno. Ma quello che trovai lì mi andò bene. La quiete. Forse perché mi era bastato chiudere gli occhi perché il paesaggio mi entrasse dentro fino a diventare mio. Allora ho capito che sarebbe rimasto in me ovunque fossi andato. Ho capito dopo, in altri porti, in altre città di questo Mediterraneo, che sarebbe stato sempre così. Che quello che avevo scoperto non era il Mediterraneo preconfezionato che ci vendono i mercanti di viaggi e di sogni facili. Quello che offriva, che mi offriva il mare non era nient’altro che una felicità possibile. Di sicuro, anche altrove sarebbe stato sempre così. E così, nel corso degli anni, mi sono creato una geografia delle felicità possibili. In questa geografia rientra Biblo. Yazid, un pescatore incontrato al porticciolo, mi aveva raccontato la leggenda di Adone. Una leggenda fenicia. Il primo giorno di primavera, Adone morì alle sorgenti del fiume che oggi porta il suo nome, fra le braccia di Astarte. Il suo sangue fece nascere gli anemoni e tinse di rosso il fiume dalle acque ferruginose. Allora le lacrime di Astarte caddero a pioggia sulla natura al risveglio, e ridiedero vita all'amante. Un tempio ai piedi della grotta di Afqua, innalzato dai fenici, le rende omaggio. Ero venuto a vedere proprio quel tempio. Un tempio dell’amore. Della fedeltà. Ero solo.

Jean-Claude Izzo 
Aglio, menta e basilico
traduzione di Gaia Panfili
e/o 2012

martedì 27 agosto 2019

le città del Mediterraneo

Di ritorno dal Cairo, Flaubert scrisse a un amico: “Ho acquisito la certezza che le cose previste accadono di rado”. Nelle città del Mediterraneo è spesso così. Non trovi mai davvero quello che eri venuto a cercare. Forse perché questo mare, i porti che ha generato, le isole che culla, le linee e le forme delle sue rive rendono la verità inseparabile dalla felicità. L’ebbrezza stessa della luce non fa che esaltare lo spirito di contemplazione. L’ho scoperto a casa mia, a Marsiglia. Vicino alla baia des Singes, ben oltre il porticciolo di Les Goudes, all'estremità orientale della città. Ore e ore a guardar passare nello stretto di Les Croisettes le barche di ritorno dalla pesca. È qui, e in nessun altro posto, che queste mi sembrano, mi sembreranno sempre le più belle. Ore e ore ad attendere quel momento, più magico di qualsiasi altro, in cui un cargo entrerà nella luce del sole al tramonto sul mare e vi scomparirà per una frazione di secondo. Il tempo di credere che tutto è possibile. Qui non pensiamo. Dopo. Soltanto dopo pensiamo a tutte le ore della vita in cui avremmo dovuto imparare, e a quelle in cui avremmo dovuto dimenticare. Certo, è raro che un’intera vita possa trascorrere così, nella contemplazione.


Jean-Claude Izzo 
Aglio, menta e basilico
traduzione di Gaia Panfili
e/o 2012

domenica 28 luglio 2019

l'inizio della scrittura

Sapere che non si scrive per l’altro, sapere che le cose che sto per scrivere non mi faranno amare da chi amo, sapere che la scrittura non compensa niente, non sublima niente, che è precisamente là dove non sei: è l’inizio della scrittura.

Roland Barthes 
Saggi critici
nuova edizione a cura di Gianfranco Marrone
Einaudi 2002

sabato 27 luglio 2019

inciampare in una pietra, bagnarsi in qualche pioggia


Un appunto

La vita – è il solo modo
per coprirsi di foglie,
prendere fiato sulla sabbia,
sollevarsi sulle ali;

essere un cane,
o carezzarlo sul suo pelo caldo;

distinguere il dolore
da tutto ciò che dolore non è;

stare dentro gli eventi,
dileguarsi nelle vedute,
cercare il più piccolo errore.

Un’occasione eccezionale
per ricordare per un attimo
di che si è parlato
a luce spenta;

e almeno per una volta
inciampare in una pietra,
bagnarsi in qualche pioggia,
perdere le chiavi tra l’erba;
e seguire con gli occhi una scintilla
nel vento;

e persistere nel non sapere
qualcosa d’importante.


Wislawa Szymborska
La gioia di scrivere
Tutte le poesie (1945-2009)
a cura di Pietro Marchesani
Adelphi Edizioni 2009

venerdì 26 luglio 2019

Sì, ho visto le stelle

Gli incontri di una lumaca avventurosa
A Ramón P. Roda

Che dolcezza infantile nella mattina tranquilla.

Gli alberi tendono le braccia verso la terra.
Un vapore tremulo copre i seminati
e i ragni tendono le loro strade di seta
- incrinature sul cristallo pulito del vento -.


Sul viale, una fonte recita il suo canto fra l'erbe.
E la lumaca, pacifica borghese del sentiero, umile e ignorata contempla il paesaggio.
La pace divina della natura l'ha rincuorata,
e dimenticando le pene della casa, desiderò vedere la fine del sentiero.


Camminando s'internò in un bosco d'edere e d'ortiche.
In mezzo c'erano due rane vecchie a prendere il sole,
tristi e malate.
«Questi canti moderni mormorava una di loro - sono inutili».
«Tutti, cara - le risponde la compagna che era ferita e quasi cieca -.
Da giovane credevo che se un giorno Dio sentisse il nostro canto, ne avrebbe pietà.
La mia scienza - ho vissuto molto -
m'impedisce di crederlo.
E io non canto piú...»


Le due rane si lamentano chiedendo l'elemosina a una giovane ranocchia
che passa sdegnosa scartando l'erba.
Davanti al bosco cupo la lumaca si spaventa.
Vuol gridare. Non può.
Le rane le si avvicinano.
«È una farfalla?» dice la cieca.
«Ha due piccole corna - risponde l'altra rana -.

È la lumaca.
Lumaca, vieni da altri paesi?»
«Vengo da casa mia e voglio tornarci subito.»
«È un verme vile esclama la rana cieca -.


Non canti mai?». - «Non canto», dice la lumaca.
«E non preghi?» - «Neppure: non ho mai imparato.»
«Non credi alla vita eterna?» - «E che cos'è?»
«Mah, vivere sempre nell'acqua trasparente vicino a una terra fiorita di ricchi pascoli.»
«Da bambina, un giorno la mia povera nonna mi disse che dopo morta sarei andata sulle foglie più tenere degli alberi più alti.»

«Tua nonna era un'eretica.
La verità te la diciamo noi.
Dovrai crederci!» dicono le rane furiose.


«Perché ho voluto vedere il sentiero? geme la lumaca -
Sì, credo per sempre alla vita eterna che dite voi...»

Le rane pensierose si allontanano e la lumaca spaventata si perde nella foresta.
Le due rane mendicanti restano come sfingi.
Una alla fine chiede:
«Credi alla vita eterna?»
«Io no», dice tristemente quella ferita e cieca.
«Allora perché abbiamo detto di credere, alla lumaca?»

«Perché... Non lo so dice la rana cieca -.
Mi emoziono quando sento i miei figli invocare Dio con fiducia dal canale...»
La povera lumaca torna indietro.
Nel sentiero un silenzio ondulato sgorga dal viale.

S'incontra con un gruppo di formiche rosse.
Sono tutte in tumulto e trascinano a forza un'altra formica con le antenne spezzate.
La lumaca esclama:
«Pazienza, formiche. Perché maltrattate così la vostra compagna?
Ditemi quello che ha fatto.
Giudicherò io in coscienza.
Su, formica, racconta tu.»
La formica mezza morta le risponde tristemente:
«Ho visto le stelle.»
«Che cosa sono le stelle?», dicono le formiche inquiete.
E la lumaca pensierosa domanda: «Stelle?»

«Sì - ripete la formica -. ho visto le stelle,
son salita sull'albero più alto che abbia il viale e ho visto migliaia d'occhi nelle mie tenebre.»


La lumaca domanda:
«Ma che cosa sono le stelle?»
«Sono luci che portiamo sulla nostra testa.»
«Noi non le vediamo», commenta
E la lumaca: «La mia vista arriva fino all'erba.»
Le formiche esclamano, muovendo le loro antenne:
«Ti uccideremo; sei pigra e perversa.
La tua legge è il lavoro.»
«Sì, ho visto le stelle», dice la formica ferita.
La lumaca sentenzia: «Lasciatela andare, fate le vostre faccende.
Può darsi che muoia presto, arresa.»


Nell'aria dolce è passata un'ape.
La formica agonizzante sente la sera immensa e dice:
«Viene a portarmi su una stella.»
Le altre formiche fuggono vedendola morta.
La lumaca sospira e s'allontana stordita, piena di confusione per l'eternità.
«Il sentiero è finito - dice -.

Forse di qui si arriva alle stelle.
Ma la mia grande lentezza mi impedirà di arrivare.
Non pensiamoci più.»


Tutto era soffuso di sole pallido e nebbia.
Campane lontane chiamavano in chiesa e la lumaca,
pacifica borghese del sentiero,
intontita e inquieta,
contempla il paesaggio.


Federico Garcia Lorca

Granada, dicembre 1918

Hay dulzura infantil 
En la mañana quieta. 
Los árboles extienden 
Sus brazos a la tierra. 
Un vaho tembloroso 
Cubre las sementeras, 
Y las arañas tienden 
Sus caminos de seda 
?Rayas al cristal limpio 
Del aire?. 
En la alameda 
Un manantial recita 
Su canto entre las hierbas 
Y el caracol, pacífico 
Burgués de la vereda, 
Ignorado y humilde, 
El paisaje contempla. 
La divina quietud 
De la naturaleza 
Le dio valor y fe, 
Y olvidando las penas 
De su hogar, deseó 
Ver el fin de [la] senda. 

Echó andar e internóse 
En un bosque de yedras 
Y de ortigas. En medio 
Había dos ranas viejas 
Que tomaban el sol, 
Aburridas y enfermas. 

Esos cantos modernos, 
Murmuraba una de ellas, 
Son inútiles. Todos, 
Amiga, le contesta 
La otra rana, que estaba 
Herida y casi ciega: 
Cuando joven creía 
Que si al fin Dios oyera 
Nuestro canto, tendría 
Compasión. Y mi ciencia, 
Pues ya he vivido mucho, 
Hace que no la crea. 
Yo ya no canto más... 

Las dos ranas se quejan 
Pidiendo una limosna 
A una ranita nueva 
Que pasa presumida 
Apartando las hierbas. 

Ante el bosque sombrío 
El caracol, se aterra. 
Quiere gritar. No puede, 
Las ranas se le acercan. 

¿Es una mariposa?, 
Dice la casi ciega. 
Tiene dos cuernecitos, 
La otra rana contesta. 
Es el caracol. ¿Vienes, 
Caracol, de otras tierras? 

Vengo de mi casa y quiero 
Volverme muy pronto a ella. 
Es un bicho muy cobarde, 
Exclama la rana ciega. 
¿No cantas nunca? No canto, 
Dice el caracol. ¿Ni rezas? 
Tampoco: nunca aprendí. 
¿Ni crees en la vida eterna? 
¿Qué es eso? 
Pues vivir siempre 
En el agua más serena, 
Junto a una tierra florida 
Que a un rico manjar sustenta. 

Cuando niño a mí me dijo 
Un día mi pobre abuela 
Que al morirme yo me iría 
Sobre las hojas más tiernas 
De los árboles más altos. 

Una hereje era tu abuela. 
La verdad te la decimos 
Nosotras. Creerás en ella, 
Dicen las ranas furiosas. 

¿Por qué quise ver la senda? 
Gime el caracol. Sí, creo 
Por siempre en la vida eterna 
Que predicáis... 
Las ranas, 
Muy pensativas, se alejan, 
Y el caracol, asustado, 
Se va perdiendo en la selva. 

Las dos ranas mendigas 
Como esfinges se quedan. 
Una de ellas pregunta: 
¿Crees tú en la vida eterna? 
Yo no, dice muy triste 
La rana herida y ciega. 
¿Por qué hemos dicho entonces 
Al caracol que crea? 
¿Por qué?... No sé por qué, 
Dice la rana ciega. 
Me lleno de emoción 
Al sentir la firmeza 
Con que llaman mis hijos 
A Dios desde la acequia... 

El pobre caracol 
Vuelve atrás. Ya en la senda 
Un silencio ondulado 
Mana de la alameda. 
Con un grupo de hormigas 
Encarnadas se encuentra. 
Van muy alborotadas, 
Arrastrando tras ellas 
A otra hormiga que tiene 
Tronchadas las antenas. 
El caracol exclama: 
Hormiguitas, paciencia. 
¿Por qué así maltratáis 
A vuestra compañera? 
Contadme lo que ha hecho. 
Yo juzgaré en conciencia. 
Cuéntalo tú, hormiguita. 

La hormiga medio muerta 
Dice muy tristemente: 
Yo he visto las estrellas. 
¿Qué son estrellas? ?dicen 
Las hormigas inquietas. 
Y el caracol pregunta 
Pensativo: ¿estrellas? 
Sí, repite la hormiga, 
He visto las estrellas. 
Subí al árbol más alto 
Que tiene la alameda 
Y vi miles de ojos 
Dentro de mis tinieblas. 
El caracol pregunta: 
¿Pero qué son estrellas? 
Son luces que llevamos 
Sobre nuestra cabeza. 
Nosotras no las vemos, 
Las hormigas comentan. 
Y el caracol, mi vista 
Sólo alcanza a las hierbas. 
Las hormigas exclaman 
Moviendo sus antenas: 
Te mataremos, eres 
Perezosa y perversa, 
El trabajo es tu ley. 

Yo he visto a las estrellas, 
Dice la hormiga herida. 
Y el caracol sentencia: 
Dejadla que se vaya, 
Seguid vuestras faenas. 
Es fácil que muy pronto 
Ya rendida se muera. 

Por el aire dulzón 
Ha cruzado una abeja. 
La hormiga agonizando 
Huele la tarde inmensa 
Y dice, es la que viene 
A llevarme a una estrella. 

Las demás hormiguitas 
Huyen al verla muerta. 

El caracol suspira 
Y aturdido se aleja 
Lleno de confusión 
Por lo eterno. La senda 
No tiene fin, exclama. 
Acaso a las estrellas 
Se llegue por aquí. 
Pero mi gran torpeza 
Me impedirá llegar. 
No hay que pensar en ellas. 

Todo estaba brumoso 
De sol débil y niebla. 
Campanarios lejanos 

Llaman gente a la iglesia. 
Y el caracol, pacífico 
Burgués de la vereda, 
Aturdido e inquieto 
El paisaje contempla.

giovedì 25 luglio 2019

le nuvole ciecamente corrono cancellando dai cieli ogni genealogia


Limba

Non tenes baùle ?e istrisinare in supr'e nie Ma unu cane a trémula in s'iscuriù Limba-matre ses triste
S'azu s'inniéddigat in sa sartàine
Sa mùghit'anziat
Sos ventos si coffundent.
Eolo survat et Babele s'isparghet. Fiza-limba tràchitas a ghineperu
Una tremita tua naschinde
Est ch'astula de livrina in mes'a isteddos et sas nues, sas nues a sa thurpas fughint iscanzellande dae chelu onzi zenìas

Antonella Anedda

*
Lingua

Non hai bara da trascinare sulla neve
ma un cane che trema nel buio. Madre-lingua sei triste
l'aglio si fa nero nel rame
il rombo dal camino sale.
I venti si confondono
Eolo soffia e Babele vive.
Figlia-lingua: scricchioli a ginepro.
il tuo brivido alla nascita
è un frammento di tempesta tra i pianeti e le nuvole, le nuvole ciecamente corrono cancellando dai cieli ogni genealogia

mercoledì 24 luglio 2019

Chiarezza, sottigliezza, agilità, impassibilità. Siedi contro il muro, leggi Giobbe e Geremia


(…)
Si vede talvolta in un treno, in una sala d’aspetto, un volto umano. Che ha di diverso? Di nuovo potremmo dire ciò che quel volto non ha, ciò che i suoi tratti non tradiscono.
Gli occhi non diffidano né sollecitano, non divagano e non indagano. Occhi in nessun attimo assenti, mai interamente presenti. Ai giorni nostri tali volti, comuni nei quadri antichi, sembrano sigillati da una indicibile malinconia. Pure, nel treno, nella sala d’aspetto, essi gonfiano l’animo di gioia, di un accresciuto, appunto, sentimento di vita. Non correrà parola, ma il puro, subitaneo sorriso è fuga in un tranquillo luogo, vulnerabile al punto da essere inattingibile. Si dice, rapidamente “occhi consapevoli”: Sono in realtà, occhi eroici. Hanno guardato la bellezza e non ne sono fuggiti. Hanno riconosciuto la sua perdita sulla terra, e in grazia di ciò l’hanno guadagnata alla mente. Neppure la fotografia può interamente distruggere tali volti, di più in più rari, è vero. Muta la razza, muta ormai la specie, tra poco tali volti saranno appena percepiti e, percepiti, anch'essi imperdonabili, tanto estranei al contesto, al sistema che li racchiude. Già cominciano a farsi invisibili, come il Graal e la lancia di Longino che una mano riportò al cielo, si dice, quando gli uomini non furono più degni di custodirli; come il cinese che leggeva un libro e su cui la folla subito si richiuse. Per essi, tuttavia, la bellezza cacciata non cessa il suo inavvertito circuito, fiore, stella, morte, danza continuano a somigliarsi, la somiglianza a sgominare il terrore. Chiarezza, sottigliezza, agilità, impassibilità. Siedi contro il muro, leggi Giobbe e Geremia.
Attendi il tuo turno, ogni rigo è profitto. Ogni rigo del libro imperdonabile.

Cristina Campo
Gli imperdonabili
Adelphi 1987

lunedì 8 luglio 2019

Il rumore del mare, le ore che passano

Non mi interessano i dati
i dettagli delle cose
non mi interessano gli orologi
che non siano solari
né la lista
degli amori che finiscono.
Mi interessano piuttosto la verità
il rumore del mare
le ore che passano
la luce sul letto a mezzogiorno
e tutto quello che viene
e che va
senza nome e senza preavviso
accadendo
come le cose semplici
accadono.
Nancy Bacelo 
da La nuova poesia
1965

No me interesan los datos
los precisos datos de las cosas
no me interesan los relojes
que no son de sol
ni la lista
de los amores que se acaban.
Me interesa eso sí la verdad
el ruido del mar
las horas que se pasan
la luz sobre la cama al mediodía
y todo lo que viene
y se va
sin nombre y sin aviso
sucediéndos
e
como las cosas simples
se suceden.

martedì 4 giugno 2019

è finalmente esplosa la primavera

Ieri, dopo quasi due mesi di tempo incerto e di acquazzoni intermittenti, che a quanto pare sono stati una benedizione per la campagna, è finalmente esplosa la primavera, l’ho sentita ribollire provocante attraverso i vetri della finestra. Fu l’ombra fugace di una colomba che rivelò, scomparendo, il torrente di luce che invadeva tutto con l’impeto del suo richiamo, uno strattone anacronistico verso avventure ormai impossibili. Mi ricordai di avere sognato Mariana León. Eravamo sdraiate su di un prato a guardare le nuvole; prima erano successe molte altre cose non altrettanto piacevoli, credo che mi inseguissero perché ero implicata in un attentato, è possibile che lo stessi raccontando a Mariana lì sull'erba, anche se non ne sono sicura, così come non lo sono del fatto che lei fosse con me quando mi inseguivano. Dai sogni si atterra un po’ frastornati, e si perde sempre qualcosa di fondamentale. La luce che entrava dalla finestra, anche se era simile a quella del sogno, riuscì a trovare un’eco solamente nell'aritmia del mio respiro, come un frullo d’ali di farfalle agonizzanti.

Carmen Martin Gaite
Nuvolosità variabile
Giunti 2009

giovedì 21 marzo 2019

In primavera è pericoloso il mondo

Un poeta non deve in primavera
passare da solo per i parchi.

Sotto i rami si abbracciano le coppie
e l’erba è umida.

Non deve attraversare
da solo i parchi in primavera.

Ci sono nuvole lanceolate, voli, resti
di amore usato già in terra, e i lillà,
i lillà così dolci, come feriscono.

In primavera è pericoloso il mondo.

Juan Cobos Wilkins

Biografia impura

Un poeta no debe en primavera

cruzar solo la tarde de los parques.

Bajo las ramas se abrazan las parejas
y la yerba humedece.

No debe pasear
en primavera solo por los parques.

Hay nubes lanceoladas, vuelos, restos
de amor usado ya en la tierra, y las lilas,
tan suaves las lilas, cómo hieren.

En primavera es peligroso el mundo.

giovedì 3 gennaio 2019

per il mistero della rosa che prodiga colore e non lo vede


Altra poesia dei doni

Ringraziare voglio il divino
labirinto degli effetti e delle cause
per la diversità delle creature
che compongono questo singolare universo,
per la ragione, che non cesserà di sognare
un qualche disegno del labirinto,
per il viso di Elena e la perseveranza di Ulisse,
per l’amore, che ci fa vedere gli altri
come li vede la divinità,
per il saldo diamante e l’acqua sciolta,
per l’algebra, palazzo dai precisi cristalli,
per le mistiche monete di Angelus Silesius,
per Schopenhauer,
che forse decifrò l’universo,
per lo splendore del fuoco
che nessun essere umano può guardare senza uno stupore antico,
per il mogano, il cedro e il sandalo,
per il pane e il sale,
per il mistero della rosa
che prodiga colore e non lo vede,
per certe vigilie e giornate del 1955,
per i duri mandriani che nella pianura
aizzano le bestie e l’alba,
per il mattino a Montevideo,
per l’arte dell’amicizia,
per l’ultima giornata di Socrate,
per le parole che in un crepuscolo furono dette
da una croce all’altra.
per quel sogno dell’Islam che abbracciò
mille notti e una notte,
per quell’altro sogno dell’inferno,
della torre del fuoco che purifica,
e delle sfere gloriose,
per Swedenborg,
che conversava con gli angeli per le strade di Londra,
per i fiumi segreti e immemorabili
che convergono in me,
per la lingua che, secoli fa, parlai nella Northumbria,
per la spada e Tarpa dei sassoni,
per il mare, che è un deserto risplendente
e una cifra di cose che non sappiamo,
per la musica verbale dell’Inghilterra,
per la musica verbale della Germania,
per l’oro, che sfolgora nei versi,
per l’epico inverno,
per il nome di un libro che non ho letto: Gesta Dei per Francos
per Verlaine, innocente come gli uccelli,
per il prisma di cristallo e il peso d’ottone,
per le strisce della tigre,
per le alte torri di San Francisco e dell’isola di Manhattan
per il mattino nel Texas,
per quel sivigliano che stese l’Epistola Morale
e il cui nome, come egli avrebbe preferito, ignoriamo,
per Seneca e Lucano, di Cordova,
che prima dello spagnolo scrissero
tutta la letteratura spagnola,
per il geometrico e bizzarro gioco degli scacchi,
per la tartaruga di Zenone e la mappa di Royce,
per l’odore medicinale degli eucalipti,
per il linguaggio, che può simulare la sapienza,
per l’oblio, che annulla o modifica il passato,
per la consuetudine,
che ci ripete e ci conferma come uno specchio,
per il mattino, che ci procura l’illusione di un principio
per la notte, le sue tenebre e la sua astronomia,
per il coraggio e la felicità degli altri,
per la patria, sentita nei gelsomini
o in una vecchia spada,
per Whitman e Francesco d’Assisi, che scrissero già questa poesia,
per il fatto che questa poesia è inesauribile
e si confonde con la somma delle creature
e non arriverà mai all’ultimo verso
e cambia secondo gli uomini,
per Frances Haslam, che chiese perdono ai suoi figli
perché moriva così lentamente,
per i minuti che precedono il sonno,
per il sonno e la morte,
per due tesori occulti,
per gli intimi doni che non elenco,
per la musica, misteriosa forma del tempo.

J.L. Borges

Gracias quiero dar al divino Laberinto de los efectos y de las causas
Por la diversidad de las criaturas que forman este singular universo,
Por la razón, que no cesará de soñar con un plano del laberinto,
Por el rostro de Elena y la perseverancia de Ulises,
Por el amor, que nos deja ver a los otros como los ve la divinidad,
Por el firme diamante y el agua suelta,
Por el álgebra, palacio de precisos cristales,
Por las místicas monedas de Ángel Silesio,
Por Schopenhauer, que acaso descifró el universo,
Por el fulgor del fuego,
Que ningún ser humano puede mirar sin un asombro antiguo,
Por la caoba, el cedro y el sándalo,
Por el pan y la sal,
Por el misterio de la rosa, que prodiga color y que no lo ve,
Por ciertas vísperas y días de 1955,
Por los duros troperos que en la llanura arrean los animales y el alba,
Por la mañana en Montevideo,
Por el arte de la amistad,
Por el último día de Sócrates,
Por las palabras que en un crepúsculo se dijeron de una cruz a otra cruz,
Por aquel sueño del Islam que abarcó mil noches y una noche,
Por aquel otro sueño del infierno,
De la torre del fuego que purifica
Y de las esferas gloriosas,
Por Swedenborg, que conversaba con los ángeles en las calles de Londres,
Por los ríos secretos e inmemoriales que convergen en mí,
Por el idioma que, hace siglos, hablé en Nortumbria,
Por la espada y el arpa de los sajones,
Por el mar, que es un desierto resplandeciente
Y una cifra de cosas que no sabemos
Y un epitafio de los vikings,
Por la música verbal de Inglaterra,
Por la música verbal de Alemania,
Por el oro, que relumbra en los versos,
Por el épico invierno,
Por el nombre de un libro que no he leído: Gesta Dei per Francos,
Por Verlaine, inocente como los pájaros,
Por el prisma de cristal y la pesa de bronce,
Por las rayas del tigre,
Por las altas torres de San Francisco y de la isla de Manhattan,
Por la mañana en Texas,
Por aquel sevillano que redactó la Epístola Moral
Y cuyo nombre, como él hubiera preferido, ignoramos,
Por Séneca y Lucano, de Córdoba
Que antes del español escribieron
Toda la literatura española,
Por el geométrico y bizarro ajedrez
Por la tortuga de Zenón y el mapa de Royce,
Por el olor medicinal de los eucaliptos,
Por el lenguaje, que puede simular la sabiduría,
Por el olvido, que anula o modifica el pasado,
Por la costumbre, que nos repite y nos confirma como un espejo,
Por la mañana, que nos depara la ilusión de un principio,
Por la noche, su tiniebla y su astronomía,
Por el valor y la felicidad de los otros,
Por la patria, sentida in los jazmines, o en una vieja espada,
Por Whitman y Francisco de Asís, que ya escribieron el poema,
Por el hecho de que el poema es inagotable
Y se confunde con la suma de las criaturas
Y no llegará jamás al último verso
Y varía según los hombres,
Por Frances Haslam, que pidió perdón a sus hijos por morir tan despacio,
Por los minutos que preceden al sueño,
Por el sueño y la muerte, esos dos tesoros ocultos,
Por los íntimos dones que no enumero,
Por la música, misteriosa forma del tiempo.