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martedì 25 gennaio 2022

Cronache dagli anni senza Carnevale/688. Desideravo la bufera perché il mio cuore è sempre in fiamme

 



In queste giornate gelide di fine gennaio, nel triste rituale delle elezioni del Presidente della Repubblica, (qualcuno glielo dice ai nostri 1.009 grandi elettori che i nomi scritti a casaccio non fanno ridere nessuno?) mi ritrovo a desiderare un tempo meno compatto, qualche sbalzo, qualche sorpresa. Così vado a leggere poesia russa, perché gli eccessi delle Russia mi sono cari quanto la mia amica Rossana che è per me, lei da sola, l’incarnazione della Russia e dei suoi scrittori e poeti. Comincio con la Achmatova che mi rincuora, così copio una sua poesia e distorco i suoi versi per scrivere il titolo della Cronaca.

 

 

Quasi in un album

 

Sentirai il tuono e mi rammenterai,

penserai: desiderava la bufera…

Sarà una striscia di cielo accesa di rosso,

e il cuore come allora in fiamme.

E ciò accadrà nel giorno moscovita

in cui abbandonerò per sempre la città,

muoverò verso il bramato riparo,

lasciando in mezzo a voi ancora la mia ombra.

 

 

 

Sentire Rossana parlare della Achmatova e della Cvetaeva è un’esperienza bellissima, voi potete leggere sull’Enciclopedia delle donne le voci che ha scritto su di loro. A proposito di Enciclopedia delle donne, sono andata a rileggere la voce che ho scritto su Virginia Woolf perché oggi è il suo compleanno e in rete è tutto un fiorire di citazioni. Ovunque mi giri sento forte intorno a me il conforto dei libri e della letteratura, la bellezza di poter vivere sempre in un altro luogo e in un altro tempo. Nel tardo pomeriggio finisco di scrivere il programma per gli incontri che terrò nella Biblioteca di Sesto San Giovanni in marzo e aprile dedicati a Sylvia Plath, Piera Oppezzo e Anne Sexton. Ma scriverò le informazioni complete più avanti. Continuo a girovagare tra i libri di carta e la rete dove si trovano tante cose belle e leggo altre poesie a caso della Achmatova, della Cvetaeva e della Berberova ed è sua la seconda poesia che ho scelto per oggi.

 

 

Pietroburgo


Là gettò l’ancora una tranquilla città

e si fece vascello immobile,

tutt’intorno allargò le sue rive

e trasfigurò ogni cosa attorno.

 

E ora gli alberi maestri concentrano

il loro incantevole ardore

e guardano il buio, e conficcano nel buio

il rabesco che scintilla.

 

Non si distinguono i deserti confini −

dove sono le strade, dove le rive?

Tra cortili, piazze, gallerie,

un unico brivido, un’unica tormenta.

 

Anch’io non molto tempo fa vivevo

su quell’enorme vascello,

e attorno al più bello dei suoi alberi

camminavo e aspettavo nella nebbia.

 

Sapevo meravigliosamente

obliare che vivessimo sul mare,

quando nel corridoio deserto

tu mi venisti incontro.

 

Ricorda ora come ci faceva barcollare,

come si frangeva contro i bordi la tempesta,

quando ti sembravano pochi

il silenzio e la quiete.

 

 

 

 

Così, per continuare a frequentare questi mondi alternativi, stasera finirò di guardare il film Colette di Wash Westmoreland e poi finirò di leggere Istantanee di Alain Robbe-Grillett. Naturalmente dopo avere finito di scrivere questa Cronaca 688 di martedì 25 gennaio del terzo anno senza Carnevale.

La poesia di Anna Achmatova è tradotta da Michele Colucci, La corsa del tempo, Einaudi, 1992.

La poesia di Nina Berberova è tradotta da Maurizia Calusio, Antologia Personale. Poesie 1921-1933, Passigli Poesia, 2004.

domenica 22 maggio 2016

una lingua capace di dire ciò che preme suono, frontalità, selvatiche radici respiro di pianure

Irgendwo in RuBland ist meine Seele.
Gertrud Kolmar
In qualche luogo in Russia esiste la mia anima
se anima si chiama
questo ascolto del corpo a gola tesa: voce – e libri
libri simili a ferri tra le pietre di un monte
metalli su cui posare i piedi lentamente.
Dunque non solo carta – immagini:
steppa, slitta, sonagliera
ma in quell'uscire del corpo dall'infanzia
colori netti come mai accade da bambini
non un dio ma un'orma nelle cose
come se a ogni forma potessimo levare il suo sigillo.
Forse l'anima non esiste ma esistono i suoi luoghi
la distanza: verste da percorrere a ritroso
una lingua capace di dire ciò che preme
suono, frontalità, selvatiche radici
respiro di pianure
sì respiro – per lo stretto di un´isola
e al posto delle rime
il ritmo di un pensiero
mai udito
inaudito
come sempre è cercare concisione nell'altezza.
Antonella Anedda
Notti di pace occidentale
Donzelli 1999

sabato 21 maggio 2016

Anch'io sono uno scriba con un tavolo breve che si piega, chiamo lingua questo destino della forma

a Franco Scataglini

Anche per me la Russia
era lunarità dolente
- tundra senza alture - 
cupole radenti
al deserto dei prati.

Anch'io sono uno scriba
con un tavolo breve che si piega
la schiena indifesa - la cera rappresa tra le dita.

Chiamo lingua questo destino della forma
l'azzurro dei suoi segni, il foglio
come luna tra le foglie.

Nel vetro di un vagone
vedo me stessa buia
venire col suo pegno
di ombra e di paura
fino allo spazio ardente
del nome che si perde.


Antonella Anedda
Notti di pace occidentale
Donzelli 1999

giovedì 10 settembre 2015

I poeti a San Pietroburgo

C'era una volta a Pietroburgo


Lënja. Esenin. Amici indivisibili, indissolubili. Sul loro volto, sui loro volti 
così sbalorditivamente diversi si sono ricongiunte, sono riconfluite 
due razze, due classi, due mondi. Si sono ricongiunti — attraverso tutto e tutti — i poeti. Lënja si recava da Esenin in campagna, Esenin a Pietroburgo non si
staccava mai da Lënja. Così rivedo le loro due teste unite — al buffet — in
un bell'abbraccio intimo che aveva trasformato quel tavolino in un banco di
scuola… (Immagino di girargli lentamente attorno: la superficie nera della
testa di Lënja, quella bizzarra con i ricci folti di Esenin, i fiordalisi di Esenin,
le mandorle marroni di Lënja). È bello quando c'è un tale contrasto — e una
tale armonia.
Che soddisfazione, come per una rima rara e perfetta. 
[...] *** Me ne sto seduta in questa sala gialla e deserta — forse per i cammelli di Serëza — e leggo le mie poesie, anzi non leggo — dico a memoria. Ho cominciato a leggerle sul quaderno solo quando ho smesso di ricordarle a memoria, e ho smesso di ricordarle quando ho smesso di dirle, e ho smesso di dirle quando hanno smesso di chiederle, e hanno smesso di chiederle nel 1922
— anno della mia partenza dalla Russia. Da un mondo dove le mie poesie
erano necessarie a qualcuno come il pane, sono precipitata in un mondo
dove le mie poesie non servono a nessuno, né le mie poesie né le poesie in
generale, servono da dessert: se il dessert serve a qualcuno… [...] A dirla
tutta: i versi su Mosca che hanno seguito il mio arrivo a Pietroburgo li devo
ad Achmatova, al mio amore per lei, alla mia speranza di regalarle
qualcosa di più eterno dell'amore, ciò che è più eterno dell'amore. Se
avessi potuto regalarle semplicemente il Cremlino, probabilmente non avrei
scritto questi versi. In un certo senso ero in competizione con Achmatova,
ma non del tipo "farò meglio di lei", bensì — non posso fare meglio e
questo non posso fare meglio — porlo ai suoi piedi. Competizione?
Devozione. So che Achmatova, dopo, nel 1916-17, non si staccava più
dalle mie poesie manoscritte e che le ha portate così tanto tempo nella
borsetta che si sono tutte spiegazzate e consumate. Lo ha raccontato Osip
Mandel'stam — una delle più grandi gioie della mia vita.
Continuano a leggere gli altri. Esenin legge Le chiavi di Maria , accettato da
"Letopis'" di Gor'kij, ma proibito dalla censura. 
[...] Osip Mandel'stam, socchiusi gli occhi da cammello, vaticina: Andremo a Caarskoe Seelo liberi, felici, ubriachi, lì sorridono gli ulani, balzando sulla sella dura. […].
Leggono Lënja, Ivanov, Ocup, Ivnev, e, mi sembra, Gorodeckij. Molti altri li
ho dimenticati. Ma so che leggeva tutta Pietroburgo, a parte Achmatova
che si trovava in Crimea e Gumilëv — sul fronte.
Leggeva tutta Pietroburgo e una sola Mosca.
… E la bufera imperversa incessantemente fuori le enormi finestre. E il
tempo vola.

Marina Cvetaeva
Serata non terrestre 
a cura di Marilena Rea
Passigli 2015

anticipato su Repubblica del 31 luglio 2015