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domenica 6 dicembre 2015

Intitoliamolo così: Inverno

Nell'animo mio s'è insinuata l'indecisione. Tra l'altro mi pare adesso che il titolo "Il gabbiano" non vada. Splendore, Campo, Lampo, Baule, Cavatappi, Pantaloni... non va. Intitoliamolo così: Inverno. Si può anche: Estate. Si può. Si può: Luna. E perché non semplicemente Dodici?
Melichòvo, 5 febbraio 1893
frammento della lettera a Alekséj S. Suvòrin 

Anton Čechov
Epistolario 
volume secondo 
1893-1904
a cura di Gigliola Venturi
Einaudi 1960


domenica 7 giugno 2015

Vorrei scrivere come Čechov

Un cagnolino guaisce, scodinzola.
Una vecchia, che cara, ci va.
Le balla, in mano un sacchetto di rete.
                             Io, non sono Čechov.

Velimir Chlebnikov
47 poesie facili e una difficile
a cura di Paolo Nori
Quodlibet 2009

mercoledì 14 gennaio 2015

L'anima russa di Virginia Woolf

Leggendo Cechov ci troviamo a ripetere ancora e ancora la parola “anima”. È ovunque tra le sue pagine. Vecchi ubriaconi la usano liberamente: «…vi siete elevato di grado, siete di quelli che stanno molto in alto; ma, golubcik, quello che vi manca è una vera anima… nella vostra non c’è forza…». In verità, è l’anima il personaggio principale della narrativa russa. Delicata e sottile in Cechov, essa è soggetta a un infinito numero di umori e malumori, mentre in Dostoevskij ha maggiore volume e profondità; spesso afflitta da violente malattie e furiose febbri, è comunque la preoccupazione predominante. 
Forse è per questo che ci vuole tanto sforzo da parte di un inglese per leggere I fratelli Karamazov o I demoni una seconda volta. 
L’anima gli è aliena. Gli è persino antipatica.

Virginia Woolf
L'anima russa
traduzione di Veronica La Peccerella
a cura di Benedetta Bini
Elliot 2015

brano tratto da questo libro e anticipato su Repubblica di martedì 13 gennaio 2015

lunedì 5 gennaio 2015

Cechov, l'insonnia e un bicchiere di acqua di rose

Insonnia invernale

La mente non può dormire, può solo giacere sveglia,
ingolfata, ad ascoltare la neve che si aduna
come per l'assalto finale.

Vorrebbe che venisse Cechov a somministrarle
qualcosa- tre gocce di valeriana, un bicchiere
d'acqua di rose- qualunque cosa, non importa.

La mente vorrebbe uscire di qui
fuori sulla neve. Vorrebbe correre
con un branco di bestie irsute, tutte denti,

sotto la luna, in mezzo alla neve, senza
lasciare traccia, neanche un' impronta, nulla.
È malata, stasera, la mente.

Raymond Carver
Voi non sapete cos'è l'amore
traduzione di Riccardo Duranti
minimum fax 2000


Winter Insomnia

The mind can’t sleep, can only lie awake and
gorge, listening to the snow gather as
for some final assault.
It wishes Chekhov were here to minister
something - three drops of valerian, a glass
of rose water - anything, it wouldn’t matter.
The mind would like to get out of here
onto the snow. It would like to run
with a pack of shaggy animals, all teeth,

under the moon, across the snow, leaving
no prints or spoor, nothing behind.
The mind is sick tonight.

martedì 14 maggio 2013

Scrivere è non avere un altro posto dove andare

Le vostre righe riguardo alla locomotiva, alle rotaie e al naso che affonda nella terra sono assai graziose, ma ingiuste. Non si finisce col fracassarsi il naso in terra perché si scrive ma al contrario si scrive perché ci si fracassa il naso e non resta più altro dove andare.

Anton Čechov
(in risposta a Maksim Gor'kij in)

Senza trama e senza finale 
99 consigli di scrittura
traduzione di Gigliola Venturi e Clara Coisson
Minimum Fax 2002

sabato 19 gennaio 2013

Un pomeriggio russo a Milano (passando per Parigi)


Una luce bianca e grigia, la pioggia sottile che faceva risplendere l’asfalto e i palazzi, donne con il colbacco che parlavano russo. Ho camminato a lungo senza ombrello, guardando i visi e cercando storie nei frammenti di conversazione che coglievo. A volte anche una parola soltanto è finita nel mio paniere in attesa di essere intessuta con altre parole in una nuova narrazione. Un uomo di età indefinita suonava un organetto e Parigi si è stagliata in fondo al viale che sbuca su una piazza antica dove un piccolo giardino, un’edicola, un fioraio, fanno da cornice alla bancarella dei libri usati che occupa quel pezzo di marciapiede da ottanta anni. Me lo ha raccontato Stefano, il proprietario, che ho interrotto mentre stava pulendo con certosina accuratezza, uno dei sessantuno volumi della collana dei cento libri Longanesi che ha appena comprato dopo una lunga trattativa. Ama i libri Stefano, al punto che non sente il caldo d’estate e il freddo ostile dell’inverno milanese. Da quando ne abbiamo parlato, qualche mese fa, quando sto per arrivare da lui, immagino che, se i libri di carta sparissero, al posto della sua bancarella da bouquiniste troverei una triste colonnina come quelle dei parcheggi e con un bancomat potrei scaricare un e-book sul mio reader. Invece arrivo e ogni volta piegando il collo sulla spalla mi fermo a leggere i titoli sui dorsi delle copertine e poi chiacchiero con lui e a volte anche con qualche altro cliente bibliomane come noi due. Riprendo  a gironzolare per il quartiere e di nuovo le donne russe con il colbacco attraversano la mia strada. Ora nevica, una fitta caduta di fiocchi piccoli e ghiacciati che tamburellano contro la superficie delle cose. L’altra sera ho scritto che i fiocchi di neve sono pensieri rimasti troppo a lungo su una stella. Ne hanno assorbito la luce e la lontananza. Ma qui a Milano oggi pomeriggio le stelle se ne stavano nascoste oltre le nuvole fitte, mente Parigi e San Pietroburgo erano bagnate dallo stesso fiume, impercettibile dagli occhi e sensibile al mio vagabondare. Proust e Dostoevskij, in compagnia di Čechov abitano in questo pomeriggio invernale, mentre “Un’immensa distesa a est del cuore, ecco ciò che si era spalancato in me a questa prima lettura, grazie al potere dei nomi, delle immagini, e anche quelle mappe che precisavano l’itinerario…”*. 
Le parole oggi sono la mappa per decifrare la città invisibile che abita in me.

E.P.
* Philippe Jaccottet La parola Russia
a cura di Antonella Anedda
Donzelli Editore 2004