lunedì 31 dicembre 2012

Ogni città è sospesa tra realtà e immaginazione

Ogni città è sospesa tra realtà e immaginazione, governata da leggi assurde, con l'effetto di ricordare al lettore che una città può essere assorbita solo attraverso brevi sguardi, ciascuno dei quali si fissa a un oggetto, una storia o un ricordo.

Amal Hanano 
Aleppo città invisibile
su Internazionale 980 del 21 dicembre 2012

Ogni scrittore è sempre prima di tutto un lettore

Un'altra intervista, a uno scrittore in questo caso: l'autore di best-seller Ken Follett.

È vero che non poteva guardare la Tv?
sì. E non potevo andare al cinema o a teatro, per cui leggevo moltissimo. Credo che lo avrei fatto comunque, ho imparato a 4 anni, ma se sono diventato un divoratore avidissimo di libri e oggi faccio questo mestiere è anche per questa censura infantile. Ogni scrittore è sempre prima di tutto un lettore.

Può raccontare come scrive?
Ci siamo solo io e me stesso nella stanza, circondato da libri. E davanti a me ho due monitor. A destra il libro che sto scrivendo. A sinistra Google Earth con le strade, i fiumi. Il mio personaggio si muove e io seguo passo per passo ogni suo movimento. Scrivo così.

intervista di Laura Fiengo  a Ken Follett
Vanity Fair 28 novembre 2012

Poesia scritta con la mano sinistra

Inizio a chiudere il 2012 con due frammenti di un'intervista al poeta e premio Nobel per la letteratura dell'anno passato Tomas Tranströmer.

Riesce a scrivere ancora?
Sì, ho sempre usato la mano sinistra, l'unica che muovo dopo l'ictus. Il computer o altri supporti tecnologici non mi sono mai serviti. Scrivo sulla carta, fino all'elaborazione finale che invece avviene con la macchina da scrivere. Ovviamente ci sono delle difficoltà ma la forma dei miei versi ora è così breve e compatta che mi basta una mano sola.

(...)

In un'intervista ha definito le sue poesie dei luoghi di incontro in cui stabilire un legame inatteso tra parti di realtà.
C'è sempre una verità che esce e una che entra, l'ispirazione è data dall'incontro di entrambe, ma queste due verità non sono mai comode. E ciò che ha l'apparenza di un confronto svela un legame.

intervista di Sebastiano TriulziTomas Tranströmer
la Repubblica lunedì 24 dicembre 2012

domenica 30 dicembre 2012

In ogni passione avvengono prodigi

La filosofa Simone Weil era una donna di fragile durezza e di passioni estreme.
Una vita votata alla comprensione della condizione umana prima che con lo studio, attraverso la pratica e la condivisione della fatica di vivere di donne e uomini qualunque. Rigore, sobrietà, empatia, solitudine, amicizia, mente luminosa, la scelta estrema di privilegiare l'osservazione e l'esperienza diretta quasi a discapito dell'immaginazione e della speculazione filosofica. La dimensione essenziale di Simone Weil viene proposta con eleganza e partecipazione in un film toccante che ho visto ieri per la prima volta, Le stelle inquiete della regista e sceneggiatrice Emanuela Piovano
La scelta di un episodio fondamentale nella vita della Weil, cioè il mese trascorso in campagna ospite del filosofo contadino Gustave Thibon e di sua moglie Yvette. A Thibon la Weil affidò i suoi quaderni che diventarono poi, grazie alla sua cura, il libro più noto della filosofa, L'ombra e la grazia.
Il film è ricco di citazioni e immagini che colpiscono per la loro bellezza e semplicità. Il trascorrere del tempo è segnato da un tavolo di ferro in terrazza su cui si alternano mele e noci, ciclamini, ciliegie e pesche. A volte un'immagine che ci viene offerta da altri si sovrappone a qualcosa che è proprio sotto i nostri occhi. Così da due visioni sovrapposte, dall'eco delle citazioni weiliane, dalla contemplazione di un cielo stellato, eterno e in apparenza immutabile, è nata una poesia che si chiude con la citazione che apre il film.

Le noci e il melograno
ancora intatti sul tavolo,
due parole opposte che si
attraggono, le sto cercando
quercia e pietra uniche
a sfidare il tempo
troppo simili nella pervicacia
meglio la pioggia e il vento
che passano e non sanno
il sollievo della sosta.
Così saranno la quercia
e il vento i primi opposti
e la pietra con la pioggia
ad accompagnare ogni ricordo
che avrai lasciato, ogni parola
che avrò perduto.
In ogni passione avvengono
prodigi.
E.P.

sabato 29 dicembre 2012

Diario d'inverno


“Una porta si è chiusa. Un’altra si è aperta.
Sei entrato nell’inverno della tua vita”.

La vita narrata è quella di Paul Auster che si racconta non pronunciando mai la parola “Io”.
Per frammenti, a volte lunghi qualche pagina, a volte poche righe, lo scrittore ricompone in un mosaico quello che della sua vita è rimasto nella memoria.
Testimone e attore di avvenimenti, di casualità che lo hanno portato a essere Paul Auster, racconta dell’infanzia illuminata dall’amore materno, dei giochi sfrenati con gli altri bambini, dei cambiamenti di un corpo di cui conosce soprattutto le mani e i piedi, rassegnato a non sapere mai davvero nulla del suo viso che solo gli altri vedono in continuazione. Proprio il volto dello scrittore campeggia sulla copertina della traduzione italiana, come sempre dell’eccellente Massimo Bocchiola, un volto assorto, preso in chi sa quali pensieri, che si staglia su uno sfondo nero, da cui emerge come una scultura antica dove la pietra trasmette la consistenza della carne.
Un libro di frammenti e più ancora di liste che ricompongono la figura di Auster uomo, perché non molto viene detto dello scrittore, così come l’ebraismo che pur presente, non è uno degli elementi fondanti di questo libro. Liste di cicatrici, di luoghi visitati, di case abitate nel corso di tutta la vita, di viaggi, di donne amate, di malattie, di piccoli piaceri del corpo, dei cibi e dei dolci, del piacere del fumo e del buon vino, del camminare, del leggere, del tradurre gli amati poeti francesi. Tra tutte due sono le donne che emergono, la madre non bellissima ma carina e fascinosa, divisa da sempre in tre creature, oscillante tra l’estrema sicurezza del fascino e il panico che la paralizza e le impedisce di vivere una vita normale. Dopo la sua morte è Paul che conosce cosa siano gli attacchi di panico, quasi fosse un modo per tenere in vita dentro di sé, colei che lo aveva dato alla vita. L’altra è Siri Hustvedt, donna bellissima, “alcuni fra i luoghi più belli del mondo si trovano sul corpo di tua moglie", e talentuosa, scrittrice come lui, con la quale condivide, ancora con stupore la vita da quasi trentadue anni, “il grande amore che ti tese un’imboscata quando meno te lo aspettavi”. Una vita insieme lunga e piena di gioie e di dolori, caratterizzata soprattutto dal loro incessante conversare. L’amore coniugale è raccontato con delicatezza e passione, ancora grato al caso, non dimentichiamo che Auster, in ogni suo libro è il cantore del caso, per averli fatti incontrare. Lo stesso caso che in un giorno lontanissimo fa sì che un fulmine colpisca l’amico con cui sta giocando e risparmi lui. Così in una sequenza di eventi, di casualità, di scelte apparenti Auster uomo diventa Auster scrittore ed è lo scrittore, sullo sfondo ma sempre presente, che rende grazie all’uomo che lo ospita. Un uomo che riconosce l’inverno della vita ormai iniziato, un uomo simile a tanti altri uomini della sua epoca e che in qualche modo li rappresenta tutti. Un libro di poche reticenze e molto pudore che ci avvicina allo scrittore più che all’uomo perché anche in questo libro è l’uomo a essere creato dalle parole, perché senza parole che raccontano l’uomo, Paul Auster sarebbe solo un’ombra nel teatro della vita.

E.P.

Scrivere è la musica del corpo


Per fare quello che fai hai bisogno di camminare. È camminare che ti porta le parole, che ti permette di sentire il ritmo delle parole mentre le scrivi nella tua mente. Un piede avanti, poi l’altro piede, il doppio battito di tamburo del tuo cuore. Due occhi, due orecchie, due braccia, due gambe, due piedi. Questo, e poi quello. Quello, e poi questo. Scrivere incomincia nel corpo, è la musica del corpo, e anche se le parole hanno significato, possono a volte avere significato, è nella musica delle parole che i significati hanno inizio. Siedi alla tua scrivania per scrivere le parole, ma nella mente stai ancora camminando, sempre camminando, e quello che senti è il ritmo del tuo cuore, il battito del tuo cuore. Mandel’stam: “Mi chiedo quante paia di sandali avrà consumato Dante mentre lavorava alla Commedia”. Scrivere come forma minore di danza.

Paul Auster 
Diario d'inverno
traduzione di Massimo Bocchiola
Einaudi 2012

Gli scrittori sono anime danneggiate


Nel libro scrive: "Sei senza dubbio un essere menomato e ferito, un uomo che si è portato dentro una ferita dalla nascita (altrimenti perché avresti passato la vita a sanguinare parole su una pagina?)" 
«Tutti gli scrittori sono persone ferite. Abbiamo bisogno di ricordare e creare altri mondi, perché quello in cui viviamo arreca dolore e comunque non è sufficiente. Siamo anime danneggiate».

Gli artisti sono sempre infelici? 
«Non sempre, ma è certo che trovano sollievo nell' arte che creano».

Antonio Monda intervista a Paul Auster
La Repubblica giovedì 29 novembre 2012

venerdì 28 dicembre 2012

L'onda di Marguerite Duras

La Duras ha sempre guardato ai poeti francesi, forse stava leggendo L'Azur di Mallarmé quando scriveva queste prose e ha usato lo stesso principio di dissolvenza, parlare della rosa per dire la sua assenza. Duras innesta delle tecniche poetiche nella struttura narrativa per dissolvere così quello che cita in continuazione. La sua scrittura è una specie di deriva continua, è un'onda a ritroso. L'apice c'è subito e poi c'è questo arretramento, sino a che l'onda sparisce nel mare. Parte subito dalla cosa, la dice, per poi dissolverla.

Danilo Bramati a proposito del Mare Scritto di Marguerite Duras

giovedì 27 dicembre 2012

Leggere: l'ombra

Nell'estate del 1980 Marguerite Duras e Yann Andréa viaggiano con la fotografa Hélenè Bamberger. Duras guarda, Bamberger fotografa e Andréa guida l'auto. 
Dimenticano. Poi nel 1994 Duras scrive alcune brevi e intense prose poetiche.
Eccone una.

Leggere: l'ombra.
È l'ombra del balcone del nostro appartamento al Roches Noires.
Non ci ricorda niente. È lì. È tutto. Lì dove
stiamo quando il calore è intenso. È niente:
ferro, assenza vuoto.
La guerra è diventata lontana come l’età dei
ragazzi, come la guerra, il tempo passato in
guerra. Non si sa più dov’è la guerra. A volte
si arriva perfino a non sapere più se ci sono
ancora guerre, oggi o ieri.
Non si sa più niente, quasi, a forza di sapere
Tutto. Tutto come si crede di sapere. Quel che
si dice un avanzato stato di disperazione.
Marguerite Duras
Il mare scritto
traduzione di Maria Sebregondi
Archinto 1996



mercoledì 26 dicembre 2012

Leggere è avere coscienza di quel che sentiamo

Proust studioso di Ruskin... "Non aveva alcun dubbio sull'immenso valore della lettura e dello studio..."
La gente mediocre crede generalmente che il lasciarsi guidare così dai libri che si ammirano tolga parte della sua indipendenza alla nostra facoltà di giudicare. "Che v'importa di quel che sente Ruskin? Sentite da voi stessi." Tale opinione si fonda su un errore psicologico di cui faranno giustizia tutti coloro che, avendo accettato in questo modo una disciplina spirituale, sentono che il loro potere di comprendere e di sentire ne è infinitamente accresciuto, e il loro senso critico non ne è mai paralizzato... Non esiste via migliore per giungere ad aver coscienza di quel che sentiamo di quella di cercare di ricreare in noi quel che ha sentito un maestro. In questo sforzo profondo, noi portiamo alla luce, insieme con il suo, il nostro pensiero.

Alain de Botton
Come Proust può cambiarvi la vita
traduzione di Livia Ferrari
Guanda 1998

martedì 25 dicembre 2012

Come riporre i libri a Natale

Una delle cose che amo del Natale è che so che riceverò un mucchio di libri in dono.
Questo è un interessante esercizio in attesa di trovargli il posto giusto nella libreria. 
Auguri!






lunedì 24 dicembre 2012

Elogio del frammento


Per speculum et in aenigmate: così il mondo si offre ai nostri occhi, per quanto amore il nostro sguardo contenga. Specchio del mondo, enigma intessuto su altri enigmi, la parola poetica sa avvicinarci al centro delle cose: in suo nome, anch’essa chiede ascolto, accoglienza, meditazione profonda. In cambio, dona la propria vastità, la ricchezza del proprio senso – un dono tutt’altro che pregevole, quali che siano le nostre capacità di accoglierlo.
Al primo incontro con il testo, si attiva in noi un insieme di pensieri: la lettura corretta, la comprensione esatta, l’esegesi rigorosa. A poco a poco, però, altri pensieri sorgono dal nostro intimo che ascolta contemplando il testo, amplificandolo e lasciandolo risuonare in sé, fino a collegarlo con le proprie più vere riflessioni. A questa esperienza vorrei dare voce: a partire dal testo e al servizio del testo per illuminarne, almeno parzialmente, la ricchezza di senso reale e l’ampiezza d’eco possibile. L’obiettivo di questi scritti è qualche frammento di oltre-testo: un po’ di ciò che possiamo udire quando accogliamo una lirica come parola oracolare, come accenno ad altro da sé.
“Acceleratore della coscienza” (J. Brodskij), l’espressione poetica può essere vista come una fune tesa tra noi e il centro delle cose, sulla quale avventurarsi con passo cauto e leggero, guardando avanti a sé.
Per questo si è concentrata l’attenzione sui frammenti che ci vengono incontro nella lettura e che ci abbagliano con la loro bellezza, illuminando, come un cono di luce inesauribile, vasti orizzonti di riflessione e di conoscenza. Sono i piccoli brani che amiamo, ai quali torniamo, che impariamo a memoria e che ricordano a noi stessi nelle più varie occasioni: è bello seguirli autonomamente, ascoltarli uno alla volta, mettendoli in evidenza per sé soli. “In the particular” scrisse Joyce “is contained the universal”: paradossalmente, frammenti di testo sembrano acquistare, a volte, una ricchezza maggiore dell’intera opera in cui sono collocati. Tutto ciò è ben difficile da spiegare, e dipende certamente da noi, dall’atto particolare della nostra lettura; è su questi, comunque, che si vorrebbe richiamare l’attenzione, per desiderio di concentrazione e di essenzialità.
Sono convinto che la verità delle cose appaia di rado, attraverso luccichii improvvisi e imprevedibile, e che sia giusto seguirla, attenderla sul terreno che le appartiene.
L’intenzione è di offrire un momento di sosta, di quiete meditativa al cospetto della parola poetica, senza violare il pudore: esso è sacro anche e soprattutto nella vita della mente. Il discorso, comunque, rimane abbozzato, accennato, spero. Più che lettori, vorrei amici disposti a sostare nella stessa tensione interiore.

Lorenzo Gobbi
introduzione a 
Elogio del frammento
Servitium editrice 2010

domenica 23 dicembre 2012

Vicino è solo il Dentro

Vicino è solo il Dentro; tutto il resto lontano.
E questo Dentro è colmo, ogni giorno
fatto pieno d'ogni cosa - assolutamente indicibile.

Rainer Maria Rilke
da Nuove poesie

sabato 22 dicembre 2012

Là non c'è punto che non veda te. Devi cambiare la tua vita

Non conoscemmo il suo capo inascoltato
dove il centro dei suoi occhi maturava. Ma
il suo torso arde ora come un candelabro,
e là il suo sguardo, come in vite vòlto su se stesso,

si trattiene e splende (...)

perché la non c'è punto
che non veda te. Devi cambiare la tua vita.

Rainer Maria Rilke
da Nuove poesie - Torso arcaico di Apollo

venerdì 21 dicembre 2012

Porta fino in fondo ciò che è tuo

È bene desiderare dagli dei
solo ciò che si addice ad anime mortali
consapevoli del nostro passo,
del destino al quale apparteniamo.
Anima mia, non tendere a una vita immortale,
ma porta fino in fondo ciò che è tuo.

Pindaro
Le pitiche

giovedì 20 dicembre 2012

Nel giusto della vita, nell'opera del mondo

(...)

dico, prego: sia grazia essere qui,
grazie anche l'implorare a mani giunte,
stare a labbra serrate, ad occhi bassi
come chi aspetta la sentenza.
Sia grazia essere qui,
nel giusto della vita,
nell'opera del mondo. Sia così.

Mario Luzi
Dal fondo delle campagne

mercoledì 19 dicembre 2012

La parola la possiede il buio

Getta via
i cunei di luce:
la fluttuante parola
la possiede il buio.

Paul Celan
Luce coatta e alte poesie postume


martedì 18 dicembre 2012

La persona risiede nei suoi frammenti esigui

Si direbbe che la persona stessa risieda in qui frammenti, pur così esigui, ed elevata a una potenza che è ben lontana dall'avere nell'idea abituale che ci facciamo di lei nella sua interezza.

Marcel Proust
All'ombra delle fanciulle in fiore


da oggi fino a Natale copierò da un piccolo prezioso libro di un caro amico e poeta straordinario, Lorenzo Gobbi e il suo Elogio del frammento



lunedì 17 dicembre 2012

L'istinto narrativo

Se mi chiedeste di descrivere i caratteri che trasformano una persona in uno scrittore parlerei, per prima cosa, del potente impulso a creare delle storie; a organizzare entro il contesto di una trama quella realtà che non di rado risulta caotica e incomprensibile; a trovare in tutto ciò che accade i nessi evidenti e quelli occulti, capaci di dare un significato particolare; a evidenziare in ogni evento i tratti "avvincenti", e a farvi spiccare i "protagonisti".
Dal mio punto di vista, l'impulso a raccontare una storia, a inventare o ad attingere alla realtà, è quasi un istinto a sé, l'istinto narrativo: per determinate persone - alcune delle quali finiscono poi per diventare scrittori - questo istinto è potente e primario come ogni altro. La grande fortuna sta nel fatto che esso trova nel mondo l'istinto parallelo: quello di ascoltare storie.

David Grossman
Con gli occhi del nemico
Raccontare la pace in un paese in guerra
traduzione di Elena Loewenthal e Alessandra Shomroni
Mondadori 2007

domenica 16 dicembre 2012

Le storie iniziano dal silenzio

Forse è dal silenzio che tutte le storie hanno inizio ma, se avessimo parlato, la nostra sarebbe stata un'altra storia.

Paola Calvetti
Olivia
ovvero la lista dei sogni possibili
Mondadori 2012

Canti Orfici - Genova, un frammento

Per i vichi marini nell'ambigua 

Sera cacciava il vento tra i fanali 
Preludii dal groviglio delle navi: 
I palazzi marini avevan bianchi 
Arabeschi nell'ombra illanguidita 
Ed andavamo io e la sera ambigua: 
Ed io gli occhi alzavo su ai mille 
E mille e mille occhi benevoli 
Delle Chimere nei cieli: ...... 
Quando, 
Melodiosamente 
D'alto sale, il vento come bianca finse una visione di Grazia 
Come dalla vicenda infaticabile 
De le nuvole e de le stelle dentro del cielo serale 
Dentro il vico marino in alto sale, .................................. 
Dentro il vico chè rosse in alto sale 
Marino l'ali rosse dei fanali 
Rabescavano l'ombra illanguidita, ..................................
Che nel vico marino, in alto sale 
Che bianca e lieve e querula salì! 
«Come nell'ali rosse dei fanali 
Bianca e rossa nell'ombra del fanale 
Che bianca e lieve e tremula salì:...» — 
Ora di già nel rosso del fanale 
Era già l'ombra faticosamente 
Bianca ......................................................................
Bianca quando nel rosso del fanale 
Bianca lontana faticosamente 
L'eco attonita rise un irreale 
Riso: e che l'eco faticosamente 
E bianca e lieve e attonita salì........................................
Di già tutto d'intorno 
Lucea la sera ambigua: 
Battevano i fanali 
Il palpito nell'ombra. 
Rumori lontano franavano 
Dentro silenzii solenni 
Chiedendo: se dal mare 
Il riso non saliva... 
Chiedendo se l'udiva 
Infaticabilmente 
La sera: a la vicenda 
Di nuvole là in alto 
Dentro del cielo stellare. 

Dino Campana

venerdì 14 dicembre 2012

Scrivere per la stampa

Oggi mi occupo di scrittura giornalistica, riportando pari pari, l'editoriale del direttore di Internazionale, rivista imperdibile con il meglio, ogni settimana, della stampa di tutto il mondo.

Un giovane lettore chiede consigli per diventare giornalista.
Ecco domanda e risposta:


Sono uno studente di giurisprudenza di 19 anni. Le posso
chiedere tre consigli che si sentirebbe di dare a un ragazzo
che vuole diventare giornalista? – Elia Baggio

1. Impari l’inglese. Subito. Senza perdere tempo.
Metta da parte tutto quello che sta facendo, prenda il primo biglietto low cost per Londra, cerchi un lavoro qualsiasi con cui pagare una stanza e un corso serale.
Resti all’estero almeno sei mesi, se possibile un anno.
Impari a parlare, leggere e scrivere l’inglese benissimo. E se già lo parla bene, lo migliori. Parlare bene l’inglese le sarà utile sempre, anche se dovesse
scegliere un altro mestiere.

2. Legga. Moltissimo. Di tutto. Romanzi, saggi, racconti, inchieste, reportage.
Segua i suoi gusti, i suoi autori preferiti, le sue passioni.
Si formi un’opinione. E se vuole tre libri sul giornalismo, cominci con L’afare Watergate, di Carl Bernstein e Bob Woodward (Garzanti). È il racconto dei due reporter del Washington Post che con la loro inchiesta contribuirono alla caduta di Richard Nixon. Vale cento manuali di giornalismo. Poi Il giornalista quasi perfetto, di David Randall (Laterza). Come si riconosce un buon giornalista? Cos’è una notizia? Da dove arrivano i buoni articoli? Per finire Post industrial journalism, un saggio di C.W. Anderson, Emily Bell e Clay Shirky. È appena uscito. Se cerca
con Google lo trova sul sito della Columbia journalism school, gratis, in inglese (vede perché è
importante parlare bene l’inglese?). In 122 pagine c’è il futuro del giornalismo.

3. Scriva. Sempre. Tutti i giorni. Un tweet, un post, una lettera, un articolo. Rispetto alle generazioni che l’hanno preceduta, ha la fortuna di avere a disposizione uno strumento straordinario: internet. Lo sfrutti. La rete è la sua più grande alleata, per fare ricerche, per entrare in contatto con altri giornalisti, per cominciare a raccontare le sue storie anche se non
lavora in un giornale. Cerchi di scrivere in modo chiaro e semplice. Non abbia paura di far rileggere i suoi articoli a qualcuno di cui si ida prima di pubblicarli. Esca. Si guardi intorno. Sia curioso. Faccia domande. Il mondo è pieno di storie incredibili che aspettano solo di essere raccontate. E i buoni giornalisti non saranno mai abbastanza.

Giovanni De Mauro

giovedì 13 dicembre 2012

Franco Galato e la nuvola Calipso

Oggi ho salutato per l'ultima volta Franco Galato un caro, vecchio amico che amava la poesia e le belle storie.
Franco è stato un grande amico. Siamo diventati amici parlando di poesia e di romanzi, mi ricordo di veri saccheggi alla libreria Feltrinelli di Via Manzoni a Milano, una sera emozionante di letture poetiche alla Biblioteca di Gorgonzola, cene e parole infinite. Ricordo una domenica di giugno, calda e luminosa, trascorsa con gli scrittori Andrea Cotti e Enrico Palandri, prima a un loro reading e poi la sera a parlare e ridere al Tempio d'Oro fino a che non ci hanno buttati fuori ben oltre l'ora di chiusura. Era una bellissima persona Franco e un uomo gentile che ha affrontato tanti drammi con dolore ma uno spirito forte. E' stata la poesia che ci ha fatti conoscere, così voglio salutarlo con una sua poesia, che mi aveva mandato subito dopo averla scritta, in quel giugno luminoso. 
Franco era poesia, Grecia, musica, amicizia. 
Addio amico mio, che questa notte ti sia lieve.


Questa è la sua poesia:

Calipso

Ho visto una nuvola
nel cielo
coricata come Calipso
su una dormeuse
pigra,assonnata
come appena fatto l'amore
per un po mi ha seguito
dico Calipso, naturalmente
e io, per una volta leggero
come un neutrino
senza paura
l'aspettavo con una coppa di vino.

musica: Morcheeba - pensando a Khayyam

mercoledì 12 dicembre 2012

Scrivere è immaginare l'altro dentro di sé


Chi esercita la letteratura immagina l’altro dentro di sé. Il foglio bianco simboleggia fisicamente questo altro che dialoga, stimola e tortura chi attende alla creazione. Sentire l’altro interno e esterno a sé differenzia l’arte dalla comunicazione interpersonale, in cui l’altro è formalmente presente ed esclusivamente esterno. I libri sono gli altri originariamente dentro di noi

Dario Arkel
Compendio
Atì Editore 2012 

martedì 11 dicembre 2012

Prima lezione sullo spazio

Le case dove stando seduti si vedono tutti gli angoli,
gli spazi che sono danaro, costruiti ad arte,
regolari, puliti, dipinti di bianco,
riparano dal freddo
ma tengono al caldo anche la furia degli abitanti.

La forma ad uncino di un movimento,
l’eccesso di forze nelle spalle e nel collo
chiusi nel tepore di casa di giorno e di notte
si cuociono piano, lievitano,
diventano muscoli, braccia che remano contro.
Ah, se fossero qui, adesso, tutte le inclinazioni delle colline
ad allargare l’aria di questo soggiorno…
Facciamo che vengano, che vengano a grappoli
quelle appena accennate, ancora quasi pianura
e quelle pericolose dove non si pianta nemmeno la vite
e vengano le superfici concave, con acque di ristagno,
con salici, con pioppi alti, fruscianti
e vengano, piegati qua dentro, tutti i campi dell’Oltrepò.

Annalisa Manstretta 
Il sole visto di lato
Il Passo di Efesto - Poesia
Atì editore 2012

lunedì 10 dicembre 2012

Scrivere è questo strano, insensato, meraviglioso lavoro di creazione

Quasi ciascuno di noi vive una "condizione" personale, una maledizione privata. Suppongo che ognuno di noi avverta che la propria particolare "condizione" potrebbe rapidamente trasformarsi in una trappola che gli negherebbe la libertà, la sensazione di sentirsi a casa propria nel proprio paese, l'uso di un linguaggio personale, la gestione della propria libertà decisionale.
In una realtà simile noi scrittori e poeti scriviamo. In Israele come in Palestina, in Cecenia come in Sudan, a New York come nel Congo. Talvolta, mentre lavoro, dopo aver scritto per qualche ora, alzo la testa e penso - ecco, in questo preciso momento un altro scrittore, che io nemmeno conosco e che vive a Damasco o a Teheran, in Ruanda o a Dublino, compie, come me, questo strano, insensato, meraviglioso lavoro di creazione in una realtà in cui ci sono così tanta violenza, alienazione, indifferenza, egocentrismo. Ecco, ho un alleato lontano che nemmeno mi conosce, e insieme tessiamo questa astratta rete di fili che, malgrado tutto, possiede una forza immane. La forza di cambiare il mondo e di crearne un altro, di dare voce ai muti e di aggiustare le cose, nel senso profondo, cabalistico del termine.

David Grossman
Con gli occhi del nemico
Raccontare la pace in un paese in guerra
traduzione di Elena Loewenthal e Alessandra Shomroni
Mondadori 2007

domenica 9 dicembre 2012

David Grossman: Io scrivo

Si fa fatica a parlare di se stessi. Dirò allora quello che posso in questo momento, nella condizione in cui mi trovo.
Io scrivo. La sciagura che mi è capitata, la morte di mio figlio Uri durante la seconda guerra del Libano, permea ogni momento della mia esistenza. La forza della memoria è in effetti smisurata, enorme. A tratti possiede qualità paralizzanti. Eppure l'atto stesso crea per me, ora, una specie di "luogo". 
Uno spazio emotivo che non avevo mai conosciuto prima, in cui la morte non è solo la contrapposizione totale, categorica, della vita.

David Grossman
Con gli occhi del nemico
Raccontare la pace in un paese in guerra
traduzione di Elena Loewenthal e Alessandra Shomroni
Mondadori 2007

sabato 8 dicembre 2012

Scrivere è ignorare le circostanze presenti della propria vita

Nel momento in cui uno scrive è miracolosamente spinto a ignorare le circostanze presenti della sua propria vita. Certo è così. Ma l'essere felici o infelici ci porta a scrivere in un modo o in un altro. Quando siamo felici, la nostra fantasia ha più forza; quando siamo infelici, agisce allora più vivacemente la nostra memoria.

Natalia Ginzburg

venerdì 7 dicembre 2012

Un nuovo nome per dire romanzo

Sto pensando che inventerò per i miei libri un nuovo nome che sostituisca la parola "romanzo". Ma quale? Elegia?


Virginia Woolf
Consigli a un aspirante scrittore
traduzione di Bianca Tarozzi e Giordano Vintaloro
a cura di Roberto Bertinetti
BUR 2012 

giovedì 6 dicembre 2012

Canzone dell'io vivente


Chiudi gli occhi, contempla
il paesaggio dietro le palpebre.
Cosa vedi?
Gorghi di luce,
il sangue versato in piena,
scintille di nomi sparsi
da tempia a tempia, da fronte a occipite;
e quello che chiami il centro
è un confine concavo e bianco,
deserto di rose spente,
sfiorisce lento nel tempo.

Tu che nomini me, e vorresti
disfarmi in un più vasto sguardo,
di chi parli? Dove mi senti?
Non abito i tuoi sentieri;
lì, dove ti accechi,
io sono, forma vivente.

Guardami, non nascondermi
dentro i veli a brandelli,
guardami, non confondermi
col sonno degli occhi aperti,
guardami oltre gli specchi
che oscurano la tua fronte,
oltre il mio volto assente;
e poi, se lo vuoi, dissolvimi...

Danilo Bramati
Idioti nell'ombra
Atì editore 2010

mercoledì 5 dicembre 2012

Agota Kristof raccontata da me


Anche questa voce l'ho scritta per l'Enciclopedia delle donne.

L’esilio dalla lingua materna, la convinzione che l’esistenza trasposta sulla carta possa assumere una valenza assoluta, il senso di perdita continuo, il desiderio feroce di sopravvivere a qualunque costo, uno sguardo implacabile che non cede mai al sentimentalismo, al buonismo, alla riconciliazione, ma che sempre accetta di guardare la vita nel suo male e la sfida nel volerla descrivere cosi com’è. Sono i temi chiave della vita e dei libri di Agota Kristof, scrittrice contemporanea tra le più ispide e sgradevoli. I luoghi si presentano come quinte teatrali, sono miseri, claustrofobici, perduti. I personaggi sono le marionette chiamate a riempire con le loro azioni questi scenari e non sono connotati tanto dall’aspetto fisico, sempre descritto con crudele precisione, né da una dimensione psicologica che ce li renda vivi: sono sempre le azioni compiute a dire chi essi siano. Se sentimenti mostrano non sono mai sentimenti buoni ma sempre negativi: l’avarizia, la crudeltà, il tradimento, la disperazione, la codardia, il sadismo. Scrive nel suo libro autobiografico L’analfabeta: «All’inizio non c’era che una sola lingua. Gli oggetti, le cose, i sentimenti, i colori, i sogni, le lettere, i libri, i giornali, erano quella lingua. Non avrei mai immaginato che potesse esistere un’altra lingua, che un essere umano potesse pronunciare parole che non sarei riuscita a capire. Perché avrebbe dovuto farlo? Per quale motivo?». La bambina Agota legge, come una malattia, qualunque cosa le capiti sotto mano. Il mondo è diviso tra la cucina della madre, con i suoi odori di cibo e umanità, e la scuola del padre che odora di gesso e di libri. Questa infanzia contadina, povera ma felice ci viene resa con la sua semplicità e normalità. La fine di questo mondo coincide con il primo esilio dalla vita di campagna alla vita di città in un collegio. «La voglia di scrivere verrà più tardi, quando si sarà rotto il filo d’argento dell’infanzia, quando verranno giorni cattivi, e arriveranno gli anni che potrei definire “non amati”. Quando separata dai miei genitori e dai miei fratelli, entrerò in collegio in una città sconosciuta, dove, per sopportare il dolore della separazione, non mi resterà che una soluzione: scrivere». La vita nel collegio è una pena, meglio allora scrivere un diario in una scrittura segreta perché nessuno possa leggerlo. Alla scrittura si alterna un pianto lungo e senza consolazione, al punto che la scrittrice dichiarerà che per il resto della sua vita piangere le risulterà pressoché impossibile, come se in quegli anni avesse esaurito tutte le lacrime. Piange per la libertà e l’infanzia perdute, per le cose svanite «le corse a piedi nudi per il bosco sulla terra umida fino alla “roccia blu”; svaniti gli alberi su cui arrampicarsi, da cui cadere quando un ramo marcio si rompe; svanito anche Yano che mi aiuta a rialzarmi; svanite le passeggiate notturne sui tetti; svanito Tila che va a fare la spia da mamma». Le prime composizioni poetiche di Agota sono frasi nella notte che le girano attorno bisbigliando e poi prendono un ritmo, cantano. Fuggita in Svizzera con il marito e una neonata legata sulla schiena nel 1956, a seguito dell’invasione dell’Ungheria da parte dei sovietici, la Kristof si trova ad affrontare la sfida con una nuova lingua che questa volta, dopo il tedesco e il russo, è il francese: «Parlo il francese da più di trent’anni, lo scrivo da vent’anni, ma ancora non lo conosco. Non riesco a parlarlo senza errori, e non so scriverlo che con l’aiuto di un dizionario da consultare di frequente. È per questa ragione che definisco anche la lingua francese una lingua nemica. Ma ce n’è un’altra di ragione, ed è la più grave: questa lingua sta uccidendo la mia lingua materna». Attraversando il deserto della lingua senza poter leggere quasi nulla per 5 anni, lavorando come operaia in una fabbrica di orologi, è con la scrittura che la giovane Agota trova il suo riscatto. «Come si diventa scrittori? Prima di tutto, naturalmente, bisogna scrivere. Dopo di che bisogna continuare a scrivere. Anche quando non interessa a nessuno. Anche quando si ha l’impressione che non interesserà mai a nessuno. Anche quando i manoscritti si accumulano nei cassetti e li si dimentica, pur continuando a scriverne altri». Ricomincia ad andare a scuola a ventisette anni e in due anni soltanto consegue un primo Certificato di Studi. Ora sa di nuovo leggere e la vita ricomincia a essere una festa di libri e autori: Hugo, Rousseau, Voltaire, Sartre, Camus, Michaux, Ponge, Sade e Faulkner, Steinbeck, Hemingway. «Il mondo è pieno di libri, di libri finalmente comprensibili, anche per me… Non appena padroneggio un po’ la lettura, mi fisso un altro obiettivo: scrivere in francese… Questa lingua, il francese, non l’ho scelta io. Mi è stata imposta dal caso, dalle circostanze. So che non riuscirò mai a scrivere come scrivono gli scrittori francesi di nascita. Ma scriverò come meglio potrò. È una sfida. La sfida di un’analfabeta.»

Agota Kristof
Csikvánd (Ungheria) 1935 - Neuchatel (Svizzera) 2011


Fonti, risorse bibliografiche, siti
A. Kristof, L’analfabeta. Racconto autobiografico, Casagrande 2005
A. Kristof, Trilogia della città di K. (che raccoglie i tre romanzi: Il grande quaderno – La prova – La terza menzogna), Einaudi 1998
A. Kristof, Ieri, Einaudi 2002 (la versione cinematografica Brucio nel vento, è di Silvio Soldini)

martedì 4 dicembre 2012

Se non scrivo dimenticherò

È molto semplice. Se non scrivo, a poco a poco dimenticherò. Questo pensiero è spaventoso. Se non sono fedele a me stessa, a chi lo sarò?

Marguerite Duras
Quaderni della guerra e altri testi
Traduzione di Laura Frausin Guarino
Feltrinelli 2008


lunedì 3 dicembre 2012

Essere a casa nei libri

87. Essere a casa nei libri

Anche voi vi sentite a casa dove ci sono dei libri? 
La libreria casalinga dà un senso di protezione.
La biblioteca pubblica sembra una via di fuga permanente dalle angustie quotidiane.
E le librerie diventano luoghi in cui vivere, soprattutto quando ci sono angoli in cui sedersi e sprofondare nelle letture del cuore.
Perché i libri ci danno un sentimento di protezione?
Certo è innanzitutto il fatto che i libri figurano possibilità. Provocano la domanda su ciò che si nasconde dentro di noi. Ben oltre la realtà da cui siamo dominati, i libri lasciano parlare i sentimenti, ci spingono a pensare, risvegliano la fantasia e dischiudono le nostre idee, ci lasciano fantasticherie sulle storie e sui destini nascosti dentro di noi.

Wilhelm Schmid
L'arte dell'equilibrio
100 tessere per l'arte di vivere
traduzione di di Federico Ferraguto
Fazi 2012

domenica 2 dicembre 2012

Leggere in libreria

Sì, quella libreria non è stata soltanto un rifugio, ma una tappa nella mia vita. Spesso restavo lì fino all'ora della chiusura. C'era una sedia vicino allo scaffale, o piuttosto un alto sgabello, mi sedevo e sfogliavo i libri e gli album illustrati. Mi chiedevo se si accorgessero della mia presenza. In capo a qualche giorno, senza smettere di leggere, mi diceva una frase, sempre la stessa: "Allora, la sta trovando la sua felicità?" Molto tempo dopo, qualcuno mi ha assicurato che l'unica cosa impossibile da ricordare è il timbro delle voci. Eppure, ancora oggi, durante le mie notti insonni, sento spesso la voce dall'accento parigino - quello delle strade in salita - dirmi: "Allora, la sta trovando la sua felicità?" 
Una frase che conserva ancora oggi tutta la sua gentilezza e il suo mistero.

Patrick Modiano
Nel caffè della gioventù perduta
traduzione di Irene Babboni
Einaudi 2010

sabato 1 dicembre 2012

Virginia Woolf raccontata da me


Ed ecco la "mia" Virginia Woolf scritta per l'Enciclopedia delle donne

«Io provo un senso di fodere estive alle poltrone; di essere rimasta a casa mentre tutti sono in campagna. Mi sento desolata, polverosa e delusa». La solitudine dell’artista attraversa tutte le pagine del Diario di una scrittrice, libro straordinario che racconta il processo creativo e la scrittura di una delle scrittrici più importanti del XX secolo, Virginia Woolf, nata Adeline Virginia Stephen. Lo testimoniano, oltre alla sua vasta opera che comprende romanzi, racconti, saggi, diari e lettere, anche la mole di scritti e di siti web a lei dedicati. Ai quattro figli del primo matrimonio dei genitori, Sir Leslie Stephen e Julia Jackson (nipote di Julia Margaret Cameron), entrambi vedovi, si aggiunsero Vanessa, Virginia, Thoby e Adrian. L’infanzia di Virginia fu una tipica infanzia vittoriana, fatta di lezioni casalinghe, rispetto delle convenzioni, benessere e la sensazione costante che tutta la vita della casa e della numerosa famiglia ruotasse intorno alla madre, bella e distante, che la bambina vede come una cattedrale. La morte precoce di Julia, nel 1895, sprofonda la futura scrittrice nella prima grave crisi psicotica e sfocia in un tentativo di suicidio. Il fantasma della madre tornerà in vita nel suo romanzo - insieme a Le Onde, uno dei due, a mio avviso, più belli - Al faro, nella superba traduzione di Nadia Fusini. «Vi sarà un ritratto completo di papà; e della mamma; e poi St. Ives; e l’infanzia e tutte le solite cose che cerco di metterci dentro». Fu proprio il padre Leslie a farle dono del mondo della letteratura. Benché Virginia non avesse potuto studiare all’università come i fratelli, l’accesso alla libreria paterna le spalancò il mondo nel quale voleva vivere. Un mondo fatto di immaginazione e acuta osservazione della realtà. Virginia sapeva cogliere “il canto del mondo reale” così come Liliana Rampello intitola il suo libro, che è un’analisi diversa e nuova di tutta l’opera woolfiana. La studiosa «strappa via la Woolf dalla fama di donna segnata dalla tragica fine … e restituisce il sentiero luminoso di una donna geniale che canta continuamente la vita e il suo affascinante mistero, concretamente percepibile, per così dire, nei singolari e minuscoli accadimenti che entrano negli istanti del mondo» (Annarosa Buttarelli). La morte del padre e della sorellastra Stella diventa la condizione di possibilità e di libertà che porterà i giovani Stephen a staccarsi dai fratellastri Duckworth e ad andare a vivere a Bloomsbury, in quello che diventerà il luogo simbolo di una generazione straordinaria, di giovani artisti e intellettuali inglesi che segneranno la storia della cultura e della letteratura del Novecento. La condizione di privilegio e l’acuta capacità di osservazione le permisero di scrivere anche uno dei saggi più importanti per le donne moderne, Una stanza tutta per sé. Una rendita e una stanza con la porta chiusa erano ciò di cui una donna creativa aveva bisogno per potersi esprimere. La “cercatrice irrequieta”, come lei stessa si definiva, aveva comunque bisogno di una vita che avesse un centro e uno scambio continuo. Virginia combatté tutta la vita contro l’Angelo del Focolare che, a causa dell’educazione, vive in ogni donna e la fa sentire sempre in colpa perché non si comporta come dovrebbe. Dopo la morte del fratello prediletto Thoby nel 1906 e il matrimonio avvenuto nel 1907 dell’amatissima sorella Vanessa, che così smise di appartenere soltanto a lei, fu con Leonard Woolf che Virginia trovò un nuovo centro Alla fine di maggio del 1912 Virginia gli disse senza giri di parole che lo amava e voleva sposarlo. Il matrimonio permise la continuazione della vita bloomsburiana e le lunghe conversazioni che lei tanto amava. Parlava di libri con Litton-Strachey, le conversazioni con Vanessa erano incentrate sulle relazioni d’amore e d’amicizia; con Roger Fry il tema principale era l’arte e con Forster riprendeva quelle lunghe meditazioni sulla scrittura che costellano il suo diario, Con Vita Sackville-West , di certo il suo più grande amore, poteva parlare di tutto. La felicità della vita domestica, che molti critici mettono in dubbio, e la ricchezza delle sue relazioni, non bastò a metterla al riparo dalla sua fragilità psichica, dalle crisi maniaco-depressive che, insieme alle pesanti molestie subite dai fratellastri quando era ancora una bambina piccola, avevano nel tempo relegato in un cono d’ombra la vitalità e la passionalità della scrittrice. Nel 1913 tentò di nuovo il suicidio. Era tipico che alla fine di ogni sforzo creativo si sentisse svuotata e finita. Solo quando Leonard aveva letto il libro appena terminato, lei ritrovava un po’ di calma e di speranza nel futuro. Scriveva instancabilmente Virginia, recensioni per il «Times Literay Supplement», pagine di diario dense di osservazioni sulle persone che incontrava e sui libri che stava leggendo, lettere con decine di diversi corrispondenti che sottolineano la sua ironia e acutezza. Il suo romanzo d’esordio La crociera, venne pubblicato nel 1915, cui seguirono Notte e giorno nel 1919, La camera di Jacob nel 1922, Mrs. Dalloway nel 1925, Al faro nel 1927, Le onde nel 1931. Si confrontava di continuo con i suoi contemporanei e dell’amata-odiata Katherine Mansfield, che frequentò dal 1916 sino alla sua morte nel 1923, scrisse nel diario che la sua scrittura era l’unica di cui fosse gelosa. Virginia era una donna piena di fascino: la lista di ammiratori e ammiratrici è lunghissima, così come quella delle persone famose che incontrò nel corso della vita. Il 22 febbraio 1937 la traduttrice francese del romanzo Le Onde, Marguerite Yourcenar che non suscitò molto il suo interesse, andò a trovarla per parlare della traduzione che stava facendo. La Yourcenar riteneva la Woolf uno dei più geniali prosatori della lingua inglese e in un suo scritto l’avrebbe paragonata a Vermeer «per il fascino quasi idilliaco dei colori che rivela lo stesso gusto delle vibrazioni uniche, dei minuti eterni di cui è fatto il mondo di Virginia Woolf, per la magia segreta che impregna le loro immagini, seppure rese con strumenti diversi». Virginia scrive nel diario una cronaca dell’incontro che si limita a descrivere l’aspetto della visitatrice, e annotare che le sembrava una donna che avesse qualcosa da nascondere del suo passato, la grande scrittrice francese resta senza nome. Anni dopo, al contrario, la Yourcenar rievocherà addirittura la scarsa luce nel salotto dove si incontrarono, le domande che fece a una Woolf poco interessata all’arte della traduzione che lei non riusciva a concepire come un dialogo tra scrittore e traduttore, così come lo concepiva la Yourcenar. Un altro incontro che vale la pena ricordare è quello con Sigmund Freud, il 28 gennaio 1939. Parlarono delle conseguenze della Grande Guerra sull’Europa, dell’ascesa di Hitler al potere. Lei lo ascoltava con grande attenzione; prima di salutarla Freud le regalò un narciso. Condividevano la passione per le profondità della mente umana ed entrambi la esploravano attraverso la scrittura. Virginia rese omaggio alla grandezza di Freud nel diario del 2 dicembre 1939 annotando: «Cominciato a leggere Freud ieri sera; per ampliare la circonferenza: dare al mio cervello un più vasto raggio: renderlo obiettivo: uscire da me stessa. E sconfiggere così il restringimento della vecchiaia». Non era solo la vecchiaia a stringere Virginia in un cerchio soffocante. La Seconda Guerra Mondiale era scoppiata e lei non ne avrebbe vista la fine. Gli ultimi due anni della sua vita furono oscurati dai bombardamenti su Londra e da molte paure per il futuro. Alla fine del 1940 la malattia si era ripresentata e l’ultimo dottore che l’ebbe in cura le prescrisse riposo assoluto, soprattutto che stesse lontana dalla letteratura. Aveva ricominciato a sentire le voci Virginia, così come da giovane sentiva gli uccellini cantare in greco, e non aveva più la forza di combattere. Scrisse tre lettere, una per Vanessa e le ultime due per Leonard dove lo ringraziava per la felicità che avevano condiviso. Senza salutare né il marito né la domestica Louie, Virginia si allontanò da casa il 28 marzo 1941. Arrivata sulle rive del fiume Ouse, in un luogo dove altri abitanti del luogo si erano suicidati, Virginia mise dei sassi nelle tasche del cappotto e si incamminò nel fiume. Verrà ritrovata solo il successivo 18 aprile. La devastazione della guerra inghiottì anche questa morte e fu solo negli anni Sessanta che il mondo letterario ricominciò a occuparsi di lei. Le sue ceneri riposano all’ombra di un olmo nel giardino di Monk’s House. Sulla lapide è incisa la frase “«Le onde si infrangevano sulla spiaggia» che chiude il suo celebre romanzo. 
Ancora oggi i suoi libri non cessano di riempirci di stupore e di incanto, avvinti da quella luce particolare che la Yourcenar aveva riconosciuto.

Virginia Woolf
Londra 1882 - Rodmell 1941

Fonti, risorse bibliografiche, siti
Virginia Woolf, Diario di una scrittrice, Mondadori 1979
Virginia Woolf, Romanzi, a cura di Nadia Fusini Mondadori 1998
Virginia Woolf, Saggi, prose, racconti, a cura di Nadia Fusini Mondadori 1998
Virginia Woolf, Una stanza tutta per sé, SE 1993
Nadia Fusini, Possiedo la mia anima. Il segreto di Virginia Woolf, Mondadori 2007
Armanda Guiducci, Virginia e l’angelo, Longanesi 1991
Hermione Lee, Virginia Woolf, Chatto & Windus 1996
Liliana Rampello, Il canto del mondo reale. Virginia Woolf. La vita nella scrittura, Il Saggiatore 2005
Vivian Forrester, Virginia Woolf, Albin Michel 2009