lunedì 31 gennaio 2022

Cronache dagli anni senza Carnevale/694. La fisica quantistica della carta e dei libri

 

 


 

Come scegliere cosa tenere e cosa gettare? Metterò mai più quel lungo abito color avorio? Rileggerò quel romanzo che mi era piaciuto così tanto? Ha senso continuare a conservare i ritagli delle recensioni più interessanti a libri che poi non abbiamo mai comprato? E quelle vecchie fotografie sfocate di gente che non abbiamo visto mai più, che senso ha tenerle ancora? Sono domande che mi pongo tutte le volte che faccio ordine negli armadi, nei cassetti e nelle librerie e più passa il tempo più mi rendo conto che il senso non esiste se non perché ogni oggetto è la chiave di una diversa porta che ci conduce nel passato, un passato di cui non siamo più consapevoli, salvo quando prendiamo in mano quel romanzo leggero e piacevole e ci ricordiamo anche della piacevolezza di quel pomeriggio in spiaggia stesi a leggere e a guardare il mare. Oppure quando riguardiamo le fotografie di vecchi colleghi con cui non lavoriamo più da anni ma, che nel tempo che abbiamo condiviso sono stati importanti. Allora cosa tengo e cosa butto? La biblioteca accetterà anche questi romanzi remoti? Le fotografie le conservo ancora, dei libri ho imparato a fare a meno e a regalarli, perché possano continuare a seminare piacere e curiosità anche in altre menti, soprattutto quando ho la certezza che non li rileggerò mai più. La cosa stupefacente di ogni riordino è che, nonostante la quantità di libri e oggetti regalati o buttati via, secondo la ben nota legge della carta polistirolo, sul ripiano della libreria non ci sarà comunque nessuno spazio per un libro nuovo. Questo è uno dei misteri della fisica quantistica dei libri, soprattutto quando siamo certi di avere finalmente riposto in ordine di pubblicazione tutti i libri di Paul Auster e, non si sa come, troviamo in mezzo un Philip Roth che, a parte la condivisione della casa editrice italiana, non centra proprio nulla. Lo stesso accade quando riordiniamo tutti i libri di e su Katherine Mansfield e Virginia Woolf. Sono sempre molti, molti di più di quanto non ricordassimo, così dobbiamo fare e disfare l’ordine dieci volte prima di averli raggruppati secondo un ordine solo a noi noto e che presto avremo dimenticato e rimettere le mani su quei ripiani sarà sempre come partire per una caccia nella jungla nera e selvaggia. Il segreto che tutti gli amanti dei libri conoscono è che i libri parlano tra loro e si raccontano di notte con voci sussurranti che le nostre orecchie sensibili di lettori e maniaci riusciamo a sentire. Per questo impariamo molto più di quanto una semplice lettura potrà mai darci. Perché i libri sono come i gatti, affamati e riconoscenti, fanno le fusa per attirare la nostra attenzione e quando cadiamo tra le loro sgrinfie, non possiamo resistere alla loro malia.

 

 

Navigare nel mare dell’infanzia

 

Con ogni libro costruisco

un mondo o lo distruggo.

Volo su un magico tappeto

e solco l’oceano più periglioso

mentre Nemo si inabissa tra

le onde dell’infanzia e la foresta

continua a richiamare non solo

cani e lupi, ma anche noi

bambini, quei bambini che

stanno sdraiati interi pomeriggi

e quando finiscono un libro,

lo iniziano da capo.

 

 

Che tenerezza avere ritrovato i libri che leggevo da bambina, sfogliarli e poi riporli in un ripiano speciale, quello dove stanno i libri che vogliamo continuino a farci compagnia. Una compagnia imperdibile di cui ci è impossibile fare a meno. Oggi è lunedì 31 gennaio del terzo anno senza Carnevale e questa Cronaca 694 ancora una volta ha smesso di spolverare i libri e si è messa a pancia in giù sul tappeto a rileggere Il giro del mondo in ottanta giorni, cosa che, a questo punto, penso farò anch’io.

domenica 30 gennaio 2022

Cronache dagli anni senza Carnevale/693. Una domenica pomeriggio navigare nella solitudine dei fiumi

 

 


In ogni città c’è una città sommersa, invisibile agli occhi, ma che risuona sotto i nostri passi. Una città d’acqua e di ricordi, dove i vecchi Navigli e i fiumi Lambro, Olona e Seveso continuano a scorrere sotto il cielo e non sono stati interrati da noi umani. Soffocano e gridano i fiumi che non scorrono sotto il cielo, possiamo ascoltarli, maledirli quando esondano, rimpiangerli, ma nulla di concreto. Possiamo però lasciar correre la nostra immaginazione e salire su di una barchetta a remi e lasciarci trasportare nella città antica come coraggiosi esploratori. Vedremmo i bambini giocare sulle rive, saltare fino al cielo, rincorrersi e pensare al mondo per poterlo cambiare con la forza del gioco. Forse attraverseremmo territori sconosciuti, sfuggiti ai racconti e scopriremmo pitture rupestri sotto strati di muschio e licheni. Sarebbe il nostro un pomeriggio millenario e anche le ossa sepolte nell’argilla avrebbero un sussulto e cercherebbero una strada verso il sole. Non conosceremmo il buio di quella terra, perché prima che la notte scenda ci fermeremmo a fare la legna e poi entreremmo nella prima casa a destra, dopo l’ansa del fiume. Conosceremmo così anche quel silenzio primordiale che è l’origine di tutti i silenzi, il silenzio del tempo dove le lingue non erano che mugolii e anche le api erano più espressive di un essere umano. Passata la notte potremmo riprendere la nostra navigazione per tornare sui nostri passi, anche se sul pelo dell’acqua non sono rimaste impronte ma solo la memoria fugace delle nostre mani che l’hanno solcata.

 

 

 

La memoria o il lampo

 

In questo pomeriggio senza

tempo, scopriremo che

non vi è nessuna differenza

tra la pietra e il sogno. Perché

entrambi arrivano da un tempo

che non abbiamo conosciuto,

entrambi sfruttano il silenzio

per mettere a tacere le nostre

proteste. Perché abbiamo

imparato che le parole possono

essere una trappola o nostre

prigioniere, dipende da quanto

il sogno abbia parlato la lingua

della verità e quanto quella della

fuga. Non potremo comunque

levarci verso il cielo, anche in

questo sogno d’acqua e ossa,

dovremo accettare la gravità

che ci inchioda alla terra e mola

le parole ancora più di quanto

non faccia con i nostri volti e

le nostre mani. Potremo solo

condividere la nostra solitudine

e tesserla come fa il ragno con

la sua tela, non sapendo se

sarà la memoria o il lampo

a restare intrappolato.

 

 

Oggi, domenica 30 gennaio del terzo anno senza Carnevale, Milano era avvolta in un precoce mantello di primavera, camminare a lungo nel pomeriggio è stata una grazia e non so perché a un certo punto ho iniziato a sentire la voce dei fiumi, ma l’ho sentita e l’ho raccontato a questa Cronaca 693 che ha preso la sua barca ed è andata a vedere.

sabato 29 gennaio 2022

Cronache dagli anni senza Carnevale/692. Come cantare lo stesso canto della mia città

 


 

Quali sono le cose che rendono ogni giornata una giornata felice? Di sicuro il sole, quando intiepidisce l’aria, mi chiama a sedermi su una panchina fuori dalla biblioteca e si offre al mio viso e io faccio lo stesso. Mi sono fermata a lungo, sino a quando la luce e il calore non hanno iniziato a farmi girare la testa e allora, piano, mi sono spostata verso una zona d’ombra e sulla soglia dell’ingresso ho sentito risuonare i passi degli operai che entravano a lavorare alla De Angeli–Frua, fabbrica tessile andata distrutta durante la Seconda Guerra Mondiale. È tutta una stratificazione di ricordi quest’area vicino a casa, dove c’era anche un bosco spontaneo sorto sulle rovine della fabbrica e che venne quasi completamente tagliato durante un tentativo di speculazione edilizia, di cui ho già scritto, nell’agosto del 1991. Ma sono così tante le tracce del passato in questo quartiere che non mi stanco mai di andare a cercare particolari che non conoscevo sui libri e su internet. Oggi sembrava proprio primavera, l’aria era sottile e immaginavo di sentirci profumi che ancora non ci sono. Una fervida immaginazione rende una giornata qualunque una giornata felice. Sono passata apposta davanti al panettiere solo per poter respirare l’aroma del pane appena sfornato e dal fruttivendolo per catturare con le narici quello dei molti agrumi esposti sul bancone. Ho fatto anche un esercizio che non riesco mai a finire, cioè riuscire a ricordarmi tutti i negozi che si sono succeduti in via Marghera, una delle vie più belle di Milano, ma non ci riesco quasi mai, anche se ricordo quanto era piacevole questa zona della città, metà borgo antico e metà quartiere elegante, quando ho iniziato a frequentarlo negli anni delle scuole superiori. Intorno alla scuola Novaro-Ferrucci e alle rovine della fabbrica ci ho camminato così tante volte che i miei passi potrebbero avere contribuito a incidere il selciato. Così come i miei sguardi che non si fermano mai e continuano a interrogare i palazzi e le finestre alla ricerca di storie nuove da raccontare o raccontare di nuovo perché nessuno le ricorda più. Amo molto gli scrittori che si identificano, almeno in parte, con la città in cui vivono, a volte da quando ci sono nati, come Paul Auster e New York, Fernando Pessoa e Lisbona, Virginia Woolf e Londra, giusto per citarne alcuni. Anche Milano è stata molto raccontata nel corso del tempo da numerosi scrittori che l’hanno anche solo visitata nel giro di pochi giorni. Ho raccolto un’infinità di citazioni e testimonianze per il romanzo che ho appena finito di scrivere e mi piace andare a rileggere di quella Milano antica che nessuno vedrà mai più. Una giornata felice è anche quando scopro le tracce di altri scrittori per le vie che più amo e mi piace questa convivenza immaginaria con loro e la mia città, anche se spesso i palazzi dove hanno vissuto non esistono più.

 

 

 

Il canto di Milano

 

È forse questo il segreto

della parola, custodire

per noi quella luce e

quei volti che non abbiamo

mai veduto ma che possiamo

ricordare come se fossero

nostri, come se il tempo

fosse solo un luogo che

ci appartiene e cui apparteniamo

anche se non lo sappiamo, anche

se non lo vogliamo. Per tutti

quelli che l’hanno amata, per

quelli che la vivono senza

amarla, per tutto il passato

e per questo presente, per

tutta questa vita intorno e

dentro di me, io canto questo

tuo stesso canto, mia amata

Milano, la mia città, il mio

posto nel mondo.

 

 

E così, su queste note amorose è trascorso questo sabato 29 gennaio del terzo anno senza Carnevale e questa Cronaca 692 è molto orgogliosa di essere milanese e io con lei.

venerdì 28 gennaio 2022

Cronache dagli anni senza Carnevale/691. La luce scrive il mondo e io scrivo la luce

 

 


 

Due delle attività umane che più mi piacciono sono in perfetta antitesi: stare ferma alla scrivania – a leggere e scrivere - , o uscire e andare a zonzo per la mia città come se fossi una turista e riuscire a stupirmi davanti al mio albero bellissimo come se non lo avessi visto mai. Le novità che l’occhio coglie sono favorite soprattutto dalla diversa luminosità e atmosfera, anche questa mattina c’era una leggera nebbia, perché i colori del mondo cambiano moltissimo a seconda della luce. Così, di fatto, è proprio la luce a essere la scrittrice del mondo e io ne sono una fedele lettrice impegnata a decifrare significati, a stratificare ricordi e a trasporli sulla mia carta che non è il mondo intero ma un foglio bianco, reale o virtuale, poco importa.

La luce ha molti aiutanti in questa faticosa opera quotidiana e chi sono i principali? Sono le nuvole, le meravigliose nuvole che impediscono o favoriscono che la luce arrivi sino alla superficie del mondo e lavori di cesello sulle case e sugli alberi, sulle strade e su di noi umani, noi che passeggiamo e cerchiamo di attraversare il tempo in punta di piedi, senza fare troppo rumore, senza lasciare troppe tracce intorno a noi.

 

 

Il luogo dove tutti i luoghi non sono che uno

 

Con passo di volpe hai

attraversato il bosco urbano

che circonda la mia casa. E

non sono i sussurri delle foglie,

non i fischi del vento che mi

hanno rivelato il tuo passaggio,

un andare veloce che non si è

trasformato in presenza, ma

solo in tracce che gli elementi

hanno presto cancellato. Nessuna

impronta sul selciato, niente

piume nel nido abbandonato,

non una sola parola incisa sul

muro che circonda il mio

giardino. Eppure so che sei

passato, me lo dicono i sogni,

notte dopo notte, me lo dice

la luce che si ritrae a ogni

mio passo per condurmi

verso di te, in quel regno

che posso solo immaginare,

in quel luogo fatto di tutti

i luoghi che è la nostra

memoria comune, madre.

Eppure vorrei, proprio vorrei

per una volta ancora vedere

le tue mani nude scavare

nella terra e poi la pianta e

poi il fiore, rosa, perfetto e

profumato che non avresti

mai raccolto. È quel profumo

la nostalgia, è quel colore che

tinge tutte le parole che non

ci siamo dette, che ancora

non ci siamo dette.

 

 

 

Così la città mi ha accolto con tracce di mia madre nei luoghi dove siamo state insieme e dove non l’ho cercata, è stata lei a trovarmi in questa giornata di inverno gelido e umido, venerdì 28 gennaio 2022, il terzo anno senza Carnevale. Sono queste Cronache a custodire quel che trovo qua e là e questa Cronaca 691 non è da meno di quelle che l’hanno preceduta e tiene in ordine in una specie di erbario tutto quello che abbiamo raccolto insieme, in giro per la nostra città.

giovedì 27 gennaio 2022

Cronache dagli anni senza Carnevale/690. Trovare in se stessi la stanza silenziosa per studiare e per scrivere


 


Per onorare la memoria di chi è stato strappato alla vita dai nazisti ricordo nel mio cuore, ogni anno ma non solo in questo giorno, la vita straordinaria e breve di Etty Hillesum il cui diario accompagna la mia vita sin dal 1985. Oggi sono andata a cercare brani sulla scrittura e sullo studio e sul posto che avevano nella vita di questa giovane donna.

 

“Non riesco ancora a scrivere. Voglio scrivere della realtà che si cela dietro le cose, ma questo è ancora fuori dalla mia portata. L’unica cosa che mi interessa davvero è l’atmosfera, si potrebbe dire l’«anima», ma la sostanza continua a sfuggirmi, con il risultato che mi manca un punto d’appoggio. Devi descrivere la realtà concreta, terrena, e illuminarla con le tue parole, con il tuo spirito affinché l’anima che sta dietro alle cose venga evocata. Se alludi direttamente alla cosiddetta anima, allora ogni cosa diventa troppo vaga, troppo informe. Se riesco a fissare nella mia mente in maniera sempre più salda che voglio scrivere, nient’altro che scrivere, allora devo anche rendermi conto che si sta preparando una vera via crucis per me: a volte la avverto con un certo timore sin da adesso. La domanda è se ho talento per la scrittura. Devo senza dubbio cominciare lentamente a modellare piccole figure nel grande blocco di granito intonso che mi porto dentro, altrimenti alla lunga ne verrò schiacciata. Se non cerco e scopro la mia forma congeniale, finirò a vagare nel buio e nel caos, è qualcosa di cui anche adesso avverto forte il rischio. E trovare quella «forma» non deve essere un’impresa: una storia breve, o un articolo su un giornale anche se poco prestigioso. In ogni caso, c’è qualcosa in me, qualcosa che desidera essere trascinata fuori da me con tutte le forze, ma non so dire che aspetto avrà, una volta emersa.”

Scrivere è davvero anche per me, una lotta per trovare una forma adatta per dire la realtà, ma anche per dare una forma a quanto di granitico e intonso si cela nella mia anima e forse è da questo luogo che scaturisce la poesia.

Stare seduta a un tavolo o alla scrivania, non solo per scrivere, ma anche per studiare e portare il mondo sconosciuto, esplorato da altre menti nella propria mente.

 

“Prima, quando stavo seduta alla mia scrivania, mi sentivo sempre molto in ansia, come se stessi perdendo qualcosa della vita. Così, non sapevo concentrarmi bene sui miei studi. E quando ero nella "vita vera", tra la gente, avevo sempre molto desiderio di tornare alla scrivania, e non ero per nulla felice tra la gente. Questa separazione innaturale tra lo studio e la "vita vera", ora è scomparsa. Adesso, alla scrivania ci "vivo" davvero. Lo studio è diventato un'autentica "esperienza di vita" e ha smesso di essere qualcosa che riguarda soltanto la testa. Alla scrivania sono immersa totalmente nella vita, e nella "vita" porto la pace interiore e l'equilibrio che ho acquisito dentro di me. Prima, ero obbligata a ritirarmi ogni volta dal mondo perché le sue troppe impressioni mi confondevano e mi rendevano infelice. Dovevo fuggire in una stanza silenziosa. Adesso, porto con me questa che possiamo chiamare "stanza silenziosa", e posso rifugiarmi là in qualsiasi momento, anche se mi trovo se un tram affollato o su un treno che si ferma con tutto il suo peso”.

 

Oggi è giovedì 27 gennaio 2022, il terzo anno senza Carnevale e questa Cronaca 690 se ne sta con me, seduta alla scrivania.

 

La prima citazione è tratta dal Diario 1941-1943, edizione integrale, traduzione di Chiara Passanti e Tina Montone, Adelphi 2012

La seconda da Il bene quotidiano. Breviario dagli scritti (1941-1942) traduzione di Lorenzo Gobbi, Edizioni San Paolo 2014.

mercoledì 26 gennaio 2022

Cronache dagli anni senza Carnevale/689. Quando le mani si muovono nell’aria

 


 

Cerco indietro nel tempo i primi momenti in cui ho capito che la forma della materia non era stabile, che potevano intervenire azioni, umane o naturali, che l’avrebbero cambiata. Forse la prima volta è stato quando ho visto le onde cancellare le mie impronte sulla sabbia, l’ho visto quando ho impastato terra e acqua per farne torte di fango per il mercatino in cortile, l’ho visto quando da una montagnola di farina, acqua e sale, uscivano impasti morbidi che sarebbero diventati recchitelli, strascinati e cavatiddi sotto il lavoro sapiente delle mani di mia madre. Allo stesso modo i tessuti tagliati e cuciti diventavano vestiti, le piantine messe nei vasi in germoglio diventavano fiori e i capelli lunghi e selvaggi diventavano disciplinate code e trecce.

Tutta la nostra vita umana è una lotta continua contro la materia nella sua forma originaria, confrontarci e scontrarci, lasciare le nostre impronte sulle cose, imparare a usare il fuoco e l’acqua, la legna e l’aria per dare nuove forme, ma spesso non nuove vite, alle cose intorno. Anche scrivere è una lotta contro la materia, contro una materia molto particolare che è il vuoto, la pagina bianca, il silenzio. Incidiamo la carta con l’inchiostro e la grafite, riempiamo di segni e simboli la carta bianca virtuale del computer, ci insinuiamo nel silenzio e lo trasformiamo in qualcosa d’altro.

 

 

Madre, materia, mani

 

Anche se le mani stanno

ferme, è la materia a

chiamare i nostri movimenti,

a chiedere di mutare in forme

che altrimenti le sarebbero

precluse. Forti come farfalle

nell’aria si riposano le mani

e non perdono la loro forma,

mai, se non quando accarezzano

un viso amato, asciugano lacrime

o sfiorano un ricordo addormentato

in un oggetto. Mani e materia iniziano

con la stessa sillaba “ma”, la prima

sillaba anche della parola madre,

la prima parola mamma e anche

l’ultima, per chi ha imparato a

dire l’amore e lo chiama da

un capo all’altro del tempo.

 

 

Mi fermo a cercare nella memoria quelle mani, a ricordare le ultime carezze, a cercare nella loro forma la mia forma, le diverse abilità. E trovo conforto in quei gesti ripetuti talmente tante volte, che sono ormai parte di me.

Oggi è mercoledì 26 gennaio del terzo anno senza Carnevale e questa Cronaca 688 impasta acqua e farina per ricordarmi come si fa.

martedì 25 gennaio 2022

Cronache dagli anni senza Carnevale/688. Desideravo la bufera perché il mio cuore è sempre in fiamme

 



In queste giornate gelide di fine gennaio, nel triste rituale delle elezioni del Presidente della Repubblica, (qualcuno glielo dice ai nostri 1.009 grandi elettori che i nomi scritti a casaccio non fanno ridere nessuno?) mi ritrovo a desiderare un tempo meno compatto, qualche sbalzo, qualche sorpresa. Così vado a leggere poesia russa, perché gli eccessi delle Russia mi sono cari quanto la mia amica Rossana che è per me, lei da sola, l’incarnazione della Russia e dei suoi scrittori e poeti. Comincio con la Achmatova che mi rincuora, così copio una sua poesia e distorco i suoi versi per scrivere il titolo della Cronaca.

 

 

Quasi in un album

 

Sentirai il tuono e mi rammenterai,

penserai: desiderava la bufera…

Sarà una striscia di cielo accesa di rosso,

e il cuore come allora in fiamme.

E ciò accadrà nel giorno moscovita

in cui abbandonerò per sempre la città,

muoverò verso il bramato riparo,

lasciando in mezzo a voi ancora la mia ombra.

 

 

 

Sentire Rossana parlare della Achmatova e della Cvetaeva è un’esperienza bellissima, voi potete leggere sull’Enciclopedia delle donne le voci che ha scritto su di loro. A proposito di Enciclopedia delle donne, sono andata a rileggere la voce che ho scritto su Virginia Woolf perché oggi è il suo compleanno e in rete è tutto un fiorire di citazioni. Ovunque mi giri sento forte intorno a me il conforto dei libri e della letteratura, la bellezza di poter vivere sempre in un altro luogo e in un altro tempo. Nel tardo pomeriggio finisco di scrivere il programma per gli incontri che terrò nella Biblioteca di Sesto San Giovanni in marzo e aprile dedicati a Sylvia Plath, Piera Oppezzo e Anne Sexton. Ma scriverò le informazioni complete più avanti. Continuo a girovagare tra i libri di carta e la rete dove si trovano tante cose belle e leggo altre poesie a caso della Achmatova, della Cvetaeva e della Berberova ed è sua la seconda poesia che ho scelto per oggi.

 

 

Pietroburgo


Là gettò l’ancora una tranquilla città

e si fece vascello immobile,

tutt’intorno allargò le sue rive

e trasfigurò ogni cosa attorno.

 

E ora gli alberi maestri concentrano

il loro incantevole ardore

e guardano il buio, e conficcano nel buio

il rabesco che scintilla.

 

Non si distinguono i deserti confini −

dove sono le strade, dove le rive?

Tra cortili, piazze, gallerie,

un unico brivido, un’unica tormenta.

 

Anch’io non molto tempo fa vivevo

su quell’enorme vascello,

e attorno al più bello dei suoi alberi

camminavo e aspettavo nella nebbia.

 

Sapevo meravigliosamente

obliare che vivessimo sul mare,

quando nel corridoio deserto

tu mi venisti incontro.

 

Ricorda ora come ci faceva barcollare,

come si frangeva contro i bordi la tempesta,

quando ti sembravano pochi

il silenzio e la quiete.

 

 

 

 

Così, per continuare a frequentare questi mondi alternativi, stasera finirò di guardare il film Colette di Wash Westmoreland e poi finirò di leggere Istantanee di Alain Robbe-Grillett. Naturalmente dopo avere finito di scrivere questa Cronaca 688 di martedì 25 gennaio del terzo anno senza Carnevale.

La poesia di Anna Achmatova è tradotta da Michele Colucci, La corsa del tempo, Einaudi, 1992.

La poesia di Nina Berberova è tradotta da Maurizia Calusio, Antologia Personale. Poesie 1921-1933, Passigli Poesia, 2004.

lunedì 24 gennaio 2022

Cronache dagli anni senza Carnevale/687. Per le rose che dormono nell’inverno dei rami

 


 

La luce dei lampioni scende nella notte come l’inchiostro caduto nell’acqua, il movimento è lo stesso, ma opposto è il risultato. Mentre la notte rischiarata dalle luci artificiali diventa un luogo frequentabile, né l’acqua né l’inchiostro potranno servire ancora. Dunque non sempre mescolare materia ad altra materia porta a un risultato sensibile. Eppure non sappiamo resistere e tutta la nostra giornata è una fatica contro gli stati originari della materia che vogliamo cambiare, modificare, possibilmente migliorare. Usiamo le mani per farlo, usiamo il fuoco, l’acqua, la luce, il vento. Proprio il vento, e il fuoco, sono molto più esperti di noi umani nel modificare gli stati della materia. Il vento trascina e strapazza le nuvole, la pioggia e la neve, scompiglia le foglie e i rami, i nostri capelli. Il fuoco divora o cucina, rende cenere o rende commestibile. Quel che non riusciamo a fare da soli è il tempo a compierlo, il tempo che ci mola tutti, ci arrotonda e poi ci lascia continuare la nostra opera umana, le nostre piccole trasformazioni, ci lascia alla nostra incrollabile fiducia che domani sarà un tempo migliore di ieri e di oggi, domani è il tempo della rinascita o della resurrezione che non sono proprio la stessa cosa. Per rinascere dobbiamo abbandonare qualcosa di noi nel tempo passato, per risorgere riportiamo in vita tutto quanto con noi? Cosa è meglio? Cosa è più opportuno?

 


La canzone della rosa in fondo al giardino

 

Canterò maggio nella

prossima canzone, ma

ti prego ferma l’onda

del tempo, fa che maggio

non arrivi, non sono ancora

pronta per la muta, non

cerco la resurrezione, ma

una nascita nuova, quella

che non ho avuto quando

il tempo mi ha gettato oltre

le sue barriere e io ero

ancora muta e troppo

piccolina per dire o fare

cose o protestare. Non

far arrivare maggio sino

a quando non sarò pronta,

dillo anche alla rosa in fondo

al giardino che fioriremo

insieme e le starò accanto

per raccontare come si

muovono le nuvole nel cielo

e anche quanto è buono

il suo profumo e quanto belle

sono le sue sembianze. Rosa

di maggio che non conosci altra

forma che la perfezione, dì

al tempo che non è tempo di

arrivare, diglielo ancora perché

non ricordi da dove viene, e

diglielo ancora perché maggio

deve restare l’orizzonte in

fondo al mio giardino.

 

 

Questa Cronaca 687 di lunedì 24 gennaio del terzo anno senza Carnevale nasce dalla lettura di un nuovo romanzo della mia amica Elisabetta e da un sogno dove qualcuno cantava e chiedeva a maggio di non arrivare. Ma maggio arriverà per lei, per me, per le rose in fondo al giardino che ora dormono nell’inverno dei rami.

domenica 23 gennaio 2022

Cronache dagli anni senza Carnevale/686. Vivo la mia vita in cerchi che si allargano

 

 


 

Oggi è stata una domenica felicemente monacale, dove mi sono concentrata nella revisione e correzione del mio nuovo romanzo. Non erano molte le cose da sistemare, ma dopo avere finito la lettura ad alta voce con Elisabetta Giromini, scrittrice talentuosa e amica preziosa – io ho letto il suo romanzo e lei il mio – ho preferito lasciar trascorrere un po’ di tempo prima di mettere di nuovo mano al libro. Sono state ore belle e intense, sono persino riuscita a commuovermi in alcuni passaggi e a sorridere in altri, proprio come se il libro non lo avessi scritto io. Come compagno di lavoro ho tenuto accanto a me un libro che amo moltissimo, Il libro d’ore di Rainer Maria Rilke, soprattutto nella traduzione fatta da Lorenzo Gobbi, poeta e traduttore raffinato oltre che uno dei più cari e vecchi amici. Come faccio sempre con i libri di poesia ho aperto a caso, letto, sottolineato, sono andata all’inizio ed è proprio la seconda poesia da cui ho tratto il titolo della Cronaca:

 

 

Vivo la mia vita in cerchi che si allargano,

che passano sopra le cose.

L’ultimo, forse, non potrò portarlo a compimento,

ma voglio protendermi, tentare.


Giro attorno a Dio, alla torre antica dell’inizio,

le giro attorno da migliaia d’anni

e ancora non so: sono un falco, o una tempesta,

o un canto, forse – grande.

 

 

 

È bellissima l’immagine della vita in cerchi che si allargano, come un sasso gettato nell’acqua, le onde si allargano verso l’infinito, sino a quando non verranno riassorbite dall’immensità che le circonda. C’è qualcosa di profondamente consolatorio in questo pensiero e leggere Rilke è sempre un momento di verità e profondità. Perché il senso dell’eternità e della bellezza della vita si manifestano e sono caldi e vicini e la notte è un rifugio come il giorno la nostra casa. La poesia di Rilke è sempre un balzo oltre la vita ordinaria e la trascendenza è la sua cifra, forse per questo lo leggo sempre come se stessi leggendo un mistico o un oracolo.

Ho passato un giorno di cui rendere grazie, dove mi sono presa cura del mio libro, dove ho letto parole meravigliose e dove ora sto scrivendo questa Cronaca 686 di domenica 23 gennaio del terzo anno senza Carnevale accompagnata dalla voce di Zucchero e dalla musica di Miles Davis che cantano e suonano Dune Mosse, un’altra preghiera laica che mi mette i brividi ogni qual volta l’ascolto.

sabato 22 gennaio 2022

Cronache dagli anni senza Carnevale/685. È il silenzio, insieme, della città e del cielo

 


Quando hanno smesso di parlarsi le strade e le stelle? Quando le nuvole e gli alberi? Eppure oggi è questa la città, silenziosa, è questo il cielo, silenzioso. Si guardano come fanno sempre e da sempre ma hanno deciso di non comunicare, almeno per oggi, almeno per il tempo necessario a fantasticare su questo silenzio nuovo, o rinnovato, su questa mancanza di parole umane, di simboli, di ritorni.

Il cielo parla con le nuvole, con il loro movimento, ma anche con la totale assenza di nuvole e di movimento. Le nuvole dicono le stagioni di mezzo, primavera e autunno, la fine della stagione calda con i temporali d’agosto, il colmo dell’inverno, quando da nuvole bianche e compatte saltano giù fiocchi di neve via via sempre più fitti. La città parla con le luci dei lampioni e dei negozi, parla con luci alle finestre, i clacson in strada e il rombo delle auto. La voce della città dipende sempre dalle azioni umane, la voce del cielo solo da intenzioni celesti di esseri invisibili e a noi sconosciuti. Quando le luci e le nuvole si incontrano nascono bizzarre creature alate che si divertono a portare scompiglio. Quando il cielo parla con le stelle, lo fa solo di notte, quando le stelle cercano di entrare in contatto con le finestre e quello che nascondono, o svelano, alla vista. Sono curiose le stelle delle attività umane, ma possono avvicinarsi solo quando il buio è calato e noi umani siamo perlopiù chiusi nelle nostre case a preparare la cena, a guardare la televisione, a riposarci dopo una giornata di lavoro. Sono invidiose le stelle dei racconti delle nuvole che ci vedono agire durante le ore diurne, ci vedono passeggiare alla luce del sole, chiacchierare, cantare, giocare e correre. Di notte siamo illuminati dai lampioni e dalle lampadine, non dalla luce dell’unica stella abbastanza vicina da illuminare tutto questo nostro mondo. Le stelle, il firmamento, sono invidiosi di quest’unica stella che può starci vicino senza consumarci. Ma loro, le altre stelle, lanciano i loro raggi e li inseguono sperando di arrivare in tempo, prima di esplodere, prima della nostra estinzione, prima che il tempo finisca, ma non sempre ci riescono.

 

 

 

La perfezione senza le sillabe

 

 

Nel silenzio della città

e del cielo prendo in

prestito i suoi versi e

mi fermo ad ascoltare

il loro suono e un’altra

città si dispiega davanti

ai miei occhi e io sono

qui e anche laggiù, mentre

è tutto questo silenzio

che accompagna il giorno

e la sua fine che è certa

mentre la notte è scesa

e questo silenzio è anche

il mio silenzio, il tuo silenzio,

nessuna sillaba arriva a

cambiarne la perfezione.

 

 

 

Ecco che un altro giorno di gennaio è trascorso tra lavori domestici, riposo e libri. Ho sentito così forte in me questo silenzio quando il mio amico Danilo mi ha letto la poesia Comizio di Pasolini, che ho dovuto prenderne un verso e utilizzarlo per il titolo di questa Cronaca 685 di sabato 22 gennaio del terzo anno senza Carnevale. Anche se il Brasile ha deciso di posticipare le sfilate dei carri in aprile, forse potrò scrivere le Cronache dagli anni con il Carnevale in ritardo?

venerdì 21 gennaio 2022

Cronache dagli anni senza Carnevale/684. La voce delle cose che sentiamo solo noi

 


 

 

Archeologia del tempo, archeologia dei giorni, disseppellire un mazzetto di vecchie foto in bianco e nero, dimenticate in mezzo ai libri. Ritrovare un paio di orecchini, regalo di un’amica perduta, una volta di più mi fa pensare che il nostro attaccamento umano agli oggetti non è per gli oggetti in sé, ma perché ogni oggetto porta con sé un significato che trascende la mera consistenza della forma e del materiale. Quando facciamo un regalo una parte di noi la trasferiamo al ricevente, una parte di noi che resterà attaccata per sempre a quell’oggetto. Vi ricordate di quando, qualche anno fa, si parlava di memoria dell’acqua? Ecco la memoria degli oggetti è certa, perché frammenti della nostra anima vanno a sistemarsi tra le pieghe delle materia come in un mosaico di cui ancora non conosciamo il disegno completo. Forse è anche per questo motivo che alcuni tra noi diventano accaniti collezionisti anche delle cose più bizzarre e inutili. Perché in quella serie di oggetti accomunati dall’uso, dalla forma, dalla provenienza, noi rispecchiamo una parte di chi siamo o di chi siamo stati. Un oggetto antico porta con sé tanto di quel tempo e di quell’energia. Per questo conservo un vaso di terracotta che stava nella cucina di mia nonna in Calabria e conservo anche un coprimaterasso di cotone a righe bianche e blu tessuto al telaio negli anni Venti del secolo scorso dalla nonna pugliese. Non ha importanza il valore commerciale delle cose, ciò che conta è il valore sentimentale, un valore che solo noi possiamo conferire e anche ritirare. Perché a volte gli oggetti diventano ricordo di qualcuno che non vogliamo più ricordare e per farlo è necessario sbarazzarsi proprio di quell’oggetto che un tempo era importante avere tenuto con sé.

  

Il miele della nostalgia

 

Li tengo sulla mensola,

uno dietro l’altro i vostri

oggetti che ho voluto

tenere. Un portasigari

di radica, un ditale di

ottone, un rocchetto di filo,

due fotografie di voi a

vent’anni, ma quanto

vi assomiglio? Ci sono

tutte le ombre del tempo

dietro ognuna di queste

cose e io sono rimasta

l’unica, l’unica testimone

di quel gesto della vostra

mano e tanto basta

perché la notte sia meno

scura e la nostalgia una

tazza di tè addolcito

col miele.

 

 

Ho trascorso molte ore di questa giornata a spolverare e sistemare oggetti che conosco da quando sono nata e oggetti che sono entrati nella mia vita in varie fasi e qui sono rimasti, come quando un naufrago ha trovato la salvezza di un’isola e non cerca il modo per andare via, ma il modo per restare giorno dopo giorno.

 Oggi è venerdì 21 gennaio del terzo anno senza Carnevale e questa Cronaca 684 indossa un cappello vintage saltato fuori da non so più quale armadio.