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giovedì 31 marzo 2022

Cronache dagli anni senza Carnevale/753. Sul fondo delle mie palpebre vedo brillare una brace

 

 


 

Dopo la gita in un vivaio che ho fatto ieri pomeriggio con le mie vicine di casa Lucrezia e Claudia, oggi abbiamo finito di trapiantare quanto acquistato anche oggi: quattro piante di gelsomini, un’azalea bianca, un ranuncolo bianco e rosso, una camelia invernale, due piantine di basilico, una di salvia. È bello vedere come le piante cambino subito l’aspetto e il tono anche di una vecchia casa di ringhiera. Le piante e i fiori fanno bello tutto quanto le circonda, come se la loro semplicità e bellezza si irradiassero sul mondo intero e lo trasformassero. Non so se i gelsomini fioriranno e profumeranno già oggi, ma so già immaginare come sarà il loro profumo, come sarà bello lasciarsi andare nelle sere d’estate, ascoltare anche il canto sommesso dei grilli, sì ormai ce ne sono anche in città, e come i suoni e i profumi mi riporteranno a lontane notte d’infanzia e di gioia, prima che ogni giorno diventasse un piccolo naufragio. Vado a ripescare, su questa immagine, un’altra poesia di René Char:

 

 

A occhi chiusi e nello sforzo di prendere sonno,

vedo brillare, sul fondo delle mie palpebre,

una brace: è l’anima ostinata,

il relitto lampeggiante

del naufragio glorioso del mio giorno.

 

 

Non è magnifica questa immagine del naufragio associata a quella della brace? È tutto un accendersi e spegnersi di immagini, di ricordi, di sensazioni il nostro teatro notturno. Nelle notti fortunate ne resteranno tracce, proprio quelle tracce che poi approdano a una poesia.

Oggi è giovedì 31 marzo del terzo anno senza Carnevale e questa Cronaca 753 ha vesti rosse e arancioni, proprio come il ranuncolo della fotografia.

martedì 20 luglio 2021

Cronache dagli anni senza Carnevale/499. Il mare, le stelle, il vento e noi sdraiati a pancia in su


 


C’era un tempo in cui ogni istante del giorno era foriero di gioia, una gioia che nasceva dalla felicità dei sensi, dall’adesione del nostro essere all’intero creato. Le domande già esistevano ed erano una sequenza infinita, e allo stesso tempo, né le domande, né le risposte andavano a inficiare quella sensazione di essere nella propria pelle, vivi, circondati da colori e profumi, da un mondo così bello da essere commovente. Non c’era bisogno di fare cose straordinarie, bastava respirare il profumo della pelle della mamma e del papà stando in braccio e ascoltando le loro conversazioni da grandi. Era salire in piedi su una sedia per guardare mamma che impastava la farina e l’acqua per farne delle orecchiette squisite, era chiedere al papà di essere sollevata per guardare il sugo di pomodoro, profumato di cipolla e basilico, che stava preparando. Era addormentarsi al suono delle loro voci in soggiorno e non avere mai paura del buio perché loro erano di là. Era giocare con il cuginetto Gianfranco (detto Ciccio), nascosti sotto la lunga tovaglia di pizzo del tavolo del soggiorno, sbirciando fuori, convinti che le mamme non ci vedessero. Era camminare lungo il Naviglio Grande e Vicolo dei Lavandai, dove davvero c’erano le lavandaie e saltellare come fanno tutti i bambini e tutti i cuccioli. Era andare di corsa a comprare il cono a tre gusti nella latteria del signor Mario, giù dal ponte dei biscotti della nonna (ora ponte Alda Merini) e desiderare tutto l’inverno che tornasse l’estate per poter mangiare di nuovo il gelato. Erano quelle gite sul Ticino, al ponte delle barche di Bereguardo, dove le domeniche erano una teoria infinita di bagni a riva, risate, cocomeri e vino messi a rinfrescare nell’acqua, pasta al forno a temperatura ambiente, pomodori e polpette, pesche, albicocche e ciliegie. L’esperienza del mondo che facciamo da bambini darà forma a qualunque altro mondo scopriremo ed esploreremo. Perché dall’esperienza originaria si procede nella conoscenza per somiglianze e differenze. Sappiamo dalle neuroscienze che restano impresse nella memoria tutte quelle esperienze che hanno un portato emotivo forte, che coinvolge il cervello e tutto il sistema nervoso centrale, in particolare l’amigdala, dove risiedono i ricordi olfattivi e del gusto. Quegli attimi magici che sono rimasti impressi, tornano a farsi vivi quando una qualunque immagine, sensazione, percezione ce li ricorda, ma spesso anche in assenza di stimoli arrivano immagini dai tempi più remoti della nostra vita e ci parlano. Oggi mi sono vista davanti mia madre con una gonna scozzese grigia e azzurra e un golfino turchese che sta impastando le orecchiette, dovevo avere circa quattro anni. Poi ho visto anche zia Franca, sua sorella, con in braccio il cuginetto Ciccio. Era una sera d’estate, io ero già andata a dormire. Ma poi loro sono arrivati con il gelato e allora la mamma mi ha presa in braccio. Vi sembrerà azzardato, ma secondo me avevamo un anno appena, perché lui era ancora piccolo e batuffoloso e di questo ricordo sono certa che sia un mio ricordo e non il ricordo di un racconto. Tutte queste visite che arrivano dal passato hanno sempre fatto parte della mia vita, forse per questo mi sono appassionata alle neuroscienze, soprattutto agli studi su memoria, immaginazione e coscienza. Ma ad abbracciare immagini, ricordi, passioni, libri e studio, ecco che mi accompagna e mi guida la poesia. Che non so da dove venga e perché proprio si manifesti, così come fa.

 

 

I mari sono stati molti e anche le nuvole

 

 

Sedute in riva al mare

stanno la bambina e

la neonata, la ragazzina

allegra e quella ombrosa.

E l’adolescente goffa e

la giovane che scalpitava

per andare via e cambiare

l’orizzonte e il mare. Certo,

i mari sono stati molti, e pure

le nuvole e il confine degli

orizzonti, ma il mare, sapete,

il mare, è sempre lo stesso,

sempre quello che ho amato

per primo, durante l’infanzia,

e sento le onde, sento il canto

delle sirene, il profumo

delle alghe e dei narcisi,

e il vento che mi chiama

e che mi segue da allora

anche nella grande città

silenziosa e che mi riporta

con un solo sussurro là,

dove tutti i venti e tutte

le nuvole nascono e poi

mi raggiungono. Là dove

il mare è un rifugio e anche

un sogno sognato notte

dopo notte. Il mare, le stelle,

il vento e noi sdraiati a

pancia in su a contare ciò

che non si può contare e

questo contare è la fiducia

nella vita e nella gioia, sempre,

sempre, nel mare, in attesa,

in veglia e in sonno, nel ricordo

e nell’immaginazione.

 

 

Ecco, è ancora presto, è pomeriggio, ma ho finito di scrivere per lasciare spazio alle immaginazioni, alla lettura, alla scrittura. La sera si aprirà così come un ventaglio che fa fresco e indica quell’orizzonte dove la notte ci attende e non è mai sola, è con le stelle e una nuova poesia. Oggi è martedì 20 luglio del secondo anno senza Carnevale e questa è la Cronaca 499 che indica i 499 giorni che sono passati dal primo giorno del primo lockdown il 9 marzo 2020.

mercoledì 14 luglio 2021

Cronache dagli anni senza Carnevale/493. Adoro queste serate estive, le prime ore della sera

 

 


 

Dopo un’altra tempesta tropicale, ecco che sulla città mai più silenziosa è tornato a splendere il sole. Le cicale hanno ripreso a cantare e tutto quello di cui ho voglia è prendere il fresco in giardino, guardare il cielo, ascoltare il mormorio tra alberi e foglie che il vento mi porta con ogni refolo. È dolce il tempo, è dolce la sera, può essere ancora dolce la vita nonostante tutti i problemi non risolti o mai affrontati. Ma questo è:

 


Il momento più bello della giornata

 

Fresche sere d’estate.

Le finestre aperte.

Le luci accese.

La fruttiera colma.

E il tuo capo sulla mia spalla.

Questi sono i momenti più felici della giornata.

Insieme alle prime ore del mattino,

naturalmente. E quegli attimi

subito prima di pranzo.

E il pomeriggio e

Le prime ore della sera.

Ma davvero adoro

queste serate estive.

Ancor più, mi sa,

di quegli altri momenti.

Il lavoro quotidiano finito.

E nessuno più che ci disturbi, adesso.

Né mai.

 

 

Ci sono giorni in cui bastano poche parole, come oggi, mercoledì 14 luglio del secondo anno senza Carnevale che si bea nella poesia di Raymond Carver tratta da Blu oltremare, traduzione di Pasquale Sica, Tullio Pironti Editore 1994.

sabato 5 giugno 2021

Cronache dagli anni senza Carnevale/454. La pioggia non sa e nemmeno il tempo conosce la grazia che avvolge il frutto ormai maturo

 

 

Usciamo dalla tana annusando l’aria, intorno il mondo sembra uguale, forse lo è. Ma siamo noi a non esserlo più. Emozioni che provengono da un tempo lontano ci assalgono, ci portano indietro, ma sappiamo che indietro è un luogo che continua a esistere solo nella nostra immaginazione. E allo stesso momento è l’unico tempo certo che possiamo raccontare, se c’è qualcosa da raccontare.

Anche nelle giornate più uggiose, come questa, ci sono sempre cose da raccontare, prima di tutto guardandosi intorno. Per strada incontro dei vicini che non vedevo da parecchio tempo, li conosco da trent’anni e su di lui sono visibili le tracce del tempo della pandemia. È invecchiato di colpo, i capelli gli si sono imbiancati e si è come rimpicciolito. Sua moglie ha retto meglio, ci salutiamo e mi viene in mente che lei l’ho vista un paio di mesi fa e mi ha raccontato che le piacerebbe fare un altro grande viaggio in moto verso Nord, prima che sia troppo tardi e che le forze e il desiderio vengano meno.

Ci sono esperienze che, per quanto siamo ferrati avendone letto in decine di libri e visto un mucchio di film, sono talmente forti nella vita di una persona che la teoria non basta. Credo che la prima grande esperienza sia entrare nell’adolescenza, quando scoppiano gli ormoni e ci si sente spaesati in un corpo che non riconosciamo più. Tutto muta e il desiderio e gli innamoramenti sono un pensiero costante, non solo perché siamo stati educati all’amore. È un mandato biologico cui è impossibile sottrarsi. Credo che per le ragazze l’esperienza sia ancora più dura perché ogni mese dovranno fare i conti con il ciclo mestruale e con le possibili conseguenze della fertilità. A proposito, nella Cronaca 447 avevo raccontato della serie televisiva El Sultan, sulla storia di Solimano il Magnifico. Lo guardo ogni tanto su Youtube e ho scoperto un piccolo segreto dell’intelligenza degli algoritmi che governano il mondo. In questa serie TV gravidanze, parti e malori femminili si sprecano, così gli inserti promozionali che mi vengono proposti riguardano integratori, assorbenti e test di gravidanza. Se guardo qualche spezzone su FB, dove metto abbracci e cuoricini soprattutto ai gatti, la pubblicità è relativa a cibo per gatti, lettiere intelligenti, fontanelle, cucce morbidissime. I social presumono di conoscermi e chi sono io per smentirli?

L’altra esperienza fondativa nella vita di una donna è quella della maternità. Un quarto di secolo fa un’amica psicoanalista mi avevo raccontato che le sue pazienti che avevano deciso di diventare madri intorno ai quarant’anni, si erano poi pentite di averlo fatto in tre casi su quattro. L’esperienza speculare è quella della non maternità che è un destino per molte e una scelta per molte altre donne della mia generazione. Scegliere, fino a qualche decennio fa, non era un’opzione contemplata neanche in Occidente. E continua a non esserlo nella maggior parte del mondo. Essere spossessate da se stesse, piombare nella depressione post-partum, che è molto spesso legata agli ormoni impazziti a causa della gravidanza, è un’esperienza che devasta moltissime donne cui non è rimasto altro che essere madri. In quest’epoca di social e di condivisioni impudiche su qualunque aspetto della propria vita, i racconti delle esperienze si moltiplicano e la sofferenza che ne emerge è straziante.

Per quanto riguarda gli uomini, e non sto dicendo niente di nuovo o di straordinario, l’esperienza della paternità ha conseguenze psicologiche ed economiche, ma il loro corpo continua a essere sempre lo stesso.

E poi arriva l’ultima grande esperienza, che è un territorio inesplorato dove sono arrivati i baby boomer in massa. Sto parlando della vecchiaia e, di nuovo, per quanto possiamo esserci preparati leggendo e studiando, non siamo mai davvero pronti.

La divisione tra le generazioni è esplosa con la pandemia e l’invecchiare con grazia è un apprendimento quotidiano cui neanche la vecchiaia dei nonni e dei genitori ci ha preparato. Ma è un tempo della vita che ci dona una ricchezza inaspettata e ci aiuta a dare un senso a tutto quello che è venuto prima. Ma proprio, proprio tutto, a partire dalla relazione con se stessi, dall’amore, dalla famiglia, dal lavoro.

Ma è un tema talmente vasto che non voglio affrontare qui, ci tornerò, perché le riflessioni si accumulano e i nodi da dipanare sono sempre di più.

Adesso è scoppiato un temporale, uno di quei temporali estivi che un tempo scoppiavano solo nella seconda metà di agosto alle nostre latitudini e che da almeno quindici anni sono diventati una consuetudine che guasta il mese più bello dell’anno e ci ruba la luce, le belle serate estive lunghe fino a tardi, dove cenare fuori e passeggiare.

Ma io amo la pioggia, che è una ricchezza immaginativa e anche un’ossessione poetica, quindi saluto questa Cronaca 454 di sabato 5 giugno del secondo anno senza Carnevale, con una poesia e un piccolo rimpianto per la luce che non avrò stasera.

 

 

Le creature irrequiete che preferisco nel mondo

 

 

Crediamo che la pioggia

sappia solo cadere, ma è

un’illusione dovuta al fatto

che noi siamo convinti

di essere verticali. Bisogna

assumere la prospettiva

delle gocce e della terra,

dove la caduta è, a dire

il vero, una dura ascesa

perché la pioggia non conosce

la forza di gravità e crede

di essere forte e di avere

scelto questo movimento.

La pioggia non sa e anch’io

non voglio sapere, così

esco a camminare senza

ombrello e respiro il gelsomino

nella cortina d’acqua e penso

che potrei essere un gatto o

una nuvola, le creature irrequiete

che preferisco nel mondo. Insieme

ai poeti.

lunedì 26 aprile 2021

Cronache dagli anni senza Carnevale/414. Esiste un luogo sulla terra dove poter ritornare?

 


 

Oggi non ho camminato nella città silenziosa e nemmeno nelle terre ai piedi delle Montagne della Nebbia. Ho scritto e letto molto, poi mi sono immersa nel documentario Il mio amico in fondo al mare, in realtà era una femmina di polpo, che ha appena vinto il premio Oscar. La storia è bella e toccante, Craig Foster stava attraversando un profondo momento di crisi esistenziale, quando decide di tornare a Cape Town nella casa di famiglia che dà sulla False Bay e inizia a immergersi ogni giorno in questo paesaggio marino dominato dalla foresta di alghe giganti Kelp. Durante queste immersioni incontra un polpo o piovra, che inizia a seguire nella vita quotidiana e di cui diventa in qualche modo amico, arrivando anche a stabilire un contatto fisico. Ci sono scene di una bellezza assoluta, questo paesaggio sottomarino è un luogo che pochi esseri umani potranno visitare di persona, quel che noi possiamo vedere è una precisa scelta dello sguardo di Craig e degli altri realizzatori del documentario Pippa Ehrlich e James Reed e la loro narrazione. Neanche la natura è davvero naturale, intatta, intoccata, perché dove passa un essere umano, il suo sguardo e la sua narrazione ritagliano e ricostruiscono per condividere con il resto della specie ciò che è stato visto e amato. Tra le tante scene struggenti ne cito solo due: in uno dei primi incontri la piovra, ancora diffidente, si riveste di conchiglie vuote attivando gli otto tentacoli e le duemila ventose, sino a sembrare una roccia ricoperta di gusci; la seconda scena, brevissima, riprende il canto delle megattere che è uno dei suoni più ipnotici che ci sia dato ascoltare.

C’è vita ovunque intorno a noi, malgrado noi esseri umani, e queste vite, i loro habitat naturali sono, come sappiamo da tempo, messi a repentaglio dalle nostre azioni. Ma non voglio entrare in questo ambito di riflessioni e preoccupazioni. Già dopo avere letto Oliver Sacks non sono più riuscita a mangiare il polipo in insalata con le patate o saltato in padella con il pangrattato. Dopo avere visto questo documentario credo che mi sarà impossibile, mi sono interrogata a lungo su questo mio lento avvicinamento a una dieta priva di proteine animali. Forse ciò sta accadendo perché con l’avvicinarsi della vecchiaia sento più intensamente la fragilità del nostro passaggio sulla terra e per questo il desiderio di non nuocere e di avere cura delle creature che incontro.

 

Il venire della sera

 

Esiste un luogo sulla terra? Esiste

in fondo al mare o sulle cime più

alte, dove la mia mano non abbia

fatto solo danni e soprusi? Sì, posso

dire di sì, sui volti delle persone

amate ho lasciato carezze e baci,

le ho sostenute, ho aiutato quella

piccola gatta tanto amata a partorire

i suoi cuccioli. Esistono molti luoghi

sulla terra dove la cura vince sulla

prevaricazione e dove le nostre

parole sono una culla di dolcezza

che accompagna il venire della sera.

 

 

Voglio riguardare questo documentario, restare sott’acqua e ascoltare solo onde e balene. Esiste un luogo dove poter ricordare e tornare a ricordare, questa Cronaca 414 di lunedì 26 aprile del secondo anno senza Carnevale e la sua pagina non più bianca.

venerdì 12 febbraio 2021

Cronache dagli anni senza Carnevale/341: il cielo si è fatto blu scuro e scendono le ombre

 



Il venerdì del villaggio precede il sabato del villaggio, anche se le gioie e le ombre di uno e dell’altro sono per noi contemporanei, le medesime.

Ho un po’ allargato il cerchio delle mie passeggiate oltre le usuali vie del quartiere e ho incontrato una mamma giovane e una bambina piccolissima con i codini, i fiocchi e una maschera a forma di farfalla. Ho incontrato molte persone anziane che camminavano dando l’idea di avere una meta. Pian piano hanno cominciato a uscire anche tutti quelli che finivano di lavorare e si apprestavano a fare la spesa. Il lampione ottuso di ieri è riparato, niente più assembramenti, niente code nei negozi. Ma il niente è un potente tessitore di senso e ci costringe a scegliere i fili con cui vogliamo tessere ogni giornata che avremo.

 

La notte che arriva silenzio dopo silenzio

 

Scelgo il cielo come ordito e

i rami come trama. Scherzo,

lo so, perché è il cielo ad avermi

scelta e io ricambio il suo

respiro con qualche parola

gentile. Arriveremo insieme

al momento in cui scendono

le ombre e se blu sarà questo

volto che tiene la città come

una cicatrice, allora saranno

lacrime i nostri passi e sogno

ogni nostra parola. Sono scese

le ombre della sera e si mischiano

con quelle del giorno che erano

invisibili. Così si fa vasta e

inquieta la nostra notte che

arriva, silenzio dopo silenzio.

 

Quanto mi piace questo momento del venerdì, quando il lavoro è compiuto e le possibilità dei giorni di festa sono ancora infinite. Anche se oggi so già cosà farò e così mi godo l’attesa di momenti che immagino ricchi di senso e di parole.

Questa è, di già, la Cronaca 341, il cui titolo è parafrasi di alcuni versi leopardiani, e oggi è venerdì 12 febbraio del secondo anno senza Carnevale, quando abbiamo imparato a conoscere come la vita sia frutto del caso e di molte ripetizioni. La notte che arriva silenzio dopo silenzio è inedita e l’ho scritta oggi per offrire un dono al mio villaggio e alla mia notte. 

martedì 14 luglio 2020

Cronache dall’anno senza Carnevale/128: dietro il vento, la felicità ha occhi radiosi


Il mirto e la rosa amoreggiano in giardino, me ne sono accorta per caso mentre aspettavo il nuovo messaggero.

Cosa nascerà da questo amore inaspettato? Il mirto ha fiori bianchi, la rosa è rosa. Quale sarà il loro profumo? Nascerà un frutto?

La luce esplode sulle foglie che si sfiorano, non sembra sappiano che li stiamo guardando.

Ma io so perché, l’invisibile li protegge e presto, dolcemente, li porterà in quel luogo dove i nostri occhi mai potranno arrivare.

Solo la poesia potrà rendere visibile ciò che non lo è più o non lo è mai stato.

Il vento si inginocchia per un attimo prima di correre verso il deserto, forse ha raccolto i fiori caduti o, forse, ha chiuso in una piccola bottiglia di vetro chiaro, tutto il profumo che è riuscito a farci stare e che spargerà sulle carovane in transito per inebriare gli amanti e farli cadere in quello stato dove la felicità ha occhi radiosi.



Solo il silenzio ha fiori assoluti

Solo il silenzio ha fiori assoluti,
non mutano colore, sbocciano e
sfioriscono nello stesso giorno,
la luce li ama come le api e
insieme cercano di svelare quel
segreto del nitore di un giorno
dove non ci sono false promesse
a ogni svolta del sentiero. Non
raccogliere il tuo fiore, lascialo
fiorire, eterno e pensoso nella
lingua d’amore che abbiamo
imparato.



Leggo la poesia, vado al cancello e torno. Arriva il messaggero con una nuova cartolina indirizzata alla Casa delle Stelle.


“Se anche verrò domani, non aspettatemi. Sono sciamato via con le mie stelle, devo capire quali verranno con me e quali continueranno la lenta orbita della galassia. Vi penso, ma questo giorno doveva essere mio. Sappiate che il mio nome, benché mi chiamiate il misterioso architetto, non è misterioso, mi chiamo Alexandre, nato in Francia e cresciuto nel deserto. Io e François ci siamo incrociati almeno una volta, lui non ricorda, ma ricorderà”.

La cartolina è una fotografia che mostra come sarà il mosaico della Casa delle Stelle una volta finito.

Il messaggero non si è allontanato, non solo per ascoltare la lettura fatta dal poeta, ma anche per consegnargli un’altra cartolina.

L’immagine è una pianura velata da una nebbia leggera che avvolge anche un pioppeto. Si intuisce l’acqua che dorme nelle marcite, è la pianura che circonda la città silenziosa.

“Ti ho scritto questa cartolina quando attraversavi i campi di grano accecati dalla luce. Sono rimaste intatte quelle spighe, nessuno le ha mietute, nessuno ha cancellato le tracce dei tuoi passi. Da un capo all’altro del tempo io aspetto ogni giorno una nuova poesia”.


Il poeta risponde così come chiesto e cammina leggendo e legge camminando e tutti ascoltiamo.


L’ultima promessa

Al bordo di quale fiume
ho attraversato il sonno dei canneti
con un piede oltre il confine?
Smarriti i limiti
ero platano fra i platani,
una sostanza verde,
una crescita incosciente
ma avevo sogni, figure come sfingi
mi traducevano gli oracoli.

Era l’ultima promessa. Ora
il fiume giace in un bicchiere,
la riva accoglie
creature di fumo
che prima erano respiri.



Il messaggero saluta e dice che tornerà presto. Nella luce calante del tramonto siamo rimasti solo io, il poeta e Alexandre.

Dalla casa qualcuno ci chiama e tutto il giardino si ripiega e posa il capo sotto l’ala della notte che viene.


Solo il silenzio ha fiori assoluti è una mia poesia inedita intorno a cui è nata questa Cronaca 128.

L’ultima promessa è una poesia inedita di Danilo Bramati che fa parte della raccolta omonima che uscirà a breve per Atì editore.

giovedì 2 luglio 2020

Cronache dall’anno senza Carnevale/116: in tutte le notti esiste un’estate


Ci hanno insegnato quando eravamo bambini che sessanta secondi formano un minuto, che sessanta minuti formano un’ora, che ventiquattro ore formano un giorno.

Che agli equinozi di primavera e autunno, la notte e il giorno sono uguali.
Che al solstizio d’inverno appartiene la notte più lunga.
Che al solstizio d’estate appartiene il giorno più lungo.

La logica del tempo l’abbiamo imparata e nel tempo ne abbiamo fatto l’esperienza.

Sappiamo quanto siano belle le mattine d’estate: alzarsi presto, andare al mare quando la spiaggia è vuota, fare il bagno in un’acqua lucente appena smossa dalle onde, guardare le case della baia che si illuminano al passaggio del sole, amare quei colori giallo, arancione e rosso che si alternano al blu, verde e azzurro. Quando finisce la mattina? Sono la luce allo zenit, il richiamo del cibo, la spiaggia affollata a dirci che un’altra mattina si è conclusa. E poi?

Conoscere l’estate è ballare al centro della vita, abbandonarsi alla gioia, respirare l’aria salmastra, cogliere il fico maturo caldo di sole e mangiarlo dopo averlo aperto con le mani, restare in spiaggia sino all’ultimo sprazzo di sole, mangiare tonno e pomodoro, bere aranciata dalla bottiglietta di vetro, mangiare una focaccia con i pomodori, giocare a carte mettendosi al riparo dal vento, giocare a bocce e vincere sempre.

Poi la luce da chiara diventa dorata, il silenzio dei bambini addormentati sotto l’ombrellone ci fa svegliare di colpo, il mare è increspato, è verde scuro e non più trasparente come al mattino. Si corre in acqua per togliersi il sonno dagli occhi, un tuffo, un respiro profondo per allargare i polmoni e le sirene iniziano a cantare proprio mentre le pensavamo nascoste nell’eternità. Non le vediamo ma il canto è chiaro e le parole sconosciute, per chi non conosce il greco antico, si inanellano a fare una ghirlanda che Afrodite indosserà uscendo dall’acqua.

Il terzo tempo di questa giornata estiva inizia con il sole dormiente che ci lascia a malincuore, benché sappia che il ritorno da noi è certo nel mattino dopo e che nell’altro emisfero qualcuno lo sta implorando di apparire. Quando il congedo è ultimato, tutto intorno, il paesaggio, l’acqua, gli oggetti, le persone, sembrano d’argento liquido, in una sfumatura di colore che appartiene solo all’estate e a quest’ora della sera.

Quando la sera indossa il mantello stellato delle grandi occasioni, ecco che è subito notte, notte senza fiato passata a parlare fitto fitto con l’amato sulla sabbia umida, a fare il bagno nella scia argentea della luna che per buona parte del mese se ne sta nascosta e ci permette di guardare le stelle, la lenta rotazione della galassia, l’intuizione della nuvola che non aspetta il mattino per solcare il mondo rovesciato che sta sopra di noi.

Così scopriamo che in tutte le notti esiste un’estate, come se ogni notte, solo un lembo di tempo, avesse ereditato tutte le notti e le stagioni precedenti e ci avesse sussurrato nel buio che niente è rimasto indietro, che tutta la stagione si è contratta nelle poche ore che il buio ha strappato alla luce. Così scegliamo di seguire la mia amica Annalisa Manstretta che è poetessa profonda e raffinata.




Primi passi al buio
(Crana, luglio 2007)


C’era stata la faticosa scoperta

di bestie feroci dentro la luce.
Della crudeltà segreta di un raggio di sole
conoscevo tutti i sintomi, ormai,
e riuscivo a difendermi, mi ero fatta prudente,
dunque mi si era avvicinata la notte.
Come vecchia che vive sui monti,
dissodatrice di terre sassose, esperta dell’orto,
maestra nel far da mangiare con poco,
lavorava, non faceva parola, non voleva nulla.
Finita la sua giornata lasciava lì tutto,
abbandonava l’esito al sole.
La mattina aprivo le finestre
su pertiche di terreno soffice, ricco di nutrienti.

Più ancora vale la notte perché cancella le cose,

e ciò che di te rimane senza più luce,
come radici che crescono dentro il terreno,
come l’ispessirsi della corteccia negli alberi,
si nutre di notte, ingrassa,
ti rende più forte: metallo che vale
non teme ribassi perché non dipende da te.
Lo sai che la mente che viaggia da sola è l’arpia più crudele,
non vede né ombra né sole,
un gallo cieco che canta a tutte le ore del giorno.
E senza difese, con sempre più gioia,
abbracciavo la notte. Crescevo.
Mille qualità nasconde la notte
e una di queste è il silenzio.
È semplice e onesto: ovunque cominci
va sempre in un senso, l’altezza.
Ma il buio gira attorno, si inclina,
si allarga, pesa e nasconde.
E non dimori più nella certezza del tuo profilo,
davanti a te l’arpia del buio
ti mangia lo spazio tranquillo del sonno
che unisce il corpo alla mente, la placa.
Girevole il buio è ruotato
sei finita in un’altra delle sue stanze,
senza vecchie. E vengono sempre più avanti.

Quella notte non era già verso l’alba,

non presero il via i canti degli uccelli,
piuttosto, con fredda lentezza, scavavano dentro di te.
Scavavano adagio, con ordine,
e non si turbava il silenzio,
in fondo, non senti nemmeno dolore
e fresche e profumate rimangono le lenzuola,
la nuca si appoggia nel sonno.
Il corpo rimane tranquillo: risponde a un’atavica vita
che tu non puoi in alcun modo soccorrere.
Da solo ci riesce, resiste,
e spunta gli artigli anche al buio.
Ma tu resti inerme, svuotata da unghie, da becchi,
e dentro le tenebre aspetti.

In tutte le notti esiste un’estate,

esiste un inverno, vi sfrecciano raggi incidenti,
si allunga la meridiana del corpo
che sente il girarsi del buio
e scivola non si sa dove,
non è salvata dal muro.
E quando la notte incide la terra
con raggi che piovono dritti dall'alto,
c’è un moto aggressivo del buio,
un sovrappiù di energia si scarica sui teneri corpi nel sonno.
Così succede alle cose
che quando arrivano al culmine si fanno crudeli.

Il corpo fa come la terra: assorbe e riposa

e nel suo riposo lavora, ripara lo scempio dei becchi.
E dentro le tenebre aspetti.




Una notte fatta di notti e di estati. Un’estate fatta di estati, giorni e notti.
La ripetizione consolida il legame, come per azione, gesto e pensiero umano.
Una nuova estate non è mai solo se stessa ma la somma di tutte le estati che l’hanno preceduta, l’annuncio delle estati che verranno.

Anche questo secondo giorno di luglio si ripiega e sceglie l’angolo di memoria dove andare a riporsi. Tornerà non sappiamo quando, sarà un guizzo di luce, sarà un profumo improvviso di salsedine e anguria, sarà il tuo profumo che mi sfugge e torna.

A memoria, par coeur, come si dice in francese.
La memoria sta nel cuore, non nel cervello, non nella mente.
Per questo quando ci ricordiamo l’uno dell’altro siamo tinti di rosso, il colore del sangue e del vino, del tramonto e della rosa.



La poesia di questa Cronaca 116 è di Annalisa Manstretta, tratta da Il sole visto di latoAtì editore 2012.