Visualizzazione post con etichetta Adam Zagajewski. Mostra tutti i post
Visualizzazione post con etichetta Adam Zagajewski. Mostra tutti i post

martedì 24 maggio 2022

Cronache dagli anni senza Carnevale/807. E se Eraclito e Parmenide avessero ragione contemporaneamente

 


Tornare in un martedì ricco di commissioni e lavoro a uno dei miei libri di poesia preferiti di Adam Zagajewski, Dalla vita degli oggetti:

 

Lava

 

E se Eraclito e Parmenide

avessero ragione contemporaneamente

e due mondi esistessero affiancati

uno tranquillo, l’altro folle; una freccia

scocca immemore, e l’altra indulgente

la osserva; lo stesso flutto si frange e non si frange,

gli animali nascono e muoiono nello stesso istante,

le foglie di betulla giocano con il vento e al contempo

si struggono in una crudele fiamma rugginosa.

La lava uccide e serba, il cuore batte e viene colpito,

c’era la guerra, la guerra non c’era,

gli ebrei sono morti, vivono gli ebrei, le città bruciarono,

le città rimangono, l’amore avvizzisce, il bacio è eterno,

le ali dello sparviero devono essere brune,

tu sei sempre con me, anche se non ci siamo più,

le navi affondano, la sabbia canta e le nuvole

vagano come veli nuziali sfilacciati.

Tutto è perduto. Tanto incanto. I colli

reggono cauti lunghi stendardi boscosi,

il muschio sale sul campanile di pietra della chiesa

e con labbra minute timidamente loda il Settentrione.

Al crepuscolo i gelsomini brillano come lampade

folli stordite dalla propria luce.

Nel museo davanti a una tela scura

si stringono pupille feline. Tutto è finito.

I cavalieri galoppano su cavalli neri, il tiranno scrive

una sgrammaticata condanna a morte.

La giovinezza si dissolve nell’arco

di un giorno, i volti delle fanciulle si fanno

medaglioni, la disperazione volge in estasi

e i duri frutti delle stelle crescono nel cielo

come grappoli d ’uva e la bellezza dura, tremula, immota

e Dio c’è e muore, la notte torna a noi

sul fare della sera, e l’alba è brizzolata di rugiada.

 

 

I versi di questa magnifica poesia sono tutti pronti per diventare titoli delle nuove Cronache o di future poesie apocrife. Vedrò nei prossimi giorni cosa accadrà. Oggi è martedì 24 maggio del terzo anno senza Carnevale e del primo anno di guerra e questa Cronaca 807 ha scelto di essere euclidea e credo abbia ragione.

lunedì 23 maggio 2022

Cronache dagli anni senza Carnevale/806. Come se non fossimo dotati dell’orecchio assoluto per il silenzio

 

 


Dato che il lunedì è sempre lunedì, mi abbevero alla fontana dell’amarezza indolente di noi fortunati abitanti occidentali e vado a pescare tra le poesie di Adam Zagajewski e ne scelgo una tratta da Prova a cantare il mondo storpiato (Interlinea, 2019), a cura di V. Parisi:

 

 

In prima persona plurale

 

A Julian Kornhauser

 

Indossiamo parole usate, enfasi e disperazione

corrose dalle labbra altrui,

camminiamo sulle botole dell’altrui spavento,

in un’enciclopedia scopriamo la vecchiaia,

di sera fingiamo che sia scoppiata la guerra,

conversiamo con Baczyński,

facciamo in fretta i bagagli,

ci ricordiamo dei poeti d’un tempo,

andiamo in stazione, condanniamo il fascismo,

e poi trionfalmente,

in uno scompartimento di prima classe,

in prima persona plurale,

diamo voce a tutta la nostra perspicacia,

come se non fossimo dotati

dell’orecchio assoluto per il silenzio.

 

 

 

Questa poesia mi ravviva il senso di impotenza e frustrazione per la guerra che non solo non finisce, ma si è come fermata in un tempo sospeso segnato dal battito moribondo dei siti d’informazione che hanno raffreddato l’enfasi guerresca di questi primi tre mesi di guerra. Così, forse è davvero meglio esercitare l’orecchio assoluto per il silenzio che ai poeti non può certo mancare. Oggi è lunedì 23 maggio del terzo anno senza Carnevale e del primo anno di guerra e questa Cronaca 806 si tace con me per andare a dormire. 

domenica 27 marzo 2022

Cronache dagli anni senza Carnevale/749. Nato nella città dei ciliegi selvatici e dei girasoli dai duri semi

 

 


 

La domenica è il giorno del riposo e della quiete, vecchie riviste sfilano sul tavolo, si offrono ai miei occhi e poi si avviano meste, quasi tutte, verso il sacco della carta. Non sono poi molte le riviste che continuo a leggere in cartaceo, una è Internazionale, che leggo dal primo numero, cui sono abbonata e che insisto a leggere sulla carta e che poi regalo ai miei nipoti. È una delle riviste più interessanti i circolazione a mio avviso, anche se l’effetto che mi fa, settimana dopo settimana è quello di aumentare i miei livelli di angoscia cosmica. Il tempo delle riviste passa abbastanza veloce, poi decido di rileggere un libro di poesia e scelgo di nuovo lui, l’adorato e compianto Adam Zagajewski, nato a Leopoli in Ucraina nel 1945 e morto a Cracovia nel 2021. La sua famiglia fu costretta a trasferirsi in Polonia a causa delle politiche di trasferimento forzato decise dalle autorità sovietiche alla fine della Seconda Guerra Mondiale. Questa poesia è tratta dalla raccolta Dalla vita degli oggetti, a cura di Krystyna Jaworska, Adelphi 2012.

 

 

Presenza

 

Sono nato nella città dei ciliegi selvatici 

e dei girasoli dai duri semi 

(a metà strada fra l’Occidente e l’Oriente, 

come si soleva credere allora; globi 

verderame vigilavano sbadati sulle case).

Solo l’assenza può essere perfetta?

La presenza è infatti contagiata dal peccato 

originale dell’esistere - dall’eccesso, da un selvaggio 

orgoglio orientale, mentre il bello, come un coltellino 

da frutta, si accontenta di un ritaglio di pienezza.

La vita si accumula nelle peschiere 

delle generazioni e non svanisce del tutto 

quando queste scompaiono, 

ma diventa secca e leggera, ricorda 

una preghiera distratta, le labbra screpolate 

di un ragazzo che si confessa per la prima volta 

e sente il legno del confessionale 

scricchiolare sotto le ginocchia.

A sera giunge l’autunno e porta via 

le messi, gialle, mature per la fiamma.

So che le realtà sono almeno quattro, 

e non già una, e si compenetrano 

a vicenda, come i Vangeli.

So di essere solo e al tempo stesso unito 

a te, per sempre, nel dolore e nella gioia. 

So che immortali sono solo i misteri.

 

 

 

Questa poesia racchiude il senso di questa domenica 27 marzo del terzo anno senza Carnevale e del primo anno di guerra e questa Cronaca 749 sogna la città dei ciliegi selvatici e dei girasoli dai duri semi.

martedì 23 marzo 2021

Cronache dagli anni senza Carnevale/380. Dacci la meraviglia e una fiamma, alta, chiara

 



E così ha lasciato questa realtà anche uno dei suoi più grandi cantori, il poeta Adam Zagajewski, dopo Jaccottet scompare uno dei grandi poeti, uno dei più importanti nella mia vita da lettrice.

 

Una poesia e una foglia

 

Come foglie d’autunno anche

i poeti, è sempre la stagione che

sceglie il momento, non il desiderio.

Un poeta è solo una foglia che ha

sentito il ramo e la radice con la stessa

intensità. E più felice si è abbandonato

alla caduta. Non sentite come nel vento

stormiscono le foglie, anche se la stagione

non è ancora arrivata?

 

 

Ecco che ho poche parole stasera, ho parlato a lungo delle scrittrici Irène Némirovsky e Agota Kristof per l’ultimo incontro con l’Associazione Apriti Cielo e adesso ho bisogno di stare nelle parole e di non scrivere altro.

 

La fiamma

 Signore Iddio, dacci un lungo inverno,

una musica sommessa, labbra pazienti,

e un po’ d’orgoglio - prima

che finisca il nostro tempo.

Dacci la meraviglia

e una fiamma, alta, chiara.

 

Ho chiuso questa Cronaca 380 di martedì 23 marzo del secondo anno senza Carnevale con una poesia di Adam Zagajewski tratta dalla raccolta Dalla vita degli oggetti, a cura di Krystyna Jaworska, Adelphi 2012. Una poesia e una foglia l’ho scritta in memoria di Zagajewski e Jaccottet.

martedì 18 agosto 2020

Cronache dall’anno senza Carnevale/163: quando i pioppi e le case si dissolvono come cumuli in un cielo sereno

 

Dove la stagione ha raggiunto il culmine, là si ferma il poeta non ancora pago di tutte le delizie. Continua a esplorare con lo sguardo tutto quel che c’è intorno e quando scrive, scopre con lo stesso stupore della prima volta, che quel che sta cantando è molto di più della visione originaria.

  

Piena estate

 

In estate, su un fiume di montagna, dove profuma il

salice delicato

e farfalle purpuree, onuste di bellezza, la vanessa e il

macaone,

compiono il loro ultimo volo sull’acqua lucente,

sull’ontano lucente e sul mondo lucente; quando l’aria

è così colma di olio essenziale che puoi versarla

nei bicchieri sentendo sotto le dita il suo convesso

menisco,

in agosto, quando arde la resina al di là dei ramoscelli

dei pini e le pigne

crepitano come se fossero già lambite dalle lingue del

fuoco eterno,

e il mare proprio azzurro si culla in basso dolcemente

come un vincitore, come un sovrano che ha sconfitto i

persiani e tutti

i suoi yacht gli si inchinano lievi a ogni moto dell’onda,

e i nuotatori immersi in un diafano lenzuolo

con infinita lentezza si spostano lungo linee invisibili,

lungo i bianchi fili che legano ogni sostanza,

e s’ode il mormorio grandioso delle creature infine

appagate,

quando pare che persino gli insetti debbano avere il

proprio Dioniso,

in agosto, quando all’improvviso tace il fragore

dell’Europa

si fermano le fabbriche, e i turisti ridono rumorosi

sulle spiagge del Mar Ligure, basta avanzare di pochi

passi,

andare dietro le quinte - e là, nella penombra di un fitto

bosco, si celano forse

le ombre di coloro che vissero poco, nell’angoscia e

disperati, ombre

dei nostri fratelli, delle nostre sorelle, le ombre di Kolyma

e di Ravensbrück,

poveri angeli di una nera redenzione, e avidi ci guardano.

 

Sono tornata nella mia città e ho scoperto che il nitore dell’aria estiva l’ha abbandonata e la luce ora è oro filato che muta anche il colore delle foglie che hanno iniziato a piegarsi su se stesse e seguendo misteriose indicazioni, danzano l’ultima danza con il vento tranquillo che si è staccato dalle montagne. Le strade ne sono ricoperte e non ci sono abbastanza passi umani a distruggere il tappeto rumoroso che era una coorte verde e allegra in cima agli alberi, solo una settimana fa.

Quando torno so che il poeta si sta preparando al nuovo viaggio e io andrò con lui per potergli parlare ancora un po’ e per ritrovare gli abitanti della casa delle parole che si erano fermati a Colorno con Borges e Yourcenar.

Il commiato di Adam è una poesia che ha ormai un quarto di secolo, è del giugno 1995, e ci rivela se non chi lui sia adesso, un poeta che verrà incoronato, ne sono certa, con il premio Nobel per la letteratura, ci dice chi è stato, qual era il suo sguardo e quali le visioni.

 

 Autoritratto

 

Tra computer, matita e macchina da scrivere passa

metà della mia giornata. Col tempo farà mezzo secolo.

Abito in città straniere e talvolta parlo

con sconosciuti di cose indifferenti.

Ascolto molta musica: Bach, Mahler, Šostakovič, Chopin.

Vi trovo tre elementi, forza, debolezza, dolore.

Il quarto non ha nome.

Leggo i poeti, i vivi e i morti, da loro apprendo

costanza, fede e orgoglio. Cerco di capire

i grandi filosofi - ma di solito riesco

ad afferrare solo brandelli dei loro preziosi pensieri.

Amo fare lunghe passeggiate per le strade di Parigi

e guardare i miei simili, animati dalla gelosia,

dalla brama o dall’ira, osservare la moneta d’argento

che passa di mano in mano e lentamente perde

la sua forma rotonda (si usura il profilo dell’imperatore).

Accanto crescono gli alberi, e nulla esprimono,

a parte la verde, indifferente perfezione.

Sui campi volteggiano uccelli neri

che attendono pazienti come vedove spagnole.

Non sono più giovane, ma c’è ancora chi è più vecchio

di me.

Amo il sonno profondo, quando non ci sono,

la corsa veloce in bicicletta per la campagna, quando i

pioppi

e le case si dissolvono come cumuli in un cielo sereno.

Talvolta mi parlano i quadri nei musei

e allora l’ironia svanisce all’improvviso.

Adoro osservare il volto di mia moglie.

Ogni domenica telefono a mio padre.

Ogni due settimane incontro gli amici,

in questo modo restiamo fedeli gli uni agli altri.

Il mio paese si è liberato da un male. Vorrei

che a ciò seguisse ancora un’altra liberazione.

Potrei in ciò essere d’aiuto? Non so.

Non sono un vero figlio del mare,

come scrisse di sé Antonio Machado,

ma figlio dell’aria, della menta e del violoncello

e non tutte le strade del mondo alto

incrociano i sentieri della vita che, per ora,

mi appartiene.

 

 

Per quest’ultima sera intrisa della sua poesia e della sua presenza, la tavola è imbandita, l’aria profuma di basilico e pomodori appena raccolti, i lupi corrono in giardino e dal fondo del sentiero vedo che stanno arrivando il sapiente guerriero e il misterioso architetto. E dietro di loro ci sono il re e la regina, le due sacerdotesse e il poeta David. Sono tornati tutti per questa festa, per quest’ora che è dolce e triste allo stesso tempo.

Venite, la tavola è imbandita, sediamoci tutti e fermiamo il tempo della prima estate degli anni senza Carnevale.

 

Questa Cronaca 163 nasce il giorno di Santa Elena imperatrice, diciottesimo del mese di agosto dell’anno senza Carnevale.

Le poesie di Adam Zagajewski, Dalla vita degli oggetti, a cura di Krystyna Jaworska, Adelphi 2012.

lunedì 17 agosto 2020

Cronache dall’anno senza Carnevale/162: dacci la meraviglia e una fiamma, alta, chiara

 

Così mescoliamo le ore e i giorni, solo per il piacere di ascoltare ancora il poeta Adam, la nostra vita di questo agosto sarà un impasto di quello che abbiamo letto e ascoltato con quello che lui ha vissuto e scritto.

È questa la magia della scrittura, l’incanto dei libri, noi non saremo mai davvero soltanto noi, saremo molti altri e la memoria ci renderà intatte albe che non abbiamo visto, baci che non abbiamo dato, valzer che non abbiamo danzato, che crediamo di non avere danzato.


Valzer

 

Sono così sgargianti i giorni, così chiari,

che la polvere bianca della disattenzione

copre persino le rare esili palme.

Le serpi scivolano silenziose nelle vigne,

ma alla sera il mare si fa cupo e i gabbiani

sospesi nell’aria si muovono appena,

punteggiatura di un più alto scritto.

Sulle tue labbra una goccia di vino.

Le montagne calcaree all’orizzonte si dissolvono

lente mentre una stella appare.

La notte, in piazza, un’orchestra di marinai

in uniformi bianche immacolate

suona un valzer di Šostakovič; piangono

i bimbi, come se intuissero

di cosa parla quella musica allegra.

Siamo stati rinchiusi nella scatola del mondo.

L’amore ci renderà liberi, il tempo ci ucciderà.

 

 

Anche i libri, come l’amore, ci rendono liberi e quando li rileggiamo non sentiamo il piacere della scoperta, ma della riscoperta. Ogni rilettura è un ritorno in un luogo dove siamo già stati, un piacere che si rinnova anche quando raccontiamo cosa abbiamo letto, il mondo che abbiamo visto, soprattutto il mondo che abbiamo visto.


Vedere

 

Mia città muta, città ambrata e d’oro,

sepolta in forre dove i lupi correvano

in silenzio lungo un freddo meridiano;

se ti dovessi raccontare, città

assopita sotto un cumulo di foglie morte,

se dovessi descrivere la pelle dell’oceano

su cui le navi tracciano lunghe scie di versi luminosi

e gli yacht come pavoni ostentano le loro alte vele,

e il Mediterraneo, assorto in un rapimento salino,

e le città dalle torri aguzze che brillano

nel sole intenso del mattino,

e la forza selvaggia degli aerei che forano le nubi,

l’eterno disprezzo dei burocrati per noi, gente comune,

le viuzze dell’Umbria, cisterna

in cui è fermo il vecchio tempo che sa di vino dolce,

e una certa collina dove cresce

l’albero più quieto;

Parigi grigia, attraversata dal fiume del perdono,

Cracovia di domenica, quando persino le foglie dei

castagni

paiono stirate da un ferro invisibile,

i vigneti in cui fanno incursioni l’avido autunno

e le autostrade piene di sgomento;

se dovessi descrivere la solennità della notte

in cui ciò avvenne,

e il fragore del treno che avanzava verso il nulla,

e il barbaglio della lama d’acciaio su una pista

di ghiaccio improvvisata;

scrivo viaggiando - perché volevo vedere,

e non solo sapere - vedere chiaramente

incendi e scorci di quell’unico mondo,

e tu, città immobile, pietrificata,

i miei fratelli nella piatta sabbia; su voi la terra continua a ruotare

e avanzano le legioni romane,

la volpe artica tende l’orecchio al vento

nel deserto bianco dove i suoni svaniscono.

 

 

 

Ogni città visitata diventa una città interiore, Parigi mi si confonde con quella che ho visto, con quella che ho scritto e con quella che ho letto e non avrei mai immaginato la Senna come il fiume del perdono perché Celan ci si è annegato.

Parliamo, parliamo ancora a lungo, il cielo è coperto, l’aria solo un po’ più fresca, da dove arriva tutto il calore delle nostre discussioni?

Dopo la giornata di ieri trascorsa tra me e me stessa, dopo i lunghi mesi di lontananza non è facile ricominciare a stare vicini. Sappiamo che la stagione ha iniziato il suo declino, lasciamo che lo sguardo si impadronisca del mondo intorno e ascoltiamo il poeta che tra pochi giorni partirà per Colorno, là dove si può accedere all’infinita Biblioteca di Babele.

Adam apre il suo libro e legge le ultime parole di questa giornata che chiude in argento e buio e nei nostri pensieri silenziosi.

 

 

La fiamma

 

Signore Iddio, dacci un lungo inverno,

una musica sommessa, labbra pazienti,

e un po’ d’orgoglio - prima

che finisca il nostro tempo.

Dacci la meraviglia

e una fiamma, alta, chiara.

 

 

Questa Cronaca 162 nasce nel diciassettesimo giorno del mese di agosto dell'anno senza Carnevale.

Le poesie di Adam Zagajewski, Dalla vita degli oggetti, a cura di Krystyna Jaworska, Adelphi 2012.

domenica 16 agosto 2020

Cronache dall’anno senza Carnevale/161: la solitudine e l’infinita pazienza della luce



Torno nella città più che mai silenziosa, mi accade sempre che dopo giornate affollate di amore, amicizia, conversazioni brillanti, buon cibo, paesaggi indimenticabili, io debba ritornare nella mia cella monacale a rimettere insieme il sentimento della solitudine profonda che mi appartiene. Porto con me solo le poesie di Adam che vado seminando in queste Cronache da qualche giorno.

 

 

I tigli

Quanta dolcezza – 

la città è sotto anestesia;
il ragazzo scarno che quasi 
non occupa spazio sulla terra, e il cane, 
e io, soldato in una guerra invisibile, 
e il fiume che amo. 
Fioriscono i tigli.

 

I fiumi della mia città sono interrati, respirano solo due corsi d’acqua che chiamiamo Navigli e il verde fluire delle acque tra due ali di antiche case, ha sempre su di me un effetto ipnotico, soprattutto mi riporta agli anni lontani dell’infanzia dove camminavo mano nella mano con i miei genitori o con mio nonno materno.

 

Tutta la città d’agosto può essere una cella monacale e il silenzio strattonato dal vento, un coro di lodi che si alzano verso il cielo.

 

Continuo la mia conversazione con il poeta Adam, rileggendo le sue poesie trovo questa:

 

Storia della solitudine

 

Si smorzano le voci degli uccelli.

La luna si mette in posa per la foto.

Luccicano le umide guance delle vie.

Il vento porta il profumo di campi verdi.

Lontano, in alto, un piccolo aeroplano

gioca come un delfino.

 

 

Allora capisco che la solitudine ha la forma geometrica della mia cella monacale. Che la tristezza d’acqua mi prende se indugio e cerco di evitare gli angoli. Che la cella ha la forma perfetta di un cubo dove su ogni lato sono impresse le immagini di questa poesia:

 

 

Una poesia scomposta e ricomposta

 

uccelli e voci

luna e fotografia

vie e umide guance

vento e campi verdi

alto e aeroplano

cielo, mare e delfino

questa poesia è una

forma geometrica a

tre dimensioni, mentre

il cuore che batte, conosce

solo l’attesa.

 

 

Così scopro le risonanze tra la sua e la mia solitudine, quello stesso bisogno di essere vicini nello stare lontani.

 

Solitudine, di quale materia ti abbiamo fatto?

 

Si fa cupo il giorno nella solitudine,

benché sia iniziato nel nitore di

un’alba inaspettata. Quante ore

hai dovuto contare anche prima

che la porta si aprisse e una voce

cara ti chiamasse per nome?

La solitudine ha tessuto l’assenza

con i sogni. Di questa materia

sono fatti i poeti e i bambini, di

silenzio si sono nutriti e parlano,

parlano ancora, da un lato all’altro

del tempo che è stato, di quello

che sarà.

 

 

Adesso che sono qui, con il suo libro tra le mani mi chiedo quale sarà il modo più consono per scegliere di cosa scrivere, leggo di nuovo una sua poesia.

 


Lettera da un lettore

 

Troppo sulla morte, sulle ombre.

Scrivi della vita,

di una giornata normale,

del desiderio di armonia.

 

Il campanello della scuola

può essere modello

di moderazione,

persino di erudizione.

Troppo sulla morte,

un eccesso

di nero incanto.

 

Guarda,

popoli ammassati

in stadi stretti

cantano inni d’odio.

C’è troppa musica,

troppo poca concordia, pace,

saggezza.

 

Scrivi degli attimi in cui le passerelle dell’amicizia

paiono più durature

della disperazione.

 

Scrivi dell’amore,

delle lunghe serate,

delle albe,

degli alberi,

dell’infinita pazienza della luce.

 

 

Conosco questa infinita pazienza della luce. È anche la pazienza della solitudine. È anche la pazienza del silenzio.

 

 

La forma di questo silenzio

 

Le porte e le finestre della mia

cella sono serrate in attesa che

arrivi il nuovo temporale.

Taci – mi dico, e ascolta

le voci del mondo, taci

e non guardarti indietro,

come se avessi scelta,

come se quelle ore di

silenzio e attesa fossero

state la forma di questo

silenzio e delle voci non

mie che mi abitano il cuore.

 

 

Ora posso stare qui, seduta alla mia scrivania, la finestra alle spalle, i libri accanto, un ritorno che mi chiama e nessuna voglia di andare. Ti scelgo, mia solitudine e ti accompagno in questa pagina dove potrai regnare, ape regina di ogni invisibile.

  

Questa Cronaca 161 nasce in un’ombrosa giornata estiva, nel sedicesimo giorno del mese di agosto dell’anno senza Carnevale.

 

Le poesie I tigli, Storia della solitudine e Lettera di un lettore, sono di Adam Zagajewski, Dalla vita degli oggetti, a cura di Krystyna Jaworska, Adelphi 2012.

Le poesie Una poesia scomposta e ricomposta, Solitudine, di quale materia ti abbiamo fatto? La forma di questo silenzio, sono miei inediti scritti per questa Cronaca.