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venerdì 21 marzo 2014

Gli scrittori hanno una strana capacità di entrare nella vita degli altri

Quando è venuta (in Italia) l’ultima volta?
«Un paio di anni fa. Adesso non posso più affrontare viaggi lunghi. Ma ho visto il mondo, e le persone. E si può viaggiare anche leggendo, sia nello spazio che nel tempo. È questa la meraviglia della lettura: consente un’esperienza del mondo e di molte, molte vite. Ci informa: i romanzi e la poesia ci fanno conoscere lo spirito umano».

La meraviglia di cui parla ha bisogno di essere vissuta da chi scrive? O è sempre possibile, come a Jane Austen, descrivere perfettamente l’animo altrui pur con una conoscenza relativamente limitata del mondo?
«Certo, una qualche esperienza ci deve essere. Ma poi noi scrittori abbiamo
una strana capacità di entrare nella vita degli altri. Una capacità empatica.
È una dote che abbiamo in maggior misura di altri, di chi non è scrittore.
Qualcosa che non so spiegare. Sappiamo avventurarci in terreni sconosciuti.
Come nel mio ultimo romanzo, Ora o mai più, pubblicato due anni fa — un
titolo che voleva significare che ogni tempo è unico — , cerchiamo di fare
uso della nostra capacità di penetrare la distanza. Di raggiungere universi
che stanno oltre il mondo di cui disponiamo. Attraverso la lettura riusciamo a sapere di più, a trovare il senso da dare alla nostra vita».

frammenti dell'intervista pubblicata su Repubblica il 20 marzo 2014 di Pietro Veronese a Nadine Gordimer in occasione dell'uscita della raccolta 

Racconti di una vita
traduzione di Grazia Gatti
Feltrinelli 2014

venerdì 18 gennaio 2013

I libri per me fecondi

Ricordo che non lessi Il mare non bagna Napoli ma lo bevvi, lo assorbii. Ne rimasi incantata. A turbarmi era una sensazione strana, nuova: la chiamerei di fecondità.
Cosa intendo? Intendo il racconto di una vita profondamente sentita. Intendo uno spessore e un risalto dato agli eventi, anche minimi, quasi fossero attraversati da un significato che non si vede perché scorre sotto, molto sotto, come una vena d'acqua. Intendo l'immediatezza delle parole che sgorgano dal centro degli affetti, senza trascurare il Logos, com'è abitudine diffusa, senza espellere gli opposti. La prosa si dispone così attorno a chi legge, come un grembo denso, amorevole, non come un edificio. Mi viene da dire che la prosa è stata composta non innalzata, come le opere di certi grandi romanzieri.

Dunque, per molti anni, la parola "fecondità" io l'associai alla scrittura della Ortese, come un'etichetta. Il mare non bagna Napoli fu il primo esempio. Poi a poco a poco la serie dei libri, per me fecondi, si ampliò e contenne molti esempi; le poesie di Emily Dickinson e di Christina Rossetti, i racconti di Carson Mc Cullers, i romanzi di Anna Banti, di Madame de Lafayette, di Jane Austen.
Poiché ero in cerca della mia identità - io credo che identità poetica e identità reale debbano procedere di pari passo e versarsi in un unicum che è vita e forma - entravo in quelle letture, come in intimi luoghi dove mi raccoglievo quasi fosse un convento. E mi riconoscevo. Sì, perché lì, in quei recinti, incontravo il linguaggio a me affine: quello che scaturiva dalle mie stesse esperienze, formava le mie stesse similitudini, s'intesseva di pensieri non troppo lineari, bensì permeati di commozione. Era il linguaggio della mia peculiarità femminile.

Grazia Livi
Narrare è un destino
La Tartaruga edizioni 2002