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martedì 31 dicembre 2024

forse son queste cose la poesia

 IL SUD

Da un tuo cortile aver guardato
le antiche stelle,
dalla panchina in ombra aver guardato
quelle luci disperse
che non so ancora chiamare per nome
né ordinare in costellazioni,
aver sentito il cerchio d’acqua
nel segreto pozzo,
l’odore del gelsomino e della madreselva,
il silenzioso uccello addormentato,
la volta dell’androne, l’umido
– forse son queste cose la poesia.

Jorge Luis Borges
Fervore di Buenos Aires
Adelphi, 2010
(Traduzione di Tommaso Scarano)

mercoledì 8 novembre 2023

La pace delle cose selvagge

 La pace delle cose selvagge


Quando mi sale la disperazione del mondo

e mi sveglio di notte al minimo rumore

per paura di come sarà la vita mia e dei miei figli,

vado a sdraiarmi dove il germano silvestre

si posa splendido sull’acqua e il grande airone mangia.

Entro nella pace delle cose selvatiche

che non si affliggono la vita con presagi    

di dolore. Entro al cospetto dell'acqua calma.

E sento sopra di me le stelle cieche di giorno

in attesa con la loro luce Per un po'

riposo nella grazia del mondo e sono libero.


Wendell Berry

Perché l'amore tocchi terra

traduzione e cura di Riccardo Duranti

fotografie di Alessandro Ciaffoni

Lindau 2022



The Peace of Wild Things


When despair for the world grows in me

and I wake in the night at the least sound

in fear of what my life and my children’s lives may be,

I go and lie down where the wood drake

rests in his beauty on the water, and the great heron feeds.

I come into the peace of wild things

who do not tax their lives with forethought

of grief. I come into the presence of still water.

And I feel above me the day-blind stars

waiting with their light. For a time

I rest in the grace of the world, and am free.

venerdì 29 aprile 2022

Cronache dagli anni senza Carnevale/782. Felice come una rana seduta sulla sua foglia di ninfea

 


Giornata lieve e piacevole, molto lavoro come sempre, ma anche piacevole compagnia, buon cibo e chiacchiere e poi una lunga passeggiata per tornare a casa, prima in tram e poi a piedi. L’aria è cambiata bruscamente perché dal tepore primaverile siamo passati allo strano freschetto causato dal vento gelido che ogni tanto spira a folate. La parte di viaggio che ho fatto in tram, invece, è stata perfetta perché non c’era quasi nessuno e ho attraversato lunghe vie fiancheggiate da alberi maestosi e antichi, soprattutto platani e ippocastani. Andare in tram e in treno ha sempre un effetto particolare sulla mia mente perché mi predispone alla creazione, soprattutto alla creazione poetica. Così mi è venuto in mente il titolo (possibile) della mia nuova raccolta di poesie e poi, nel tram tutto verde, ho immaginato una rana felice seduta sulla sua foglia di ninfea. E sono diventata quella rana felice e ho sentito il rumore lieve dell’acqua, il soffio delicato della brezza e il gracidare sommesso delle altre rane. Era un laghetto in estremo Oriente, ho visto giusto nei giorni scorsi un documentario ambientato in Vietnam, e forse ero proprio laggiù. E tutte queste percezioni e immaginazioni mi hanno regalato un buonumore infinito, una gioia profonda che sta nel mio laghetto interiore con tutte le rane e le ninfee che ci vivono comodamente e placidamente.

 

 

Fino all’oceano dell’immaginazione

 

 

Ora è bianca, ora

rosa e riluce d’acqua,

ondeggia con il vento

e accoglie il riposo

della ranocchia curiosa,

questa ninfea felice.

Io mi accingo a far

loro compagnia, ho

la mia foglia in questo

lago che sfocia in

un fiume che sfocia

nel mare e poi nell’oceano

dell’immaginazione.

 

 

Ecco che posso portare tutta questa bella giornata, i vestiti nuovi verdi e azzurri di Elisabetta, una misteriosa bevanda che sa di cioccolata e cannella anche se è bianca e lattiginosa e chiama alla mente il fiore prezioso dell’orchidea. E anche i libri amati di Grazia Livi, Nicole Krauss, Kate Millet, Connie Palmen e Alison Lurie in questa nuova Cronaca 782 di venerdì 29 aprile del terzo anno senza Carnevale e del primo anno di guerra.

mercoledì 3 novembre 2021

Cronache dagli anni senza Carnevale/605. Con passo di volpe, con voce di lupo, con il respiro di una foresta


 


Ogni giorno bisogna scegliere in che casa vogliamo vivere, scegliere il materiale, il tempo, il luogo. In questa casa nasceranno le storie nuove, in questa casa per un giorno intero potremo sognare, diventare personaggi di un racconto scritto da noi o da altri.

Non avevo ancora deciso, quando la casa d’acqua si è concretizzata intorno a me, muri d’acqua, finestre di pioggia, un tetto d’oceano e un pavimento di fiume.

Acqua, solo acqua tutto intorno, anche l’aria era acqua e così scopro di respirare con le branchie, come un pesce. Intorno a me coralli e stelle marine, la casa d’acqua è una casa di mare e di onde, vedo intorno a me come dal più chiaro dei balconi e chiamo la stella per non pronunciare il tuo nome, chiamo le nuvole per nascondere l’attesa.

L’acqua è già scesa dai cieli sino alla terra e al fiume, si è mescolata, si è evaporata, è risalita, è caduta. Tutto cade, tutto si rialza, la caduta dell’acqua è una cascatella, occupa un’intera parete, scivolo tra un’onda e l’altra, si sta così bene sotto quest’acqua limpida e tiepida. La casa d’acqua durerà sino a quando non mi sarò addormentata, poi al risveglio dovrò iniziare da capo, scegliere un altro elemento, mutare le branchie in radici, sì in radici, domani la casa non sarà solo un albero, ma un intero bosco, mi addormento e sogno di essere un’allodola che sta costruendo un nido. Cado e nel sogno non ci sono né acqua, né alberi, solo un’intenzione vaga di essere in questo mondo e in molti altri.

 

 

Così è la voce dell’amore

 

 

Con passo di volpe arriva

il mio amore, con passo

di neve silenzia il mondo,

con voce d’acqua canta

le stelle, con voce di stella

cade con la neve, così che

la volpe possa tracciare

una nuova pista e un desiderio,

perché non importa la direzione,

non il punto cardinale o il vento,

è importante solo questo sogno,

dove tu sei una volpe e io un lupo,

dove sbagliamo ogni momento,

sbagliamo sino a quando due

ululati all’unisono sprofondano

dai tempi remoti nel tempo e

c’è solo una traccia nella neve,

piume sparse, una porta che

si apre nell’aria, insieme

l’abbiamo già varcata, così

è la voce dell’amore, così

svaniscono gli amanti.

 

 

Vivo nella mia casa d’acqua, invento storie, le scrivo, questo è un buon modo per tenere a bada la nostalgia, per non sprofondare nella tristezza degli oggetti, per tenere segreto il tuo nome, per poterlo sussurrare solo nel tuo orecchio, nel tuo orecchio soltanto.

Oggi è mercoledì 3 novembre del secondo anno senza Carnevale e questa Cronaca 605 se ne sta quieta nella casa d’acqua, in attesa del bosco che immaginerò domani.

sabato 30 ottobre 2021

Cronache dagli anni senza Carnevale/601. Nella parabola dell’azzurro che grida il tuo nome

 

 


 

Scegliere una forma diversa per ogni giorno, concentrarsi, seguirla, non cercarne un’altra. Oggi ho scelto la pioggia, una delle forme dell’acqua che più amo. La pioggia è messaggera delle nuvole e delle stelle, a volte anche degli dèi. È preceduta dal rombo del tuono e come il vento non ha una sua propria voce autonoma, diversa, ma risuona insieme alle cose, agli oggetti che tocca, sfiora o sferza. Oggi sul lago era una pioggia piccola che cantava con il canto sommesso delle onde di acqua dolce, niente a che vedere con quelle del mare salato. Le nuvole erano così tristi all’idea di lasciar andare quelle goccioline, che sono scese sino sulla superficie di acqua ferma in forma di nebbiolina. In fondo, non si distingueva la linea dell’orizzonte, il grigio era uniforme, sembrava di stare camminando all’interno di una bolla privata della luce. Era così tranquilla quella passeggiata, un cammino nel sogno, cercando invano di intravedere le stelle scrutando il cielo.

 

Con la pioggia e il vento chiusi nella mano


Volevo restare ferma, proprio

nell’attimo prima della caduta,

ma guardare la pioggia e dire

il suo nome, no, non si può

farlo insieme, perché si deve

rispettare sempre il doppio

movimento di pensare il cuore

di una rosa e imparare a

sentirne il profumo. La pioggia,

invece, non ha un suo profumo

ma trasporta quello degli amanti,

così, a volte, anche le rose vivono

in quella trappola di sensi amorosi.

A volte mostra una bocca di lupo,

la pioggia, ma non può farci paura,

perché sorride e noi per amore,

crediamo nella sua bontà. Così

papaveri e mandorle diventano

icone di un passato che abbiamo

conosciuto solo attraverso quel

poeta, e nessuno, neanche questa

pioggia, sa dove sta andando.

Sorella del vento, cadi piano, alza

la fronte e non tornare là dove

tutto è iniziato, dove le porte

sono spalancate e non ci sono mai

parole già scritte, ma solo sussurri

che raccolgono conchiglie e rami

secchi nella parabola dell’azzurro

che grida il tuo nome.

 


Quanti echi di poeti sento oggi nella pioggia e nel vento? Quanti desideri e quante intenzioni? Era bellissimo il lago Maggiore, anche sotto la pioggia, anche senza orizzonte. 

Oggi è sabato 30 ottobre del secondo anno senza Carnevale e questa Cronaca 601 si è affidata alle gocce e al vento, li porta chiusi nella mano e aspetta che sia finita la trasformazione.

martedì 19 ottobre 2021

Cronache dagli anni senza Carnevale/590. L’acqua sceglie per noi il cammino da seguire, il giardino da attraversare

 



Osservo e racconto del mare e delle sue onde, osservo e racconto della corrente del fiume. Solo qualche volta vado a passeggiare in riva al lago e osservo la calma superficie delle acque, la luce lattiginosa che sfida la nebbiolina, il sole nascosto dietro una coltre di nubi serrata e compatta. Sotto questo cielo il lago mormora a voce molto bassa le sue storie, storie di pescatori e isole, storie di fughe e giardini. Anche questi luoghi sono in noi come le lontananze e i naufragi marini, come i campi che il fiume disseta e le rive ombrose dove gli amanti si nascondono a riposare. Sulle rive del lago l’acqua arriva quasi addormentata e con la sua voce quieta invita anche noi al riposo. C’è qualcosa di ipnotico nei paesaggi lacustri, qualità del silenzio e della luce che nessun altro luogo del globo terracqueo possiede. Mentre il mare si espande vasto, molto oltre la linea dell’orizzonte, sappiamo che le onde portano ad altre onde, mentre le acque fluviali sfociano in un altro fiume o si lasciano inghiottire dal mare, il lago ha sempre una forma che possiamo percorrere sino a ritornare sui nostri passi. Per questo i filosofi amano questa forma dell’acqua più di tutte le altre, per questo mi avventuro in questi paesaggi dolci che, declivio dopo declivio, ci conducono a spiagge quasi invisibili, a pontili abbandonati, a ville che dormono sogni centenari. L’Italia è ricca di laghi, conosco bene e amo soprattutto quelli del Settentrione, il lago d’Orta e il lago Maggiore in particolare. Ho anche un amore profondo per il lago Lemano, svizzero-francese e ricco delle storie che ho raccontato nel mio secondo romanzo In giornate identiche a nuvole. Ma quante sono le storie che non ho ancora raccontato? Molte e molte di più, così questa sera mi impegno a stilare una lista di queste storie, dei personaggi, dei diversi silenzi e della diversa luce.

 

 

Quando la luce inizia una storia nuova

 

 

Mi immergo nel fiume

e so che non sarò più

la stessa. Mi bagno nel

mare e ascolto il canto

dei coralli nei fondali e

lascio che il mito di

Odisseo si presenti alla

mia bocca e io ne sia

eco e memoria. Mi

lascio scivolare nelle

acque placide del lago

e alla mia voce rispondono

piccoli pesci argentati che

vivono vicino a riva. Nessuna

voce mi cerca, tutti dormono

e aspettano che sia la luce

a decretare l’inizio della storia.

 

 

Chissà in quanto tempo potrò terminare il periplo di queste acque, chissà in quanto tempo la luce avrà filato luce, non per me sola ma per questa passeggiata. Continuo il mio cammino, non temo la strada, attraverso i giardini anche oggi martedì 19 ottobre del secondo anno senza Carnevale e questa Cronaca 590, col dorso argentato, che saetta in queste acque basse e addormentate.

giovedì 27 maggio 2021

Cronache dagli anni senza Carnevale/445. Attraversare la notte con i papaveri negli occhi

 

 



Attraversare la notte è un’impresa che va preparata sera dopo sera. Nessun buio è uguale a un altro buio: il buio può essere inchiostro, carbone, velluto, stella, pupilla, velo. Frammenti di luce passano attraverso e gli danno forma, così che del buio stesso possiamo non avere paura. La notte ha sempre avuto, per me, una connotazione positiva grazie al silenzio e al tempo liberato tutto mio, che potevo utilizzare per leggere, studiare e scrivere. Tutto si fa denso nella notte e trova il giusto spazio per essere declinato. Molto di rado mi capita di non riuscire a lasciarmi andare al sonno e ai sogni, ma quando accade ho imparato a non combattere questa dimensione di veglia che sfida la stanchezza e a declinare liste di cose che mi piacciono.

 

 

Il germoglio del giorno nuovo

 

Mi commuovono molte cose,

le strisce rosse di papaveri

lungo la massicciata della

ferrovia, i nidi nuovi delle

rondini sotto il mio tetto,

l’albero bellissimo ripiegato

su se stesso e il profumo del

gelsomino che nel buio si

estende e sale verso la mie

finestre, l’acqua che zampilla

nella fontana e pare stia

parlando alle rose in fondo

al giardino. Questi sono

i miei compagni notturni,

insieme a loro attraverso

il tempo e sfioro il germoglio

del giorno nuovo che busserà

alla mia porta per chiedermi

permesso.

 

 

La lista delle cose che mi commuovono è molto, molto più lunga, ma la notte è troppo breve per diluirla in una sola poesia come questa della Cronaca 445 di giovedì 27 maggio del secondo anno senza Carnevale.

giovedì 29 aprile 2021

Cronache dagli anni senza Carnevale/417. L’attesa è solo il passato di qualcosa che avremo amato

 


 

Oggi sono ritornata a camminare in riva al fiume. Pioveva, l’acqua era verde e i salici a stento potevano specchiarsi nelle onde scure. Il sambuco si sta preparando a fiorire e il biancospino già si apre sotto questo cielo ricco d’acqua. Cammino, raccolgo foglie e fiori, soprattutto raccolgo impressioni da questo fiume che viene da un tempo ignoto e verso un altro ignoto naviga.

 

Impressioni del giorno a fine aprile

 

Il fiume non ha ponte, perché

il fiume è un ponte tra le terre

alte e il mare che già conosciamo.

Lascio che il salice mi avviluppi

tra i rami, respiro le foglie e

l’acqua verde che non parla e

mi sfiora come se fossi un pesce

che ha scambiato le branchie

con i polmoni. Incerta tra i due

respiri, resto al riparo e aspetto

che uno dei due mondi chiami

il mio nome. Aspetto e solo

il silenzio aspetta con me.

 

 

È vero che silenzio e solitudine parlano la stessa lingua, un alfabeto che dobbiamo apprendere come ogni alfabeto, come ogni lingua. Ma il silenzio e la solitudine sono tali solo in questa forma della realtà, dentro di noi una conversazione ininterrotta con le persone amate e nei sogni ancor di più incontri inaspettati, fuori dal tempo, dove qualcuno ha gridato “Il corpo è una prigione metafisica”, e allora l’essere dove dimora?

Su questa scia di interrogativi, mi sciolgo dall’abbraccio del salice e torno dove il corpo dimora, a volte senza domande, a volte senza risposte.

Oggi è giovedì 29 aprile del secondo anno senza Carnevale, pioggia qui e pioggia in ogni dimensione. Alla pioggia è meglio arrendersi e farsi piccoli, cercare rifugio sotto una foglia e ricordare che l’attesa è solo il passato di qualcosa che avremo amato.

sabato 6 febbraio 2021

Cronache dagli anni senza Carnevale/335: ciò che è stato e ciò che sarà dove il fiume scorre tranquillo



Sapere che tutte le ombre dormono dove la luce si ritira, sapere che la luce dorme per lasciare spazio alle ombre. Sapere che ogni cosa veduta ora vive in me, sapere che non potrò rivedere ogni cosa, né ricordare ogni cosa, perché l’eccesso di memoria porta alla follia. Imparare a dimenticare per poter continuare a vivere e, al contempo, continuare a esercitare la memoria.

Sul confine incerto tra memoria e oblio si susseguono i nostri passi e l’equilibrio è un passo di ballerina che si innalza sulle punte e piroetta.

Vedo le ombre danzare sul muro in fondo al giardino e pallide voci nel vento commentano e commentano quel che io non riesco a vedere.

È una giornata stanca oggi, il cielo è bianco, i rumori attutiti, ma non c’è silenzio neanche quaggiù. Sento vite scorrere tra rabbia e rassegnazione, altre tra paura e indifferenza.

Le nostre vite iniziano come allegri ruscelli in montagna e poi, via via, si mescolano con altre vite, con il mondo, con altre storie.

 

Ciò che è stato e ciò che sarà

 

Guardo il fiume scorrere

tranquillo, riconosco ogni

singolo corso d’acqua che

si è unito, tempo dopo

tempo. Riconosco l’acqua

piovana, più trasparente

dell’acqua sgorgata nella

polla, riconosco il verde

delle alghe e lo separo da

quello degli aghi di pino.

Niente è solo quel che sembra,

nessuno è solo quel che sembra.

Sono provvisorie le nostre

forme, abbiamo vissuto sul

dorso del dinosauro, abbiamo

bevuto l’acqua di Giulio Cesare,

siamo stati il legno della grande

Caravella che ha portato Cristoforo

Colombo a cercare una terra solo

immaginata. Nella neve di San

Pietroburgo abbiamo sentito i

passi di Čechov mentre inseguiva

le immagini della sua dannazione.

Siamo stati inchiostro nella

penna di Borges e siamo stati

il vento delle suole di Rimbaud.

Abbiamo respirato le onde  e

visitato il faro di Virginia Woolf .

E abbiamo cercato la Nuova

Zelanda in Costa Azzurra in

compagnia di Katherine Mansfield.

Tutto questo non è solo un racconto,

è vero ed è reale ed è solo un momento

tra l’istante della creazione e l’occhio di

Dio che accoglierà il nostro riposo.

Così è stato e così sarà, così sia.

 

Basta un minimo movimento a sconvolgere l’ordine delle cose nel tempo. Così torno sui miei passi e vedo le luci della Casa delle Parole accendersi. Ogni anima ha il suo rifugio, ogni sera una coperta e ogni inquietudine un fuoco acceso.

Questa è la Cronaca 335 di sabato 6 febbraio del secondo anno senza Carnevale. La poesia è inedita, scritta per questa Cronaca che sente la pioggia correre nel cielo.

lunedì 1 febbraio 2021

Cronache dagli anni senza Carnevale/330: due donne sedute su sedie d’ombra, una pietra, una foglia

 



L’uomo corre, grida, si addormenta e sogna. La fanciulla è seduta accanto a sua madre, ma sente il grido e fugge, fugge via. Per andare dove? Per seguire quale richiamo tra le parole sconnesse che lui ha pronunciato?

Così arriva sulle rive silenziose la fanciulla che ha compreso il grido, vede l’uomo addormentato e gli si adagia accanto.

 

Il canto della ninfa dormiente

 

Tutti vedranno il nostro sonno e

penseranno che ti ho seguito a

causa di una tua malia. Invece,

invece, mio signore delle pietre,

ho solo riconosciuto il luogo dove

sei andato, perché l’ho visto in

sogno e tu pure eri lì già in sogno

e addormentato. Sembrerà al

mondo che io pure stia dormendo,

ma le tue grida mi hanno svegliata

e portata in quella dimensione che

solo con te potrò esplorare. Tocco

la pietra bianca e sorrido. Lei arriverà

a raccoglierla e ci terrà nelle sue mani

a coppa, come si fa con un uccellino

da proteggere o quando la sete ci

sconvolge a tal punto da avere bisogno

solo di acqua fresca e delle nostre

mani. Dormi ora, dormi fanciulla e

aspetta, ci sarà un risveglio in un

giorno qualunque e insieme tornerete

dalla madre che ancora tesse e fila.

Mentre la pietra raccoglie il vostro

canto e spezza l’attesa con i piccoli

frutti rossi che si palesano sui rami,

come se la primavera fosse solo un altro

sogno da chiamare ad alta voce.

 

Sono tornata in riva al ruscello, oggi pomeriggio, e ho ascoltato la pietra dire la sua nuova storia. Dormono, dormono ancora i due innamorati e la pietra veglierà il loro sonno e io veglierò la pietra. E questa Cronaca veglierà la Poesia e la Poesia sarà la custode, la prescelta, la predestinata.

Non scegliamo la pietra, è la pietra che sceglie noi. Così come non scegliamo le storie, ma sono le storie che accadono a chi saprà raccontarle.

Questa è la Cronaca 330 di lunedì primo febbraio del secondo anno senza Carnevale. Il canto della ninfa dormiente è una poesia inedita che ho ascoltato in riva alle acque smeraldine che mi chiedono di tornare anche domani.

domenica 31 gennaio 2021

Cronache dall’anno senza Carnevale/329: le storie sono sempre le stesse, millennio dopo millennio, ma non sono mai uguali

 


Sono tornata a casa con un ricco bottino stasera: un sasso bianco e una foglia sempreverde di alloro. Quando passeggio nella città silenziosa, nelle vie del mio quartiere, è sempre difficile trovare frammenti di mondo interessanti, ma qui nel giardino ai piedi delle Montagne della Nebbia è talmente facile che scelgo con cura, rinuncio ai pezzi più belli con la promessa di tornare a prenderli durante una nuova passeggiata.

La foglia era ancora attaccata al suo cespuglio, lungo la recinzione occidentale del giardino e l’alloro ha ridacchiato quando ho staccato la foglia.

Il sasso, invece, l’ho trovato sulla riva del ruscello che attraversa il bosco e che, d’estate, è uno dei miei rifugi preferiti. Avevo già parlato numerose volte con il sasso bianco e avevo ascoltato la sapienza antica diffondersi intorno e raccontare vecchie storie a chi si fermava.

 

La pietra bianca e i sognatori

 

Era un uomo non molto

giovane, arrivò correndo e

si tuffò nelle acque verdi

come se le anime dell’inferno

lo stessero inseguendo. Cadde

e non si rialzò, se non dopo

istanti lunghi come le primavere

che lo avevano aspettato. Gridò

quando emerse da quelle acque

e implorò, implorò di avere indietro

il suo corpo, implorò di potersi

materializzare in questo mondo

una volta almeno, una volta ancora.

Era spaventato il fauno dalle

sembianze umane, spaventato al

punto che non sapeva di esserci

riuscito ad avere ancora quel corpo

che aveva amato. Quando si addormentò

al sole, caddero i frutti rossi dai rami

e bisbigliarono le foglie. Le giovani

ninfe vennero ad ammirare quella

bellezza che respirava al ritmo del

vento e la più ardita tra loro gli si

lasciò cadere accanto e si

addormentò con lui. Le altre

capirono di doverli lasciar stare

e i due innamorati dormono

ancora accanto al ruscello verde

e io, la pietra bianca, sono custode

del loro sonno e raccolgo i sogni

che maturano come i frutti e li

custodisco per chi vuole ascoltarli.

 

Vi starete chiedendo perché ho portato con me la pietra bianca e perché ho fatto un simile gesto che lascia indifesi gli addormentati.

Me lo ha chiesto la pietra stessa e staremo insieme solo per un giorno, loro si sveglieranno e potranno attraversare il bosco, scegliere se restare in questa dimensione insieme, conoscersi con occhi umani, perché solo in sogno si sono incontrati.

Domani, quando torneremo sulle rive del ruscello, rimetterò la pietra bianca dove l’ho trovata. Se i sognatori saranno tornati, ricominceranno a mostrarle i sogni, se saranno ancora nel bosco, saranno i fili d’erba a sussurrare nuove storie che arrivano dai luoghi umani.

Storie che sono sempre le stesse, millennio dopo millennio, ma non sono mai uguali.

Questa è la Cronaca 329 di domenica 31 gennaio del secondo anno senza Carnevale. La pietra bianca e i sognatori, poesia fiabesca, l’ho scritta con la vera pietra bianca accanto a me sullo scrittoio.

sabato 23 gennaio 2021

Cronache dagli anni senza Carnevale/321: cammino per cercare la tana della volpe e un filo trasparente di nebbia e gelo viene con me

 



Un giorno nuovo è un libro non ancora scritto, l’alba è una copertina dal colore mutevole che cambia stagione dopo stagione.

Ogni giorno speriamo che il suo svolgimento non sia solo il lento srotolarsi di parole, luoghi e volti noti, ogni giorno vorremmo che il nuovo facesse irruzione.

Sentiamo ancor più questo desiderio in questo inizio del secondo anno di pandemia e il nuovo, ciò che prima non c’era o non faceva parte delle nostre vite, arranca e soffoca.

Dobbiamo continuare ad aspettare, per questo accolgo con gratitudine questo giorno che sarà simile ai 320 che l’hanno preceduto e guardo la copertina polverosa, grigio tenue e inframmezzata dai segni lasciati dai rami nel cielo chiaro.

Le pagine della mattina sono intessute di conversazioni che sono nuove e già questo giorno prende una piega diversa, un formato del libro non ancora sfogliato.

Ascolto la fontana, l’acqua e poi la pioggia che ne copre il rumore. I pensieri si adeguano ai suoni che giungono dall’esterno.

 

Un filo trasparente di nebbia e di gelo

 

Una voce che ripete le stesse parole,

una voce che ascolto in silenzio, anche

se il canto mi è noto, se la caduta è

vicina. Ha voce di gelo questa giornata

e l’acqua ha voce di sogno. Tutto è

avvolto in una coltre densa, tutto

quel che resta di ieri è un filo da

tenere saldo e sperare che ci sia

tu, all’altro capo, che mi stai cercando.

 

Filo e tesso i minuti con le parole, ascolto molto e non parlo. Sono così belle le voci umane, mi piace sentir parlare di libri e di stile, di letteratura e di scrittori. Anche uno scambio come questo, a distanza, nutre questo giorno invernale che scende lieve verso la dimora finale di tutti i giorni che l’hanno preceduto. L’eternità è un letto ampio e caldo, i giorni non la temono e anche noi dobbiamo immaginare come sarà il tempo allora, quando non ci saranno giorni e ore a farci da barriera.

 

Cammino per cercare la tana della volpe

 

Sono piccoli i passi dell’inverno

quando un’altra stagione reclama

lo spazio per il suo prossimo arrivo.

La stagione fredda è l’unica che

si muove per forza di levare. Strappa

le foglie ai rami, la luce al giorno, ad

alcuni uccelli toglie il canto, ad altri

anche il volo e la terra lontana oltre

il mare è l’unico cielo davvero amato.

Si presenta così l’inverno, spoglio e

rude, ci sfida a sentire il mondo

nonostante il gelo. Ci sfida anche

la pioggia ad accompagnare la sua

voce fredda e noi andiamo, noi

andiamo seguendo le tracce

verso le tane e troveremo rifugio

proprio in fondo alla radura e

la volpe ci accoglierà nonostante

la nostra voce, che è un sibilo nel vento,

una preghiera che sta ancora cercando

Dio, e sale verso il tramonto privo

di rondini e di stelle, in alto, dove

Dio si nasconde e noi ci inginocchiamo.

 

Ora il pomeriggio ha terminato di scrivere le ore quiete, sono stata bene, ancora a parlare di lingue e di stile. Posso affidarmi alla notte e continuare a scrivere poesie, che sono la mia preghiera, il mio desiderio e la mia immaginazione.

Questa è la Cronaca 321, scritta sabato 23 gennaio del secondo anno senza Carnevale. Le poesie sono inedite e sono zampillate dalla mia penna come l’acqua della fontana.

giovedì 21 gennaio 2021

Cronache dagli anni senza Carnevale/319: il nostro orecchio continua a cercare meraviglie

 


 

Un giorno non sempre dura un giorno, a volte dura un attimo, a volte una settimana. Quando faccio le cose che mi piacciono entro in uno stato diverso della realtà e non mi accorgo di quello che mi accade intorno e non ho nemmeno voglia di parlare. Così ripercorre il sentiero sino in fondo al giardino e mi fermo ad ascoltare.

 

Il silenzio della neve mi sorprende

 

Quando non ho voglia di parlare

ascolto l’acqua in una delle sue

molte voci. In fondo al giardino

mi parla la fontana, mi parla

il ghiaccio sotto i passi incerti e

quando arrivo sino alla panchina

di pietra è la brina che lascia

scivolare altre parole. Alzo lo sguardo

verso il cielo e subito la pioggia riprende

a chiacchierare con la stessa baldanza

dei giorni più veri, dove la primavera

ha già dichiarato che tornerà. Il silenzio

della neve mi sorprende e mi esorta a

raggiungere il mare. Laggiù, lungo

la spiaggia risalgo seguendo le rive

dolci del nostro fiume. Tutte le voci

sono qui, alla rinfusa nel delta amaro

di pietre e sabbia e a quelle voci

altre voci si aggiungono e per questo

so che non saremo mai soli.

 

 


Quanto è mutevole la voce dell’acqua, quanto ancora potrei scriverne, ma è tempo di ritornare alla Casa delle Parole e ascoltare le voci umane che danno forma al mondo, a questo mio mondo fatto di neve e lunghi silenzi.

So che è difficile sentire la propria vita che si dipana in questi giorni che sembrano sempre l’unico stesso, infinito giorno. Siamo costretti nelle case, chi può lavorarci, siamo costretti a stare lontani da chi amiamo, siamo costretti a non conoscere persone nuove. Quindi dobbiamo avere cura di tutto ciò che già abbiamo e che già siamo, potremmo scoprire cose inaudite.

 

Il nostro orecchio continua a cercare meraviglie

 

Non ho rinunciato a cercare

nuovi sassi in spiaggia, lascio

le novità per giorni migliori

e mi diverto a lucidare quelli

che già tengo sulla scrivania.

Anche nelle pietre si sente

il rumore del mare, è solo

una leggenda che siano

le vuote conchiglie a tenere

il suono per darci forza quando

vacilliamo. Le pietre hanno

la forza del tempo che le sostiene

e il nostro orecchio continua a

cercare meraviglie.

 

Così si sta chiudendo anche giovedì 21 gennaio del secondo anno senza Carnevale e questa è la Cronaca 319, rumorosa e in attesa insieme alle due poesie inedite che ho scritto tra il pomeriggio e la sera.