IL SUD
martedì 31 dicembre 2024
forse son queste cose la poesia
mercoledì 8 novembre 2023
La pace delle cose selvagge
La pace delle cose selvagge
Quando mi sale la disperazione del mondo
e mi sveglio di notte al minimo rumore
per paura di come sarà la vita mia e dei miei figli,
vado a sdraiarmi dove il germano silvestre
si posa splendido sull’acqua e il grande airone mangia.
Entro nella pace delle cose selvatiche
che non si affliggono la vita con presagi
di dolore. Entro al cospetto dell'acqua calma.
E sento sopra di me le stelle cieche di giorno
in attesa con la loro luce Per un po'
riposo nella grazia del mondo e sono libero.
Wendell Berry
Perché l'amore tocchi terra
traduzione e cura di Riccardo Duranti
fotografie di Alessandro Ciaffoni
Lindau 2022
The Peace of Wild Things
When despair for the world grows in me
and I wake in the night at the least sound
in fear of what my life and my children’s lives may be,
I go and lie down where the wood drake
rests in his beauty on the water, and the great heron feeds.
I come into the peace of wild things
who do not tax their lives with forethought
of grief. I come into the presence of still water.
And I feel above me the day-blind stars
waiting with their light. For a time
I rest in the grace of the world, and am free.
venerdì 29 aprile 2022
Cronache dagli anni senza Carnevale/782. Felice come una rana seduta sulla sua foglia di ninfea
Giornata lieve e piacevole, molto lavoro come sempre, ma anche piacevole compagnia, buon cibo e chiacchiere e poi una lunga passeggiata per tornare a casa, prima in tram e poi a piedi. L’aria è cambiata bruscamente perché dal tepore primaverile siamo passati allo strano freschetto causato dal vento gelido che ogni tanto spira a folate. La parte di viaggio che ho fatto in tram, invece, è stata perfetta perché non c’era quasi nessuno e ho attraversato lunghe vie fiancheggiate da alberi maestosi e antichi, soprattutto platani e ippocastani. Andare in tram e in treno ha sempre un effetto particolare sulla mia mente perché mi predispone alla creazione, soprattutto alla creazione poetica. Così mi è venuto in mente il titolo (possibile) della mia nuova raccolta di poesie e poi, nel tram tutto verde, ho immaginato una rana felice seduta sulla sua foglia di ninfea. E sono diventata quella rana felice e ho sentito il rumore lieve dell’acqua, il soffio delicato della brezza e il gracidare sommesso delle altre rane. Era un laghetto in estremo Oriente, ho visto giusto nei giorni scorsi un documentario ambientato in Vietnam, e forse ero proprio laggiù. E tutte queste percezioni e immaginazioni mi hanno regalato un buonumore infinito, una gioia profonda che sta nel mio laghetto interiore con tutte le rane e le ninfee che ci vivono comodamente e placidamente.
Fino all’oceano dell’immaginazione
Ora è bianca, ora
rosa e riluce d’acqua,
ondeggia con il vento
e accoglie il riposo
della ranocchia curiosa,
questa ninfea felice.
Io mi accingo a far
loro compagnia, ho
la mia foglia in questo
lago che sfocia in
un fiume che sfocia
nel mare e poi nell’oceano
dell’immaginazione.
Ecco che posso portare tutta questa bella giornata, i
vestiti nuovi verdi e azzurri di Elisabetta, una misteriosa bevanda che sa di cioccolata
e cannella anche se è bianca e lattiginosa e chiama alla mente il fiore
prezioso dell’orchidea. E anche i libri amati di Grazia Livi, Nicole Krauss, Kate
Millet, Connie Palmen e Alison Lurie in questa nuova Cronaca 782 di venerdì 29
aprile del terzo anno senza Carnevale e del primo anno di guerra.
mercoledì 3 novembre 2021
Cronache dagli anni senza Carnevale/605. Con passo di volpe, con voce di lupo, con il respiro di una foresta
Ogni giorno bisogna scegliere in che casa vogliamo vivere, scegliere il materiale, il tempo, il luogo. In questa casa nasceranno le storie nuove, in questa casa per un giorno intero potremo sognare, diventare personaggi di un racconto scritto da noi o da altri.
Non
avevo ancora deciso, quando la casa d’acqua si è concretizzata intorno a me,
muri d’acqua, finestre di pioggia, un tetto d’oceano e un pavimento di fiume.
Acqua,
solo acqua tutto intorno, anche l’aria era acqua e così scopro di respirare con
le branchie, come un pesce. Intorno a me coralli e stelle marine, la casa d’acqua
è una casa di mare e di onde, vedo intorno a me come dal più chiaro dei balconi
e chiamo la stella per non pronunciare il tuo nome, chiamo le nuvole per
nascondere l’attesa.
L’acqua
è già scesa dai cieli sino alla terra e al fiume, si è mescolata, si è
evaporata, è risalita, è caduta. Tutto cade, tutto si rialza, la caduta dell’acqua
è una cascatella, occupa un’intera parete, scivolo tra un’onda e l’altra, si
sta così bene sotto quest’acqua limpida e tiepida. La casa d’acqua durerà sino
a quando non mi sarò addormentata, poi al risveglio dovrò iniziare da capo,
scegliere un altro elemento, mutare le branchie in radici, sì in radici, domani
la casa non sarà solo un albero, ma un intero bosco, mi addormento e sogno di
essere un’allodola che sta costruendo un nido. Cado e nel sogno non ci sono né acqua,
né alberi, solo un’intenzione vaga di essere in questo mondo e in molti altri.
Così è la voce dell’amore
Con
passo di volpe arriva
il
mio amore, con passo
di
neve silenzia il mondo,
con
voce d’acqua canta
le
stelle, con voce di stella
cade
con la neve, così che
la
volpe possa tracciare
una
nuova pista e un desiderio,
perché
non importa la direzione,
non
il punto cardinale o il vento,
è
importante solo questo sogno,
dove
tu sei una volpe e io un lupo,
dove
sbagliamo ogni momento,
sbagliamo
sino a quando due
ululati
all’unisono sprofondano
dai
tempi remoti nel tempo e
c’è
solo una traccia nella neve,
piume
sparse, una porta che
si
apre nell’aria, insieme
l’abbiamo
già varcata, così
è
la voce dell’amore, così
svaniscono
gli amanti.
Vivo
nella mia casa d’acqua, invento storie, le scrivo, questo è un buon modo per
tenere a bada la nostalgia, per non sprofondare nella tristezza degli oggetti,
per tenere segreto il tuo nome, per poterlo sussurrare solo nel tuo orecchio,
nel tuo orecchio soltanto.
sabato 30 ottobre 2021
Cronache dagli anni senza Carnevale/601. Nella parabola dell’azzurro che grida il tuo nome
Scegliere
una forma diversa per ogni giorno, concentrarsi, seguirla, non cercarne un’altra.
Oggi ho scelto la pioggia, una delle forme dell’acqua che più amo. La pioggia è
messaggera delle nuvole e delle stelle, a volte anche degli dèi. È preceduta dal
rombo del tuono e come il vento non ha una sua propria voce autonoma, diversa,
ma risuona insieme alle cose, agli oggetti che tocca, sfiora o sferza. Oggi sul
lago era una pioggia piccola che cantava con il canto sommesso delle onde di
acqua dolce, niente a che vedere con quelle del mare salato. Le nuvole erano
così tristi all’idea di lasciar andare quelle goccioline, che sono scese sino
sulla superficie di acqua ferma in forma di nebbiolina. In fondo, non si
distingueva la linea dell’orizzonte, il grigio era uniforme, sembrava di stare
camminando all’interno di una bolla privata della luce. Era così tranquilla
quella passeggiata, un cammino nel sogno, cercando invano di intravedere le
stelle scrutando il cielo.
Con la pioggia e il
vento chiusi nella mano
Volevo restare ferma, proprio
nell’attimo
prima della caduta,
ma
guardare la pioggia e dire
il
suo nome, no, non si può
farlo
insieme, perché si deve
rispettare
sempre il doppio
movimento
di pensare il cuore
di
una rosa e imparare a
sentirne
il profumo. La pioggia,
invece,
non ha un suo profumo
ma
trasporta quello degli amanti,
così,
a volte, anche le rose vivono
in
quella trappola di sensi amorosi.
A
volte mostra una bocca di lupo,
la
pioggia, ma non può farci paura,
perché
sorride e noi per amore,
crediamo
nella sua bontà. Così
papaveri
e mandorle diventano
icone
di un passato che abbiamo
conosciuto
solo attraverso quel
poeta,
e nessuno, neanche questa
pioggia,
sa dove sta andando.
Sorella
del vento, cadi piano, alza
la
fronte e non tornare là dove
tutto
è iniziato, dove le porte
sono
spalancate e non ci sono mai
parole
già scritte, ma solo sussurri
che
raccolgono conchiglie e rami
secchi
nella parabola dell’azzurro
che
grida il tuo nome.
Quanti echi di poeti sento oggi nella pioggia e nel vento? Quanti desideri e quante intenzioni? Era bellissimo il lago Maggiore, anche sotto la pioggia, anche senza orizzonte.
Oggi è sabato 30 ottobre del secondo anno senza Carnevale e questa Cronaca 601 si è affidata alle gocce e al vento, li porta chiusi nella mano e aspetta che sia finita la trasformazione.
martedì 19 ottobre 2021
Cronache dagli anni senza Carnevale/590. L’acqua sceglie per noi il cammino da seguire, il giardino da attraversare
Osservo e racconto del mare e delle sue onde, osservo e racconto della corrente del fiume. Solo qualche volta vado a passeggiare in riva al lago e osservo la calma superficie delle acque, la luce lattiginosa che sfida la nebbiolina, il sole nascosto dietro una coltre di nubi serrata e compatta. Sotto questo cielo il lago mormora a voce molto bassa le sue storie, storie di pescatori e isole, storie di fughe e giardini. Anche questi luoghi sono in noi come le lontananze e i naufragi marini, come i campi che il fiume disseta e le rive ombrose dove gli amanti si nascondono a riposare. Sulle rive del lago l’acqua arriva quasi addormentata e con la sua voce quieta invita anche noi al riposo. C’è qualcosa di ipnotico nei paesaggi lacustri, qualità del silenzio e della luce che nessun altro luogo del globo terracqueo possiede. Mentre il mare si espande vasto, molto oltre la linea dell’orizzonte, sappiamo che le onde portano ad altre onde, mentre le acque fluviali sfociano in un altro fiume o si lasciano inghiottire dal mare, il lago ha sempre una forma che possiamo percorrere sino a ritornare sui nostri passi. Per questo i filosofi amano questa forma dell’acqua più di tutte le altre, per questo mi avventuro in questi paesaggi dolci che, declivio dopo declivio, ci conducono a spiagge quasi invisibili, a pontili abbandonati, a ville che dormono sogni centenari. L’Italia è ricca di laghi, conosco bene e amo soprattutto quelli del Settentrione, il lago d’Orta e il lago Maggiore in particolare. Ho anche un amore profondo per il lago Lemano, svizzero-francese e ricco delle storie che ho raccontato nel mio secondo romanzo In giornate identiche a nuvole. Ma quante sono le storie che non ho ancora raccontato? Molte e molte di più, così questa sera mi impegno a stilare una lista di queste storie, dei personaggi, dei diversi silenzi e della diversa luce.
Quando la luce inizia
una storia nuova
Mi
immergo nel fiume
e
so che non sarò più
la
stessa. Mi bagno nel
mare
e ascolto il canto
dei
coralli nei fondali e
lascio
che il mito di
Odisseo
si presenti alla
mia
bocca e io ne sia
eco
e memoria. Mi
lascio
scivolare nelle
acque
placide del lago
e
alla mia voce rispondono
piccoli
pesci argentati che
vivono
vicino a riva. Nessuna
voce
mi cerca, tutti dormono
e
aspettano che sia la luce
a
decretare l’inizio della storia.
Chissà in quanto tempo potrò terminare il periplo di queste acque, chissà in quanto tempo la luce avrà filato luce, non per me sola ma per questa passeggiata. Continuo il mio cammino, non temo la strada, attraverso i giardini anche oggi martedì 19 ottobre del secondo anno senza Carnevale e questa Cronaca 590, col dorso argentato, che saetta in queste acque basse e addormentate.
giovedì 27 maggio 2021
Cronache dagli anni senza Carnevale/445. Attraversare la notte con i papaveri negli occhi
Attraversare la notte è un’impresa che va preparata sera dopo sera. Nessun buio è uguale a un altro buio: il buio può essere inchiostro, carbone, velluto, stella, pupilla, velo. Frammenti di luce passano attraverso e gli danno forma, così che del buio stesso possiamo non avere paura. La notte ha sempre avuto, per me, una connotazione positiva grazie al silenzio e al tempo liberato tutto mio, che potevo utilizzare per leggere, studiare e scrivere. Tutto si fa denso nella notte e trova il giusto spazio per essere declinato. Molto di rado mi capita di non riuscire a lasciarmi andare al sonno e ai sogni, ma quando accade ho imparato a non combattere questa dimensione di veglia che sfida la stanchezza e a declinare liste di cose che mi piacciono.
Il germoglio del giorno nuovo
Mi
commuovono molte cose,
le
strisce rosse di papaveri
lungo la
massicciata della
ferrovia,
i nidi nuovi delle
rondini
sotto il mio tetto,
l’albero
bellissimo ripiegato
su se
stesso e il profumo del
gelsomino
che nel buio si
estende
e sale verso la mie
finestre,
l’acqua che zampilla
nella
fontana e pare stia
parlando
alle rose in fondo
al
giardino. Questi sono
i miei
compagni notturni,
insieme
a loro attraverso
il tempo
e sfioro il germoglio
del
giorno nuovo che busserà
alla mia
porta per chiedermi
permesso.
La lista
delle cose che mi commuovono è molto, molto più lunga, ma la notte è troppo
breve per diluirla in una sola poesia come questa della Cronaca 445 di giovedì
27 maggio del secondo anno senza Carnevale.
giovedì 29 aprile 2021
Cronache dagli anni senza Carnevale/417. L’attesa è solo il passato di qualcosa che avremo amato
Oggi
sono ritornata a camminare in riva al fiume. Pioveva, l’acqua era verde e i
salici a stento potevano specchiarsi nelle onde scure. Il sambuco si sta preparando
a fiorire e il biancospino già si apre sotto questo cielo ricco d’acqua. Cammino,
raccolgo foglie e fiori, soprattutto raccolgo impressioni da questo fiume che
viene da un tempo ignoto e verso un altro ignoto naviga.
Impressioni del giorno a fine aprile
Il fiume
non ha ponte, perché
il fiume
è un ponte tra le terre
alte e
il mare che già conosciamo.
Lascio che
il salice mi avviluppi
tra i
rami, respiro le foglie e
l’acqua
verde che non parla e
mi sfiora
come se fossi un pesce
che ha
scambiato le branchie
con i
polmoni. Incerta tra i due
respiri,
resto al riparo e aspetto
che uno
dei due mondi chiami
il mio
nome. Aspetto e solo
il
silenzio aspetta con me.
È vero
che silenzio e solitudine parlano la stessa lingua, un alfabeto che dobbiamo
apprendere come ogni alfabeto, come ogni lingua. Ma il silenzio e la solitudine
sono tali solo in questa forma della realtà, dentro di noi una conversazione
ininterrotta con le persone amate e nei sogni ancor di più incontri
inaspettati, fuori dal tempo, dove qualcuno ha gridato “Il corpo è una prigione
metafisica”, e allora l’essere dove dimora?
Su questa
scia di interrogativi, mi sciolgo dall’abbraccio del salice e torno dove il
corpo dimora, a volte senza domande, a volte senza risposte.
Oggi è
giovedì 29 aprile del secondo anno senza Carnevale, pioggia qui e pioggia in
ogni dimensione. Alla pioggia è meglio arrendersi e farsi piccoli, cercare
rifugio sotto una foglia e ricordare che l’attesa è solo il passato di qualcosa
che avremo amato.
sabato 6 febbraio 2021
Cronache dagli anni senza Carnevale/335: ciò che è stato e ciò che sarà dove il fiume scorre tranquillo
Sapere che tutte le ombre dormono dove la luce si ritira,
sapere che la luce dorme per lasciare spazio alle ombre. Sapere che ogni cosa
veduta ora vive in me, sapere che non potrò rivedere ogni cosa, né ricordare ogni
cosa, perché l’eccesso di memoria porta alla follia. Imparare a dimenticare per
poter continuare a vivere e, al contempo, continuare a esercitare la memoria.
Sul confine incerto tra memoria e oblio si susseguono i
nostri passi e l’equilibrio è un passo di ballerina che si innalza sulle punte
e piroetta.
Vedo le ombre danzare sul muro in fondo al giardino e
pallide voci nel vento commentano e commentano quel che io non riesco a vedere.
È una giornata stanca oggi, il cielo è bianco, i rumori
attutiti, ma non c’è silenzio neanche quaggiù. Sento vite scorrere tra rabbia e
rassegnazione, altre tra paura e indifferenza.
Le nostre vite iniziano come allegri ruscelli in montagna
e poi, via via, si mescolano con altre vite, con il mondo, con altre storie.
Ciò
che è stato e ciò che sarà
Guardo il fiume scorrere
tranquillo, riconosco ogni
singolo corso d’acqua che
si è unito, tempo dopo
tempo. Riconosco l’acqua
piovana, più trasparente
dell’acqua sgorgata nella
polla, riconosco il verde
delle alghe e lo separo da
quello degli aghi di pino.
Niente è solo quel che sembra,
nessuno è solo quel che sembra.
Sono provvisorie le nostre
forme, abbiamo vissuto sul
dorso del dinosauro, abbiamo
bevuto l’acqua di Giulio Cesare,
siamo stati il legno della grande
Caravella che ha portato Cristoforo
Colombo a cercare una terra solo
immaginata. Nella neve di San
Pietroburgo abbiamo sentito i
passi di Čechov mentre inseguiva
le immagini della sua dannazione.
Siamo stati inchiostro nella
penna di Borges e siamo stati
il vento delle suole di Rimbaud.
Abbiamo respirato le onde e
visitato il faro di Virginia Woolf .
E abbiamo cercato la Nuova
Zelanda in Costa Azzurra in
compagnia di Katherine Mansfield.
Tutto questo non è solo un racconto,
è vero ed è reale ed è solo un momento
tra l’istante della creazione e l’occhio di
Dio che accoglierà il nostro riposo.
Così è stato e così sarà, così sia.
Basta un minimo movimento a sconvolgere l’ordine delle
cose nel tempo. Così torno sui miei passi e vedo le luci della Casa delle
Parole accendersi. Ogni anima ha il suo rifugio, ogni sera una coperta e ogni
inquietudine un fuoco acceso.
Questa è la Cronaca 335 di sabato 6 febbraio del secondo
anno senza Carnevale. La poesia è inedita, scritta per questa Cronaca che sente
la pioggia correre nel cielo.
lunedì 1 febbraio 2021
Cronache dagli anni senza Carnevale/330: due donne sedute su sedie d’ombra, una pietra, una foglia
L’uomo corre, grida, si addormenta e sogna. La fanciulla
è seduta accanto a sua madre, ma sente il grido e fugge, fugge via. Per andare
dove? Per seguire quale richiamo tra le parole sconnesse che lui ha
pronunciato?
Così arriva sulle rive silenziose la fanciulla che ha
compreso il grido, vede l’uomo addormentato e gli si adagia accanto.
Il
canto della ninfa dormiente
Tutti vedranno il nostro sonno e
penseranno che ti ho seguito a
causa di una tua malia. Invece,
invece, mio signore delle pietre,
ho solo riconosciuto il luogo dove
sei andato, perché l’ho visto in
sogno e tu pure eri lì già in sogno
e addormentato. Sembrerà al
mondo che io pure stia dormendo,
ma le tue grida mi hanno svegliata
e portata in quella dimensione che
solo con te potrò esplorare. Tocco
la pietra bianca e sorrido. Lei arriverà
a raccoglierla e ci terrà nelle sue mani
a coppa, come si fa con un uccellino
da proteggere o quando la sete ci
sconvolge a tal punto da avere bisogno
solo di acqua fresca e delle nostre
mani. Dormi ora, dormi fanciulla e
aspetta, ci sarà un risveglio in un
giorno qualunque e insieme tornerete
dalla madre che ancora tesse e fila.
Mentre la pietra raccoglie il vostro
canto e spezza l’attesa con i piccoli
frutti rossi che si palesano sui rami,
come se la primavera fosse solo un altro
sogno da chiamare ad alta voce.
Sono tornata in riva al ruscello, oggi pomeriggio, e ho
ascoltato la pietra dire la sua nuova storia. Dormono, dormono ancora i due
innamorati e la pietra veglierà il loro sonno e io veglierò la pietra. E questa
Cronaca veglierà la Poesia e la Poesia sarà la custode, la prescelta, la predestinata.
Non scegliamo la pietra, è la pietra che sceglie noi. Così
come non scegliamo le storie, ma sono le storie che accadono a chi saprà
raccontarle.
Questa è la Cronaca 330 di lunedì primo febbraio del
secondo anno senza Carnevale. Il canto
della ninfa dormiente è una poesia inedita che ho ascoltato in riva alle
acque smeraldine che mi chiedono di tornare anche domani.
domenica 31 gennaio 2021
Cronache dall’anno senza Carnevale/329: le storie sono sempre le stesse, millennio dopo millennio, ma non sono mai uguali
Sono tornata a casa con un ricco bottino stasera: un sasso bianco e una foglia sempreverde di alloro. Quando passeggio nella città silenziosa, nelle vie del mio quartiere, è sempre difficile trovare frammenti di mondo interessanti, ma qui nel giardino ai piedi delle Montagne della Nebbia è talmente facile che scelgo con cura, rinuncio ai pezzi più belli con la promessa di tornare a prenderli durante una nuova passeggiata.
La foglia era ancora attaccata al suo cespuglio, lungo la
recinzione occidentale del giardino e l’alloro ha ridacchiato quando ho
staccato la foglia.
Il sasso, invece, l’ho trovato sulla riva del ruscello
che attraversa il bosco e che, d’estate, è uno dei miei rifugi preferiti. Avevo
già parlato numerose volte con il sasso bianco e avevo ascoltato la sapienza
antica diffondersi intorno e raccontare vecchie storie a chi si fermava.
La
pietra bianca e i sognatori
Era un uomo non molto
giovane, arrivò correndo e
si tuffò nelle acque verdi
come se le anime dell’inferno
lo stessero inseguendo. Cadde
e non si rialzò, se non dopo
istanti lunghi come le primavere
che lo avevano aspettato. Gridò
quando emerse da quelle acque
e implorò, implorò di avere indietro
il suo corpo, implorò di potersi
materializzare in questo mondo
una volta almeno, una volta ancora.
Era spaventato il fauno dalle
sembianze umane, spaventato al
punto che non sapeva di esserci
riuscito ad avere ancora quel corpo
che aveva amato. Quando si addormentò
al sole, caddero i frutti rossi dai rami
e bisbigliarono le foglie. Le giovani
ninfe vennero ad ammirare quella
bellezza che respirava al ritmo del
vento e la più ardita tra loro gli si
lasciò cadere accanto e si
addormentò con lui. Le altre
capirono di doverli lasciar stare
e i due innamorati dormono
ancora accanto al ruscello verde
e io, la pietra bianca, sono custode
del loro sonno e raccolgo i sogni
che maturano come i frutti e li
custodisco per chi vuole ascoltarli.
Vi starete chiedendo perché ho portato con me la pietra
bianca e perché ho fatto un simile gesto che lascia indifesi gli addormentati.
Me lo ha chiesto la pietra stessa e staremo insieme solo
per un giorno, loro si sveglieranno e potranno attraversare il bosco, scegliere
se restare in questa dimensione insieme, conoscersi con occhi umani, perché solo
in sogno si sono incontrati.
Domani, quando torneremo sulle rive del ruscello,
rimetterò la pietra bianca dove l’ho trovata. Se i sognatori saranno tornati,
ricominceranno a mostrarle i sogni, se saranno ancora nel bosco, saranno i fili
d’erba a sussurrare nuove storie che arrivano dai luoghi umani.
Storie che sono sempre le stesse, millennio dopo
millennio, ma non sono mai uguali.
Questa è la Cronaca 329 di domenica 31 gennaio del
secondo anno senza Carnevale. La pietra
bianca e i sognatori, poesia fiabesca, l’ho scritta con la vera pietra
bianca accanto a me sullo scrittoio.
sabato 23 gennaio 2021
Cronache dagli anni senza Carnevale/321: cammino per cercare la tana della volpe e un filo trasparente di nebbia e gelo viene con me
Un giorno nuovo è un libro non ancora scritto, l’alba è una copertina dal colore mutevole che cambia stagione dopo stagione.
Ogni giorno speriamo che il suo svolgimento non sia solo
il lento srotolarsi di parole, luoghi e volti noti, ogni giorno vorremmo che il
nuovo facesse irruzione.
Sentiamo ancor più questo desiderio in questo inizio del
secondo anno di pandemia e il nuovo, ciò che prima non c’era o non faceva parte
delle nostre vite, arranca e soffoca.
Dobbiamo continuare ad aspettare, per questo accolgo con
gratitudine questo giorno che sarà simile ai 320 che l’hanno preceduto e guardo
la copertina polverosa, grigio tenue e inframmezzata dai segni lasciati dai
rami nel cielo chiaro.
Le pagine della mattina sono intessute di conversazioni
che sono nuove e già questo giorno prende una piega diversa, un formato del
libro non ancora sfogliato.
Ascolto la fontana, l’acqua e poi la pioggia che ne copre
il rumore. I pensieri si adeguano ai suoni che giungono dall’esterno.
Un
filo trasparente di nebbia e di gelo
Una voce che ripete le stesse parole,
una voce che ascolto in silenzio, anche
se il canto mi è noto, se la caduta è
vicina. Ha voce di gelo questa giornata
e l’acqua ha voce di sogno. Tutto è
avvolto in una coltre densa, tutto
quel che resta di ieri è un filo da
tenere saldo e sperare che ci sia
tu, all’altro capo, che mi stai cercando.
Filo e tesso i minuti con le parole, ascolto molto e non
parlo. Sono così belle le voci umane, mi piace sentir parlare di libri e di
stile, di letteratura e di scrittori. Anche uno scambio come questo, a
distanza, nutre questo giorno invernale che scende lieve verso la dimora finale
di tutti i giorni che l’hanno preceduto. L’eternità è un letto ampio e caldo, i
giorni non la temono e anche noi dobbiamo immaginare come sarà il tempo allora,
quando non ci saranno giorni e ore a farci da barriera.
Cammino
per cercare la tana della volpe
Sono piccoli i passi dell’inverno
quando un’altra stagione reclama
lo spazio per il suo prossimo arrivo.
La stagione fredda è l’unica che
si muove per forza di levare. Strappa
le foglie ai rami, la luce al giorno, ad
alcuni uccelli toglie il canto, ad altri
anche il volo e la terra lontana oltre
il mare è l’unico cielo davvero amato.
Si presenta così l’inverno, spoglio e
rude, ci sfida a sentire il mondo
nonostante il gelo. Ci sfida anche
la pioggia ad accompagnare la sua
voce fredda e noi andiamo, noi
andiamo seguendo le tracce
verso le tane e troveremo rifugio
proprio in fondo alla radura e
la volpe ci accoglierà nonostante
la nostra voce, che è un sibilo nel vento,
una preghiera che sta ancora cercando
Dio, e sale verso il tramonto privo
di rondini e di stelle, in alto, dove
Dio si nasconde e noi ci inginocchiamo.
Ora il pomeriggio ha terminato di scrivere le ore quiete,
sono stata bene, ancora a parlare di lingue e di stile. Posso affidarmi alla
notte e continuare a scrivere poesie, che sono la mia preghiera, il mio
desiderio e la mia immaginazione.
Questa è la Cronaca 321, scritta sabato 23 gennaio del
secondo anno senza Carnevale. Le poesie sono inedite e sono zampillate dalla
mia penna come l’acqua della fontana.
giovedì 21 gennaio 2021
Cronache dagli anni senza Carnevale/319: il nostro orecchio continua a cercare meraviglie
Un giorno non sempre dura un giorno, a volte dura un
attimo, a volte una settimana. Quando faccio le cose che mi piacciono entro in
uno stato diverso della realtà e non mi accorgo di quello che mi accade intorno
e non ho nemmeno voglia di parlare. Così ripercorre il sentiero sino in fondo
al giardino e mi fermo ad ascoltare.
Il silenzio della neve mi sorprende
Quando non ho voglia di parlare
ascolto l’acqua in una delle sue
molte voci. In fondo al giardino
mi parla la fontana, mi parla
il ghiaccio sotto i passi incerti e
quando arrivo sino alla panchina
di pietra è la brina che lascia
scivolare altre parole. Alzo lo sguardo
verso il cielo e subito la pioggia riprende
a chiacchierare con la stessa baldanza
dei giorni più veri, dove la primavera
ha già dichiarato che tornerà. Il silenzio
della neve mi sorprende e mi esorta a
raggiungere il mare. Laggiù, lungo
la spiaggia risalgo seguendo le rive
dolci del nostro fiume. Tutte le voci
sono qui, alla rinfusa nel delta amaro
di pietre e sabbia e a quelle voci
altre voci si aggiungono e per questo
so che non saremo mai soli.
Quanto è mutevole la voce dell’acqua, quanto ancora
potrei scriverne, ma è tempo di ritornare alla Casa delle Parole e ascoltare le
voci umane che danno forma al mondo, a questo mio mondo fatto di neve e lunghi
silenzi.
So che è difficile sentire la propria vita che si dipana
in questi giorni che sembrano sempre l’unico stesso, infinito giorno. Siamo costretti
nelle case, chi può lavorarci, siamo costretti a stare lontani da chi amiamo,
siamo costretti a non conoscere persone nuove. Quindi dobbiamo avere cura di
tutto ciò che già abbiamo e che già siamo, potremmo scoprire cose inaudite.
Il
nostro orecchio continua a cercare meraviglie
Non ho rinunciato a cercare
nuovi sassi in spiaggia, lascio
le novità per giorni migliori
e mi diverto a lucidare quelli
che già tengo sulla scrivania.
Anche nelle pietre si sente
il rumore del mare, è solo
una leggenda che siano
le vuote conchiglie a tenere
il suono per darci forza quando
vacilliamo. Le pietre hanno
la forza del tempo che le sostiene
e il nostro orecchio continua a
cercare meraviglie.
Così si sta chiudendo anche giovedì 21 gennaio del
secondo anno senza Carnevale e questa è la Cronaca 319, rumorosa e in attesa
insieme alle due poesie inedite che ho scritto tra il pomeriggio e la sera.