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martedì 26 aprile 2016

il tuo bacio dura come urto impossibile di stelle, come lo spazio che a un tratto divampa

Vieni sempre, vieni

Non ti accostare. La tua ardente fronte,
le orme dei tuoi baci,
il fulgore che anche di giorno sento se ti accosti,
lo splendore contagioso che resta nelle mani,
il fiume luminoso dove affondo le braccia,
dove non oso bere perché temo dopo la dura vita della stella.

Viva in me non ti voglio come vive la luce,
astro di solitudine fuso con la sua fiamma,
cui l’amore si nega attraverso lo spazio
duro e azzurro che separa,
dove ogni stella inaccessibile
è un deserto gemente che invia la sua tristezza.

Brilla la solitudine nel mondo senza amore.
L’esistenza è una vivida corteccia,
una rugosa pelle immobile
dove l’uomo non può trovare il suo riposo,
benché inclini il suo sogno contro un pianeta spento.

Non ti accostare. La tua fronte raggiante, carbone acceso che mi strappa a me stesso,
fulgido lutto dove di colpo morire mi tenta
e bruciarmi le labbra al tuo tocco indelebile,
disfare la mia carne contro il tuo ardente diamante.

Non ti accostare, perché il tuo bacio dura come urto impossibile di stelle,
come lo spazio che a un tratto divampa,
etere diffusore dove la distruzione dei mondi
è un solo cuore che totale arde.

Vieni, vieni come l’oscuro carbone spento che racchiude morte;
vieni come la notte cieca che mi accosta il suo volto;
vieni come due labbra segnate dalla rossa,
lunga linea che fonde i metalli.

Vieni, vieni, mio amore; vieni, ermetica fronte, rotondità ruotante,
orbita che brillando mi muori tra le braccia;
vieni come due occhi o fonde solitudini,
imperiose chiamate di un abisso che ignoro.

Amore, vieni, morte; vieni ché ti distrugga;
voglio uccidere o amare, morire o darti tutto;
vieni, leggera pietra che precipiti,
turbata come luna che mi chiede i miei raggi!


Vicente Aleixandre
La distruzione o Amore
traduzione di Francesco Tentori Montaldo
Einaudi 1970

Ven, siempre ven

No te acerques. Tu frente, tu ardiente frente, tu encendida frente, 
las huellas de unos besos, 
ese resplandor que aun de día se siente si te acercas, 
ese resplandor contagioso que me queda en las manos, 
ese río luminoso en que hundo mis brazos, 
en el que casi no me atrevo a beber, por temor después a ya una dura vida de lucero.

No quiero que vivas en mí como vive la luz, 
con ese ya aislamiento de estrella que se une con su luz, 
a quien el amor se niega a través del espacio 
duro y azul que separa y no une, 
donde cada lucero inaccesible 
es una soledad que, gemebunda, envía su tristeza.

La soledad destella en el mundo sin amor. 
La vida es una vívida corteza, 
una rugosa piel inmóvil, 
donde el hombre no puede encontrar su descanso, 
por más que aplique su sueño contra un astro apagado.

Pero tú no te acerques. Tu frente destellante, carbón encendido que me arrebata a la propia conciencia, 
duelo fulgúreo en que de pronto siento la tentación de morir, 
de quemarme los labios con tu roce indeleble, 
de sentir mi carne deshacerse contra tu diamante abrasador.

No te acerques, porque tu beso se prolonga como el choque imposible de las estrellas, 
como el espacio que súbitamente se incendia, 
éter propagador donde la destrucción de los mundos 
es un único corazón que totalmente se abrasa.

Ven, ven, ven como el carbón extinto oscuro que encierra una muerte; 
ven como la noche ciega que me acerca su rostro; 
ven como los dos labios marcados por el rojo, 
por esa línea larga que funde los metales.

Ven, ven, amor mío; ven, hermética frente, redondez casi rodante 
que luces como una órbita que va a morir en mis brazos; 
ven como dos ojos o dos profundas soledades, 
dos imperiosas llamadas de una hondura que no conozco.

¡Ven, ven, muerte, amor; ven pronto, te destruyo; 
ven, que quiero matar o amar o morir o darte todo; 
ven, que ruedas como liviana piedra, 
confundida como una luna que me pide mis rayos!

martedì 22 marzo 2016

amorosa cadenza dei mondi remoti, degli amanti che tacciono sempre le loro pene

La luce

La terra, il mare, il fuoco, il vento,
il durevole mondo in cui viviamo,
gli astri remotissimi che quasi ci supplicano,
che son quasi talora una mano sugli occhi.
Venuta della luce che posa sulla fronte.
Di dove giungi, di dove vieni, amorosa forma che sento respirare,
che sento come un petto che racchiudesse musica,
che sento come arpe angeliche sonanti,
quasi ormai cristalline come il suono dei mondi?
Di dove vieni, celeste tunica che in forma di raggio luminoso
accarezzi una fronte che vive e soffre, che ama come la vita?;
di dove tu, che ora sembri il ricordo di un fuoco ardente come il ferro che marca,
ora ti plachi sopra la stanca esistenza di una testa che ti comprende?
Il tuo sfiorare tacito, il tuo arridente giungere come labbra dall'alto,
il tuo segreto mormorato all'udito che attende,
ferisce o fa sognare come il suono di un nome
che solo labbra fulgide possono pronunciare.
Adesso contemplando le tenere bestiole che si aggirano in terra,
bagnate dalla tua presenza o scala silenziosa,
rivelate alla loro esistenza, difese dalla mutezza
in cui s’ode soltanto il battere del sangue.
Guardando questa nostra pelle, il nostro corpo visibile
perché tu lo riveli, luce che ignoro chi invia,
luce che giungi ancora come detta da labbra,
con la forma di denti o di bacio implorato,
con il calore ancora di una pelle che ci ama.
Dimmi, dimmi chi è, chi mi chiama, chi mi dice, chi invoca,
dimmi che è quest’invio remotissimo che supplica,
che pianto a volte ascolto quando non sei che lagrima.
Oh tu, celeste luce tremante o desiderio,
fervente speranza di un petto che non si estingue,
di un petto che si lamenta come due braccia protese
capaci di allacciare tutt'intorno la terra.
Ahi amorosa cadenza dei mondi remoti,
degli amanti che tacciono sempre le loro pene,
dei corpi che esistono, delle anime che esistono,
dei cieli infiniti che in silenzio ci giungono!

Vicente Aleixandre
La distruzione o amore 
traduzione di Francesco Tentori Montaldo
Einaudi 1970