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lunedì 20 maggio 2024

Il coro delle nuvole impazzite

Ho appena saputo che è mancato Renzo Favaron, un vecchio amico e poeta straordinario. Ci siamo frequentati parecchio in tempo remoto, ricordo i suoi racconti sulla Croazia, la mostra di Corot che avevamo visitato insieme a Maddalena Cavalleri a Verona nel dicembre 2009, è stato un amico, tanto che gli ho dedicato due poesie che copio qui per ricordarlo, insieme a quei giorni di sabato straordinari di un'estate di tanti anni fa.


Il coro delle nuvole impazzite

a Renzo Favaron

L’ora del tempo e la dolce stagione

non chiediamo altro al coro delle

nuvole impazzite e cortigiane

di questo vento che nega

la primavera ai fiori prima

ancora che a noi smemorati

e pieni di ogni luce negli

occhi caparbi nell’attesa

intenti nell’intagliare a

questo giorno una figura

memorabile nella teoria

degli anni, miserabili

frammenti delle stelle

che mai saremo, ma potremo

ricordare quel grande

albero in Croazia anche

se mai lo avremo veduto

e solo uno tra noi

lo ha cantato.


dalla raccolta Scrivere il vento

Atì editore 2016



Variazioni su nuvole, luce e ombra

a Renzo F.

Un presagio per il giorno che

verrà è un’invenzione di nuvole

in quel cielo che mai vedremo,

in un luogo privo di memoria,

ai nostri sguardi solo quel cielo

è rimasto della città antica,

il cielo che le mani capricciose

del tempo e della ragione

appendono sulla mia giornata.

Guardo ancora e le nuvole

di Corot si dissolvono con

l’eleganza di un segreto custodito

nel cuore della luce che veloce

si alza a oriente. È un mattino

nuovo, memoria della notte, fiato

lungo nei passi, sempre più

piano avvolti nella brina,

inondati di luce sino alla fine

della stessa strada.


dalla raccolta Figure del silenzio. Atì editore 2010

domenica 13 marzo 2022

Cronache dagli anni senza Carnevale/735. I fiori tremanti del ciliegio nella primavera assediata

 


 

Di nuovo domenica, inesorabile, imprevista, inquieta. Proprio come ogni domenica che l’ha preceduta. C’è sempre questo tempo bislacco a Milano, verso ora di pranzo esce il sole, folate di vento gelido schiaffeggiano i passanti, non piove. Ricordo quando marzo era il mese delle piogge e così vado a cercare qualche vecchia poesia che mi evochi quel tempo, quel clima. Mi imbatto in una poesia di Elena Schwartz che mi piace molto, la scelgo per accompagnare le poche parole necessarie a dire questa domenica che si avvia al compimento. Una domenica di siccità e di preoccupazione, in cui le parole faticano a uscire nel mondo. Come la pioggia, come la primavera.


 

Il ciliegio e Thomas Mann

 

Le piogge hanno assalito la primavera. Hanno scosso

Gli alberi gettando i petali in una pozzanghera,

Essi giacciono, luccicando, il loro sonno è esile,

Il ciliegio si agita nel vento

Come una legione di cagnolini adirati.

La primavera tosata,

La primavera offesa,

E la gola è assediata da nubi

Così azzurre.

Il ciliegio è una Montagna Magica –

Con dentro un tedesco tisico

Il cui allegro rossore fatale

È come i fiori tremanti del ciliegio.

 

 

Oggi è domenica 13 marzo del terzo anno senza Carnevale e del prima anno di guerra e questa Cronaca 735 sta ancora cercando un angolo dove poter fiorire in pace.

giovedì 10 marzo 2022

Cronache dagli anni senza Carnevale/732. Un cielo innocente che accarezza le nuvole e sorride al vento

 

Mi piace ascoltare le persone, mi piace ascoltare storie vere d persone vere, tanto quanto mi piace leggere storie più o meno inventate in romanzi e racconti. Ieri sera il mio amico Luciano mi ha raccontato una storia tragica e toccante che riguarda sua sorella. Ero appesa al filo del suo racconto, talmente intenso e perfetto, che l’ho ascoltato senza parlare, fino alla fine. Eravamo in piedi nella sua cucina, abbiamo pelato le patate, messo del petto di pollo a friggere, stappato una bottiglia di vino, e all’improvviso lui ha iniziato a raccontare una storia che inizia con una bella storia d’amore e finisce con una tragedia, la morte di un’amata nipote. Ci siamo fermati, l’aria intorno si è fermata e il tempo si è fermato e ci siamo trovati a camminare nel cuore di un inverno canadese. Lui è una persona che ha il dono dell’amicizia, che sa mettere in relazione le persone, è accogliente, intelligente, colto e affronta la vita con lo stesso entusiasmo di un sedicenne. Poi oggi a pranzo, ancora immersa nell’atmosfera di ieri sera, sono uscita a pranzo, in una vecchia trattoria milanese che ci ha portato indietro nel tempo, con Elvio, che conosco dai tempi delle scuole superiori. Anche lui è un uomo di rara intensità, ci siamo aggiornati sulle cose accadute in questi ultimi mesi o anni, abbiamo iniziato a parlare di progetti futuri insieme, di libri, di poesia. E poi di pandemia e di guerra, perché alla realtà è impossibile sottrarsi. E dopo Elvio una lunga chiacchierata con Fiorella, nuova amica, anche lei con un’energia giovanile incredibile. Poi al telefono con Elis e i problemi idarulici a casa sua e con Giuseppe che è in grado di risolvere qualunque problema pratico e di aggiustare qualunque cosa. E poi lavoro, tanto lavoro, tante cose da leggere e da scrivere. E di nuovo fuori a cena, questa volta con la mia amica poetessa Annalisa. Siamo andate nel solito cinese dove mangiamo sempre gli stessi piatti e siamo state bene, eravamo avvolte in una bolla di intimità, di confidenza e di vicinanza. Abbiamo parlato di guerra, pandemia, lavoro, colleghi, amicizia e di poesia, di moltissima poesia e lei mi ha letto le poesie nuove tra cui un testo profetico, con immagine di guerra che ha scritto un mese prima che davvero i russi invadessero l’Ucraina. Non so come sono arrivata alla fine di questa giornata, ho parlato e ascoltato tantissimo, ho imparato cose nuove, mi sono angosciata, ho riso e scherzato e la notte è scesa su di noi, non benevola, non ostile. Noi, che viviamo in questo angolo di mondo ancora tranquillo e ancora protetto.

 

 

Scrivere come se fosse la cosa più importante

 

E adesso scrivo, scrivo

per non perdere nulla

di questa giornata, scrivo

come se fosse la cosa più

importante, più importante

ancora dell’avere respirato

e riso e pianto e avere

alzato insieme gli occhi verso

queste cielo innocente che

accarezza le nuvole e sorride

al vento. È quasi primavera,

è quasi pace, è quasi, tutto

deve ancora arrivare a

compimento. Sorrido con

il cielo e mi abbandono

alle nuvole. Respiro, svanisco.

 

 

Ora posso abbandonarmi alla notte e al sonno, sperare che il cielo di domani si risvegli con me in un mondo più quieto, senza guerra, senza dolore. Oggi è giovedì 10 marzo del terzo anno senza Carnevale e del primo anno di guerra e questa Cronaca 732 è già addormentata.

domenica 27 febbraio 2022

Cronache dagli anni senza Carnevale/721. Dinanzi al foglio bianco, è un po’ che aspetto le parole

 


È domenica mattina, una mattina che immagino sarà interessante, visto che continuerò il laboratorio con Fiammetta. Mille e mille informazioni mi arrivano da tutti i media che vado a consultare, non riesco a farne a meno, l’angoscia sale insieme al senso di impotenza. Ma il tempo passa e vorrei che il mondo tornasse indietro, alla settimana scorsa, quando avevamo “solo” la pandemia da affrontare. Intanto che cerco uno spunto non guerresco per scrivere la Cronaca 721 di domenica 27 febbraio del terzo senza Carnevale e con la guerra, ritrovo questa poesia, una poesia che profuma di quiete e di serenità e tanto mi basta per oggi.

 

 

Mattina di febbraio

 

Dinnanzi al foglio bianco, è un po’ che aspetto

le parole. Che però non arrivano.

Non ottengo che, docili, si posino

sul quaderno e che dicano quel che ora

tento di dire: che questa mattina

il sole di febbraio gioca sopra

i tetti del quartiere, che in un cielo

così azzurro ci sono solo due

o tre nuvole bianche,

che suona mezzogiorno all'orologio

della parrocchia e allegro

un passero si posa all'improvviso

sulla ringhiera del balcone:

batte

le ali, saltella, col becco si liscia

le piume, guarda, inquieto,

di qua, di là, e, d’un tratto,

gaio riprende il volo nella luce del giorno.

 

 

Ecco la luce del giorno sta svanendo, arriva una nuova notte, per alcuni sarà l’ultima notte, alcuni di quelli che stanno cercando di sfuggire alla guerra e non ci riusciranno.

La poesia è di Eloy Sánchez Rosillo, tratta da Las cosas como fueron, traduzione di Francesco Dalessandro, Tusquets, 2004

venerdì 18 febbraio 2022

Cronache dagli anni senza Carnevale/712. La sensazione di essere pioggia, il coraggio di diventare pioggia

 

Cos’è una città? Si chiese la nuvola piccolina che svolazzava su e giù in un cielo cristallino, portata da un vento dispettoso che continuava a farle il solletico. La nuvola grandicella sapeva già la risposta e si avvicinò alla piccolina per darle qualche spiegazione.

“Una città è dove vivono, lavorano, dormono e mangiano gli umani. Noi le città possiamo vederle dolo dall’alto. Perché se le vediamo troppo da vicino vuol dire che non siamo più nuvola ma pioggia”. La spiegazione era molto interessante, ma la nuvoletta stentava a credere di non poter essere più la stessa nuvola se si fosse avvicinata troppo. Così approfittò di ogni singola zaffata di vento per avvicinarsi sempre più verso la terra e verso le case. Quel che vide le piaceva moltissimo, era proprio curiosa quella nuvoletta. Ma proprio mentre era pronta a lasciarsi andare al tuffo finale, ecco che sbaf! E il vento l’aveva riportato nel gregge delle sorelle, tutte molte, molto più grandi e maestose di quanto non lo fosse lei. Si rassegnò, nuvoletta, pensando che alla prima occasione ci avrebbe riprovato, ma poi guardò il sole e capì che l’attraeva tanto quanto la città degli uomini. “Ma il sole è forse la città delle nuvole?” chiese la nuvolina a una nuvola più grande che stava sonnecchiando proprio in coda alla carovana. “Macché cosa dici nuvolina sciagurata! Mai ti devi avvicinare al sole perché se ti lasci trasportare da una corrente ascensionale gli arriverai talmente vicino che evaporerai in mille e mille goccioline di vapore acqueo e poi più nulla. Nessuno sa cosa accada dopo, nessuno riesce a vedere se in quel vapore c’è ancora traccia della nuvola originaria”. Nuvoletta rinunciò così alla salita verso il sole che non le sembrava poi così interessante. Ma non riusciva a smettere di pensare a quanto le sarebbe piaciuto andare a capofitto verso la città. Fu un momento e riuscì a cavalcare un refolo di vento discendente che la portò giù, giù, sempre più giù a una velocità sorprendente. All’inizio sentì solo un brivido, poi punture, poi scosse elettriche, conosceva quelle sensazioni perché una nuvolona scura e arcigna gliene aveva parlato qualche giorno prima – e badate che un giorno di una nuvola non è come il nostro giorno, il giorno di una nuvola dura tanto quanto un nostro anno. Si lasciò andare nubilotta e all’ennesimo scossone sentì che si stava moltiplicando che ogni sua molecola si stava rimescolando e diventava acqua, acqua piovana. Era questo allora diventare pioggia? Era questa la sensazione? Ma era bellissimo! Ogni goccia era uno sguardo, una carezza, un salto. Nuvolina toccò terra, toccò i tetti e le cime degli alberi. Toccò anche molte teste di umani, i bambini ridevano, le signore un po’ meno, soprattutto se erano state dal parrucchiere. Era felice anche la terra di sentire quel solletico, era felice l’ombrello rosso e il bambino che lo impugnava saltò a piedi uniti in una pozzanghera che nuvolina aveva creato all’improvviso. Fu in quel momento che capì la nuvoletta, capì che essere nuvola è solo una possibilità, ma per conoscere il mondo bisognava avere il coraggio di diventare pioggia.

Oggi è venerdì 18 febbraio dell’anno con un quasi Carnevale e questa Cronaca 712 è diventata pioggia insieme alla nuvolina.

mercoledì 2 febbraio 2022

Cronache dagli anni senza Carnevale/696. Come le stelle fanno con la notte

 


 

 

Come mi piace trovare subito un libro quando lo cerco e, subito dopo andare a cercarne un altro e non trovarlo. Quindi ricominciare la caccia al tesoro libresca che tanto mi appassiona. Al punto di essere sempre in ritardo con la pubblicazione delle Cronache che spesso si stirano e stirano e scavallano nel giorno nuovo. Ma anche in questi casi mantengo ferma la numerazione e la data di pubblicazione, perché ognuno di questi 696 giorni da che ho iniziato a scrivere con maniacale ossessione queste righe quotidiane, valeva per me la pena di essere raccontato, e questo non è solo scrivere una Cronaca o un diario, cosa che pure mi piace fare, è un esporsi ogni giorno agli occhi dei miei lettori, delle amiche e degli amici, portare il mondo qui dentro e restituirlo a chi legge, scrivere racconti a puntate, molte poesie, lasciare che le parole fluiscano e si accompagnino al silenzio più puro come le stelle fanno con la notte.

 

 

Dove danza il colore della primavera

 

La luce dei lampioni chiama

quella delle stelle, quella luce

di oggetti misteriosi cui mai

abbiamo resistito. Se dico

stella dico cielo, dico notte e

dico poesia. Se dico cielo

ecco che arrivano le nuvole e

gli alberi agitano i rami in

un saluto gioioso che solo

loro conoscono. Mi fermo a

guardare e respiro l’aria fresca

di questo mattino invernale

dove ancora non si sente

primavera, ma il suo colore

già danza tra noi.

 

Oggi è stata una buona giornata di lavoro e scrittura, di riordino di libri e di molto, molto silenzio. Una giornata gioiosa anche per la città che aspetta quanto me un cambiamento, una gioia a lungo attesa, parole che mi piace ascoltare e riascoltare, la poesia che è una fedele compagna, anche oggi che è mercoledì 2 febbraio del terzo anno senza Carnevale e questa Cronaca 696 sta riordinando il guardaroba e vorrebbe tanto portare i cappotti in tintoria. È tempo, forse è tempo di tornare a essere fiduciosi, forse la pandemia sta davvero rallentando, forse il Covid sparirà così come è apparso e come fece la Spagnola che impestò la terra per un paio d’anni e poi sparì.

lunedì 24 gennaio 2022

Cronache dagli anni senza Carnevale/687. Per le rose che dormono nell’inverno dei rami

 


 

La luce dei lampioni scende nella notte come l’inchiostro caduto nell’acqua, il movimento è lo stesso, ma opposto è il risultato. Mentre la notte rischiarata dalle luci artificiali diventa un luogo frequentabile, né l’acqua né l’inchiostro potranno servire ancora. Dunque non sempre mescolare materia ad altra materia porta a un risultato sensibile. Eppure non sappiamo resistere e tutta la nostra giornata è una fatica contro gli stati originari della materia che vogliamo cambiare, modificare, possibilmente migliorare. Usiamo le mani per farlo, usiamo il fuoco, l’acqua, la luce, il vento. Proprio il vento, e il fuoco, sono molto più esperti di noi umani nel modificare gli stati della materia. Il vento trascina e strapazza le nuvole, la pioggia e la neve, scompiglia le foglie e i rami, i nostri capelli. Il fuoco divora o cucina, rende cenere o rende commestibile. Quel che non riusciamo a fare da soli è il tempo a compierlo, il tempo che ci mola tutti, ci arrotonda e poi ci lascia continuare la nostra opera umana, le nostre piccole trasformazioni, ci lascia alla nostra incrollabile fiducia che domani sarà un tempo migliore di ieri e di oggi, domani è il tempo della rinascita o della resurrezione che non sono proprio la stessa cosa. Per rinascere dobbiamo abbandonare qualcosa di noi nel tempo passato, per risorgere riportiamo in vita tutto quanto con noi? Cosa è meglio? Cosa è più opportuno?

 


La canzone della rosa in fondo al giardino

 

Canterò maggio nella

prossima canzone, ma

ti prego ferma l’onda

del tempo, fa che maggio

non arrivi, non sono ancora

pronta per la muta, non

cerco la resurrezione, ma

una nascita nuova, quella

che non ho avuto quando

il tempo mi ha gettato oltre

le sue barriere e io ero

ancora muta e troppo

piccolina per dire o fare

cose o protestare. Non

far arrivare maggio sino

a quando non sarò pronta,

dillo anche alla rosa in fondo

al giardino che fioriremo

insieme e le starò accanto

per raccontare come si

muovono le nuvole nel cielo

e anche quanto è buono

il suo profumo e quanto belle

sono le sue sembianze. Rosa

di maggio che non conosci altra

forma che la perfezione, dì

al tempo che non è tempo di

arrivare, diglielo ancora perché

non ricordi da dove viene, e

diglielo ancora perché maggio

deve restare l’orizzonte in

fondo al mio giardino.

 

 

Questa Cronaca 687 di lunedì 24 gennaio del terzo anno senza Carnevale nasce dalla lettura di un nuovo romanzo della mia amica Elisabetta e da un sogno dove qualcuno cantava e chiedeva a maggio di non arrivare. Ma maggio arriverà per lei, per me, per le rose in fondo al giardino che ora dormono nell’inverno dei rami.

sabato 22 gennaio 2022

Cronache dagli anni senza Carnevale/685. È il silenzio, insieme, della città e del cielo

 


Quando hanno smesso di parlarsi le strade e le stelle? Quando le nuvole e gli alberi? Eppure oggi è questa la città, silenziosa, è questo il cielo, silenzioso. Si guardano come fanno sempre e da sempre ma hanno deciso di non comunicare, almeno per oggi, almeno per il tempo necessario a fantasticare su questo silenzio nuovo, o rinnovato, su questa mancanza di parole umane, di simboli, di ritorni.

Il cielo parla con le nuvole, con il loro movimento, ma anche con la totale assenza di nuvole e di movimento. Le nuvole dicono le stagioni di mezzo, primavera e autunno, la fine della stagione calda con i temporali d’agosto, il colmo dell’inverno, quando da nuvole bianche e compatte saltano giù fiocchi di neve via via sempre più fitti. La città parla con le luci dei lampioni e dei negozi, parla con luci alle finestre, i clacson in strada e il rombo delle auto. La voce della città dipende sempre dalle azioni umane, la voce del cielo solo da intenzioni celesti di esseri invisibili e a noi sconosciuti. Quando le luci e le nuvole si incontrano nascono bizzarre creature alate che si divertono a portare scompiglio. Quando il cielo parla con le stelle, lo fa solo di notte, quando le stelle cercano di entrare in contatto con le finestre e quello che nascondono, o svelano, alla vista. Sono curiose le stelle delle attività umane, ma possono avvicinarsi solo quando il buio è calato e noi umani siamo perlopiù chiusi nelle nostre case a preparare la cena, a guardare la televisione, a riposarci dopo una giornata di lavoro. Sono invidiose le stelle dei racconti delle nuvole che ci vedono agire durante le ore diurne, ci vedono passeggiare alla luce del sole, chiacchierare, cantare, giocare e correre. Di notte siamo illuminati dai lampioni e dalle lampadine, non dalla luce dell’unica stella abbastanza vicina da illuminare tutto questo nostro mondo. Le stelle, il firmamento, sono invidiosi di quest’unica stella che può starci vicino senza consumarci. Ma loro, le altre stelle, lanciano i loro raggi e li inseguono sperando di arrivare in tempo, prima di esplodere, prima della nostra estinzione, prima che il tempo finisca, ma non sempre ci riescono.

 

 

 

La perfezione senza le sillabe

 

 

Nel silenzio della città

e del cielo prendo in

prestito i suoi versi e

mi fermo ad ascoltare

il loro suono e un’altra

città si dispiega davanti

ai miei occhi e io sono

qui e anche laggiù, mentre

è tutto questo silenzio

che accompagna il giorno

e la sua fine che è certa

mentre la notte è scesa

e questo silenzio è anche

il mio silenzio, il tuo silenzio,

nessuna sillaba arriva a

cambiarne la perfezione.

 

 

 

Ecco che un altro giorno di gennaio è trascorso tra lavori domestici, riposo e libri. Ho sentito così forte in me questo silenzio quando il mio amico Danilo mi ha letto la poesia Comizio di Pasolini, che ho dovuto prenderne un verso e utilizzarlo per il titolo di questa Cronaca 685 di sabato 22 gennaio del terzo anno senza Carnevale. Anche se il Brasile ha deciso di posticipare le sfilate dei carri in aprile, forse potrò scrivere le Cronache dagli anni con il Carnevale in ritardo?

martedì 30 novembre 2021

Cronache dagli anni senza Carnevale/632. Il silenzio tiene cuciti insieme acqua e cielo, il vento il cielo e la terra

 

Ho aspettato che ci fosse un nuovo silenzio tra le onde piccole del lago e il cielo limpido di questa giornata. Ho aspettato ed era così dolce l’aria, così quieta l’atmosfera. Poi ho visto che la linea dell’orizzonte, quella dove cielo e terra si toccano, era più scura su entrambi i lati, più azzurra del cielo, più azzurra dell’acqua. In tutta questa azzurrità il silenzio si è levato come uno stormo di anatre in migrazione, come un branco di nuvole disciplinate spinte dal vento. E ho capito che era il silenzio a tenere cuciti insieme l’acqua e il cielo. Dove invece l’unione è tra il cielo e la terra, è il vento che si è fatto filo e ago. Ma dove si nasconde questo abile sarto che ogni giorno unisce gli elementi? Anche il fuoco vorrebbe saperlo, perché sfugge ogni giorno al gioco degli altri elementi che potrebbero spegnerlo, degli altri elementi che lui può distruggere se si avvicina troppo. Lo sa bene il fuoco che quando si avvicina, le cose hanno un ultimo guizzo di splendore prima di svanire in cenere. È difficile amare sapendo che si potrà distruggere l’oggetto del proprio amore, il fuoco lo sa. Come sa di non poter sfuggire alla natura ardente che lo tiene legato a questa realtà.

 

 

Quando l’immaginazione è ferma a covare

 

Tutto è calma sul lago e

intorno, la calma delle cose

non ancora accadute, ma è

anche lo stupore delle cose

dopo l’amore. Mi fermo a

decifrare il sottile sussurro

delle onde, mi fermo e non

capisco, perché mi è ignoto

il loro linguaggio. Oggi è

lo stesso per il vento e per

le nuvole. Ognuno sta al

suo posto e io non capisco,

perché la mia immaginazione

se ne sta raggomitolata in

un nido in riva all’acqua.

Non so, forse dorme, forse

sta covando l’uovo di una nuova

poesia, devo lasciarle tempo

e intanto camminare vicino

al lago come se fosse il mare.

 

 

Oggi ho trascorso quasi tutta la giornata sul lago Maggiore con mia cognata Monica, il tempo era splendido e una volta di più ho imparato che la poesia nasce anche da un minimo sguardo, dall’immaginazione che non cerca cose stupefacenti, ma scava tra le pieghe del sogno e quelle della memoria e si lascia guidare anche dalle più piccole suggestioni. Perché non si sa mai come, dove e quando una nuova poesia arriverà. Ma arriva e si accomoda, come oggi martedì 30 novembre del secondo anno senza Carnevale, in questa Cronaca 632 e nei suoi angoli luminosi e ardenti, che poi sono braci, poi cenere e alla fine solo memoria.

sabato 20 novembre 2021

Cronache dagli anni senza Carnevale/622. Le nuvole in una stanza sono sempre nuvole

 

 


 

Non è che una piccola nube, grigia, oblunga e bassa. Se ne sta in mezzo alle altre nubi che si spostano lente sulla città mai più silenziosa. È molto curiosa la piccola nuvola e vorrebbe scendere ancora un po’ per vedere cosa succede laggiù sulla terra. Ma il tuono la ferma e le insegna che quando si scende troppo, un solo destino è inevitabile, sciogliersi in vapore acqueo se l’aria è troppo calda, rapprendersi in pioggia se, invece, è fredda. Il vento le suggerisce di restare in ordine, nell’ordine delle nuvole ben inteso che non è quello che intendiamo noi umani, di restare nella formazione e imitare le mosse delle nuvole più anziane, quelle che hanno anche più di un giorno e non solo una mezz’ora come lei. La piccola nube annuisce, come fanno le nuvole e noi umani non capiamo, si mette in fila ben impettita e poi lascia che tutte le altre nuvole, quasi tutte grigie, qualcuna bianca ma molto, molto opaca, le sfilino davanti come un gregge di pecorelle, similitudine che a loro, gli umani, cioè noi piaceva moltissimo usare. Quando fu certa di essere rimasta in coda, ecco che trattiene il respiro, che è un respiro da nuvola e non assomiglia a nessun respiro umano, e non solo resta indietro, ma può proprio scendere, con le dovute precauzioni, verso la terra che tanto l’attira. L’aria è mite in quel momento, il vento continua a stare dietro al gregge e i tuoni borbottano come vecchietti addormentati davanti all’osteria. Scende e scende la piccola nuvola, sino a quando inizia a distinguere le auto colorate, sono quasi tutte grigie come le nuvole a ben guardare, e si muovono su strisce di terra molto scura con linee intere e linee spezzate bianche che le dividono in due.

 

 

 

La catena dell’ombra e della terra

 

 

Delle nuvole è il cielo, come

degli uccelli e delle foglie.

Ma anche dei sognatori è il cielo,

lo sanno nuvole e uccelli, un po’

meno le foglie perché sono intente

a seguire la melodia che le

condurrà a terra per accorgersi

che ci sono sogni e immaginazioni

sparpagliati nei cieli e nessuno

ne conosce i proprietari, nessuno

vuole scoprire che un sogno lieve

è dell’uomo triste, nessuno vuole

carpire il segreto della ballerina

che volteggia, del fiore che sboccia.

Forse il cielo è di chi lo guarda, forse

non esiste un solo cielo, forse esiste

un cielo per ogni sguardo che si

alza e smette di sentire la gravità

che ci incatena all’ombra e alla terra.

 

 

 

 

Scende e scende, ancora sempre più vicina ai palazzi, talmente vicina che vede i tetti, conta le tegole e come può resistere a quella finestra aperta? Entra la piccola nube e subito si accorge di essere un po’ meno grigia e un po’ più bianca. È contenta, si rilassa, ma poi l’uomo con i pennelli la vede e se ne innamora all’istante, chiude la finestra e scivola sino alla soglia, da dove può fotografarla. Così la piccola nuvola diventa un’opera d’arte e per me un pretesto per scrivere questa nuvolosa Cronaca 622 di sabato 20 novembre del secondo anno senza Carnevale. Mentre scrivevo mi sono venute in mente le nuvole in una stanza dell’artista olandese Berndnaut Smilde e ho preso in prestito una delle sue immagini.

giovedì 18 novembre 2021

Cronache dagli anni senza Carnevale/620. Essere un melograno, una castagna o un riccio? Essere betulla e la steppa tutta intera

 



Inizia con una vertigine il tempo questa mattina, ancora indeciso sul colore del mantello autunnale. Ma poi prevale il giallo in tutte le sue sfumature e la città mai più silenziosa si incendia d’oro e abbacina gli occhi. Esco a fare una passeggiata a ora di pranzo, il sole è caldo, mi siedo qualche minuto su una panchina, lascio che le immaginazioni spontanee se ne vadano a spasso in tutta libertà. E sono indecisa se essere un melograno, una castagna o un riccio. Essere il contenuto o il contenitore? Nell’abbondanza dei doni scelgo di essere un riccio appena caduto e non ancora raccolto. Sul sentiero passerà qualcuno ed esclamerà “Ma che belle castagne!”, e raccoglierà i miei frutti e io sarò felice di essere stata così a lungo in compagnia di quei bei frutti lucidi e marroni.

La vertigine del tempo non si è placata con i colori e i frutti, ora che tutto è addobbato, i lupi sono sbucati dal sentiero dove inizia il bosco, non stanno cercando cibo ma compagnia. Nella Casa delle Parole gli abitanti sono tutti intenti a scrivere le loro storie e le loro poesie, così non li disturbiamo e usciamo di nuovo a girovagare nella brughiera. Ci sono macchie di erica rosa qua e là, nuvolette come pecorelle e immagini d’Irlanda che occupano tutto lo spazio negli occhi. Sulla nostra sinistra ci sono i boschetti di betulle che stanno solo aspettando la neve per diventare steppa siberiana. Dall’altro ci sono i boschi di castagni e lecci che stanno intorno alla casa rosa di Soliva. Una casa che ho tanto amato e che ora vive solo nei ricordi e nelle fotografie. Ci sarà ancora il roseto rampicante sul lato meridionale? E i due immensi abeti dell’Himalaya? In questa terra ai piedi delle Montagne della Nebbia posso evocare tutti gli alberi che ho amato e vederli apparire come per magia. Questo accade nelle lande dell’immaginazione, quando lasciamo che nostalgia e desiderio declinino nuove immagini nella nostra mente.

 

Quando il tempo è un lupo accucciato accanto al fuoco

 

Si muove piano il lupo della

nostalgia, mi segue, mi odora,

non ulula e poi mi segue nella

brughiera e monta la guardia.

Poi si accuccia ai miei piedi

quando accendo il focolare e

sonnecchia insieme alle castagne

che ancora riposano nei loro ricci.

Saranno i melograni a dare la sveglia?

Un guizzo di vitalità, un falso

movimento? No, se ne stanno

sul tavolo quieti i melograni,

insieme alle mele e alle castagne.

L’aria profuma di legna bruciata

e del tè nero che ho appena

preparato. Il lupo è il tempo,

più che la nostalgia,

ulula di notte quando la luna

chiama e tutti rispondiamo.

Confusi tra i cespugli della

brughiera e le betulle che

biancheggiano nella luce lunare.

Non ci sono altre svolte nel

sentiero, tutte le direzioni

portano verso la nostra casa.

 

 

 

Vorrei essere una melagrana stasera, non l’albero, ma proprio il frutto, tutta rossa e tondeggiante, aggrappata al ramo sino a quando qualcuno non verrà a raccogliermi e i semi rossi saranno poesie nuove per le nuove Cronache dei giorni che verranno.

Oggi è giovedì 18 novembre del secondo anno senza Carnevale, una giornata luminosa e soleggiata, ma dove le ambulanze hanno ricominciato a percorrere le strade del quartiere, oggi ne ho contate sette.

lunedì 15 novembre 2021

Cronache dagli anni senza Carnevale/617. La felicità delle nuvole, della pioggia e delle ultime foglie

 

 


 

È una giornata di novembre, piovosa e uggiosa, dovresti avere lo stesso umore, così esci di casa e ti incammini sotto la pioggia. Così camminando sotto la pioggia scopri che la pioggia non è mai triste, non solo, scopri che la pioggia è felice. Inizi così a parlare con le gocce che scendono e le gocce rispondono con voce lieta e un coro scende verso la terra e un coro sale verso il cielo. Essere in quello che si è, essere quello che si è, forse la capacità di essere felici inizia proprio ascoltando il canto della pioggia.

Con la pioggia cadono, d’autunno anche le foglie, forse loro sono tristi? Forse stanno rimpiangendo il vigore dell’estate e lo splendore del cielo? No, le foglie d’autunno amano la loro livrea rossa o gialla, amano l’ultimo valzer che danzano col vento intorno al loro albero. Amano cadere vicino all’albero madre le foglie, ma amano anche l’ultimo vagabondaggio che le porta lontano, a conoscere altri alberi stranieri e poi ad adagiarsi dove la terra le sta chiamando. Ti chiedi allora se sono tristi le nuvole che vagano nel cielo, si sfaldano, si trasformano in pioggia o in vapore. Ma scopri che la felicità sta nella continua trasformazione, che niente le potrebbe rendere infelici se non la solita forma, diventare una scultura, l’immobilità, questa sarebbe l’infelicità. Mutare è la condizione per stare in questa realtà, accettare il tempo e tutte le trasformazioni che ci legano al suo eterno mutamento.

 

 

 

 

Il silenzio e l’ultima caduta

 

Non possiamo dire felice

cosa che non sia caduta

almeno una volta. Felice

è chi conosce la caduta e

la gioia del rimettersi in

piedi e poi del cadere ancora

e ancora. Felice è chi si

abbandona all’eterno

mutare delle nuvole e del

vento. Non senti come soffia

tra il tuo collo e il cielo?

Non senti che la notte ti

darà sia il riposo che l’ombra,

ti darà il coltello per lacerare

questa tela della realtà e una

penna con abbastanza inchiostro

per scriverne la forma e

immaginare il respiro, il tempo

e poi il silenzio, la fine e

l’ultima caduta.

 

 

Anche oggi, lunedì 15 novembre del secondo anno senza Carnevale, ho ascoltato la pioggia cadere e ho scoperto verità che mi erano ignote e questa Cronaca 617 ancora sta aspettando che la pioggia termini il suo canto.

mercoledì 10 novembre 2021

Cronache dagli anni senza Carnevale/612. Prendi le nostre parole e fanne nuvole, pioggia o vento

 

 


 

A volte bisogna cambiare prospettiva per imparare di nuovo a vedere le cose. Un po’ come chiede il professor Keating nel film L’attimo fuggente ai suoi studenti quando li fa salire in piedi sui banchi. Salire su una scrivania in ufficio fa uno strano effetto, la stanza sembra più ampia e anche più luminosa. Salire sul tavolo della cucina permette di vedere la parte superiore dei mobili, i libri di ricette che non usiamo mai, la piccola collezione di bottiglie verdi, ricordo di cene e amici inghiottiti dal tempo. Per guardare da un’altra prospettiva il soggiorno e lo studio, ma anche la camera da letto, bisogna arrampicarsi in cima alla scala grande. Ecco dov’era finito quel romanzo di Carrère che era sparito, era solo scivolato tra il divano e il tavolino ed era rimasto intrappolato in una piega del telo colorato che cercava di difendere il divano dalla passione dei gatti che amavano rifarsi le unghie sugli angoli. Per guardare al quartiere con occhio diverso, bastava salire sino all’ultimo piano del palazzo e guardare verso nord-est per riconoscere le Tre Torri di City Life e riconoscere le vie che portavano verso la vecchia fiera che era un fantasma nella memoria. Tutta la città era una città fantasma, anche il fiume Olona scorreva sepolto sotto strati di terra e asfalto, il suo corso era stato deviato con un’ottima opera di ingegneria idraulica e in quel quartiere della città non c’erano esondazioni, come invece accadeva sempre dove scorrevano il Lambro e il Seveso.

Una volta arrivata in cima al palazzo aspetto che il sole tramonti, cerco di andare oltre le luci della città, verso la luna, invisibile, e le stelle fioche e remote. Anche se l’aria è già fredda, approfitto della sedia a sdraio della signora Luisa e mi accomodo meglio. E riporto alla mente una conferenza interessantissima dove una brillante filosofa aveva parlato di Pico della Mirandola, di Giordano Bruno e del Rinascimento. È proprio in quel preciso momento che sento in me e intorno a me che la terra è il cielo della luna. Noi siamo il cielo di qualcun altro? Possiamo cadere da questo cielo? È solo la forza di gravità che ci impedisce di cadere o è, piuttosto, la forza dell’immaginazione?

 

 

Guardare senza credere a ciò che vediamo

 

Luna, mia luna che sei

il cielo di questa terra,

non cadere su questa

città e sulle sue case,

lascia che noi siamo,

per oggi almeno, il tuo

cielo e tu la nuova

terra, quella dove vanno

a riposare i sogni prima

di tornare a casa. Prendi

le nostre parole e fanne

nuvole, pioggia o vento.

Noi staremo buoni, buoni

e in silenzio. Per la prima

volta densi come le nuvole

che crediamo leggere e

forti come il vento che

soffia gli impeti della volontà

prima ancora di quelli della

memoria. Terra o luna due

arance blu nel cielo nero,

se guardiamo senza credere

a ciò che vediamo.

 

 

Gli esercizi per lo sguardo sono seri e molto impegnativi, continuo ad allenarmi, non mi stanco mai. Com’è vasto il mondo, come mi sorprende, come mi piace guardarmi intorno e immaginare quel che non riesco a vedere, quel che non c’è più, quel che non ci sarà mai.

Oggi è mercoledì 10 novembre del secondo anno senza Carnevale e la sua Cronaca 612, occhiuta più che mai, continua a guardarsi intorno e mi racconta tutto quello che vede.