martedì 31 agosto 2021

Cronache dagli anni senza Carnevale/541. Ogni notte è compagna di un fuoco che arde da millenni

 

Anche se crediamo di conoscere la notte, tutte le notti sono diverse una dall’altra. Anche nell’estrema ripetizione di eventi, perché passiamo la maggior parte della notte a dormire, le notti sono una diversa dall’altra, più lunghe o più corte, ci dicono che la stagione della fiamma si avvicina, o che presto i germogli esploderanno sui rami, che nuove pianticelle bucheranno la terra e si allungheranno a cercare il sole. In queste ore dove la luce è nell’altro versante del mondo, lasciamo questa realtà e ci addentriamo nel mondo dei sogni, magari dopo essere passati dal regno dell’immaginazione. Non sempre queste altre dimensioni della realtà sono benevole con noi, a volte sono incubi a venirci incontro, o il ricordo di persone che abbiamo amato e perduto. Ma se il ricordo è dolce, al risveglio saremo grati di avere sentito proprio quella voce, e porteremo quella dolcezza con noi nel giorno nuovo che seguirà questa notte felice. La notte è il regno degli amanti e degli innamorati, degli insonni e dei draghi. A tutti capita, prima o poi, di non riuscire a prendere sonno, o di svegliarsi molto presto, quando fuori è ancora buio. La notte è anche il luogo della nostra fragilità, come potevano sentirsi i nostri antenati, quando migliaia di anni fa erano in balia degli elementi e della natura? Quanto dovevano essere spaventose le notti? E quanto pericolose? Eppure la nostra specie ha superato quella barriera di notti perché ha presto capito che dopo il buio la luce sarebbe ritornata, una nuova speranza, la possibilità di cercare il cibo, di nutrirsi. Come sarà stato quando abbiamo capito che il fuoco scaldava, illuminava e migliorava il sapore del cibo? Quando abbiamo imparato ad accendere il fuoco, a ricoprirci di pelli? Era notte quando i primi artisti hanno dipinto un bue che salta? Cosa volevano esprimere? Il successo nella caccia o il timore dei grandi animali che ci attaccavano? Era notte mentre quell’uomo o quella donna hanno disegnato sulla pietra? Per millenni, fino all’invenzione dell’energia elettrica, abbiamo rischiarato la notte con olio vegetale o grassi animali. Tutti i grandi dipinti del passato sono stati realizzati dagli artisti sapendo che gli li avrebbero guardati non solo alla luce del giorno, ma anche alla luce delle candele.

Vincere il buio è stata una delle nostre più grandi conquiste, anche se a causa di ciò abbiamo perduto i cieli stellati, noi umani inurbati. Le grandi stellate che ho visto risalgono agli anni delle vacanze calabresi o ai cieli sgombri lontano dalle grandi città, in giro per tutta Italia, quasi tutta l’Europa, il Nord-America e Israele. Mi mancano tanti cieli e tante notti, l’anno scorso avrei dovuto ricominciare a viaggiare, andare in Russia e in Grecia, ma sono rimasta chiusa in casa come tutto il resto del mondo. Arriverà un tempo dove potrò andare di nuovo alla ricerca di quelle stellate che non conosco? Vedrò di nuovo l’alba in un luogo dove non l’ho mai vista?

 



 

Le parole della notte

 

La notte, il buio e le stelle,

le stelle, il buio e la notte,

sono inscindibili in me, nel

cuore e nell’occhio, nella

memoria. Per questo

tesso la mia poesia con

questa oscurità che mi

circonda e cerco pace

nelle parole che la notte

lascia sulla soglia della

mia immaginazione.

 

 

Ma so accontentarmi anche di notti già vissute, sotto il cielo di Milano o nel giardino della Casa delle Parole. Lì sono certa che vedrò le stelle, se le nuvole non arriveranno a proteggerle dal mio sguardo indagatore. Oggi è stata una buona giornata di silenzio e scrittura, e la notte è arrivata con il suo passo di pantera e mi ha colto alla sprovvista. Così l’ho invitata in questa Cronaca 541 di martedì 31 agosto del secondo anno senza Carnevale, una Cronaca notturna e stellata, piena di promesse per il domani che verrà.

lunedì 30 agosto 2021

Cronache dagli anni senza Carnevale/540. Oltre l’azzurrità del cielo, una goccia ostinata e la sua pietra

 



Oggi non mi sono mossa da casa, non sono uscita a respirare il giardino, non ho colto le rose né altri fiori, non sono andata nell’orto, non sono andata al mare. Troppo presa da quello che sto scrivendo, ho scelto di circoscrivere tutto il mio mondo in questo studio che zampilla parole, mie e di altri e non accetta rallentamenti o soste. Qui sono davvero a casa e penso alla città silenziosa quanto basta perché i suoi ricordi mi arrivino intatti. Vado a zig-zag tra libri scritti da altri e i miei, raccolgo i post-it sparsi, prendo appunti con la penna arancione e segno in verde le cose che vanno bene. Più verde che rosso su queste pagine, le ho rilette così tante volte prima di stamparle, anche se non amo leggere sullo schermo, ho imparato a farlo per comodità e per non sprecare carta. Ma la vera lettura è sempre l’ultima, quando sento il peso dei fogli in mano e mi rallegro, avvolta nell’azzurro dall’alba sino a questi momenti, poco prima del tramonto.

 

 

Perché le sillabe raggiungano le stelle

 

Lo spirito è azzurro questa

sera, come se avesse rubato

al cielo tutta la sua parvenza.

Sa lo spirito che dietro il cielo,

oltre l’azzurrità e le nuvole è

nero anche il cielo? Nero come

l’assenza e come la disperazione?

Se lo spirito non conoscesse

il nero, non avrebbe cercato quel

colore che suggerisce estate e

quiete, quel colore che sposa

le chiome degli alberi e allarga

il respiro. Quando è nero

lo spirito, se ne sta chiuso

in se stesso, e declina ogni

parola in sillabe, perché

così è sicuro che almeno

loro raggiungeranno le stelle

nel nero del cielo.  

  

Ci vuole un’ostinazione da goccia sulla pietra per scrivere solo perché si deve farlo, e questa ostinazione io la conosco molto bene. Mia madre mi chiamava gocciareddra nel suo dialetto pugliese che risentiva però di quello calabrese di mio padre. Com’è intuibile gocciareddra è una persona, spesso una bambina, ostinata, testarda e determinata. Qualcuno che goccia dopo goccia scava qualunque pietra, non importa in quanto tempo. Quel che importa è avere raggiunto il proprio obiettivo. Gutta cavat lapidem.

 

Una Cronaca questa, la 540 di lunedì 30 agosto del secondo anno senza Carnevale, che non ha reclamato movimento, ma solo parole. Che a volte sono ricordi, a volte solo promesse, a volte sono piccole gocce che hanno appena iniziato a scavare la loro pietra.

domenica 29 agosto 2021

Cronache dagli anni senza Carnevale/539. Brucerà l’ultima stagione nei fuochi della sera

 

 


 

Il mare, il mare finalmente! Non ci sono venuta che per pochi giorni e già mi mancavano l’aria profumata, il suono delle onde, la salsedine che ricopre di una lieve armatura tutto il corpo. Sono stata in spiaggia dall’alba sino a poco fa e non ho nemmeno più contato i bagni che ho fatto, perché so che sono gli ultimi della stagione, perché l’aria è diventata più liquida e la luce ha assunto quella sfumatura di un giallo tenue che è tipico di settembre. Potrei continuare a giocare con i bambini, saltellare su un piede solo, ma è arrivato il tempo di salutare i pesci e le conchiglie e iniziare a sognare come sarà ritornarci nella prossima estate. Magari ci tornerò ancora nei prossimi giorni, ma le fughe settembrine faranno parte di un’altra stagione e questa estate di quiete, sogni in giardino, scrittura e lettura, viaggi intorno alle mie stanze si chiude in questa giornata di sole e di caldo, ma non troppo. È sempre così la fine dell’estate nella terra ai piedi delle Montagne della Nebbia e poi a Milano, ma almeno non ci sono stati acquazzoni, solo questo lento declinare della luce e la nostalgia che si mescola con l’attesa dell’autunno.

 

 

 

Le polaroid di qualche decennio fa

 

Ho ascoltato le parole di

ogni stagione, le ascolto

da millenni ormai, e sempre

mi stupisco perché le voci

che io sento arrivano da

un silenzio che non ha inizio

e si perdono in questa

luce che illumina ogni

sillaba e ogni intenzione.

Lascio andare l’estate

verso la pace dei mesi,

accolgo l’autunno, sempre

in anticipo, come accade

a ogni nuovo inizio. Non

si ribella l’estate, scende

nel silenzio e nelle stesse

polaroid sbiadite di qualche

decennio fa.

 

 

È ora di andare, raccolgo la borsa di paglia intrecciata, l’asciugamano a righe bianche e rosse, le infradito dorate e il cappello comprato all’isola d’Elba in un’altra estate incorniciata nei ricordi. Guardo l’acqua che cambia colore, ci sono i bambini che danzano ancora al suono di una canzone che io non riesco più a sentire, ci sogni i sogni che si affollano sulle onde placide che sfiorano la riva, prima di svanire in sbuffi di schiuma bianca.

Brucerà la stagione nei fuochi della sera, bruceranno i ricordi e uno dei bambini si chiederà quando è stato, qual era l’anno in cui aveva ballato in spiaggia con le sue sorelline.

 

Oggi è domenica 29 agosto del secondo anno senza Carnevale, una giornata di mare, dove sono costretta a lasciare questa Cronaca 539 con i piedi a mollo, perché l’autunno – mi dice – non è ancora affar suo.

 

sabato 28 agosto 2021

Cronache dagli anni senza Carnevale/538. La fatica della luce e l’ombra del vulcano

 



Il profumo della menta selvatica sale dal giardino notturno, adesso che abbiamo appena innaffiato le aiuole. Il caldo della giornata si è disperso sia dalla superfice della terra che nell’aria e il canto dei grilli sovrasta il silenzio. Allora spengo le luci della veranda e possiamo andare a stenderci sulle sedie a sdraio, prima che l’umidità della notte le renda impraticabili. Guardiamo il cielo immenso, le costellazioni, l’intera via lattea che ruota. So che se fossimo in cima alle nostre Montagne della Nebbia vedremmo le luci delle città costiere brillare sull’altro lato del Golfo e una colonna di fuoco levarsi verso le stelle. Non si sente il rombo del vulcano quaggiù, ma la sua presenza è costante, un’ombra che non abbandona mail il profilo delle Montagne. Potremmo cantare il fuoco, potremmo evocare la luna e implorare il vento di unirsi al nostro canto, ma queste ultime giornate estive si portano dietro tutta la fatica della luce e del tempo vuoto, della vacanza dalla vita abituale. Abbiamo viaggiato tanto prima di tornare alla Casa delle Parole e abbiamo notato tutti i piccoli spostamenti che ogni racconto ha causato tra gli oggetti e i libri che avevamo lasciato indietro. È più dolce la partenza o è più dolce il ritorno? Vorrei chiedervelo amici miei, ma la notte tollera solo il canto dei grilli e non le nostre voci umane, forse ve lo chiederò domani.

 

 

Il silenzio e il ricordo di tutte le voci

 

 

Ora chiudo gli occhi, non

per chiamare il sonno, li

chiudo per tornare sul

sentiero e guardare se

ancora ci sono le tracce

del cervo e quelle del

cacciatore. È più veloce

il cervo, conosce meglio

il bosco, per quanto

ancora potrà fuggire?

Il cacciatore si è fermato

solo un istante quando

noi siamo arrivati, aveva

occhi verdi quanto il bosco

e non ha esitato, quando

ha messo l’indice sulle

labbra e poi se n’è andato.

Così fanno gli angeli prima

che noi nasciamo, per

essere certi che non porteremo

in questo mondo il racconto

di quel che accade prima

del tempo. Ma so che di

questo mondo porteremo

il silenzio e il ricordo di

tutte le voci.

 

 

Qual è allora la lotta più grande? È la corsa del cervo e del cacciatore? È l’ira del vulcano che irrompe nella notte? O sono sempre voci e silenzio a inseguirsi in una caccia senza fine, dove le storie restano in bilico, sino a che non le avremo scritte?

 

Oggi è sabato 28 agosto del secondo anno senza Carnevale e la Cronaca 538 sta come il vulcano prima della prossima eruzione, intrappolata nel silenzio delle stelle e in quello della luna, in quello del vento che riposa sul mare.

venerdì 27 agosto 2021

Cronache dagli anni senza Carnevale/537. Camminare per Milano in un’aria chiara e settembrina

 


Milano oggi era ventosa, luminosa e settembrina. A pranzo sono uscita con mio nipote Marco che ha appena letto il mio secondo romanzo In giornate identiche a nuvole, è stato piacevole parlare di quel libro che ha ormai qualche anno. E poi abbiamo anche parlato fitto, fitto di un sacco di cose e molto di letteratura.

Nel pomeriggio ho camminato tantissimo in zona Paolo Sarpi e poi sono andata a visitare ADI Design Museum Compasso d’Oro, che è in una zona industriale degli anni Trenta del Novecento che è stata recuperata. Bello e vivace il quartiere, molto interessante il Museo, l’esposizione dei progetti e degli oggetti che hanno vinto il premio, i disegni, i manifesti, è stato tutto un bagno nella storia del design italiano. Che bellezza, che bellezza ritrovare segni e colori che ho visto da bambina e da ragazzina. Ci sono oggetti e fotografie, come quelle relative alla costruzione della prima linea della metropolitana, la M1 detta anche linea rossa, il cui design è opera di Bob Noorda e Franco Albini. Quante storie, quanto ingegno e quanto amo la mia città, quando riesce a tenere insieme le tracce di un passato interessante con le promesse di futuro. Se non lo conoscete, merita almeno una visita. E poi ho scoperto che ai bastioni di Porta Volta, c’è ancora la sede del Circolo Combattenti e Reduci, un luogo dove il XXI° secolo ancora non è arrivato, ci si può andare a bere un bicchiere di vino o a mangiare un classico della cucina milanese, come la cotoletta o il risotto con l’ossobuco. Poco lontano ci sono il palazzo della Fondazione Feltrinelli, dove un tempo sorgeva un vivaio della Fratelli Ingegnoli, e la Fabbrica del Vapore.

Un quartiere dove mancavo da tempo e dove ritornerò presto. È bello fare la turista nella mia città.

giovedì 26 agosto 2021

Cronache dagli anni senza Carnevale/536. Pioggia è il nome delle nuvole mentre stanno cadendo

 


 

Si può essere indifferenti alla pioggia? Lo chiedo al bosco e gli alberi mi rispondono ridendo e scuotendo i rami. Lo chiedo alla terra che si solleva in un vortice di polvere e lo chiedo alle nuvole che sono il nome della pioggia prima che cada. E la pioggia, la pioggia ripeto, è il nome delle nuvole mentre stanno cadendo. C’è un legame esile e spesso invisibile che lega gli elementi naturali nei loro diversi stati. E, infatti, fiume è il nome delle nuvole prima che salgano in cielo e anche mare è uno dei nomi delle nuvole, ed anche uno dei nomi del fiume e uno dei nomi dell’acqua. Chiamiamo vento l’aria intorno che non vediamo, dal refolo al tornado è l’aria che si scontra con gli altri elementi e cambia velocità, intensità e forma. Così il fuoco è fulmine o saetta o folgore quando risplende ancora nel cielo e incendio, fuoco, fiamma, brace e cenere dopo che ha incontrato la terra e l’aria. Nessuna forma, se non la pietra e non per sempre, mantiene si mantiene identica a se stessa a lungo. Anche noi creature coscienti e senzienti mutiamo nel tempo, nel vento e nel fuoco e il corpo bambino già tende la mano al vecchio che saremo. Anche il nostro volto muterà nel tempo e avrà in sé tutti i volti che abbiamo avuto e le rughe saranno i versi che quel bizzarro poeta avrà inciso sulla nostra pelle.

Così cammino sotto la pioggia e affondo i piedi nella terra già umida, così cammino in riva al mare e la pioggia diventa mare e il vento diventa onda e io divento io e un’altra allo stesso tempo, perché niente può essere fermato, niente avrà la stessa forma e anche queste parole che sto scrivendo e che voi state già leggendo, sono testimoni di un passato che era solo mio.

 

 

Il fuoco nel cielo e sulla terra, a Kabul

 

Apro la mano, ci sono

le tre nuvole di Paz e

queste poche parole,

una poesia di una poesia

che un altro poeta ha

già scritto. Apro la mano

e ci sono solo ombre, la

chiudo e la riapro e trovo

pioggia e nessuna parola.

L’apro di nuovo e cerco

l’innocenza delle parole,

ma niente è innocente,

non dopo essere caduto,

mi dice la pioggia, mi

grida il mare. E io sento

quelle voci che sovrastano

anche il vento e la pioggia

che sono diventate le nostre

lacrime che toccheranno

la terra, ma non avranno

cambiato la storia, nessuna

storia.

 

 

Sono i gesti anche piccoli, sono le azioni, quell’uomo che ha dato l’acqua a un bambino assetato, l’altro uomo che ha premuto un pulsante e si è polverizzato e ha annientato altre decine di vite. Possono avere lo stesso nome questi due uomini? Io non credo, io non voglio crederlo e continuo a sperare nella scelta quotidiana di chi costruisce il bene ogni giorno e ha pietà dei poveri corpi che siamo, del dolore e delle lacrime, voglio credere in uomini com’era Gino Strada, voglio credere che prima o poi i portatori di morte si fermeranno o verranno fermati.

Oggi è giovedì 26 agosto del secondo anno senza Carnevale e questa è la Cronaca 536, dolorosa, come tutte le Cronache, anche di quelle che si celano in una poesia.

mercoledì 25 agosto 2021

Cronache dagli anni senza Carnevale/535. Ogni futuro è un seme portato dal vento e non sa ancora se sarà grano o papavero, o memoria



La luce del mattino non indica solo l’inizio del nuovo giorno, indica prima di tutto la fine della notte e gli incerti confini tra le ombre che vivono in solitudine, indipendenti e che il buio confonde con se stesso, e il chiarore dove le ombre sono costrette a vivere sempre attaccate ai corpi e alle cose che offrono loro una forma, una possibilità di esistenza.

 

Questa mattina mi sono svegliata molto presto, molto prima dell’ora in cui il traffico inizia a varcare le porte del silenzio, proprio quando la luce sfilaccia la notte. Ho aspettato poi, che ci fosse la luce piena e sono uscita a innaffiare le piante in terrazza, sul balcone e sulla ringhiera. È un piccolo rito che allieta l’inizio delle attività e mi piace respirare l’odore della terra bagnata e l’aroma del basilico che si spande intorno come se fossimo nell’orto. Ma il basilico non sa di crescere in un vaso, si allunga verso il sole e spinge i primi fiorellini bianchi a preparare la strada ai semi.

Tutto il presente è un incessante preparazione del futuro e questo accade anche se non ci pensiamo, come il grano seminato non pensa alla stagione fredda che dovrà attraversare prima di smettere di essere seme e di vedere di nuovo la luce.

Se nella natura la memoria vive rinchiusa nel presente, noi esseri umani passiamo molto del nostro tempo a rievocare il passato, cercando i segni di ciò che è stato memorabile o che vorremmo che lo fosse. Ma la memoria funziona con regole a noi sconosciute e quel che abbiamo dimenticato o rimosso è sempre molto di più di ciò che ricordiamo. Ma se è vero che senza memoria smettiamo di essere chi siamo, un eccesso di memoria ci costringe a rivivere la nostra vita come se fossimo dei Sisifo condannati a spingere un masso che continuerà a rotolare all’indietro.

La vita procede sul confine sottile e labile tra memoria e oblio. Ed è l’oblio a occupare lo spazio infinito di cui la memoria è solo un ritaglio, una parte infinitesimale che assomiglia molto alla parola che scardina il silenzio, lo scontorna e lo spinge più in là, oltre quel territorio che solo alla parola pertiene.

 

 

In che immagini e in che parole

 

Mi aspettano le parole alla

fine di ogni notte, mi aspettano

sui confini dove le immagini si

fermano e che non possono

varcare. Ma io so che le parole

sono figlie non solo del

silenzio, ma di tutte le immagini

che stanno dentro e fuori dalla

mia testa. Come la memoria

cerca il perdono, così ogni

storia sceglie che immagini

vuole e che parole. Mentre

tutto il resto galleggia nel

silenzio e nell’oblio. Scrivere

è sempre una lotta contro

l’inevitabile che ci circonda.

 

 

 

Queste riflessioni mi hanno accompagnato per la solita passeggiata in giro per il mio quartiere, che nella mente ho ricominciato a chiamare la Maddalena, il suo nome antico che la storia ha spazzato via. Man mano che il sole sorge e raggiunge lo zenit, mi preparo ad accogliere le parole e poi ne nasce una poesia e poi questa Cronaca 535 di mercoledì 25 agosto del secondo anno senza Carnevale dove ora potrò leggere senza che le mie stesse parole mi saltino intorno come cavallette nel prato o che svolazzino come api intorno ai cespugli di lavanda. È ancora estate, tutto intorno a me lo sussurra e mi allieta. 

martedì 24 agosto 2021

Cronache dagli anni senza Carnevale/534. Il fuoco che brucia ma non consuma, il fuoco delle parole vere

 



Anche il cielo si è fermato a guardare il salto della cerva in fuga. Arretra il cielo per far sì che lei possa arrivare ancora più in alto e sfuggire ai lupi che la inseguono. Ma poi le nuvole capiscono che la cerva non sta fuggendo dai lupi, ma sta giocando con loro. Così il cielo si ricompone e scende di nuovo verso la terra e osserva meglio quello che gli era sfuggito. In questa terra, nel nostro giardino, la cerva dorme accanto alla lupa, ma cosa cacceranno i lupi se i cervi sono amici? Non è tremendo essere condannati dalla propria natura ad annientare la vita di altre creature? I lupi non fanno certo domande e tornano nella foresta a procacciarsi del cibo. La mia cerva è salva, ma per quanto? Vado con lei fino allo stagno dove due libellule si inseguono sulla superficie, ci sono anche delle rane a mollo nell’acqua calma, e le canne ondeggiano nel vento che non arriva neanche a increspare l’acqua. Facciamo il giro tutto intorno allo stagno, ci sono delle nuove ninfee rosa e bianche e potremmo restare qui al sicuro. Ma il richiamo del bosco verde è troppo forte, troppo forte il desiderio selvaggio di essere libere e di correre. E allora lo facciamo, iniziamo a correre, lei potrebbe andare più veloce, la mia cerva, ma si adatta al mio passo. Se almeno avessi le tasche piene di sassi potrei giustificare questa mia lentezza, ma è il cuore stonato che mi trattiene e mi rallenta. Arriviamo sul limitare del bosco, là dove iniziano le colline tempestose di cui non intravediamo più le cime nei giorni di tempesta. Ma oggi il tempo è ancora chiaro e con la cerva vado sino alla fonte dove nasce il fiumiciattolo che attraversa queste terre. Le Montagne della Nebbia sono ancora più lontane delle Cime Tempestose e io vorrei tornarci, come ho già fatto tante altre volte quando vengo a rifugiarmi in queste terre. La cerva mi saluta e torna al suo branco, i lupi mi raggiungono e intonano il loro canto verso la luna che inizia la sua ascesa dietro le montagne. L’aria inizia a rinfrescare e io non voglio tornare a casa, non ancora, anche se non sono attrezzata per restare fuori di notte, è quello che vorrei fare. Ma sono i lupi a spingermi gentilmente verso il sentiero occidentale che mi riporterà a casa e loro scendono con me e mi fanno compagnia.

Amo queste terre perché qui posso stare da sola senza dover dare spiegazioni a nessuno. Il suono di un clavicembalo sale dalla Casa delle Stelle e mi fermo ancora ad ascoltare Bach fuori dal tempo e in un luogo imprevisto. Adesso so che sono tornati proprio tutti i miei amici e che potremo passare giornate liete insieme, li ho chiamati a raccolta tutti, qui in questa terra dove nascono le storie, perché questo è anche il luogo dove le storie vengono scritte e si avviano alla loro naturale conclusione come il veliero alla fine approda nella rada scelta dal capitano. Avrò condotto bene la mia nave? Troveremo acqua dolce oltre le colline? Troveremo qualcuno che vorrà ascoltare questa nuova storia della città silenziosa? Vado a scrivere le ultime pagine e poi inizierò a leggere e anche tu leggerai, tu che conosci tutta la storia dall’inizio. E poi inizierete a leggere anche voi e insieme sapremo se questa è una storia solo di terra, o anche di mare e di cielo, di fuoco. Quel fuoco che mi brucia ma non mi consuma, il fuoco delle parole vere, delle storie che iniziano a vivere anche fuori di noi.

 

Oggi è martedì 24 agosto del secondo anno senza Carnevale e sto scrivendo le ultime parole di un libro per me molto importante, questa Cronaca 534 lo sa e mi offre altro sostegno, un tavolo dove appoggiare il mio taccuino, una matita ben temperata e il focolare acceso che illumina e scalda l’estate che sta finendo.

lunedì 23 agosto 2021

Cronache dagli anni senza Carnevale/533. Non ci sono geometrie cartesiane nel mio cuore

 


 

A volte si addormentava davanti allo specchio e al risveglio stentava a riconoscere il volto riflesso. A volte passeggiava per le vie della sua città come se fosse stata una turista, le piaceva fingere che i portici fossero quelli di Bologna o di Torino e la cattedrale quella di Parigi. Sostituiva ogni luogo con un altro luogo conosciuto e alla fine non riusciva più a ricordare dove fosse davvero arrivata. Camminava con passo di lupa e i suoi occhi erano ardenti, la lingua mescolava le parole e chi si fermava a parlare con lei, attratto dal colore fiammeggiante dei capelli, quasi sempre vi rinunciava, perché era impossibile capire quella lingua che era fatta da frammenti in lingue antiche e dimenticate, non solo nelle lingue che lei parlava correntemente. Camminava talmente tanto la ragazza, che rimase intrappolata nei suoi stessi passi e il labirinto che aveva tracciato era ben più complesso da seguire che quello del Minotauro. Ma è proprio lei a darci il filo da seguire, come se fosse Arianna e noi Teseo”.

 

Sono arrivata alla fontana scura, in fondo al giardino che non riconosco, ma solo perché non ci sono mai stata. Mi siedo sul bordo a guardare i passeri che hanno smarrito la strada e ricomincio a scrivere nel taccuino, deve ritrovare il bandolo della storia vera e inventata di Milano che tanto mi appassiona. Sento l’amore della città invadere ogni casa, ogni palazzo, su fino alla cima degli alberi e alle colline invisibili che la città avrebbe voluto avere intorno. Ma intorno c’è solo la pianura su tre lati e verso nord le montagne non sono poi così vicine come sembrano.

Ci faremo guidare dalla donna in fiamme? Torneremo all’hotel Fantasia dove ci eravamo salutato l’ultima volta? Non ci sono geometrie cartesiane nei nostri cuori, e l’amore che abbiamo perduto ha lasciato qui la sua ombra rossa, proprio vicino alla strada che porta alla stazione, dove porteremo ancora i nostri passi, dove torneremo ancora una volta per perdere il treno che ti porterà via da me.

Ora che non ci sono più né il treno, né la stazione, né i nostri baci scolpiti nelle pietre dei gradini. Ora che sei lontano, in quello spazio remoto che è il nostro passato, posso ricominciare a respirare e rallegrarmi per tutto questo vento e non chiedermi dove tu sia finito e se ancora ti ricordi di me. Ora la nostra storia è solo una trama, una narrazione senza autore, un mucchio di foglie che il vento ha raggruppato sul selciato e niente altro da dire, niente di nuovo da fare.

Continuo a camminare e vorrei che fosse il vento a raccogliere anche me. Ma qui non ci sono corti clementi e giudici corrotti. Il tempo ha già emesso la sua sentenza per la quale ogni appello è impossibile. Come una rabdomante cerco le tracce del fiume sepolto sotto la strada, e lo sento gorgogliare e arrabbiarsi e gonfiarsi, perché non può più uscire, perché non vedrà più il cielo. Lo guarderò io per conto suo e lo guarderò anche per te che non hai più occhi e non hai ricordi da lanciarmi. Resta solo la metà di quello che è stato, la metà di quel che spetta a ciascuno di noi. Inutile sarà l’attesa, inutile la quiete. Perché solo nel tumulto si aprono i sentieri del dubbio. Niente ritornerà com’era prima che riconoscessi i tuoi occhi, niente sarà lo stesso, ma solo una ripetizione di ciò che è stato e di ciò che sarà. Avrò il tuo sorriso, ma non il tuo sguardo, questo è l’unico dono del destino, l’unica cosa che ho conservato di te.

 

Mi capita, certi giorni, di seguire il filo di una storia e di lasciarmi trascinare senza sapere dove mi porterà e oggi è stato proprio un giorno di questi, lunedì 23 agosto del secondo anno senza Carnevale che porta questa Cronaca 533 sul confine della sera, dove le storie di oggi sono già mischiate con quelle di domani.

domenica 22 agosto 2021

Cronache dagli anni senza Carnevale/532. Canto per l’estate che finisce

 


L’aria era così fresca questa mattina e alle sei era ancora buio. Allora ho capito che l’autunno ha iniziato a fare le prove generali e che l’estate ha cominciato a riposarsi. Un po’ alla volta smetteremo di desiderare il mare e le spiagge assolate, passerà la fame d’aria aperta e di orizzonti infiniti. Perché, nonostante quel che crediamo, le stagioni sono parte di noi e il nostro corpo non ha bisogno di impararlo, già lo sa che presto la stagione bella sarà passata, lo sa perché sta crescendo in noi il desiderio del fuoco acceso, delle foglie secche che riempiono strade e sentieri, dei frutti autunnali che ci chiameranno a breve dagli alberi. L’euforia dell’estate si sarà placata e una malinconia dolce velerà le giornate e tra i colori accesi delle foglie già andremo a immaginare i rami spogli e la prima neve che pronuncerà il nostro nome con alito di gelo. Da ogni foglia caduta riceveremo la promessa di una foglia nuova nella stagione verde che forse vedremo. Fioriranno ancora i gelsomini e le rose, ma sarà in uno spazio dove ancora non abbiamo accesso. Ora possiamo stare qui, in questa luce dorata che ancora chiama le api a suggere il nettare dagli ultimi fiori. Quando le api saranno tutte al sicuro negli alveari, allora sapremo che anche per noi è il momento di chiudere le finestre quando scende la notte e coprire con una coperta leggera il letto, perché le notti sono fresche e il tempo, dopo tempo e dopo molti sospiri, ci condurrà in una diversa stazione, che somiglierà a quella dell’anno passato, ma non sarà mai davvero la stessa. Perché ogni ritorno delle stagioni è un’illusione. Niente ritorna mai per davvero, tutto è nuovo una sola volta e poi mai più, tutto passerà e resterà in quello spazio che chiamiamo tempo e dove non sappiamo, ancora non sappiamo, ritornare.

 

 

Come un cavaliere del tempo

 

Raccolgo la prima foglia

gialla che l’albero ha

donato alla terra. È stanca

la foglia e il colore ancora

verde inganna l’occhio.

Poi vedo che il vento ha

strappato al cielo un

nuovo patto e che sono

molte le foglie che iniziano

a cadere. Sono molti quei

pensieri che accompagnano

la caduta e non c’è desiderio

di futuro, non nostalgia del

passato. Solo in questo

tempo siamo tutti interi

e teniamo con ciascuna

mano le redini dell’eternità.

 

 

 

Penso questi pensieri mentre cammino a piedi nudi sulla battigia e l’acqua del mare, tiepida e limpida, mi sfiora e mi tocca senza mai cambiare ritmo e respiro. Sento l’autunno che mi nasce dentro, un albero nuovo nella foresta che mi abita, quella che chiamiamo tempo, un nome diverso per un pezzetto di eternità. Ma oggi è ancora estate e il sole scalda, e la terrà è calda e l’aria è luminosa e l’estate non è finita, non ancora, tutto il resto sono solo immaginazioni.

 

Questa è la Cronaca 532 di domenica 22 agosto del secondo anno senza Carnevale, una domenica in bilico tra due stagioni e due angoli nel mio cuore.

sabato 21 agosto 2021

Cronache dagli anni senza Carnevale/531. L’eternità e una rosa in fondo al nostro giardino

 


 

Quando nasce in noi l’eternità? Quando sentiamo che la vita va oltre quel che vediamo e percepiamo in questa forma della realtà? Avete mai provato a guardare il fondo dei vostri occhi riflessi in uno specchio? Era un gioco che facevo da bambina, fino a quando non sono stata colta da una vertigine improvvisa e mi sono lasciata sprofondare e ho sentito il mondo espandersi intorno a me e il mio corpo non aveva più confini, ma coincideva con tutto, proprio con tutto. 

Mi è accaduto un’altra volta durante una visita nella chiesa romanica di Saint Jean nella regione delle Nouvelle Aquitaine in Francia. Non ho mai sentito da nessun’altra parte quell’energia che attraversava ogni cosa. O forse l’ho percepita anche la notte che ho dormito nel campeggio di Elsinore in Danimarca, in attesa di imbarcarmi su un traghetto la mattina dopo. Forse l’ho percepita di nuovo quando sono salita sul Sass Pordoi nelle Dolomiti, e quando non ho chiuso occhio perché c’era il sole di mezzanotte in Norvegia e la palla di fuoco solare era rimasta ferma sopra la linea dell’orizzonte. 

Ho provato sensazioni altrettanto forti quando sono entrata per la prima volta nella cattedrale di Notre Dame a Parigi e quando visto la Pietà di Michelangelo in Vaticano. Ho pianto quando per qualche istante si è illuminata la Cappella Palatina a Palazzo dei Normanni a Palermo e ho potuto ammirare i mosaici bizantini. Ho sentito l’eternità che riposava con me alle fonti dello Uadi Arugot nell’oasi di En Ghedi in Israele, dove c’ero solo io con il vento. E l’ho sentita in cima alle Torri Gemelle l’unica volta che ci sono salita. L’eternità si manifesta nei momenti più impensati e inaspettati, l’ho sentita quando camminavo nel fiume Follone con mio padre, mio fratello e i miei cugini, sotto un tetto di fronde verdi e fitte e non c’era altro rumore che il suono lieve della corrente e il sibilo delle bisce d’acqua. Mi è successo quando mi sono addentrata nella foresta d’umbra in Puglia e nei boschi della Sila nel colmo dell’estate. Sulla spiaggia di Narbonne un tardo pomeriggio, dopo il tramonto, quando sembrava che il mondo fosse tutto lì, un deserto d’acqua intorno a me. O quella mattina in cui facevo la doccia nel campeggio fuori Nantes e ho alzato lo sguardo e c’era questa enorme ragnatela sopra di me, ricamata di goccioline d’acqua e un grande ragno e allora ho immaginato l’incipit del racconto La pancia azzurra di Dio che poi sarebbe diventato un capitolo del mio primo romanzo Frammenti del tredicesimo mese: “Oggi ho visto Dio, è un enorme ragno dalla pancia azzurra che se ne sta appeso sopra le nostre teste”.

Ho colto l’eternità il giorno del funerale di mio padre e mentre la terra ricopriva il suo feretro, ho sentito che quella non era la fine ma l’inizio di un’altra vita, più vasta e senza il dolore conosciuto in questo mondo. 

Così, alla fine penso che siano proprio due i momenti in cui l’eternità ci sorprende e si rivela: mentre proviamo un dolore immenso e quando siamo sopraffatti dalla bellezza del creato. È allora che le parole tacciono, è difficile dire quel che sentiamo mentre lo stiamo vivendo. Le parole hanno bisogno che il tempo riprenda il suo corso unidirezionale, quel nostro andare avanti che conosciamo giorno dopo giorno. Ma quando sentiamo l’eternità, tutto il nostro essere si espande in tutte le direzioni e verso tutti i tempi. E quando essere ed eternità coincidono smettiamo di avere paura dell’ignoto. 

Poi accade, non sempre, ma accade, che mentre stiamo scrivendo l’eternità si riveli nella pagina, in un verso appena cesellato, in una frase che funziona alla prima stesura. 

Siamo gli amanuensi dell’eternità, la scriviamo e la disegniamo, è piccolo quel fiore, è breve quel verso. Ma la rosa in fondo al giardino ha riconosciuto il nostro passo e respira più a fondo, libera. E offre tutta la sua bellezza all’eternità che la contempla e si ferma con noi, proprio in fondo al nostro giardino.

Questa è la Cronaca 531 di sabato 21 agosto del secondo anno senza Carnevale, tra un mese sarà autunno, sarà aperto o chiuso il mondo?


venerdì 20 agosto 2021

Cronache dagli anni senza Carnevale/530. Un sogno, una fotografia e il tempo raggomitolato come un riccio

 


 Ma sì, sono certa di avere conservato quella fotografia, lo so che sono passati quarant’anni, ma sono sicura di averla ancora. Non butto mai le fotografie, sono superstiziosa come un primitivo, nelle immagini c’è sempre un pezzetto d’anima. Per questo mi intristisce trovare nei mercatini foto di famiglia e finisco sempre con il comprarle e riporle nel vecchio schedario da ufficio. Ma tra un po’ non ci staranno più e non ho spazio per un altro schedario, come farò a salvarne di nuove? Ecco, ho trovato la nostra fotografia, siamo io, te e Loredana, e poi c’è anche la tua amica Natalia che d’estate lavorava nell’albergo di famiglia. Che estate strana, ricordi? Fu l’ultima della nostra amicizia, poi non ci siamo più cercate, finiscono le amicizie sai? Proprio come finiscono le storie d’amore e fa male proprio allo stesso modo. Poi ci siamo incontrate in metropolitana ed erano passati quattordici anni, eravamo diventate la versione invecchiata di noi stesse, riconoscibili, simili e diverse allo stesso tempo. Siamo uscite insieme una sera a cena, abbiamo passeggiato a lungo per le viuzze di Brera, ci siamo raccontate tutto quello che era successo e più parlavamo più cresceva in me la sensazione che non ci fosse proprio più nulla che ci legasse, neanche i ricordi d’infanzia, le scuole medie fatte nella stessa classe, le gite a Pavia a casa di tua nonna e a Motta Visconti da mio zio che stava tirando su una casa dalle fondamenta. Abbiamo condiviso tanto, ma non era stato abbastanza neanche il fatto che ci fossimo prese una cotta adolescenziale per i due fratelli più carini del quartiere. Ma loro neanche ci avevano notato. Così le parole, le mie e le tue parole, hanno decretato in quella sera di agosto che non avevamo più niente da dirci. Non siamo mai più uscite insieme, però abbiamo iniziato a scriverci gli auguri di buon compleanno e buon Natale. Lo abbiamo fatto per tanti anni, molti di più di quelli in cui eravamo state amiche. Era un battito impazzito Milano in quegli anni, cortei, scontri, ragazzi che si picchiavano per strada, assassinii, manifestazioni, tutta la città era diventata di piombo, non solo gli anni. In certe zone del centro si girava con circospezione perché sanbabilini e katanga si picchiavano quasi ogni giorno, anche andare al cinema della via Durini era problematico e così ci andavamo sempre meno, come al President che era il cinema più bello di Milano a quei tempi.

Ci siamo incontrate un’ultima volta, sempre in metropolitana, tu indossavi un buffo cappellino e avevamo fatto solo in tempo a dirci ciao prima che io scendessi. Era gennaio e dopo quell’incontro non hai risposto agli auguri di buon compleanno in aprile. E poi neanche a Natale, e nemmeno l’anno dopo. Non ti ho più scritto e non ti ho più pensato fino al giorno in cui sono andata nel vecchio cimitero che non era molto distante dalla casa dove abitavi con i tuoi genitori. E ti ho trovata, eri lì già da qualche anno e vicino a te c’erano altri amici che erano stati a scuola con noi, come Mauro e Daniele. Tutto il tempo è collassato e ho pianto per te, per loro e per la nostra infanzia perduta, per le estati bellissime passate insieme, per i sogni che facevamo in abbondanza e poi usavamo come inneschi narrativi per inventarci storie d’avventura dove noi eravamo le protagoniste, esploratrici, piratesse o avventuriere. C’erano sempre i due bei fratelli, almeno erano reali loro.

Ti ho sognata questa notte e non era mai successo prima, eravamo giovani nel sogno, come allora due ragazzine, ma stavamo cercando quella fotografia che poi ho trovato e ti ho mostrato. Ma la foto non è mai esistita, almeno non quella, so di averne altre dove ci sei e sorridi, ciao Antonia, mia amica del cuore, che solo nel tempo non esiste più.


Oggi è venerdì 20 agosto del secondo anno senza Carnevale e questa Cronaca 530 è un po’ malinconica, ma i sogni, a volta, sono più veri della realtà.

giovedì 19 agosto 2021

Cronache dagli anni senza Carnevale/529. Il silenzio primordiale è una storia senza autore

 

 


Cantano le stelle anche di giorno, noi non le sentiamo e non le vediamo, ma il loro canto arriva sino alla superficie del mare e lo increspa.

Al canto delle stelle risponde quello delle onde e noi non lo sentiamo, ma vediamo le nuvole che si allontanano come i cerchi nell’acqua dopo che abbiamo gettato un sasso.

Dopo le onde è la volta della terra rispondere al cielo, ed è ombroso e scuro il canto delle pietre e il canto delle profondità sulle quali camminiamo senza poterle vedere.

Nelle terra cantano le ombre che chiamano il sole più alto per farsi un po’ più piccole e uscire insieme ai demoni meridiani che vanno a cercare anime dove insediarsi, quando la calura è insopportabile e chi è rimasto fuori cerca rifugio e refrigerio sotto le chiome degli alberi.

Quando la terra eleva il suo canto fremono le radici degli alberi e la linfa scuote il tronco e poi i rami e le foglie. Anche gli alberi cantano nella loro lingua a noi ignota e solo il vento li ascolta e solo il vento li capisce.

Cade il vento in un polla d’acqua e cade nell’ombra della rosa in fondo al giardino. E come possono le rose non rispondere al richiamo del vento? È più sottile il canto della rosa, è chiaro e luminoso e ci porta nel monastero di Heiligenkreuz all’ora sesta mentre i monaci cistercensi stanno cantando e il tempo fugge da quelle mura e si rifugia tra i campi, perché non riesce a sostenere la forza del loro canto. Tutto ha un ordine, le ore del giorno come ogni lavoro e ogni preghiera. Ora che cantano le antiche pietre del monastero, sono i libri miniati che rispondono dallo scriptorium.

Lì c’è una bambina che sta imparando l’antica arte della copia e ha dichiarato che da grande diventerà un monaco per poter continuare a copiare i libri. Da quei libri antichi il canto arriva sino a quelli allineati in una libreria di frassino che rispecchia le età della vita di chi ha letto i libri e li ha riposti dopo averli letti e sottolineati o comprati e messi da parte per il tempo futuro che avrà bisogno di nuove parole. E canta quel legno che è stato albero e l’acero davanti alla finestra risponde, perché è unica la lingua degli alberi anche se ogni specie ha il suo dialetto segreto, e solo tra simili gli alberi si capiscono anche solo facendo vibrare le foglie.

Ogni vibrazione risponde a un richiamo, ogni vibrazione è suono e luce e mentre la luce ci fa risplendere, il suono ci attraversa, si scompone e rimbalza per poi ritornare verso le stelle. Perché verso le stelle ritorna ogni canto, perché le stelle ci chiamano con il nostro vero nome, quello che mai nessuno ha mai pronunciato.

E fu silenzio intorno alle stelle e giù fino a noi, e fu il silenzio primordiale dove gli alfabeti ancora giacciono, frammenti di una storia senza autore, di un canto senza voce, di una nota senza partitura.

Si addormentano le stelle nel silenzio originario e aspettano che ciascuno di noi pronunci la sua prima, vera parola.

 

Oggi è giovedì 19 agosto del secondo anno senza Carnevale e questa è la Cronaca 529 che canta con me nell’ombra del monastero, canta il mistero e la bellezza di tutte le cose e di tutte le creature, visibili e invisibili.

mercoledì 18 agosto 2021

Cronache dagli anni senza Carnevale/528. Un pomeriggio d’estate a Milano

La luce è ancora calda ma già anticipa l’arrivo di settembre, è più trasparente l’aria questo pomeriggio. Intorno al Castello Sforzesco i bei palazzi dalle ampie vetrate e le terrazze fiorite, aumentano l’impressione di essere in un altro tempo. La fontana Torta degli Sposi, copia dell’originale realizzata durante l’era fascista nel 1936, domina l’ingresso del Castello e i numerosi turisti stranieri che sostano si beano del fresco. Le goccioline d’acqua volano tutto intorno e arrivano anche ai passanti, già solo il rumore ha un effetto riposante. Ho appuntamento con la mia amica Elisabetta per andare a vedere la mostra  Il Corpo e l'Anima, da Donatello a Michelangelo. Scultura italiana del Rinascimento, bella ma non entusiasmante per quanto mi riguarda. Ma incolpo la mia incompetenza per essere rimasta così tiepida di fronte a bassorilievi, disegni e affreschi. Mi entusiasmano i disegni di Michelangelo, e non poteva essere diversamente. Per uscire dal labirinto della mostra si accede al cortile dove c’è una piccola fontana sovrastata da un drago visconteo, che venne donata dal salvatore del Castello, Luca Beltrami, alla città di Milano. La prima volta che l’ho vista è stato sempre d’agosto, una mattina di decenni fa e non c’erano luci artificiali a illuminare il cortiletto dove è stata nascosta dallo studio BBPR (Banfi, Barbiano di Belgiojoso, Peressutti, Rogers), uno dei gruppi che hanno


contribuito a dare un nuovo volto alla città post-bellica, tra i tanti progetti è loro anche la Torre Velasca, ma ricordo la frescura, il suono dell’acqua. Dopo anni di abbandono, testimoniato da numerose foto che la ritraggono vuota e circondata di muschio verde, ora è ritornata a essere il fulcro di un piccolo luogo delizioso. Dopo la mostra siamo andate a vedere la Pietà Rondanini di Michelangelo che io non rivedevo da decenni e che Elisabetta ha visto per la prima volta. È stato il momento migliore di tutta la visita, quanto dolore in quelle sembianze umane strappate alla pietra e allo stesso tempo intrappolate dentro di essa. Quanto dolore e quante emozioni, valeva la pena di stare al Castello per qualche ora solo per questa statua. Poi ci siamo sedute al bar dove c’era poca gente e abbiamo chiacchierato sino a quando la gente che sciamava via e la luce calante ci hanno avvisato che era quasi ora di cena.

Milano è una città dalle molte bellezze nascoste, basta avere la pazienza di cercarle e una compagna d’avventura come Elisabetta.

 

Questa è la Cronaca, pigra e allegra, 528 di mercoledì 18 agosto del secondo anno senza Carnevale ma almeno con una bella estate cittadina.