Visualizzazione post con etichetta città. Mostra tutti i post
Visualizzazione post con etichetta città. Mostra tutti i post

domenica 22 maggio 2022

Cronache dagli anni senza Carnevale/805. Nella città di vetro dimorano i pittori e i poeti

 

 

Oggi ho trascorso una piacevolissima domenica con i miei vecchi e carissimi amici Lucia e Roberto. Lei è anche una ex-collega con cui ho fatto un viaggio magnifico a Lampedusa giusto venti anni fa e lui è un pittore eccezionale con il quale collaboro pure da venti anni. non ci vedevamo da prima dello scoppio della pandemia, anche se siamo rimasti sempre in contatto, e ritrovarsi è stato come essersi lasciati il giorno prima. Così tra buon cibo e buon vino, in un trionfo di peonie e rose che ho regalato a Lucia che ama i fiori, la giornata è trascorsa nella frescura della loro bella casa. Una giornata dove Roberto mi ha mostrato molte delle opere che ha dipinto e disegnato in questi due anni ed è stata una gioia vedere opere vecchie e nuove. E la grande emozione di rivedere La città di vetro intorno alla quale avevo scritto questa prosa che mi piace riproporre.

 

“Aspettavo ogni giorno, in piedi sulla riva del lago, che la città si rivelasse ai miei occhi. In pochi credevano che esistesse, chi l'aveva veduta era impazzito, chi aveva donato al dio delle risa i suoi pensieri aveva smesso di cercare, chi era partito non aveva più  trovato il filo del ritorno. O forse si era solo lasciato morire nel lago per non dire la propria sconfitta.

Cosa resta di un uomo che ha perduto la sua visione? Cosa resta di un uomo che ha smesso di desiderare?

Ah maledetta mattina in cui i miei occhi d'infanzia hanno visto per un attimo, perfetto e rotondo, gli altissimi palazzi, i monumenti, le strade della città di vetro rilucere nel mio mattino.

Il sole attraversava le antiche mura dando loro consistenza e colore.

Le acque del lago, bianche nel riverbero dell'alba, si aprirono come uno specchio e la città si mosse dal centro dell'acqua sino a me.

Le mie mani diventarono azzurre, la mia fronte splendeva, il cielo era rosso come i lamponi, rosso come il sangue, rosso come i papaveri, rosso come un bambino vede il rosso.

Mia madre mi chiamò dalla porta di casa, la città scomparve, io persi la visione e imparai a desiderare.

La città è in me da quel giorno, l'ho rubata al lago. Nessuno da allora ha più detto di averla veduta, tutti continuano a cercarla, io la custodisco come un segreto, come un tesoro rubato.

La città non ha parlato, non ha rivelato ancora a nessuno il suo mistero, non ha  raccontato le  sue storie.

La città dorme nel centro del lago, i suoi abitanti sono fatti di buio, i suoi abitanti sono fatti di stelle. Se così non fosse loro pure avrei veduto.

Io cerco una città che custodisco in me e dietro i miei occhi marchiati dal sole, è una galassia dalle braccia colorate che ruota verso sinistra a dirmi che la città è la sua capitale.

Io sono il palazzo con le finestre aperte e bianche, io sono la città intera e la galassia che ruota.

Mia madre mi sta ancora chiamando, ferma sulla porta della cucina.

La città porta il mio nome, io porto il volto di questa città.

Perché‚ un palazzo non basta a contenere la mia visione.

Io non ho perduto nulla se non il coraggio di guardare. Lascio che i colori si sciolgano sulle mie mani, imprecisi come un ricordo lontano, sfumati come il sapore della tua bocca la prima volta che ti ho baciata.

La città dorme in me, tranne quel poco che ho lasciato sulla tela.

Il cielo è rosso, le mie braccia stanche.

Io sono la visione, quel cielo rosso, io sono la tela e la ragione, la voce che fa vibrare l'acqua del lago.

Io sono, perché‚ in quell'acqua cerco il mio vero volto”.

 

Ecco che finisce anche questa domenica 22 maggio del terzo anno senza Carnevale e del primo anno di guerra e questa Cronaca 805 ancora si aggira per la città di vetro.

venerdì 22 aprile 2022

Cronache dagli anni senza Carnevale/775. Non ci sono profumi, né pioggia, né tepore nell’aria

 


 

 

Oggi un sacco di cose da fare e poi nel tardo pomeriggio studio matto per l’incontro di stasera con il mio gruppo di studio dedicato al libro Il vivente e il sacro di Domenico Chianese. È un libro di una tale densità e ricchezza che ancora non mi sento di scriverne, ma penso che più avanti lo farò. Qui nella città non silenziosa c’è il solito clima bislacco di luce e vento freddo, una strana primavera questa, una primavera che forse ha deciso di non arrivare visti i mala tempora in cui viviamo. Anche sulla ritrosia della primavera ho cose da dire, ma preferisco esprimerle con una poesia.

 

Quel luccicore sulle foglie nuove

 

Non è per timidezza che

non si mostra. Ha già

lasciato che le avanguardie

di fiori e germogli andassero

a tinteggiare la città. Poi

sono arrivate le rondini,

un po’ ritardo ma le sentiamo

sfrecciare al mattino presto

e poco prima del tramonto.

Quel che mancano sono

l’aria tiepida e la pioggia

primaverile, quel luccicore

sulle foglie nuove, quel

profumo misterioso che

che ci fa girare la testa

e cercare dove siano

sbocciati i fiori. Ma

non ci sono profumi, né

pioggia, né tepore.

Li tiene la pace con sé,

la pace che aneliamo

più della primavera.

 

 

Immersa in questo desiderio divorante di pace, di bellezza, di tranquillità, cerco di vivere con gioia ogni giorno, di affrontare le difficoltà, di pregare ogni Dio di cui ho sentito parlare perché la guerra finisca, finisca presto e il male vanga sconfitto e che i malvagi siano costretti a guardare negli occhi le loro vittime per l’eternità.

Oggi è venerdì 22 aprile del terzo anno senza Carnevale e del primo anno di guerra e questa Cronaca 775 mi consola e si fa consolare.

giovedì 21 aprile 2022

Cronache dagli anni senza Carnevale/774. Le città dormono e sognano con noi

 


Anche questa mattina sono uscita prestissimo per andare un po’ a zonzo prima che la città si svegliasse. Anche oggi sono riuscita a vedere l’ultima e la prima stella, ma accanto al muro della biblioteca non c’erano sacchetti di libri abbandonati. Così ho proseguito per il mio solito zig-zag per le vie del quartiere dove c’erano poche finestre illuminate e pochi passanti. Sono arrivata fino in fondo a via Washington e poi sono tornata indietro sull’altro marciapiede. Non so perché, ma da sempre questa strada esercita su di me un grande fascino. In passato ci sono stati momenti in cui mi è sembrato di essere in un boulevard parigino e anche questa mattina è stato così, forse sono alcune case di colore chiaro o gli alberi maestosi, chissà. Ma trovo sempre piacevole questo mescolarsi di immagini e ricordi delle due città che più amo al mondo.

 

 

Riprendo a sognare

 

 

Posso davvero dire

di essere qui e non

altrove? Se quella

finestra buia si apre

all’improvviso e due

giovani si affacciano

con le tazzine di caffè

in mano sono qui, ora?

O sono nella città che

ricordo di avere sognato

anche ieri mattina?

Dove corrono le auto?

Sono arrivate già a

destinazione e l’esito

non cambierà. Chiudo

gli occhi, riprendo a

sognare, fuori è giorno.

 

 

 

Tra questa passeggiata mattutina e la scrittura di questa Cronaca 774 si è srotolata e arrotolata una giornata ricca di impegni e di lavoro. Mi impedisco di aggiungere altri inutili commenti sulla guerra e sullo sgomento che non mi abbandonano un istante, la vita quotidiana è davvero un ritaglio nel tempo, una parentesi che per noi europei d’Occidente continua a scorrere nella sua normalità: lavoro, pandemia, le prossime elezioni in Francia, il desiderio di viaggiare, pandemia, lavoro.

Oggi è giovedì 21 aprile del terzo anno senza Carnevale e del primo anno di guerra, ecco ho dovuto scriverlo di nuovo. Arriverà il giorno in cui non sarà più necessario?

domenica 27 marzo 2022

Cronache dagli anni senza Carnevale/749. Nato nella città dei ciliegi selvatici e dei girasoli dai duri semi

 

 


 

La domenica è il giorno del riposo e della quiete, vecchie riviste sfilano sul tavolo, si offrono ai miei occhi e poi si avviano meste, quasi tutte, verso il sacco della carta. Non sono poi molte le riviste che continuo a leggere in cartaceo, una è Internazionale, che leggo dal primo numero, cui sono abbonata e che insisto a leggere sulla carta e che poi regalo ai miei nipoti. È una delle riviste più interessanti i circolazione a mio avviso, anche se l’effetto che mi fa, settimana dopo settimana è quello di aumentare i miei livelli di angoscia cosmica. Il tempo delle riviste passa abbastanza veloce, poi decido di rileggere un libro di poesia e scelgo di nuovo lui, l’adorato e compianto Adam Zagajewski, nato a Leopoli in Ucraina nel 1945 e morto a Cracovia nel 2021. La sua famiglia fu costretta a trasferirsi in Polonia a causa delle politiche di trasferimento forzato decise dalle autorità sovietiche alla fine della Seconda Guerra Mondiale. Questa poesia è tratta dalla raccolta Dalla vita degli oggetti, a cura di Krystyna Jaworska, Adelphi 2012.

 

 

Presenza

 

Sono nato nella città dei ciliegi selvatici 

e dei girasoli dai duri semi 

(a metà strada fra l’Occidente e l’Oriente, 

come si soleva credere allora; globi 

verderame vigilavano sbadati sulle case).

Solo l’assenza può essere perfetta?

La presenza è infatti contagiata dal peccato 

originale dell’esistere - dall’eccesso, da un selvaggio 

orgoglio orientale, mentre il bello, come un coltellino 

da frutta, si accontenta di un ritaglio di pienezza.

La vita si accumula nelle peschiere 

delle generazioni e non svanisce del tutto 

quando queste scompaiono, 

ma diventa secca e leggera, ricorda 

una preghiera distratta, le labbra screpolate 

di un ragazzo che si confessa per la prima volta 

e sente il legno del confessionale 

scricchiolare sotto le ginocchia.

A sera giunge l’autunno e porta via 

le messi, gialle, mature per la fiamma.

So che le realtà sono almeno quattro, 

e non già una, e si compenetrano 

a vicenda, come i Vangeli.

So di essere solo e al tempo stesso unito 

a te, per sempre, nel dolore e nella gioia. 

So che immortali sono solo i misteri.

 

 

 

Questa poesia racchiude il senso di questa domenica 27 marzo del terzo anno senza Carnevale e del primo anno di guerra e questa Cronaca 749 sogna la città dei ciliegi selvatici e dei girasoli dai duri semi.

martedì 1 febbraio 2022

Cronache dagli anni senza Carnevale/695. Parigi a Milano e New York accanto

 

 


 

Dopo una giornata trascorsa sul lago il rientro in città è sempre destabilizzante, soprattutto perché cambiano la qualità dell’aria e la qualità del silenzio che qui è sempre un silenzio che se ne sta nascosto in mezzo al rumore del traffico, a quello dei passi sul selciato e a quello delle voci umane. Certi giorni, come oggi, mi sembra quasi che il silenzio se ne stia a fluttuare nell’aria come avvolto in centinaia di bolle di sapone che scoppiano quando sfiorano le parole che aleggiano nell’aria e le rivestono di un abito nuovo. Le parole hanno bisogno di silenzio per tornare a scintillare e continuare a librarsi come se fossero nuvole o farfalle. Dopo la giornata lacustre sono andata alla Libreria delle Donne a cercare dei libri che mi interessavano e mi sono fermata un po’ a chiacchierare con le ragazze. Quando ho preso il tram per tornare a casa era già piuttosto tardi ed è successo l’imprevisto, un incidente ha bloccato la linea tra corso Magenta e piazzale Baracca, così il tram ha deviato dal suo percorso e ne ha intrapreso un altro che mi ha portato in zone della città che non frequento molto spesso. A un certo punto siamo sbucati ai piedi delle Tre Torri e una ventata di New York si è installata nell’aria luminosa della sera mentre ai loro piedi si stagliava l’ultima vestigia della vecchia Fiera Campionaria, cioè il Palazzo delle Scintille, noto ai più soprattutto per essere, al momento, un hub vaccinale. Così quel palazzetto in stile Liberty ha trascinato qui anche un pezzetto di Parigi, quella vera e quella solo sognata o letta. Come la Parigi Atlantide del meraviglioso romanzo Il testamento francese di Andrei Makine che sto rileggendo. A parte Milano, sono proprio Parigi e New York le mie due città preferite ed è stato bello averne il sentore così all’improvviso. Quando sono arrivata a casa, alla fine, era già molto tardi, ci ho impiegato più del doppio del tempo che il tragitto comporta di solito, ma sono stata contenta di avere visto le città nella città in maniera così inaspettata.

 

 

Le ombre che mi seguono silenziose

 

Nella mia città ideale non

trovo solo interi quartieri

della mia città natale e

aspri paesaggi calabresi

che si nascondono con

i Navigli, dietro anse segrete

che solo io conosco. Ci sono

interi palazzi e vie di altre

città amate, di epoche diverse

e di diversi cuori. Forse anche

frammenti della mia ombra

che ho lasciato in quei

luoghi e che continuano

a seguirmi silenziosi.

 

 

 

Oggi è martedì primo febbraio del terzo anno senza Carnevale e questa Cronaca 695 scintilla come Parigi ed è caotica come New York e molto milanese come la mia città.

venerdì 28 gennaio 2022

Cronache dagli anni senza Carnevale/691. La luce scrive il mondo e io scrivo la luce

 

 


 

Due delle attività umane che più mi piacciono sono in perfetta antitesi: stare ferma alla scrivania – a leggere e scrivere - , o uscire e andare a zonzo per la mia città come se fossi una turista e riuscire a stupirmi davanti al mio albero bellissimo come se non lo avessi visto mai. Le novità che l’occhio coglie sono favorite soprattutto dalla diversa luminosità e atmosfera, anche questa mattina c’era una leggera nebbia, perché i colori del mondo cambiano moltissimo a seconda della luce. Così, di fatto, è proprio la luce a essere la scrittrice del mondo e io ne sono una fedele lettrice impegnata a decifrare significati, a stratificare ricordi e a trasporli sulla mia carta che non è il mondo intero ma un foglio bianco, reale o virtuale, poco importa.

La luce ha molti aiutanti in questa faticosa opera quotidiana e chi sono i principali? Sono le nuvole, le meravigliose nuvole che impediscono o favoriscono che la luce arrivi sino alla superficie del mondo e lavori di cesello sulle case e sugli alberi, sulle strade e su di noi umani, noi che passeggiamo e cerchiamo di attraversare il tempo in punta di piedi, senza fare troppo rumore, senza lasciare troppe tracce intorno a noi.

 

 

Il luogo dove tutti i luoghi non sono che uno

 

Con passo di volpe hai

attraversato il bosco urbano

che circonda la mia casa. E

non sono i sussurri delle foglie,

non i fischi del vento che mi

hanno rivelato il tuo passaggio,

un andare veloce che non si è

trasformato in presenza, ma

solo in tracce che gli elementi

hanno presto cancellato. Nessuna

impronta sul selciato, niente

piume nel nido abbandonato,

non una sola parola incisa sul

muro che circonda il mio

giardino. Eppure so che sei

passato, me lo dicono i sogni,

notte dopo notte, me lo dice

la luce che si ritrae a ogni

mio passo per condurmi

verso di te, in quel regno

che posso solo immaginare,

in quel luogo fatto di tutti

i luoghi che è la nostra

memoria comune, madre.

Eppure vorrei, proprio vorrei

per una volta ancora vedere

le tue mani nude scavare

nella terra e poi la pianta e

poi il fiore, rosa, perfetto e

profumato che non avresti

mai raccolto. È quel profumo

la nostalgia, è quel colore che

tinge tutte le parole che non

ci siamo dette, che ancora

non ci siamo dette.

 

 

 

Così la città mi ha accolto con tracce di mia madre nei luoghi dove siamo state insieme e dove non l’ho cercata, è stata lei a trovarmi in questa giornata di inverno gelido e umido, venerdì 28 gennaio 2022, il terzo anno senza Carnevale. Sono queste Cronache a custodire quel che trovo qua e là e questa Cronaca 691 non è da meno di quelle che l’hanno preceduta e tiene in ordine in una specie di erbario tutto quello che abbiamo raccolto insieme, in giro per la nostra città.

martedì 25 gennaio 2022

Cronache dagli anni senza Carnevale/688. Desideravo la bufera perché il mio cuore è sempre in fiamme

 



In queste giornate gelide di fine gennaio, nel triste rituale delle elezioni del Presidente della Repubblica, (qualcuno glielo dice ai nostri 1.009 grandi elettori che i nomi scritti a casaccio non fanno ridere nessuno?) mi ritrovo a desiderare un tempo meno compatto, qualche sbalzo, qualche sorpresa. Così vado a leggere poesia russa, perché gli eccessi delle Russia mi sono cari quanto la mia amica Rossana che è per me, lei da sola, l’incarnazione della Russia e dei suoi scrittori e poeti. Comincio con la Achmatova che mi rincuora, così copio una sua poesia e distorco i suoi versi per scrivere il titolo della Cronaca.

 

 

Quasi in un album

 

Sentirai il tuono e mi rammenterai,

penserai: desiderava la bufera…

Sarà una striscia di cielo accesa di rosso,

e il cuore come allora in fiamme.

E ciò accadrà nel giorno moscovita

in cui abbandonerò per sempre la città,

muoverò verso il bramato riparo,

lasciando in mezzo a voi ancora la mia ombra.

 

 

 

Sentire Rossana parlare della Achmatova e della Cvetaeva è un’esperienza bellissima, voi potete leggere sull’Enciclopedia delle donne le voci che ha scritto su di loro. A proposito di Enciclopedia delle donne, sono andata a rileggere la voce che ho scritto su Virginia Woolf perché oggi è il suo compleanno e in rete è tutto un fiorire di citazioni. Ovunque mi giri sento forte intorno a me il conforto dei libri e della letteratura, la bellezza di poter vivere sempre in un altro luogo e in un altro tempo. Nel tardo pomeriggio finisco di scrivere il programma per gli incontri che terrò nella Biblioteca di Sesto San Giovanni in marzo e aprile dedicati a Sylvia Plath, Piera Oppezzo e Anne Sexton. Ma scriverò le informazioni complete più avanti. Continuo a girovagare tra i libri di carta e la rete dove si trovano tante cose belle e leggo altre poesie a caso della Achmatova, della Cvetaeva e della Berberova ed è sua la seconda poesia che ho scelto per oggi.

 

 

Pietroburgo


Là gettò l’ancora una tranquilla città

e si fece vascello immobile,

tutt’intorno allargò le sue rive

e trasfigurò ogni cosa attorno.

 

E ora gli alberi maestri concentrano

il loro incantevole ardore

e guardano il buio, e conficcano nel buio

il rabesco che scintilla.

 

Non si distinguono i deserti confini −

dove sono le strade, dove le rive?

Tra cortili, piazze, gallerie,

un unico brivido, un’unica tormenta.

 

Anch’io non molto tempo fa vivevo

su quell’enorme vascello,

e attorno al più bello dei suoi alberi

camminavo e aspettavo nella nebbia.

 

Sapevo meravigliosamente

obliare che vivessimo sul mare,

quando nel corridoio deserto

tu mi venisti incontro.

 

Ricorda ora come ci faceva barcollare,

come si frangeva contro i bordi la tempesta,

quando ti sembravano pochi

il silenzio e la quiete.

 

 

 

 

Così, per continuare a frequentare questi mondi alternativi, stasera finirò di guardare il film Colette di Wash Westmoreland e poi finirò di leggere Istantanee di Alain Robbe-Grillett. Naturalmente dopo avere finito di scrivere questa Cronaca 688 di martedì 25 gennaio del terzo anno senza Carnevale.

La poesia di Anna Achmatova è tradotta da Michele Colucci, La corsa del tempo, Einaudi, 1992.

La poesia di Nina Berberova è tradotta da Maurizia Calusio, Antologia Personale. Poesie 1921-1933, Passigli Poesia, 2004.

sabato 22 gennaio 2022

Cronache dagli anni senza Carnevale/685. È il silenzio, insieme, della città e del cielo

 


Quando hanno smesso di parlarsi le strade e le stelle? Quando le nuvole e gli alberi? Eppure oggi è questa la città, silenziosa, è questo il cielo, silenzioso. Si guardano come fanno sempre e da sempre ma hanno deciso di non comunicare, almeno per oggi, almeno per il tempo necessario a fantasticare su questo silenzio nuovo, o rinnovato, su questa mancanza di parole umane, di simboli, di ritorni.

Il cielo parla con le nuvole, con il loro movimento, ma anche con la totale assenza di nuvole e di movimento. Le nuvole dicono le stagioni di mezzo, primavera e autunno, la fine della stagione calda con i temporali d’agosto, il colmo dell’inverno, quando da nuvole bianche e compatte saltano giù fiocchi di neve via via sempre più fitti. La città parla con le luci dei lampioni e dei negozi, parla con luci alle finestre, i clacson in strada e il rombo delle auto. La voce della città dipende sempre dalle azioni umane, la voce del cielo solo da intenzioni celesti di esseri invisibili e a noi sconosciuti. Quando le luci e le nuvole si incontrano nascono bizzarre creature alate che si divertono a portare scompiglio. Quando il cielo parla con le stelle, lo fa solo di notte, quando le stelle cercano di entrare in contatto con le finestre e quello che nascondono, o svelano, alla vista. Sono curiose le stelle delle attività umane, ma possono avvicinarsi solo quando il buio è calato e noi umani siamo perlopiù chiusi nelle nostre case a preparare la cena, a guardare la televisione, a riposarci dopo una giornata di lavoro. Sono invidiose le stelle dei racconti delle nuvole che ci vedono agire durante le ore diurne, ci vedono passeggiare alla luce del sole, chiacchierare, cantare, giocare e correre. Di notte siamo illuminati dai lampioni e dalle lampadine, non dalla luce dell’unica stella abbastanza vicina da illuminare tutto questo nostro mondo. Le stelle, il firmamento, sono invidiosi di quest’unica stella che può starci vicino senza consumarci. Ma loro, le altre stelle, lanciano i loro raggi e li inseguono sperando di arrivare in tempo, prima di esplodere, prima della nostra estinzione, prima che il tempo finisca, ma non sempre ci riescono.

 

 

 

La perfezione senza le sillabe

 

 

Nel silenzio della città

e del cielo prendo in

prestito i suoi versi e

mi fermo ad ascoltare

il loro suono e un’altra

città si dispiega davanti

ai miei occhi e io sono

qui e anche laggiù, mentre

è tutto questo silenzio

che accompagna il giorno

e la sua fine che è certa

mentre la notte è scesa

e questo silenzio è anche

il mio silenzio, il tuo silenzio,

nessuna sillaba arriva a

cambiarne la perfezione.

 

 

 

Ecco che un altro giorno di gennaio è trascorso tra lavori domestici, riposo e libri. Ho sentito così forte in me questo silenzio quando il mio amico Danilo mi ha letto la poesia Comizio di Pasolini, che ho dovuto prenderne un verso e utilizzarlo per il titolo di questa Cronaca 685 di sabato 22 gennaio del terzo anno senza Carnevale. Anche se il Brasile ha deciso di posticipare le sfilate dei carri in aprile, forse potrò scrivere le Cronache dagli anni con il Carnevale in ritardo?

venerdì 31 dicembre 2021

Cronache dagli anni senza Carnevale/663. Il mio cuore pulsa di una gioia interiore incomprensibile e sconosciuta, come se andassi camminando nel sole radioso su un prato fiorito

 

Così finisce anche questo 2021, non l’anno della rivoluzione, ma l’anno della prosecuzione, in continuità con il 2020, ingessato dalla pandemia, addolorato per i morti, deluso dai vaccini che non hanno contribuito a costituire la tanto agognata immunità di gregge, ma a rendere meno letali le conseguenze del virus, che non è poco, ma non è abbastanza rispetto al nostro desiderio di tornare a una vita “normale”. Così questo dannato virus ha finito col somigliare al virus del raffreddore, pervasivo, contagioso e inevitabile. Per questo vaghiamo per la città molto silenziosa stanchi, forse un po’ sfiduciati, ma sempre pieni di speranza. Almeno, io lo sono piena di speranza, piena di gioia, nonostante tutto. Perché anche questo 2021 è stato un anno di ricchezza interiore, di progetti, di scrittura, di amicizia. Soprattutto di grandi amicizie, nuove e antiche, imprescindibili. Oggi sono uscita con la mia amica poetessa Annalisa Manstretta, una delle più valenti della nostra generazione. Al contrario di quanto facciamo di solito abbiamo parlato pochissimo di poesia e molto di cosmetici, profumi, vestiti, viaggi e desiderio di una vita più ricca di movimento e di novità. Un desiderio di leggerezza, di cose belle, di calore umano. Così questa Cronaca 663 di venerdì 31 dicembre, l’ultima del secondo anno senza Carnevale, la dedico a lei, all’amicizia e alle scoperte letterarie. Parte di questo brano lo ha scritto Moreno Montanari, nuovo amico, sulla sua pagina FB. Così mi sono procurata il libro Un po’ di compassione di Rosa Luxemburg, un volumetto che contiene una lettera alla sua amica  Sonja Liebknecht:

 

“È il mio terzo Natale in gattabuia, ma non fatene una tragedia. Sono calma e serena come sempre. Ieri sono rimasta a lungo sveglia–adesso non riesco ad addormentarmi prima dell’una, però devo essere a letto già alle dieci–, così, al buio, i miei pensieri vagano come in sogno. Ieri dunque pensavo: quanto è strano che, senza alcun motivo particolare, io viva sempre in un’ebbrezza gioiosa. Me ne sto qui, ad esempio, in questa cella oscura, sopra un materasso duro come la pietra, intorno a me nell’edificio regna come di regola un silenzio di tomba, sembra di essere rinchiusi in un sepolcro: attraverso la finestra si disegna sul soffitto il riflesso della lanterna accesa l’intera notte davanti al carcere. Di tanto in tanto si sente, cupo, lo sferragliare di un treno che passa in lontananza; oppure, più vicina, proprio sotto la finestra, la guardia che si schiarisce la voce e per sgranchirsi le gambe fa lentamente qualche passo con i suoi stivaloni. La sabbia stride in modo così disperato, sotto quei passi, che nella notte scura e umida si sente risuonare tutta la desolazione e lo sconforto dell’esistenza. Me ne sto qui distesa, sola, in silenzio, avvolta in queste molteplici e nere lenzuola dell’oscurità, della noia, della prigionia invernale–e intanto il mio cuore pulsa di una gioia interiore incomprensibile e sconosciuta, come se andassi camminando nel sole radioso su un prato fiorito. E nel buio sorrido alla vita, quasi fossi a conoscenza di un qualche segreto incanto in grado di sbugiardare ogni cosa triste e malvagia e volgerla in splendore e felicità. E cerco allora il motivo di tanta gioia, ma non ne trovo alcuno e non posso che sorridere di me. Credo che il segreto altro non sia che la vita stessa; la profonda oscurità della notte è bella e soffice come il velluto, a saperci guardare. E anche nello stridere della sabbia umida sotto i passi lenti e pesanti della guardia risuona un canto di vita piccolo e bello, se solo ci si presta orecchio. In quei momenti penso a voi, a quanto mi piacerebbe potervi dare la chiave di questo incanto, perché vediate sempre e in ogni situazione quel che nella vita è bello e gioioso, perché anche voi possiate sentire questa ebbrezza e camminare su un prato dai mille colori. Non intendo in alcun modo saziarvi d’ascetismo, di gioie immaginarie. Vi concedo, anzi, ogni reale piacere dei sensi. Vorrei soltanto donarvi, in aggiunta, la mia inesauribile letizia interiore, così da poter essere serena riguardo a voi, pensando che attraversate l’esistenza avvolta in un mantello trapunto di stelle, in grado di proteggervi da quanto è meschino, dozzinale e angosciante.”

 

Buon Anno Nuovo, Buon 2022. Vi auguro ogni bene, soprattutto di provare questa gioia che viene dalla vita stessa.

giovedì 30 dicembre 2021

Cronache dagli anni senza Carnevale/662. Quando le città si parlano tramite noi viaggiatori impollinatori

 


Così sono tornata nella città mai più silenziosa e una volta ancora scopro che le strade di Pescara e Bologna mi sono rimaste nei passi. Le strade di ogni città sono come il sistema circolatorio del corpo umano e quando le percorri, soprattutto per la prima volta, ti restano appiccicate alle suole. È questo uno dei molti modi in cui le città conversano, affidano ai nostri passi i loro messaggi e noi, inconsapevoli come gli insetti impollinatori, li trasportiamo. Cosa mai si saranno dette stamane Milano e Bologna e Pescara? Quest’ultima città sono certa che avrà mandato aria marina e vento, Bologna le sue lamentazioni per i canali scomparsi, perché sa che Milano può capirla e avrà invidiato un po’ tutti quei bei palazzi rossi. Con tutte queste immagini nel cuore e negli occhi ho ingrandito la mia città interiore, con tutte le conversazioni ho arricchito la mia conoscenza della letteratura, con l’amicizia di Elisabetta, Giorgia e Francesca, Simone e Enrico nuovi libri e nuove parole hanno fatto il nido nelle mie librerie, quella reale e quella immaginaria, due succursali dell’immensa Biblioteca di Babele ipotizzata da Borges. Com’è strano ritornare nella mia città, anche se sono stata via solo due giorni mi vengono sempre in mente i grandi ritorni dalle vacanze estive in Calabria, quando viaggiavamo tutta la notte e all’uscita di Melegnano ci si fermava all’Autogrill a fare colazione con cappuccino e brioche e a respirare quell’aroma inconfondibile cose deliziose con quello di smog, benzina, corpi stanchi, nebbia e nuvole basse. Era quello l’odore di Milano, che gioia ritornare! E sentire l’autunno nelle vene, l’inizio della scuola che si avvicinava, e un nuovo anno che iniziava a dispetto del calendario solare. Ogni istante che viviamo è sempre un miscuglio di nostalgia, desiderio di cose nuove e attenzione al tempo presente. Ogni istante è un dono e una condanna, lo so molto bene. Soprattutto oggi che continuo a pensare a un’amica scomparsa ieri, per me all’improvviso, perché non sapevo che fosse ammalata. Conoscevo Bianca Garavelli da una ventina d’anni, in passato abbiamo condiviso molte cene e pranzi, gite in campagna, presentazioni di libri, premi letterari, lunghe discussioni e serate di San Silvestro con Grazia e Danilo, Annalisa e Edoardo e nel tempo anche Dario. Era una donna coltissima Bianca, una fine e riconosciuta dantista, appassionata studiosa e brava scrittrice. Era ancora giovane e avrebbe avuto tanti anni ancora davanti a sé, se il tempo non l’avesse strappata da noi così presto. Negli ultimi anni ci eravamo incontrate poche volte, ma non potrò mai dimenticare la sua eleganza, l’amore per i colori, un vestito estivo di lino color malva con il cappello a larghe falde coordinato, una camicia da notte con vestaglia coordinata di seta verde smeraldo e pizzo nero che aveva indossato dopo il veglione almeno quindici anni fa. Ovunque tu sia mia perduta amica, spero che avrai già incontrato Dante e che passerai l’eternità a discutere con lui.

Oggi è giovedì 30 dicembre del secondo anno senza Carnevale e questa Cronaca 662 è dedicata a Bianca, a volte le cose importanti devono restare senza parole.

mercoledì 29 dicembre 2021

Cronache dagli anni senza Carnevale/661. L’Ussaro sui tetti di Bologna, la Viaggiatrice instancabile e la Principessa in cima alla torre

 

Quando ripartiamo il mare resta per un po’ sulle nostre spalle come un mantello, oltre ai libri dell’andata ce ne sono di nuovi da guardare, sfogliare, leggere. Quasi non facciamo in tempo a partire che siamo arrivate a Bologna. Di buon passo andiamo nel secondo B&B di questo viaggio e la bellezza della città rossa ci lascia senza fiato. Ci siamo state diverse volte sia io che Elisabetta, ma senza fermarci mai a lungo. Io ci sono stata soprattutto per lavoro ma non ci ho mai dormito, sono molto emozionata di essere qui, soprattutto perché, finalmente, conoscerò di persona Simone. Come ogni volta che lo vedo, mi fa subito pensare a un ufficiale ussaro, gli mancano solo la giubba rossa con le ali d’aquila e l’alto colbacco di pelliccia. Cominciamo a camminare nella sua Bologna, la zona universitaria, la casa da studente, le osterie, i ristoranti, le librerie che non ci sono più. Poi Piazza grande, le Due Torri, le fontane, le strade, le case, le strade le case, la bellezza di una città che non ha perso il suo fascino e l’atmosfera che arriva dai secoli passati. Ci fermiamo alla chiesa di Santa Maria della Vita per andare a vedere il gruppo scultore “Compianto sul Cristo morto” di Niccolò dell’Arca. È di una tale potenza quel dolore che scaturisce dalle figure di terracotta che restiamo ammutoliti per un po’, prima di iniziare a scambiare impressioni e commenti. È tutto così bello, antico e gioioso in questa città che nasconde anche il canale di Reno, insospettato ospite tra le case rosse. Anche Bologna ha sotterrato, come purtroppo ha fatto Milano, la maggior parte dei suoi corsi d’acqua e fa male immaginare tutta la bellezza perduta di cui, a noi contemporanei, restano solo pochi scorci. Quando ormai è buio da un po’ ci raggiunge Francesca, anche lei è bellezza finalmente incarnata come ieri Giorgia e oggi pomeriggio Simone. Quel che ci ha fatti incontrare e ci ha uniti nel corso dell’ultimo anno è la passione per la letteratura, per i libri, per la scrittura. E poi i racconti di vita, le confidenze, l’amicizia che si rafforza, la condivisione, l’autenticità di queste relazioni. Pur nel caos della pandemia, nel dolore di alcune vicissitudini personali, noi ci siamo stati l’uno per l’altra e continueremo a esserci. La giornata termina con una tipica e interminabile cena bolognese, con le tagliatelle al ragù come piatto principale, e racconti, di nuovo tante storie che intrecciano le nostre gioventù, con il tempo presente e i progetti per il futuro.

 

Dove nascono i libri

 

Quando i bambini si

nascondono sotto al

tavolo, non cercano

di ritrovare quei luoghi

dove sono già stati, si

nascondono perché

il futuro non resiste ai

misteri e li va a cercare.

A volte con i mostri, a

volte con l’arte, a volte

con i libri. Quei bambini

battono nel petto di

ogni artista, puri e

intatti, non importa

quanti anni abbiamo

oggi. Noi viviamo ancora

in quel mistero, in quell’aria

rarefatta, tra quelle parole

remote che avrebbero

chiamato le nostre parole

sulle carta, una a una, in

fila, sillaba su sillaba, fino

alla fine di ogni libro.

 

 

Questa Cronaca 661 di mercoledì 29 dicembre del secondo Carnevale è dedicata a Simone Salomoni che ci ha offerto la sua città come un dono, Francesca Bersani intensa e delicata amante dell’arte, Elisabetta Giromini instancabile viaggiatrice anche quando è ferma.

domenica 19 dicembre 2021

Cronache dagli anni senza Carnevale/651. Un grande talento per la solitudine e il silenzio

 

Storie dell’Avvento/12. Dove una donna pensa e guarda la superficie scintillante del lago ghiacciato

 

Tutto era bianco e scintillante intorno alla casa, così decise di uscire a fare una passeggiata sino al lago. Era coperta come solo in quel luogo era necessario fare, aveva messo anche occhiali da sole e un berretto di lana multistrato e multicolore. L’aria era cristallina e pungente, le piaceva godersi tutto quel nitore, compreso il suono meraviglioso di quella parola e le immagini che subito le evocava. Sentiva la neve scricchiolare sotto i suoi passi e candele di ghiaccio erano appese ai rami verdi dei pini e ai rami spogli delle betulle. Se i pini facevano tanto Monti Adirondacks, le betulle la trasportavano nella steppa siberiana e avrebbe voluto avere una slitta trainata dai cavalli, coperte di pelliccia e una meta difficilissima da raggiungere. Non fu difficile arrivare al lago, la superficie era ghiacciata e scintillante come le rive intorno. Un viaggiatore inesperto avrebbe potuto non accorgersi di essere arrivato a camminare sulla superficie dell’acqua, ma lei conosceva quel luogo dai tempi dell’infanzia, poteva muoversi alla cieca, riconoscere gli alberi dalla corteccia, la stagione dal profumo dell’aria. Non era la prima volta che andava a rifugiarsi da sola nel capanno costruito dai suoi nonni, ereditato da sua madre e poi ceduto a lei, quando la donna si era trasferita a vivere all’estero con il secondo marito, dieci anni dopo essere rimasta vedova. Era davvero il luogo dell’infanzia, dei giochi sfrenati d’estate, del nonno che le insegnava l’arte paziente della pesca, della nonna che le insegnava a intrecciare ceste e a raccogliere bacche e frutti di bosco che diventavano squisite marmellate e crostate indimenticabili. Si fermò a riflettere di quanto le piacesse usare gli aggettivi anche quando pensava. Era qualcosa che faceva d’istinto, sapeva che ogni sostantivo poteva brillare di maggior luce con accanto i giusti aggettivi. Sul lago Moran aveva trascorso i dieci anni felici dell’infanzia, in ogni stagione c’erano cose interessanti da fare, oltre alla pesca, nuotare e andare in canoa d’estate, raccogliere funghi e pigne in autunno, usmare i germogli in primavera, raccogliere i bucaneve, appiccicarsi le dita con le resina delle conifere e con il miele dei favi che erano sfuggiti agli orsi che abitavano nel fitto della foresta, così si diceva, ma che lei non aveva mai visto. L’anno in cui morì suo padre, a causa di un banale incidente d’auto, mamma si rifugiò con lei nel capanno per tutta l’estate, perché non voleva vedere nessuno, perché il dolore rende ancora più fragili e vulnerabili, bisogna proteggersi dal mondo e dai finti amici che del dolore altrui si nutrono. Proprio così le aveva detto mamma, anche se non aveva fatto nomi in merito, e questa affermazione aveva nutrito in lei una naturale diffidenza nei confronti degli altri esseri umani. Nonna le diceva che aveva un carattere da gatto, e di fidarsi del suo istinto. Per questo aveva deciso di non portare mai nessun uomo a trascorrere del tempo con lei nel capanno. Anzi, la maggior parte di quelli con cui ebbe una relazione neanche lo avevano saputo che quando spariva andava a rifugiarsi laggiù, solo pensavano che lei fosse in viaggio per lavoro. L’altra cosa che nessuno di quegli uomini sapeva, e solo poche, fidatissime amiche conoscevano, era che lei fosse una scrittrice tra le più vendute del paese. Aveva scelto un nom de plume all’inizio della carriera, quando ancora non sapeva bene cosa davvero le piacesse fare nella vita. A vent’anni, dieci anni dopo la morte del padre, sola nella grande casa del Village, aveva iniziato a scrivere racconti e a inviarli a tutte le riviste che conosceva, cui era abbonata sua madre, grande lettrice e donna curiosa. Aveva specificato nelle lettere di accompagnamento di voler essere pubblicata con il nome di Sylvia Parker Bishop, il nome e i cognomi di tre delle autrici più amate. Non aveva alcun istinto per il suicidio, né per l’autodistruzione, due tentazioni che sembravano imprescindibili dal talento letterario, ma aveva un grande talento per la solitudine e per il silenzio. Questo faceva per lei la differenza, questa era la cifra della sua scrittura. Ai racconti della ricca e interessante vita della sua città, alternava storie di viaggio, di fughe e di ritorni. La maggior parte della gente voleva scappare dalla propria vita, lo aveva imparato stando seduta per ore nel bistrot vagamente parigino dove passava il tempo ad ascoltare i vicini di tavolo fingendo di stare leggendo, o a scrivere quei racconti scintillanti, sì proprio scintillanti, che rendevano giustizia all’atmosfera dell’ambiente artistico della capitale del mondo e allo spirito del tempo. Erano ancora gli anni Ottanta del Ventesimo secolo, l’adrenalina dei due decenni precedenti ancora scorreva nelle vene delle persone e delle città. Il male sarebbe arrivato nei decenni successivi, l’epidemia di AIDS, le guerre in Iraq e Afghanistan, l’attentato alle torri gemelle, la crisi finanziaria, le ondate migratorie che premevano sui confini, gli uragani fuori stagione, poi la pandemia, arrivata come un assassino invisibile in un romanzo che sembrava di color rosa e non lo era. Anche le sue storie sembravano storie di famiglie e persone felici, ma non lo erano mai davvero, mai tutti, mai insieme. Succedeva sempre quella piccola cosa, Anna Karenina che nota le orecchie del marito o Gabriel che sente la neve cadere alla fine di Gente di Dublino. Con gli anni era diventata un’esperta anche nel fare bilanci sommari e sempre provvisori della sua vita e le riusciva proprio bene. Cominciava ad avere freddo e decise di tornare al capanno.

 

Oggi è domenica 19 dicembre del secondo anno senza Carnevale e questa scrittrice misteriosa è venuta a cercarmi questa mattina, mentre ero ancora intrappolato in un affollato dormiveglia. Così ho deciso di condividere con questa Cronaca 651 le sue riflessioni in riva al lago.