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mercoledì 13 gennaio 2016

Ispirarsi e cibarsi di altri scrittori prima di iniziare a scrivere

A otto anni da Olive Kitteridge, con il quale vinse il premio Pulitzer, e a meno di tre da I Fratelli Burgess, esce oggi negli Stati Uniti il nuovo romanzo di Elizabeth Strout, intitolato My name is Lucy Barton (in Italia uscirà a maggio tradotto da Einaudi). Il libro è stato preceduto da un’unanimità di critiche osannanti, che consacrano l’autrice del Maine come una delle voci più sincere e appassionanti dell’universo letterario contemporaneo. La finezza e la sensibilità con cui immortala ancora una volta ritratti indimenticabili di donne invita a interrogarsi se esista una letteratura prettamente femminile: in questo caso le protagoniste sono una madre e una figlia, riavvicinate
da una grave malattia. Nell'universo di Elizabeth Strout la condivisione, la confidenza e anche l’amore sembrano nascere unicamente attraverso il dolore, e anche i rapporti più intimi possono sopravvivere solo in virtù del perdono delle nostre debolezze. Da questa concezione scaturisce un sentimento nel quale la speranza si mescola alla malinconia, che rifiuta tuttavia il sentimentalismo: Claire Messud ha definito il romanzo sul New York Times, «potente, malinconico e squisito» e il Kirkus Review ha parlato di un libro «magistrale» e «pieno di poesia»
(...)

Esiste una scrittura squisitamente femminile?
«Molti non saranno d’accordo, ma io non penso affatto che sia così: un autore, maschio o femmina, quando è grande, è in grado di raccontare anche l’altro sesso. Io penso che le pagine di Alice Munro o Margaret Atwood siano semplicemente alta letteratura, e non parlerei di letteratura femminile ».

Direbbe lo stesso di Jane Austen?
«Riconosco che lei è forse un’eccezione: nel suo caso si sente in maniera prepotente lo sguardo femminile. Ma anche in quel caso vedo prima la grandissima autrice, poi il sesso».

Ci sono scrittrici che l’hanno ispirata?
«Certamente, ma anche scrittori: oltre alla Munro, faccio il nome di William Trevor, del quale mi sono cibata fin quando non mi sono sentita in grado di scrivere ».

Esistono autori che ammira, che trattano temi molto lontani dai suoi?
«Si molti, e voglio citare una donna: Elena Ferrante. Ne ho grande ammirazione, ma non potrebbe esistere autrice più diversa. E circola anche la voce che potrebbe essere in realtà un maschio ».

frammenti dell'intervista di Antonio Monda a Elizabeth Strout su Repubblica di oggi

lunedì 19 gennaio 2015

Scrivere è sfidare il linguaggio

La scrittura è una necessità?
«Noi scrittori siamo stati toccati da una benedizione: abbiamo scelto di dare vita a discorsi che altrimenti resterebbero muti. È una meraviglia, sì. Anche se a volte mi capita di pensare che sia una maledizione».

Ennio Morricone sostiene che «l’ispirazione non esiste, c’è solo il duro lavoro».
«Vorrei che fosse vero: purtroppo è necessario avere un’ispirazione, altrimenti non il lavoro non c’è affatto. Un’idea felice ti può fare andare avanti per mesi, anni. Ma se questa non c’è non ci sarà neanche l’energia o la motivazione per scrivere».

(...)

Lei è una scrittrice estremamente prolifica: cosa rappresenta la scrittura nella sua vita?
«So che non ci crederà, ma non mi considero prolifica. Scrivere è lavorare con il linguaggio: una sfida eccitante, che molto stesso, però, genera
frustrazione».

frammenti dell'intervista di Antonio Monda a Joyce Carol Oates
Repubblica sabato 18 gennaio 2015

sabato 16 novembre 2013

Scrivere è avere chiarezza di visione e assoluta mancanza di sentimentalismo

Qual è l'influenza della O'Connor sulla letteratura americana? 

«È un' autrice ammirata e imprescindibile. Non si può dire che abbia formato una nuova generazione di autori cattolici e ripeto che la sua influenza è nella chiarezza della visione e nell'assoluta mancanza di sentimentalismo. In lei si intravede l'inizio del lavoro di Donald Barthelme e di Raymond Carver: una versione originale e cristallina di scrittori che non avevano un rapporto condiscendente o romantico con i propri personaggi»

frammenti dell'intervista di Antonio Monda a Michael Cunnigham su Flannery O' Connor

Repubblica 7 ottobre 2013

venerdì 15 novembre 2013

Volevo scrivere un libro sul tempo

«Volevo scrivere un libro sul tempo». 

Cosa intende? 
«Ho cercato di capire quanto le cose accadute nel passato risuonino ancora nel presente. Non mi riferisco solo ai dolori, ma anche alle gioie. 
Cos'è davvero la memoria? L' intento è chiaro sin dal titolo, See Now Then (Guarda ora allora)». 

Da dove nasce questo romanzo? 
«Da un altro romanzo che non ho mai finito dove raccontavo di coppie che crescendo si allontanano sempre più».

frammenti dell'intervista di Antonio Monda a Jamaica Kincaid 
Repubblica 22 marzo 2013

lunedì 22 aprile 2013

Romanzo e film: un capitolo è un piano sequenza


Lei ha scritto la sceneggiatura di Spiderman 2 e John Carter: ha influenzato il suo modo di scrivere romanzi?
"È un'esperienza che mi ha arricchito molto, e il capitolo risolto in una singola frase è il corrispettivo di un piano sequenza. Ho pensato all'inizio de
L'infernale Quinlan, nel quale Orson Welles presenta tutti i personaggi con un'inquadratura".

Lei ha dichiarato che una delle sue maggiori influenze è stato Edgar Rice Burroughs, il creatore di Tarzan.
"Da bambino mi ha fatto sognare, ma come scrittore mi sento in debito soprattutto con Raymond Chandler, John Cheever, Barry Hannah ed Eudora Welty".

È vero che scrive sempre di notte?
"Sì, tranne quando ho una scadenza urgente, scrivo tra le 22 e le tre del mattino".

Ritiene che la nostalgia sia una debolezza?

"Lo è se porta a dire che si stava comunque meglio prima. Altrimenti ha con sé qualcosa di miracoloso: ti mette in contatto direttamente con il passato che hai vissuto, indicandoti che qualcosa è sopravvissuto e ti dà la forza".

frammenti dell'intervista di Antonio Monda a Michael Chabon
(Repubblica 13 dicembre 2012)


domenica 21 aprile 2013

Il racconto è bellezza nella brevità

Lei ha scelto di scrivere racconti, genere non amato dagli editori. Perché? «Mi sono formato su autori come Hemingway, Isaac Babel e Sherwood Anderson, che hanno dato il meglio nei racconti. Io credo molto nella brevità come bellezza, e mi affascina l' idea di raccontare in poche pagine qualcosa di compiuto. Se uno pensa a una vita, immagina certamente un romanzo, e per quanto mi riguarda questo è un ulteriore stimolo a sperimentare. Tuttavia, nella mia scelta narrativa, c' è un dato puramente pragmatico: quando ho iniziato a scrivere non avevo un dollaro e dovevo barcamenarmi tra mille occupazioni diverse. Non avevo il tempo di concepire e scrivere qualcosa di lungo». 

Lei è anche un docente: crede che si possa insegnarea scrivere? 
«Il talento non si può insegnare, e credo che nessun docente pensi di poter realmente insegnare a scrivere. Nel mio caso insegno corsi per sei scrittori selezionati da oltre seicento domande: si tratta quindi di autori già di ottimo livello, ai quali offro la mia esperienza come mentore».

frammenti dell'intervista di Antonio MondaGeorge Saunders
(Repubblica 18 gennaio 2013)

sabato 20 aprile 2013

Scrivere significa soprattutto riscrivere

È vero che scrive a mano? Qual è il suo processo di scrittura? 
«Prendo molti appunti a penna, poi scrivo, sempre a penna, i primi abbozzi delle scene. A quel punto trasferisco tutto sul computer per una stesura iniziale ed una prima revisione. Gran parte del mio processo creativo è basato sulla revisione». 

Ed è vero che per cercare l' ispirazione corre? 
«Sì, è vero, ma a volte mi limito a camminare. Credo che sia più comune di quanto si pensi. È un momento di meditazione». 

Recentemente molti scrittori, come Don DeLillo e George Saunders, hanno pubblicato racconti, nonostante la freddezza degli editori verso questa forma letteraria. 
«Ritengo che il motivo per cui i racconti finiscano sempre per essere pubblicati è la loro qualità: pensi all'eccellenza che hanno raggiunto in questa forma espressiva scrittori come Raymond Carver, Tobias Wolff, Anne Beattie, Donald Bartheleme, e Alice Munro. Per quanto mi riguarda amo nei racconti la potenzialità di compressione drammatica: l'equilibrio da raggiungere tra quello che si inserisce e si leva, l'opportunità di presentare personaggi per il minor tempo possibile, ma in maniera vivida». 

Lei è anche una docente: qual è la cosa più importante che si può insegnare ad uno scrittore?
 «Leggere molto e di tutto, godere della lettura e non scoraggiarsi mai». 

Cosa ha imparato dai suoi studenti? 
«L'energia, la capacità di lavoro e l' umorismo. Attualmente sto tenendo un corso sui racconti americani, e apprezzo molto i commenti sulle storie che studiamo insieme». 

In Morte a Venezia Thomas Mann ha scritto che «l' arte è vita ad un livello superiore». 
«Io non credo che l' arte possa essere superiore alla vita. La vedo come un rafforzamento, una stilizzazione, e, spesso, una critica alla vita stessa».

frammenti dell'intervista di Antonia MondaJoyce Carol Oates 
(Repubblica 1 marzo 2013)

martedì 15 gennaio 2013

Leggere è sporcare i libri di salsa di pomodoro


Che cosa faceva in quel periodo? 
«Prima di essere una scrittrice io sono una lettrice, lo sono sempre stata».
Fin da piccola divoravo London, Faulkner e molta fantascienza. Anche oggi i miei libri sono sporchi di salsa di pomodoro perché non riesco a staccarmi da una lettura nemmeno quando cucino». 

Il suo racconto più famoso cita le montagne. Ma a lei piace anche l'oceano... 
«Tutto è cominciato quando i miei genitori affittarono una casa quasi diroccata sulla costa del Maine per 25 dollari la settimana. Si trattava di una casupola arrampicata su una piccola scogliera a picco sull'oceano. Ricordo il sentiero che ci portava nelle piscine naturali formate dalla marea. È stata una settimana di esplorazione, ricerca di conchiglie, studio delle alghe marine e delle piccole creature che vivevano in quelle pozze d'acqua. E poi la scoperta di monete perse nella sabbia e i ricci di mare».

Perché ricorda in particolare quell'esperienza? 
«Era un mondo senza tempo. A noi bambine quella casa sembrava un luogo perfetto in cui vivere, ma mia madre si lamentava per la cucina primitiva, un vecchio forno a cherosene con due fuochi. Non ci siamo mai più tornati; molti anni dopo, senza rendermene conto, ho comprato una casa in Newfoundland che assomigliava molto alla casa del Maine».

Cosa le manca di più, oggi? 
«L'oceano, appunto. Ho passato gli ultimi trent'anni della vita tra pianure e montagne. Mi manca il nord Atlantico, salato e ansimante, come manca a chiunque sia vissuto da quelle parti.
E ho visto molti mari: dall'oceano Indiano al mare della Tasmania, ma quello che parla al mio cuore è l'oceano Atlantico. Lì mi sentivo davvero in vacanza».

frammento dell'intervista di 
Antonio Monda Annie Proulx
la Repubblica 25 agosto 2011


lunedì 14 gennaio 2013

Scrivere un romanzo è non sapere come andrà a finire

Mi dica allora: quali sono i libri che l'hanno più appassionata quest'anno? 
«Ho letto molti classici: ho ripreso in mano i libri di Beckett, e sono rimasto colpitissimo, anche più di quanto potessi aspettarmi. Ho passato mesi a leggere i quattro volumi dell'opera completa. Poi mi sono concentrato su un altro grande scrittore irlandese: James Joyce, in particolare Gente di Dublino. Ritengo che "I morti", da cui John Huston ha tratto un bellissimo film, sia un capolavoro, e forse Joyce è lo scrittore che ha avuto il ruolo più importante nella mia formazione letteraria. Infine ho letto qualcosa che non è propriamente letterario, ma a me ha lasciato un segno profondo: i testi scritti da e su De Kooning, usciti in occasione della grande retrospettiva al MoMA. Mi affascina moltissimo il modo di raccontare di De Kooning...». 

(...)

Che differenza c' è tra scrivere un romanzo e un racconto? 
«Quando scrivo un romanzo, per molto tempo non so come andrà a finire. La brevità invece porta ad avere un'idea compiuta della storia». 
I racconti generalmente vendono meno dei romanzi: come mai? 
«Perché i lettori, me compreso, amano seguire le vicende dei personaggi che si sviluppano lentamente davanti ai loro occhi. Desideriamo qualcosa, ma soprattutto qualcuno, che sia accanto a noi per molto tempo». 
I temi e i luoghi sono comunque quelli ricorrenti nella sua opera: il cinema, l'arte moderna, lo sport, i terminal degli aeroporti... 
«Si tratta delle mie passioni. I terminal mi affascinano per la loro impersonalità, sono luoghi che dimentichiamo nel momento in cui partiamo: mi colpisce questo senso di asettica fallacia»

frammento dell'intervista di Antonio Monda a Don DeLillo
la Repubblica 22 dicembre 2011

sabato 12 gennaio 2013

Il racconto è l'arte del futuro

Lei è famoso per i tempi lunghissimi che si prende per scrivere. 
«La prima storia è stata scritta in poche settimane, ma l'avevo in mente da tantissimo tempo, e l'ho lasciata ferma e ripresa più volte. Il tempo complessivo del racconto è stato superiore ad un anno». 

Perché nuovamente racconti, dopo un romanzo? 
«È una forma che amo molto: la trovo un'esercitazione nell' arte della psicologia. Spesso hanno meno successo dei romanzi ma credo che i tempi stiano cambiando e che la gente cominci ad apprezzarli sempre di più. Ho scritto questa raccolta di nascosto, mentre lavoravo alla commedia che debutterà il prossimo autunno e alla traduzione della Haggadah: non lo sapeva nessuno e non avevo alcun contratto. Non mi sono mai sentito così libero, ed ho anche cambiato le mie abitudini. Per la prima volta non ho scritto in un caffè ed ho pensato che con la scrittura bisogna avere il riguardo che si ha con il latte: mai lasciarlo troppo a lungo fermo, perché si guasta». 

frammento dell'intervista di Antonio Monda a Nathan Englander in occasione dell'uscita della raccolta di racconti Di cosa parliamo quando parliamo di Anna Frank
la Repubblica 2 gennaio 2012

martedì 8 gennaio 2013

Scrivere è vedere in tre dimensioni

Ritiene che il cinema abbia influenzato la sua scrittura? 

«Quando scrivo cerco di vedere in tre dimensioni, e tento di non avere mai uno stile da saggista, dove l' ambientazione è astratta e generalizzata. Mi piace pensare ai colori, alle forme, alle facce, agli oggetti. Anche se descrivo un uomo solo in una stanza penso ad esempio al colore del muro. E credo che questo approccio debba molto al cinema».

frammento dell'intervista di Antonio Monda a Don DeLillo
la Repubblica 17 maggio 2012

lunedì 7 gennaio 2013

La vera biografia di uno scrittore dovrebbe coincidere con il suo stile

«Devo a Nabokov se ho cambiato il modo di vedere non solo la letteratura, ma anche la vita». 
Lei ama la letteratura ma dichiara di aver "paura dei libri e della lettura". «Perché è un amore che richiede uno sforzo enorme: chi vuole assorbire la sostanza di un libro deve pagare un prezzo. Per leggere Ada ci ho messo cinque mesi, ma quel libro mi ha fatto capire che una delle funzioni più importanti della letteratura è quella di insegnare a vedere il mondo». 
È d'accordo con Nabokov quando afferma "non è possibile leggere un libro, si può soltanto rileggerlo"? 
«Certo: Paul Valéry sosteneva che la letteratura comincia alla seconda lettura: la prima volta si segue la letteralità, poi arriva la consapevolezza,e si apprezza la magia del linguaggio, entrando in un mondo diverso». 
Perché sostiene che sia necessario "indovinare i libri che desideriamo con il cuore o di cui abbiamo realmente bisogno"? 
«Perché purtroppo la vita è troppo breve per poter leggere tutto. Sta a noi intuire i libri che possono cambiarci la vita, e ricordo che in Se una notte di inverno un viaggiatore Calvino scrive una cosa suggestiva: anche i libri non letti che teniamo vicino a noi ci impregnano della nostra sostanza». 
Nabokov scrive: "Perfino nell' oscurità o nella morte le cose vibrano di radiosa bellezza. La luce si trova ovunque" si tratta di un approccio religioso? 
«In Nabokov è presente una grande dimensione metafisica e mistica, della quale parla in maniera pudica. Era una persona che aveva fede nella bontà fondamentale di ogni cosa, e questa concezione ha radici nella religione. Nonostante la violenza e il caos del mondo, continuava a credere che esistesse un disegno armonico nell' universo, del quale sta a noi cogliere la trama nascosta. Lui usa il termine russo "blazenstvo",e nei suoi libriè sempre presente una luminosità unica, che a volte si coglie in dettagli che ci fanno intuire un disegno più grande. Io ritengo con Nabokov che il crimine più grande dell' uomo moderno sia stato quello di aver smesso di guardare, e cito sempre quel suo racconto in cui scrive: "Quest' uomo è un pessimista, e come tutti i pessimisti era una persona ridicola per quanto non sapesse osservare"».

(...)

Lei scrive: "La vera biografia di uno scrittore dovrebbe coincidere con il suo stile". 
«Era una cosa in cui credeva Nabokov: non sono mai stata troppo interessata alle convinzioni o alla biografia degli scrittori. Non riuscirei, ad esempio, ad apprezzare un grande autore come Celine. Per lo scrittore la sostanza è nella lingua, nell' originalità e nell' immaginazione che finisce per prevalere sulla realtà». 
È vero che polemizzò con un editor del New York che gli chiedeva di semplificare alcuni passaggi di un suo scritto? 
«Sì e difese la "tortuosità che mi appartiene, e che solo a prima vista può sembrare sgraziata e oscura", concludendo: «perché non lasciare che il lettore rilegga un periodo di tanto in tanto? Non può fargli male».

frammento dell'intervista di Antonio MondaLila Azam Zanganeh
in occasione dell'uscita del suo libro Un incantevole sogno di felicità 
traduzione di Stefania Rega
L' ancora del Mediterraneo 2011

domenica 6 gennaio 2013

Il tormento con cui si scrive

«Mi sono accorto che la scrittura dei romanzi non mi tiene sufficientemente impegnato - racconta - e credo che per me sia sano alternare la narrativa alla saggistica». 
Si ritiene un romanziere che scrive saggi o viceversa? 
«Negli anni ho imparato a rispettare sia gli scrittori di saggi che gli autori di memoir: sarebbe assurdo che un romanziere li guardasse dall' alto in basso. Tuttavia, se devo rispondere onestamente, mi considero un romanziere che scrive ogni tanto dei saggi». 
In uno dei saggi parla con freddezza dell' Ulisse di Joyce. 
«Ovviamente stiamo parlando di un grande capolavoro per il quale provo 
un'enorme ammirazione, tuttavia ritengo che sia un progetto letterario freddo, paragonato a esempio a quello che è riuscito a fare Beckett per descrivere 
l'orrore dell' esistenza e creare un testo sperimentale che corrispondesse a quel sentimento. Non si tratta di una questione di grandezza, ma di vulnerabilità: leggere Joyce mi dà l'impressione di trovarmi di fronte a quelle brillanti menti gesuite che prima pensano e poi provano dei sentimenti». 
Qual è la vulnerabilità che ammira? 
«Dostoevskij: ne gronda in ogni pagina, e senti il tormento con cui scrive. Ma anche in Proust senti lo scrittore che si mette in gioco». 
Il libro attacca frontalmente Harold Bloom, che non ha mai amato i suoi libri. 
«Anche in questo caso non metto in discussione la sua grandezza di critico per quanto riguarda la poesia, ma il suo approccio funziona molto meno per il romanzo. Inoltre ha uno sguardo maschilista, e apprezza solo i grandi scrittori della sua generazione». 
Mentre lei ammira Paula Fox e Alice Munro. 
«Della prima arrivo a dire che nessuno tra Bellow, Roth e Updike ha mai scritto un singolo romanzo del livello di Quello che rimane, mentre ritengo la Munro semplicemente il più grande autore vivente».

frammento dell'intervista di Antonio Monda a Jonathan Franzen
in occasione dell'uscita della raccolta di saggi Più lontano ancora 

la Repubblica 23 maggio 2012

venerdì 4 gennaio 2013

L'amore è un'esperienza che fa intuire l'eternità


«Davvero esiste qualche differenza tra l'amore che viviamo e quello che ci appassiona leggendolo nei libri?». 
Così l'autore, che con The Hours ha vinto il Pulitzer, compila una sorta di biblioteca esistenziale: 
«È difficile citare un grande libro che non parli d'amore: Madame Bovary, Anna Karenina, Morte a Venezia, Il Grande Gatsby, Ulisse, Cent'anni di solitudine. Ogni libro importante che ho letto non solo ha influenzato la mia scrittura e la mia vita, ma ha allargato i miei orizzonti sull'amore». 
Nel modo in cui racconta i propri gusti emerge a volte un elemento dolorosamente intimo, che aiuta a chiarire le scelte letterarie: 
«Spesso ho regalato libri che parlano d'amore: letteratura e cinema sono mediazioni e visioni insieme e ci servono perché sono convinto che l'amore sia un'esperienza che ci fa intuire l'eternità». 
Chi ha scritto le pagine migliori sul tema? 
«Tolstoj con Anna Karenina e Thomas Mann con Morte a Venezia.
E nonostante non sia uno dei miei libri preferiti, Schiavo d'amore di Somerset Maugham è una delle storie d'amore più appassionate che siano mai state scritte».

frammento dell'intervista di Antonio Monda a Michael Cunningham
Repubblica 12 settembre 2012

sabato 29 dicembre 2012

Gli scrittori sono anime danneggiate


Nel libro scrive: "Sei senza dubbio un essere menomato e ferito, un uomo che si è portato dentro una ferita dalla nascita (altrimenti perché avresti passato la vita a sanguinare parole su una pagina?)" 
«Tutti gli scrittori sono persone ferite. Abbiamo bisogno di ricordare e creare altri mondi, perché quello in cui viviamo arreca dolore e comunque non è sufficiente. Siamo anime danneggiate».

Gli artisti sono sempre infelici? 
«Non sempre, ma è certo che trovano sollievo nell' arte che creano».

Antonio Monda intervista a Paul Auster
La Repubblica giovedì 29 novembre 2012

mercoledì 8 agosto 2012

Scrivere quel che faremmo per amore

Jeffrey Eugenides ama conversare e scrivere d'amore. E lo fa spiegando che "è difficile immaginare di scrivere qualcosa sugli esseri umani senza prendere in considerazione quel che farebbero per amore". Appartiene alla categoria di narratori che partono in maniera esplicita dalle proprie esperienze personali, tuttavia, prima di abbandonarsi ai ricordi intimi preferisce soffermarsi sull'importanza imprescindibile dell'amore nella storia della letteratura ("pensi a Omero, Catullo, Tolstoj o Shakespeare"), negando che la narrativa statunitense prediliga oggi altri temi: "Non crede che Libertà di Franzen parli in primo luogo di amore e di tutti i conflitti che scatena? ", mi chiede nel suo ufficio di Princeton. " Jhumpa Lahiri scrive di amore e anche George Saunders, che non definiresti immediatamente un romantico, ha scritto Jon, una delle grandi storie d'amore contemporanee. Updike e Cheever hanno scritto delle difficoltà dell'amore: l'adulterio, il divorzio... Ne parla anche Bellow, pensa a: Ne muoiono più di crepacuore. E perfino DeLillo, che dipinge in toni cupi, ha scritto scene ambientate in stanze di motel...".

Quali sono i romanzi d'amore che l'hanno influenzata maggiormente?

"Lolita, che è una storia d'amore perversa, ma autentica e i grandi romanzi ottocenteschi: Anna Karenina, Madame Bovary, Ritratto di signora. Ma se vogliamo fare una riflessione sull'amore devo citare la frase di La Rochefoucauld che ho posto come epigrafe nella Trama del matrimonio: "La gente non si innamorerebbe se non avesse sentito parlare dell'amore". È un'idea interessante: che l'amore non sia intrinseco agli esseri umani, una parte della nostra biologia, ma piuttosto qualcosa di culturale, creato dalle nostre menti. Da bambini, impariamo dai libri e dai film l'esistenza di questo fenomeno chiamato amore. Quando abbiamo cinque anni, abbiamo l'idea di sposare, una volta adulti, nostra madre. Poi ci vengono altre idee. I bambini giocano al matrimonio, o almeno lo facevano quando ero piccolo. Probabilmente ora giocano ad "accordi prematrimoniali", ma la verità è che noi impariamo l'idea di innamorarci prima di quando ci innamoriamo"...


un frammento dell'intervista di Antonio Monda Jeffrey Eugenides per la serie Parlami d'amore
la Repubblica 3 agosto 2012