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domenica 27 giugno 2021

Cronache dagli anni senza Carnevale/476. Le domeniche sono un’unica infinita domenica, il prologo a ogni lunedì in una casa senza pensieri

  


Erano pochi giorni che Caterina era ritornata a vivere nella casa segreta. La domenica mattina si svegliò convinta che fosse lunedì e si affrettò a fare gli auguri alle sua amiche che entrambe si chiamavano Paola. Ci rimase un po’ male quando nessuna delle due rispose al messaggio. Prima di uscire per fare una passeggiata, accese il pc per leggere qualche notizia. Anche il pc si sbagliava, perché si era fermato sulla giornata di domenica e oggi era lunedì. Consultò allora il suo quotidiano online e anche lì la data era sbagliata. Ma si erano addormentati tutti? Pian piano fu lei a svegliarsi e a rendersi conto di essere ancora immersa in uno stato ipnagogico e che le date sul pc e sul telefonino erano corrette, era lei ad avere saltato un giorno e a essere corsa sino al lunedì. Fu una sensazione strana, perché non le era mai accaduto, forse era colpa del silenzio della campagna, dei suoni della natura che lei chiamava silenzio, delle rondini che volavano basse, dei sogni che svanivano ben prima del risveglio. Andò in cucina a preparare il caffè nella vecchia caffettiera che era stata di sua madre, prese dalla credenza una di quelle tazzine marroni che una volta si usavano nei bar e poi spalmò un cucchiaino di marmellata di arance su ognuna delle due fette biscottate che aveva messo nel piatto. Nella ciotolina di Limoges decorata con dei tralci di rose, anche questa parte dell’eredità materna, mise una manciata di ciliegie mature e due albicocche. Il caffè lo beveva amaro e con un goccio di latte freddo. Rabbrividì davanti al frigorifero e si specchiò per un attimo nel vetro di una finestra, dove il gioco delle ombre faceva tralucere la superficie che, a tratti, rifletteva il mondo da questa parte. Ne aveva visto abbastanza di mondo Caterina, per non avere la voglia di vederne uno speculare. Di tutto il mondo che aveva visto era rimasta traccia negli oggetti che aveva deciso di portare nella casa segreta. Tra gli abiti aveva scelto un vestito da sera in velluto grigio argento che aveva indossato alla Scala per assistere al Don Chisciotte interpretato da Rudolf Nureyev. La stola giocata sul contrasto di colore, era della stessa tonalità di un melograno maturo e stava bene con quell’argento cangiante. Aveva poi portato anche i due abiti indiani di seta che aveva comprato durante un viaggio, non in India, ma in Gran Bretagna. Nel quartiere londinese di Camden c’era un negozietto che importava abiti originali e i due che aveva scelto giocavano sull’alternarsi di quattro colori su fantasie floreali e ghirigori. Blu e azzurro, rosa e viola in uno; verde chiaro e verde scuro, giallo e arancione nell’altro. Nella stanza che aveva adibito a guardaroba c’erano due grandi armadi ottocenteschi, un cassettone, una pettiniera con il ripiano per riporre gli oggetti per la toeletta e un grande specchio ovale. Appese ciascun abito su una gruccia dopo averlo avvolto nella carta velina e poi rinchiuse il tutto in una custodia di tessuto grezzo a prova di tarme, contro le quali aveva già comunque preparato palline di legno imbevute in olio essenziale di lavanda  e di eucalipto e stecche di cannella. Sulla pettiniera dispose le spazzole d’argento, e la trousse di pelle dorata, originale degli anni Cinquanta, che aveva comprato in un negozio vintage quando era solo una ragazza. C’erano ancora un moncone di rossetto rosso fiamma e i rimasugli di una cipria chiarissima che avevano imbellettato il viso di una donna, le sarebbe sempre piaciuto sapere chi fosse stata l’antica proprietaria. Via via che apriva le valigie, vide la sua vita passata fluire dalla casa milanese sino alla casa segreta tra le colline al confine tra le province di Piacenza e Pavia. Voleva svuotare la casa milanese e creare una sorta di museo in quella di campagna. Era arrivato il momento di fare ordine nella sua vita e proprio a partire dagli oggetti. Finito quel primo round di riordino, era arrivato il momento di andare nell’orto a raccogliere la verdura per il pranzo. Durante le sue assenze c’era Manlio, il contadino che si occupava di lavorare nella proprietà e l’orto era perfetto, in pieno rigoglio estivo. Raccolse una piccola cipolla rossa, pomodori molto maturi e basilico perché aveva voglia di mangiare un piatto di pasta al pomodoro. Già che c’era prese anche un peperoncino verde e tornò in casa per mettere su il sugo. Il tempo della campagna scorreva diversamente rispetto al tempo del mare e al tempo della città. In montagna ci andava di rado anche se le piaceva, ma non quanto lo sgomento che le creava ogni volta il mare o la quiete che le scendeva dentro quando era in campagna. Ritornò a pensare allo strano risveglio dove aveva fatto un balzo in avanti, cancellando la domenica che ancora non c’era stata. Le domeniche si assomigliavano tutte e tutte avevano in sé la gioia del giorno festivo e la tristezza della fine del giorno festivo. Il lunedì incombeva sempre nell’anima, a prescindere da quale lavoro la stesse aspettando. Quella domenica l’avrebbe ricordata come la domenica scomparsa, scrisse nel diario quella stranezza e poi cucinò il pranzo. I gesti lenti con le mani sotto l’acqua corrente per lavare i pomodori, il coltello con cui fece a fette la cipolla e a piccoli pezzi i pomodori e il peperoncino, le foglie di basilico sminuzzate a mani nude, tutti i profumi che salivano dal lavandino e poi dalla pentola. Non aveva bisogno di pensare ad altro. Il mondo intorno era impazzito del tutto, preda ancora della pandemia, si era aggrappato a una specie di normalità estiva, ma la gente vacillava, aveva paura e non sapeva e temeva quello che sarebbe accaduto in autunno. Lunedì Caterina sarebbe tornata in città a prendere altra roba, voleva accelerare il trasloco, in maniera tale da poter poi restare qualche settimana in campagna senza pensieri. Senza pensieri, decise che la casa segreta si sarebbe chiamata proprio così.

 

Oggi è domenica 27 giugno del secondo anno senza Carnevale e questa mattina mi sono svegliata davvero pensando che fosse lunedì 28, così non potevo non utilizzare questo strano episodio come spunto narrativo per la Cronaca 476 che ci ha riportato nella casa segreta di Caterina.

venerdì 25 giugno 2021

Cronache dagli anni senza Carnevale/474. Nella casa segreta ogni ricordo ha la sua fotografia

 

 


Si era svegliata all’improvviso con in testa una sensazione di incompiuto che non riusciva a collocare tra il sogno e la realtà. Gli scuri erano chiusi e le ante della finestra aperte, così una brezza lieve e piacevole attraversava la stanza e le riempiva il respiro. La luce che penetrava dalle fessure, creava forme geometriche sul soffitto, alcune ferme, come dipinte di nero, altre, che proiettavano la forma delle tende, svolazzavano in una moltitudine di grigi che faceva da contorno alle altre figure. Ricordava solo di essersi sdraiata dopo pranzo, ma non perché il sonno l’avesse colta così prepotente, come se non avesse dormito da giorni e invece aveva trascorso una notte serena. Più cercava di ricordare, più si impossessava di lei la sensazione di essere stata chiamata dai sogni. Sapeva quanto questo richiamo potesse essere prepotente  e ineludibile. I sogni avevano necessità di irrompere nella nostra vita in veglia e di interrogarla per mostrarci cose cui non avremmo mai pensato. Ma, molto più spesso, i sogni si incaricavano di confonderci e di sviarci, parlavano lingue sconosciute e riportavano in vita persone e animali morti da anni. Il più delle volte era una consolazione poterli rivedere e parlare con loro, mentre a volte una tristezza d’acqua si impadroniva del sognatore perché non riusciva a comprendere le parole dei sognati e il varco di spazio-tempo che li separava diventava ancora più profondo. Nessuna di queste riflessioni aiutò la donna a dare un senso a quel sonno profondo. Poteva alzarsi, allora, e rinfrescarsi prima di decidere come dare una svolta al suo pomeriggio. Preferì infilarsi direttamente sotto l’acqua di una doccia tiepida e svegliarsi con la luce pomeridiana che si stava arrotondando con il passare delle ore. Per asciugarsi utilizzò uno di quegli asciugamani di lino che aveva portato da Milano e che non aveva mai usato nella vita. Era leggero e un po’ ruvido, piacevole da sentire sulla pelle, profumato di fiori, in particolare sentiva i petali essiccati delle rose in fondo al giardino che aveva raccolto durante la visita precedente e subito sparso nei cassetti della biancheria. Non era da lei essere così attenta ai dettagli, prima non aveva mai avuto il tempo di farlo, ma la lentezza acquisita e la pazienza le avevano dato modo di imparare a stare nel presente e a non cercare di intrufolarsi nel futuro, ancora tutto da scrivere, né a rievocare un passato che meritava solo di stare dov’era, in ricordi vaghi e senza attrattive. Dopo essersi asciugata, ma non del tutto, perché le piaceva la sensazione di fresco che restava appiccicata alla pelle con le ultime goccioline d’acqua, scelse uno degli abiti scamiciati che aveva comprato al mercato per pochi soldi ma che era bello e molto colorato, acceso di verde, giallo e arancione. Uscì poi nel porticato e lasciò che la vista fuggisse su per le colline dove ancora resisteva qualche campo non mietuto e costellato di papaveri e fiordalisi. Poi si accorse che, acquattato sotto il tavolo di pietra, c’era un gatto tigrato grigio che dormiva. Come se l’essere guardato avesse fatto da sveglia, il micio si allungò, sbadigliò e la guardò con enormi occhi verdi e ancor più grandi orecchie. Era un gatto molto giovane, anzi una gatta, come ebbe modo di constatare quando andò ad accarezzarla e lei si lasciò pastrocchiare anche sulla pancia e iniziò a fare le fusa. Caterina fu felice di vedere che uno dei suoi più grandi desideri era stato esaudito dal caso. Tra le scorte che aveva fatto per la casa segreta, c’era anche del cibo per gatti, così andò ad aprire una scatoletta di pappa morbida che la micia gradì molto. Mentre questa divorava il contenuto della ciotola, lei ne riempì un’altra con dell’acqua fresca presa al fontanile davanti casa. E la micia gradì anche l’acqua fresca e poi si lavò e pettinò per bene il musino e le zampe, mentre la donna continuava a guardarla. Finita la toilette, anziché allontanarsi, la gatta le saltò in braccio e riprese a ronzare come uno sciame di api e la donna ricordò quanto le piacesse quel suono anche quando era bambina. Dopo qualche minuto di coccole, la gatta saltò giù e andò a sdraiarsi all’ombra di un grande oleandro rosa e si riaddormentò. Caterina aveva fame e si ricordò che non aveva pranzato. Così andò in cucina e prese dalla grande ciotola sul tavolo una manciata di ciliegie e due albicocche. I frutti erano dolci e profumati, le venne voglia di bere qualcosa di fresco e allora preparò una grande caraffa di acqua, limone e menta e la portò in veranda dove aveva deciso di iniziare a riordinare le vecchie fotografie di famiglia e sue. Erano anni che non metteva mano tra quelle e immagini e non riusciva a immaginare cosa avrebbe provato. Nella prima busta c’erano le fotografie di una delle svariate versioni della “festa dei fichi” che aveva organizzato per qualche anno con il suo amico Fabrizio a settembre nella casa dei suoi nonni a San Pellegrino Terme. Molti tra loro era scomparsi, risucchiati nelle nuvole del tempo e non ne aveva mai sentito la mancanza. Di altri invece avrebbe voluto avere notizie, ma di quelli importanti che erano amici, non dovette rievocarli come fantasmi. Prese il telefono e chiamò Fabrizio:

-      “Quanti metri di pizza mi offri se non divulgo le fotografie dell’ultima “festa dei fichi” a San Pellegrino?”.

-      Fabrizio scoppiò a ridere: “Prima iniziamo a scalare un metro dalle decine che mi devi offrire tu!”, fu la sua pronta risposta.

Gli raccontò del viaggio in campagna dove sarebbe rimasta un po’ di giorni, anche se non sapeva ancora quanti. Lo invitò a raggiungerla se gliene fosse venuta la voglia.

Poi tornò alle fotografie, ma il panorama intorno era molto più interessante, così chiuse la scatola e si avviò per il sentiero verso il confine della sua proprietà con quella di Armando. La gatta, che si era svegliata senza miagolare, la affiancò trotterellando. Fu un attimo perfetto, uno di quelli che le sarebbe ritornato in mente all’improvviso, come accade a volte con i ricordi belli. Quelli brutti, pian piano li dimentichiamo, non per forza di volontà, ma per forza dell’oblio. Continuare a vivere sarebbe stato impossibile, altrimenti.

La casa segreta mi ha chiamato anche oggi e così ho scritto questa frammento della storia di Caterina. Arriverà Fabrizio a trovarla? Cosa farà dopo la passeggiata con la gatta? Ancora non lo so, devo aspettare che il bosco chiami anche me.

Oggi è venerdì 25 giugno del secondo anno senza Carnevale e questa è la Cronaca 474, una fotografia già chiusa nella scatola dei ricordi.

domenica 20 giugno 2021

Cronache dagli anni senza Carnevale/469. Tra i campi di orzo e le querce, si ergeva la casa segreta

 


 

L’ultima volta che aveva attraversato la campagna in auto, per arrivare fino alla casa che era diventata il suo rifugio, il grano era verde appena punteggiato dai primi papaveri. Oggi, invece il grano era giallo oro e risplendeva anche del rosso dei papaveri e dell’azzurro dei fiordalisi. Si era ormai al solstizio d’estate e a breve sarebbe iniziata la mietitura e i campi sarebbero ridiventati spogli nel giro di pochi giorni. Era così bello quel paesaggio che la donna decise di fermare l’auto e di andare a guardare. Ma non fece solo questo, si addentrò tra le spighe alte sfiorandole con i palmi delle mani ben aperte. Era un solletico piacevole, così come era piacevole sentire le cicale che cantavano senza sosta. Sul crinale tra la due province, l’alta valle della Versa dava il meglio di sé. Tutto frusciava nel gioco del vento, raccolse alcune spighe con dei fiordalisi e un solo papavero rosso che si affrettò a rinchiudere tra le pagine del romanzo che stava leggendo perché sarebbe sfiorito nel giro di pochi minuti. Uno dei motivi per cui aveva scelto proprio quella casa era la sua invisibilità. Dalla strada principale era impossibile notarla e anche la brusca svolta a sinistra nel bosco era nascosta da diversi arbusti.

Dopo essersi inoltrati per qualche centinaio di metri, si attraversava la proprietà di Armando, un bizzarro uomo di mezza età la cui famiglia era stata padrona del paese fino a metà Novecento. Lui viveva nella villa padronale e aveva riattato le case dei contadini per farne stanze da affittare ai suoi amici cacciatori e, quando ne aveva voglia, cucinava ottimi piatti della tradizione, tra cui uno stufato di funghi, broccoli e castagne di cui era impossibile stancarsi. La donna rallentò per guardare verso le sue finestre e vide che erano aperte. Armando non si allontanava mai neanche d’inverno, si faceva portare dal paese le cose che gli servivano e la moglie e i figli salivano a trovarlo quando lui dava loro udienza. Dopo la proprietà di Armando, la strada continuava in un bosco di querce e poi, anziché continuare a salire sul crinale della collina, piegava dolcemente a destra e scendeva fino alla sua casa che era un vecchio casale in parte recuperato di mattoni a vista, con un camino in ogni stanza, pavimenti di pietra e cotto, i soffitti a cassettoni di legno. Le era sembrato un miracolo già poterlo affittare, ma quando il vecchio proprietario, per fare un dispetto ad Armando con cui correvano ruggini pluridecennali, le aveva offerto di comprarla, non aveva esitato un momento. Armando lo avrebbe comprato volentieri per poter chiudere la strada, ma si rassegnò perché si erano conosciuti, lei ogni tanto andava a cena nella sua locanda segreta e, soprattutto, non aveva mai portato ospiti con sé. Subito dopo le querce il paesaggio si riapriva e i campi di orzo verdeggianti le offrirono il meglio che avevano. Fermò l’auto e scese ad aprire il cancello, ma poi tornò un po’ indietro e andò a sdraiarsi in mezzo all’orzo e ad ascoltare il vento, di nuovo il vento, che era una delle sue ossessioni. Non si fermò a lungo, portò l’auto nella rimessa e, insieme alle valigie, scarico anche i borsoni con vecchi oggetti e libri che non si decideva a dare via. Fu in quel momento che pensò che la casa segreta sarebbe diventata una specie di museo dei suoi io passati, aveva bisogno di farlo per smettere di pensare a quel che era stato e iniziare ad immaginare ciò che avrebbe potuto essere. Aprì tutte le finestre per far cambiare l’aria anche se in casa c’erano profumo di fieno e di legna bruciata nel camino.

Da che parte iniziare a sistemare le cose? Da che stanza soprattutto? Decise che ci avrebbe pensato e che quello era solo l’inizio di questa vita segreta.

La Cronaca 469 di domenica 20 giugno del secondo anno senza Carnevale, l’ultimo giorno di primavera, svolazza su questi campi di orzo e su questo nuovo filone di storie che amano la campagna.