giovedì 30 settembre 2021

Cronache dagli anni senza Carnevale/571. Viaggiare su ogni confine del mondo, tracciare la mappa dei nostri sentimenti

 



Come si riconoscono i confini nel deserto se la linea è solo una teoria di granelli di sabbia?

Come possiamo sapere dove finisce il mare e dove inizia il cielo sul filo dell’orizzonte?

E che ne è stato di quel confine sulle rocce, soprattutto ora che la prima neve è caduta?

E noi siamo del mondo e nel mondo o la nostra pelle è confine tra noi e il mondo, tra noi e l’altro? Un confine è un confine anche quando è invisibile, può essere dentro di noi o fuori di noi, è ciò che ci distanzia dal mondo e ci definisce nel mondo.

Quando non ci sono altre mappe da tracciare, ma intuiamo che ci siano terre ancora inesplorate, ecco che possiamo scrivere Hic sunt leones e fermarci al di qua, dove la terra è nota e dove non verremo assaliti da belve feroci. Tracciare confini e violarli per andare a caccia, per depredare le terre altrui, pare che sia una delle attività predilette dalla nostra specie. Chi ha dominato politicamente il mondo negli ultimi due secoli ha tracciato confini col righello, insostenibili nella realtà. Chissà se qualche viaggiatore ha mai camminato su tutti i confini del mondo. Quanti chilometri saranno? Sarebbe possibile fare questo viaggio in questi non-luoghi tracciati per spartire, dividere, confinare? Sarebbe possibile vivere senza confini? Forse in una favola, non certo in questo mondo, non certo in questo tempo. Ora che tutto è stato mappato, che abbiamo mappe satellitari e fotografiche pressoché perfette, può continuare il mondo a essere un luogo interessante e misterioso? Per fortuna sì, perché è l’esperienza individuale di ciascuno che definisce un mondo e i confini. E dobbiamo averne fatto esperienza. Dobbiamo averlo veduto di persona o in immagini e video per farcene un’idea. Forse basterebbe anche un racconto, ascoltato seduti accanto a un fuoco per avere un’idea di un luogo remoto e desiderare di andare a conoscerlo. La pandemia ha moltiplicato in noi questo desiderio e ha scavato abissi nei ricordi dei viaggi fatti e nel rimpianto di quelli che non abbiamo potuto fare.

 

 

Chiamare per nome ogni rosa

 

Mi muovo sempre tra

due linee immaginarie:

una segna il passato,

l’altra il futuro. Una traccia

la nostalgia, l’altra il desiderio.

Sono parallele queste

due linee, ma basta quel

piccolo scarto dell’immaginazione

per tornare o andare, per

dire io o pronunciare il tuo

nome. Solo l’amore varca

i confini senza lasciare

traccia, perché non li

vede, perché non li sente.

E tu, e io, siamo vicini

in queste parole amorose

che chiamano per nome

ogni stagione, ogni rosa.

 

 

 

Oggi è giovedì 30 settembre del secondo anno senza Carnevale e ho sistemato il cassetto dove tengo le cartine geografiche, ho ripercorso gli itinerari di alcuni grandi viaggi compiuti nel passato e mi è venuta questa idea folle che sarebbe bello fare un viaggio ripercorrendo tutti i confini del mondo. Questa Cronaca 571 ha già lo zaino in spalla e scarpe comode, la lascio partire, voglio proprio vedere dove mi porterà.

mercoledì 29 settembre 2021

Cronache dagli anni senza Carnevale/570. L’aquila, l’orso e il serpente, un bassotto giocoso e i quattro elementi

Stavamo facendo una passeggiata verso le Montagne della Nebbia, dopo questa lunga estate stanno ritornando le amiche e gli amici. Per prima è arrivata la sacerdotessa e mi ha proposto di accompagnarla perché doveva cercare certe erbe officinali che si trovano sull’Altipiano della Luna, in una zona non troppo lontana dalla nostra casa. Nella passeggiata ci hanno accompagnato i lupi, gioiosi e silenziosi come sempre. Allora la sacerdotessa mi ha raccontato una storia accaduta prima che io arrivassi in quella terra.

 

“Stavo passeggiando con la mia amica badessa e i lupi ci precedevano sul sentiero, poi si sono fermati di colpo. Un enorme serpente con occhi di fuoco ci sbarrava la strada. Ci ha fissato a lungo mentre i lupi hanno iniziato a ringhiare. Ma non c’è stato bisogno che lo attaccassero perché un orso nero si è avventato sul serpente. A tratti sembrava che fosse proprio lui, con le sue spire potenti, ad avere la meglio sull’orso. Poi è apparso un cane, minuscolo rispetto ai due contendenti ingaggiati in una lotta all’ultimo sangue. Era un bassotto nero focato che non ha esitato ad avventarsi sul groviglio di bestie feroci e ha morso il serpente alla testa. Subito le spire si sono sciolte, il serpente con un movimento brusco ha scagliato il cagnolino lontano e si è arrotolato su se stesso, inferocito e pronto ad avventarsi su di noi che eravamo bloccate, ipnotizzate da quella scena. Avrei voluto gridare, e se ci fossi riuscita avrei urlato “Mamma!” come se davvero lei avesse potuto intervenire e salvarci da quella minaccia. Ma non accadde nulla di quel che immaginavamo, perché dal cielo scese in picchiata un’aquila maestosa e colpì il serpente agli occhi col becco e poi lo afferrò con gli artigli e lo portò in volo con sé e non li abbiamo più veduti, tanto l’aquila era salita in alto. Solo dopo qualche giorno era ritornata e ci aveva deposto sul prato davanti a casa quella pelle lucida e nera che era appartenuta al serpente. La testa era squarciata come il ventre, mi faceva orrore, ma il sapiente guerriero la recuperò e mi disse che l’avrebbe utilizzata per ricoprire antichi manuali le cui copertine iniziavano a sfaldarsi. Non so se poi l’abbia fatto davvero, ma non potrò mai dimenticare la paralisi davanti a quella creatura ctonia che sembrava ci stesse aspettando. L’aquila tornò ancora e depose diverse penne sul prato della Casa delle Parole e anche l’orso venne a donare tre artigli all’antico sapiente. Scoprimmo poi che il bassottino era di proprietà delle tre sorelle che lo lasciavano scorrazzare in piena libertà e da quel giorno diventò un compagno costante delle mie passeggiate”.

 

Era una strana storia, piena di simboli, mi sono chiesta se davvero fosse accaduta quella lotta tra quei quattro animali. La dimensione simbolica era potentissima e così mi sono riproposta di analizzare con calma quelle presenze e il loro legame con i quattro elementi.

 

Mi piace stare in questa terra, è sempre piena di sorprese, di incontri. Ma sono dovuta tornare nella città silenziosa, avevo molte cose da fare, da scrivere. E così tornerò dalla sacerdotessa nei prossimi giorni. Oggi è mercoledì 29 settembre del secondo anno senza Carnevale e questa Cronaca 570 sta ancora giocando con l’irresistibile bassotto.

martedì 28 settembre 2021

Cronache dagli anni senza Carnevale/569. Per le infinite strade del mondo, per i giorni di pioggia e l’accendersi lento del sole

 



 

Oggi pomeriggio ho presentato alla Biblioteca Sormani di Milano il volume postumo di poesie inedite 1952-1965 Esercizi d’addio di Piera Oppezzo, edito da Interno Poesia di Andrea Cati. Con me c’erano il curatore del volume e regista del bellissimo film Il mondo in una stanza. Piera Oppezzo poeta, Luciano Martinengo, la poetessa Mariapia Quintavalla e la giovane italianista Gaia Carnevale che si è laureata con due tesi, triennale e magistrale, dedicate alla Oppezzo. Il cortile della Sormani è un luogo raccolto che prende luce soprattutto dal rettangolo di cielo sovrastante ed è molto adatto a fare presentazioni con la bella stagione. Siamo entrati nel vivo della poesia della Oppezzo grazie a una intensa lettura di Anna Nogara, poi Luciano ci ha raccontato la genesi dei due volumi da lui curati e del film, e della loro amicizia, Mariapia ha raccontato a tutto tondo l’esperienza di vita della Oppezzo, che ha conosciuto e infine è intervenuta la giovane Gaia che ha lavorato sui dattiloscritti e da subito ha sentito una profonda consonanza con la poetessa

Io ho parlato dopo Luciano e mi sono lasciata trasportare dalle suggestioni che ho avuto prima di tutto come lettrice e poi come poetessa. Ne faccio qui una breve sintesi.

 

La lettura di Esercizi d’addio è stata prima di tutto un viaggio attraverso quel misterioso equilibrio di parole e immagini, ritmo e forma che fa di una poesia una poesia. Tutto il mondo poetico della Oppezzo parla con la sua voce rarefatta che procede per sottrazioni. Se è vero che ogni scrittura è frutto di una scelta, questo è ancor più vero nella poesia. Ogni parola scritta mantiene nell’ombra tutte le altre parole che non sono state scelte, ed è stupefacente vedere come già giovanissima, la Oppezzo padroneggiasse la materia incandescente della poesia. Scrivere versi significa anche immergersi nel profondo di se stessi, della vita e del mondo. Ci si può immergere come scendendo nel mare dei Sargassi del proprio inconscio, come faceva Sylvia Plath o si può scendere nelle profondità della terra, maneggiare il magma e manipolare la materia incandescente ogni volta come novelli Efesto, zoppi, accecati dal fuoco, inadatti a camminare con leggerezza sulla superficie della terra. Oltre alla Plath, sua coetanea, i versi della Oppezzo mi hanno richiamato a ogni lettura gli attimi sfolgoranti, i momenti di essere di Virginia Woolf, quella sua capacità di rendere eterno nelle parole ciò che per sua stessa natura è destinato all’oblio. Proviamo a immaginare questa poetessa bella e ombrosa procedere in ogni giorno, ogni ora e tendere la mano a cogliere quei frutti luminosi che ai poeti sono visibili prima che agli altri essere umani. Ora che ha riempito il cesto e lo ha posto sul suo tavolo, accanto a un taccuino e a una vecchia macchina da scrivere Olivetti, può iniziare a scegliere il tempo e le stagioni, e proprio il tempo è uno dei pilastri della sua poesia, le ore del giorno e della notte che non sono solo il paesaggio prediletto di questi versi, ma pure espressioni della sua anima e del suo essere, in un procedimento che fa aderire la poetessa al mondo che ne recherà per sempre l’impronta. È proprio questa vita, colta nell’attimo del suo essere profondo, che rivela bagliori di verità, scintille di un fuoco spento, lucciole di una notte estiva che non avremo mai veduto.

Questi versi giovanili della Oppezzo nascono da una profonda adesione alla vita quotidiana e alle sue fatiche, non a un mondo astratto e disincarnato. C’è, infatti, un tu amoroso cui lei si rivolge, ci sono persone che vivono, si muovono, lavorano: una madre che va ai giardini con i figli; il ragazzo vicino alla finestra; la donna dai riccioli di platino; il muratore con la gamba rigida; l’uomo misero e muto; la bambina farfalla. Non vi sembra di averli davvero davanti ai vostri occhi? Ma la poetessa è consapevole che la distanza tra l’io e l’altro è incolmabile, anche quella del Je est un autre di un folgorante, giovanissimo Rimbaud. Solo la poesia riesce a farsi ponte in questa distanza e a segnare un cammino percorribile. In questa distanza abita il silenzio, che non è nemico della poesia, ne è anzi, origine e pre-condizione necessaria. E un silenzio immenso abita il mondo di questa giovane donna giovane che ha già scelto il suo destino. Sarà poeta a qualunque costo, a non importa quale prezzo. Io l’ho conosciuta in anni lontani, ma non frequentata, la ricordo alla Libreria delle Donne in via Dogana, nella casa occupata di Via Morigi qui a Milano, ho respirato quella stessa aria dell’impegno politico della generazione precedente la mia. Ho poi visto con Luciano il suo bellissimo film, so quanto lei sia rimasta isolata e appartata, forse più per scelta, per conseguenza che per destino. La sua voce poetica, la sua dimensione filosofica e spirituale, mi dice che per lei la poesia è sempre venuta prima della politica. Lei ha conosciuto la normalità di decine di milioni di vite ordinarie, di quelli che come lei sono nati in famiglie normali, semplici. Lei ha conosciuto l’ordinarietà e l’alienazione dei lavori comuni, ha fatto la sarta e la dattilografa. Conosce a fondo il tempo alienato del lavoro dipendente, svolto per vivere e non per passione, ed è riuscita a eternizzare anche quella ordinarietà e quella normalità. Non si sottrae mai al dolore Piera Oppezzo, ma lo attraversa e lo plasma, lo respira e lo vince con la forza delle parole e di un io ben individuato sin da giovanissima. La sua non è poesia lirica in senso stretto e tanto meno neo-avanguardista. Lei è riuscita a rendere poetiche anche le cose più umili della vita quotidiana e quel che emerge, alla fine, è anche la sua biografia, perché la vera biografia di un poeta è la sua opera, come mi dice sempre il mio amico poeta Danilo Bramati.

 

Avrei voluto leggere almeno una poesia, cosa che poi ho deciso di non fare, per restare nell’incanto della voce di Anna Nogara, così la trascrivo qui e vi invito a leggere questa poetessa che meritava un altro destino.

 

 

Amore

 

Ti amo, per le infinite

strade del mondo,

per i giorni di pioggia

e l’accendersi lento del sole:

tutte cose che vedo ricordandoti.

Ma, soprattutto, ti amo

per la tua consapevole vita.

 

settembre ’56

 

Questa Cronaca 569 di martedì 28 settembre del secondo anno senza Carnevale, si chiude così, con la voce di Piera Oppezzo ventiduenne.

lunedì 27 settembre 2021

Cronache dagli anni senza Carnevale/568. Una stagione di arrivi nel confine del giorno

 


La fioritura, la maturazione del frutto rispondono a leggi interne che non hanno bisogno di essere apprese. Così come non dobbiamo imparare a crescere, questo accade perché è nella natura degli esseri viventi nascere, crescere, declinare e infine morire. Forse la vita non è altro che questo tempo in quattro quarti che si ripete, giorno dopo giorno, mentre impercettibilmente cambiamo, cambiano le cellule del nostro corpo, cambiano le orbite degli atomi, siamo ancora quelli di ieri, siamo nell’oggi e siamo sempre, in ogni istante, figli del domani che è già dentro di noi. Eppure, tutti i nostri io passati, i corpi che siamo stati, anche se non si manifestano più in modo sensibile in questa realtà, non sono scomparsi per sempre. Perché siamo come gli alberi, abbiamo dentro di noi i cerchi concentrici che dichiarano la nostra crescita, l’alternarsi delle stagioni piovose e secche, il canto del vento e quello della pioggia. Il nostro corpo bambino è ancora dentro di noi, le ossa nelle ossa, il sangue nel sangue. Così nel presente ci troviamo a essere custodi inconsapevoli di chi eravamo e di quel che, un tempo, abbiamo pensato. È strano quando riusciamo a cogliere che la nostra vita, le nostre conversazioni, la lettura e la scrittura siano soprattutto declinazioni contemporanee del passato. Sto scrivendo questa nuova Cronaca e già l’incipit, la fioritura di cui ho appena scritto è una parola declinata nel tempo. Forse il segreto sta proprio in questa consapevolezza, l’avere imparato e accettato che il tempo non ritorna, che non possiamo precederlo, ma possiamo corrergli accanto, correre in lui e con lui. Così riusciamo a cogliere lo sfavillio delle cose e quello delle creature che respirano, due sfavillii differenti che rendono la vita questa esperienza sfolgorante che accade con noi, in noi e nell’istante. Passano gli istanti perché sono caduchi come le foglie e finita la stagione si arrendono e si lasciano andare. Le creature che respirano sono più propense ad aggrapparsi a questa forma della realtà, a provare nostalgia e speranza. Non è necessario avere una vita rigogliosa alle spalle per provare il morso della nostalgia e neanche una vita insoddisfacente adesso per avere speranze per un futuro nebuloso che cerca in questo presente le scintille per poter prendere vita.

 

Potersi sfiorare, come se le mani fossero reali

 

Non crescono mai insieme

la luce e l’ombra, dove una

avanza l’altra è costretta a

indietreggiare, non cercano

mai di andare oltre il confine

che il giorno assegna loro, sanno

che il confine è l’unico luogo

dove possono stare insieme

per pochi istanti, per pochi

istanti, così potersi sfiorare,

come se le mani fossero reali,

come se con la punta dell’indice

potessero sfiorare un libro,

un fiore o la tua mano.

 

 

Così l’amore per le cose sgorga da ogni singolo gesto, dalle sillabe, dai canti e dai sogni. Così impariamo l’alfabeto giusto per questa nuova stagione e accettiamo l’attesa e ci mettiamo in ascolto. Di cosa? Di Chi? Ci sono le voci dei bambini che escono da scuola, ci sono i clacson in fondo alla strada, c’è una donna ferma all’ombra dell’albero bellissimo che ride da sola. Cosa resterà di questo tempo se non l’ombra in queste mie parole nella Cronaca 568 di lunedì 27 settembre del secondo anno senza Carnevale? Ma è un’ombra che sulla pagina non riusciremo mai a leggere, è un’ombra che sta nella voce e nel vento.

domenica 26 settembre 2021

Cronache dagli anni senza Carnevale/567. Una foglia si stacca e cade, danza e cade, cade senza cadere

 



Il giorno era una notte d’inchiostro, nessuna luce ha interrotto il grigio uniforme del cielo, un cielo senza alfabeto, una pagina scritta senza una penna ma solo con il ricordo delle nuvole già sparite. Non c’è differenza tra questo giorno e la notte che è stata, non c’è differenza tra questo giorno e la notte che sarà. Noi siamo presi nel mezzo, incerti viaggiatori del tempo, presi in trappola tra il desiderio di andare e quello di restare. Sulla tavola del mattino è rimasta una tazza di latte, un pezzo di pane di ieri, il caffè che continua a fumare, come fosse un piccolo vulcano domestico. C’è qualcosa di chiaro e terribile nei primi giorni d’autunno, quando strappiamo significato ai minimi gesti, agli oggetti che erano muti nel loro quieto stare. In tutto questo silenzio anche noi siamo privi di voce, ci nascondiamo negli angoli e aspettiamo che una voce ci inciti a muoverci, che una voce cara dica il nostro nome. Ma come i giocattoli abbandonati di una fiaba, potremo muoverci solo quando qualcuno ci cercherà, quando uno sguardo, quello sguardo, arriverà ai nostri occhi, alle nostre orbite vuote, senza luce, senza ricordo. Ci specchieremo l’uno nell’altro, generazione dopo generazione, riconosceremo le mani del nonno materno nelle nostre stesse mani, la bocca di nostra madre nella nostra bocca, il naso volitivo di nostro padre, la mitezza dello sguardo di nostra nonna paterna. Come potremo essere noi se sempre siamo prima di tutto il ricordo di altri, di quegli altri sconosciuti che ci hanno preceduto? L’eredità non è un bene passeggero che le generazioni si trasmettono, non sono la terra e le case. Anche se avremo dissodato gli stessi campi dei nostri avi, anche se avremo spazzato lo stesso pavimento di pietra e lavato i panni nella stessa fontana, quelli saranno stati solo gesti. L’eredità è nell’oscuro luogo dove i nostri geni hanno mescolato tutto ciò che è stato prima di noi. Potremo essere liberi se avremo accettato questa eredità, solo se ci inginocchieremo ai secoli e ai millenni, e con il capo chino, allora potremo dire “Io sono, e sono anche un altro, e sono anche tutti gli altri”. Allora il respiro potrà placarsi e accordarsi al respiro di questo mondo tragico e bello in ogni sua manifestazione. Anche nella fatica, nella solitudine, nell’esilio, quei luoghi lontani, quelle mani che non abbiamo conosciuto, parleranno in noi e per noi. Non abbiamo confini nel tempo, non ne ce ne sono mai stati e mai ce ne saranno. Potremo porgere una mano verso il domani che arriva e con una piccola torsione continuare a tenere tutti gli ieri che si incolonnano, formiche del tempo e andranno a formare quella muraglia che ancora non abbiamo imparato a scalare.

 

Nell’ombra delle nostre parole


Nel giardino possiamo

assistere alla caduta delle

mele, riempire il nostro

cestino e respirare l’aroma

rosso che chiama ancora

l’ombra dei fiori che erano

e non saranno mai più.

Sarà questa la nostra

partenza sfolgorante verso

il pomeriggio che ci

sta già chiamando. Allora

metteremo sul tavolo

quelle mele, sposteremo

la tazza vuota e accenderemo

il fuoco e lasceremo che

tra le scintille sprizzino anche

questi versi necessari, dove

la mente può passeggiare

come se fosse all’ombra

del meleto la scorsa primavera.

Noi abbiamo veduto, per questo

possiamo ricordare. Una foglia

si stacca e cade, danza e cade,

cade senza cadere, danza

senza un solo suono se

non quello che si muove

nell’ombra delle nostre parole.

 

 

Siamo prigionieri della pioggia oggi, domenica 26 settembre del secondo anno senza Carnevale e questa Cronaca 567 è rotonda e rossa come una mela appena raccolta. La metto sul tavolo, non nel cestino, ma accanto, per vedere in quanto tempo sarà dentro senza che io l’abbia più toccata.

L’immagine di oggi è La direzione del vento di Andrey Remnev.

sabato 25 settembre 2021

Cronache dagli anni senza Carnevale/566. Gli alberi muti e spogli consolano le stelle che non trovano più le foglie con cui conversare

 



Ogni passo risuona sul selciato, è un rumore regolare, una passeggiata d’autunno, fatta così, senza pretese. Mi fermo a guardare oltre le cancellate che nascondono i giardini e un silenzio diverso accoglie il mio sguardo. I secoli si mostrano nella pietra della fontana e l’acqua ritorna nella vasca come se la sua origine non fosse il cielo, ma la terra. A ogni respiro ci muoviamo in un diverso spazio e il tempo sventola su di noi come un aquilone la sua coda di bandierine colorate. Anche il cielo mostra una coda di nuvole, grigie su grigio e non lascia spazio ad altro che a questo cielo che copre l’azzurro, anche se noi sappiamo che è sempre lassù, oltre le nuvole. Ci protegge questo cielo dalla malinconia autunnale, perché ci spinge oltre il giardino e la fontana, ci spinge verso il nostro giardino e la nostra casa che ancora aspetta il ritorno degli amici.

 

 

 

La mancanza non è perdita,

è solo un cielo coperto di nuvole

 

 

Ogni risveglio è un ritorno

dalla terra senza nome

dove abitano i sogni, dove

abitiamo noi ogni qual

volta ci fidiamo del sonno

e ci abbandoniamo a questa

avventura che ci fa smarrire

e poi ci riporta dove il tempo

è una freccia ordinata che

scorre in avanti, mentre noi

avremmo preferito restare

in compagnia dei nostri cari

che nella coda di quella freccia

respirano ancora la stessa aria

e sorridono e le loro voci sono

allegre e senza nostalgia.

La mancanza non è perdita, è

solo un cielo coperto di nuvole.

 

 

 

Quando arriviamo a casa la luce filtra da vetri che sembrano azzurrini e verdi, una luce fredda perché non c’è il sole e le foglie sembrano ancora sugli alberi. Ma noi sentiamo nelle ossa e nel sangue che tutto sta per accadere, che tutto arriverà a compimento e lasceremo la terra al suo riposo invernale e gli alberi muti e spogli a consolare le stelle che non trovano più le foglie con cui conversare. Mentre io e te possiamo parlare in ogni momento, anche nella distanza, basterà un solo pensiero e sentirò la tua voce cara che mi chiama e mi sorride.

 

Anche in questo sabato 25 settembre del secondo anno senza Carnevale, ho scritto una Cronaca, la numero 566, fatta di poco, di parole, di cielo invisibile, di stelle senza consolazione.

venerdì 24 settembre 2021

Cronache dagli anni senza Carnevale/565. Il silenzio è l’ombra delle nostre parole

 

 


 

Ci sono giornate perfette e rotonde, ci sono giornate come questa dove non si può stare chiusi in casa a leggere e basta, ci sono giornate dove devo uscire e quel che voglio leggere sono le storie portate dal vento e dalle foglie, le storie nelle voci dei bambini che escono da scuola e ridono e schiamazzano. Dove non ci sono voci umane e più facile riuscire ad ascoltare il silenzio, ma il privilegio del vivere in città sta proprio in questa molteplicità delle voci che moltiplica la qualità e la consistenza del silenzio.

 

Ogni silenzio chiama un altro silenzio

 

Chiamiamo silenzio tutto

ciò non è intessuto con

le nostre voci. Così

ascoltiamo il silenzio

delle foglie e quello 

del vento, il silenzio della

scuola e quello del

selciato. Ogni silenzio

chiama un altro silenzio,

ogni silenzio è una diversa

qualità delle voci che non

sono la nostra, ogni silenzio

è un mondo e il mondo

cerca anche il nostro

silenzio, cioè l’ombra

delle nostre parole.

 

 

Oggi è venerdì 24 settembre del secondo anno senza Carnevale e sono stata in giro ad ascoltare i silenzi e non le voci, com’è vario il mondo, come sono ricchi i contrasti e le sfumature. Ora posso scrivere di ogni silenzio nuovo che ho scoperto e arricchire così il mio catalogo del mondo cui unisco questa silenziosa e ombreggiata Cronaca 565.

giovedì 23 settembre 2021

Cronache dagli anni senza Carnevale/564. Tra fichi, tassi, polpi e cinghiali, quanta bella compagnia!

 



Il tempo sereno corrisponde al nostro stato d’animo ancora rivestito dalle ore d’estate. Quando inizia così sommesso l’autunno ci lascia il tempo di abituarci all’aria fredda del mattino e alla luce più breve. In questi giorni ho letto diverse notizie che riguardano alcuni animali che hanno incrociato le vite degli umani. Ci sono i cinghiali che passeggiano in città, accade a Roma, ma anche in Piemonte e in Liguria, dove pare che la presenza dei cinghiali attiri i lupi. Già l’anno scorso, durante i primi mesi di lockdown avevamo visto animali inusuali aggirarsi per le città deserte, i cervi passeggiare nei paesi innevati. Qui nella città silenziosa si è moltiplicata la presenza degli scoiattoli e anche degli uccellini che, almeno nel mio quartiere, erano drasticamente diminuiti nel corso degli inverni precedenti. Ora, so che la presenza dei cinghiali è sintomo della presenza di rifiuti non gestiti, ma non riesco a non intenerirmi vedendo la capo branco seguita da cuccioli di varie età che le trotterellano dietro con grande convinzione. Ci sono poi altre storie tenere che mi piace ricordare. La prima è la più recente riguarda il tricheco viaggiatore Wally, fotografato in diverse località, che si è fatto una nuotatina dall’Islanda all’Irlanda affondando almeno un paio di barchette dove era salito a riposarsi. Poi non resisto ai video delle balene che si affiancano a subacquei, surfisti e sembra quasi che si fermino a osservare gli umani con la stessa intenzione e intensità che ci mettiamo noi con loro. Ma la storia che più di tutte mi ha davvero intenerito e divertito è quella del tasso Pignoletto che, a causa di una scorpacciata di fichi maturi, è svenuto a causa della glicemia troppo alta. Nel giro di una settimana si è ripreso ed è stato rimesso in libertà e lo immagino tornare a cercare e replicare la beatitudine dell’incontro coi fichi che hanno un profumo meraviglioso e sono proprio buoni in tutti i modi. Col passare degli anni, l’ho già scritto anche di recente, ho drasticamente ridotto il consumo di carne, ho smesso di mangiare il polpo dopo avere letto Oliver Sacks e se non lo avessi già fatto dopo aver visto il film Il mio amico in fondo al mare, avrei smesso comunque. Adesso sto leggendo Altre menti di Peter Godfrey-Smith, sempre dedicato ai cefalopodi, e mi aspettano nella pigna dei libri da leggere anche Pensieri della mosca con la testa storta di Giorgio Vallortigara che ipotizza che i nostri grandi cervelli servano soprattutto per immagazzinare memoria e che anche le menti di animali minuscoli, come appunto le mosche, abbiano attività cognitive e capacità di sentire. Gli studi sulla coscienza umana sono una delle mie passioni e ho letto moltissimi libri: Antonio Damasio, Steven Pinker, Roger Penrose, Daniel Dennett e tanti altri. Ci sono così tante cose da studiare e imparare, e più invecchio più scopro che il mondo e l’universo sono misteriosi e complessi e che ogni libro letto non è che un minuscolo tassello in un mosaico di conoscenza pressoché infinito. Dallo studio della coscienza umana alla fisica quantistica il passo è stato molto breve e poi vogliamo tralasciare le vite degli scienziati e delle scienziate? E cosa stava succedendo nel mondo intanto che loro erano chiusi in laboratorio? Così ho iniziato a leggere sempre più libri di storia del Novecento, il mio secolo, e di storia d’Italia, le biografie di architetti e pittori si sono aggiunte a quelle degli scrittori. E la storia della mia città Milano, ha ripreso vita nei racconti di chi c’era e ha visto, di chi non c’era e ascoltato e ha scritto. Così saltello da un argomento all’altro e, come sempre accade, quello che leggo filtra in quello che scrivo e non c’è niente di più bello al mondo che leggere e scrivere. Insieme a un’altra serie infinita di motivi per cui vale la pena vivere. Per cui finisco questa Cronaca 564 animalesca e coscienziosa e la consegno alla collezione di quelle che l’hanno preceduta e oggi, giovedì 23 settembre del secondo anno senza Carnevale, può proseguire con la lettura delle altre menti che vivono con noi in questo scorcio di tempo e di spazio.

mercoledì 22 settembre 2021

Cronache dagli anni senza Carnevale/563. Il primo giorno d’autunno, dove il mondo non trattiene più la luce

 


Ritorneranno le ore felici, seduti accanto al camino, le castagne sul fuoco, i melograni aperti sul tavolo, quel lieve sentore di legna bruciata. E il silenzio, il lungo silenzio della campagna intorno a noi, delle zolle arate, delle viti spogliate dai grappoli maturi. Ogni tanto il vento ci porterà il profumo di sale e mirto che arriva dal mare. Poi vedremo le rondini sfrecciare verso un’altra primavera e gli storni danzare nel cielo e comporre figure che parlano ad altre creature, ma non a noi. Poi accenderemo il fuoco sotto al bollitore e prepareremo un tè per accompagnare questo pomeriggio e le sue ore smarrite, perché non erano preparate a passare dall’estate all’autunno così, senza un minimo preavviso.

 

Il silenzio delle foglie mentre stanno cadendo

 

In una sola fotografia vorrei

imprimere questa prima

giornata d’autunno: ci metterò

le foglie che stanno cadendo, poi

quelle cadute. In alto a destra

vedrai le ultime rondini, nell’angolo

opposto i ricci usciti dalle tane, poi

i melograni che si offrono, pronti

a essere raccolti, l’uva nella ciotola

sul tavolo, poi il tè che fuma nella

tazza, poi il silenzio che avvolge

ogni cosa e che questa fotografia

rappresenta meglio dei frammenti

della vita che è stata, è grigio

il silenzio di questa prima giornata

d’autunno. Un grigio elegante,

raffinato che accoglie le nostre

parole che si apriranno tra poco

come i ricci delle castagne e

allora conosceremo anche questa

stagione e la sua ricchezza fatta

di molto silenzio e di parole rare.

 

 

È bello iniziare l’autunno qui nella Casa delle Parole dove tutti gli abitanti, tranne me, sono ancora in giro per il mondo. Ma sono tornati i lupi a salutarmi e so che potrò affrontare le intemperie e la solitudine, in attesa che loro ritornino e insieme riapriremo i libri che stavamo leggendo o scrivendo.

 

Oggi è mercoledì 22 settembre del secondo anno senza Carnevale, il primo giorno d’autunno, ora il mondo lo sa e non trattiene più la luce, e anche questa Cronaca 563 si veste di nebbia e silenzio, profondo, altissimo, una nuova forma della quiete.

martedì 21 settembre 2021

Cronache dagli anni senza Carnevale/562. La fine dell’estate e la luce, tutta la luce intorno

 


 

Oggi una giornata di lavoro intenso, di letture e di parole da ascoltare e silenzi da decifrare. Una giornata dove Milano stava in Iran e poi a Parigi e dove Roma era stesa a prendere il sole sulla spiaggia di Praia a mare. Quante storie vere da ascoltare, quante storie inventate più vere del vero e quanto silenzio tra gli alberi e le foglie in quest’ultima giornata d’estate.

 

 

Una lingua senza alfabeto

 

Guardo il silenzio, un modo

diverso per imparare l’attesa

e la quiete. Prende la forma del

vento il silenzio, a volte il volo

dell’airone sulla superficie del

lago lo fa rifulgere prima della

caduta. Guardo il silenzio per

meglio comprendere le parole e

ogni volto ne dispone un frammento

sulla superficie del tempo dove

possiamo imparare a leggere questa

lingua priva di sillabe e vocaboli, priva

anche dell’alfabeto, non ne ha

bisogno perché è tutto il mondo

che scrive la nostra storia, tempo

nel tempo, silenzio nel silenzio.

 

 

Oggi abbiamo salutato l’estate celebrando le ultime ore all’aria aperta, portoni spalancati su cortili antichi, mobili dimenticati, una stufa di ghisa e un romanzo bellissimo da finire che mi sta aspettando e che spero tra qualche tempo potrete leggere anche voi. Vero Elisabetta?

L’estate del secondo anno senza Carnevale è finita oggi martedì 21 settembre con questa Cronaca 562 e luce, tutta la luce intorno che stava prendendo commiato.

lunedì 20 settembre 2021

Cronache dagli anni senza Carnevale/561. Chiedo alla luce un nuovo fulgore

 



 

Quanti movimenti deve fare l’occhio per cogliere proprio quel frammento di luce? Quanti passi verso l’orizzonte per far sì che un paesaggio diventi parte di noi? Quanti respiri all’unisono con il vento servono perché diventiamo aria nell’aria?

Sono domande senza risposta o forse l’unica risposta è sempre la stessa: dipende.

Dipende dalla stagione che ci circonda, dipende dal paesaggio, dalla nostra altezza, da quanto siamo disposti a lasciarci sorprendere, a quanto desiderio di cambiare abita in noi. Il respiro muta solo con un’intenzione precisa, quando sentiamo il petto allargarsi e l’aria non essere più una minaccia che arriva dall’esterno, ma una condizione necessaria a una vita più libera.

La cosa importante di queste domande è che possiamo farle anche stando seduti in poltrona a guardare il soffitto, o alla scrivania a cercare di scrivere un nuovo racconto. Perché c’è sempre nella vita qualcosa che eccede le nostre intenzioni, la sorpresa continua di essere vivi a ogni risveglio, di potersi meravigliare alle minime variazioni della luce.

La poesia si annida proprio tra queste pieghe minime del giorno nuovo, nel pieno della luce meridiana e nei bagliori del sole che cede alla notte.

 

 

La poesia preferisce i margini e le soglie

 

La tazza di tè è calda, il mattino

grigio e non cerco ispirazione

nei colori o nell’aroma che respiro.

Gli attimi si dispongono nel giorno

come note sullo spartito, ma è

ancora troppo presto perché io

possa cogliere questa nuova

melodia e così, chiedo alla luce

un nuovo fulgore, uno scarto

nell’armonia, perché sono margini

e soglie i luoghi dove la poesia

si annida, dove posso fermarmi

e invitarla a raggiungerci in

questa pagina che era bianca.

 

 

Così sta trascorrendo questa giornata, tra la luce e i suoi margini, tra la soglia e l’occhio che la contempla. Perché la poesia è anche questa capacità di mutare la cronaca di un giorno qualunque in un frammento di eternità.

 

Oggi è lunedì 20 settembre del secondo anno senza Carnevale, un lunedì armonioso che abbraccia questa Cronaca 561 e le sue parole appena scritte.

domenica 19 settembre 2021

Cronache dagli anni senza Carnevale/560. Scrivo, anche quando la pioggia gioca a nascondino con le nostre intenzioni



Una domenica mattina ventosa e fredda, un giorno di pioggia in una Milano che sembrava Trieste. Poi il calore di una bella casa piena d’amore, libri, colori e belle fotografie. Le ore sono passate parlando e ascoltando di libri non ancora finiti, ma che lo saranno. Profumi di altri luoghi e di altri tempi si sono mescolati: un sugo di zucchine e pomodorini, un tè allo zafferano, l’Iran e Cuba evocati da immagini e racconti. Lo spirito di Hemingway che aleggiava intorno a noi chine sui quaderni.

Poi è uscito il sole, e la giornata è diventata calda e luminosa, l’ultimo colpo di coda dell’estate, mentre le parole nuove si affiancavano accanto a quelle già scritte e le intenzioni di futuri racconti prendevano posto nelle pagine via via sempre meno bianche.

 

Uno spazio vuoto per le nostre parole

 

Mi dico “scrivi” quando anche

la pioggia gioca a nascondino

con le nostre intenzioni. Scrivo

per non distrarmi, scrivo per

tenere ferma l’ombra anche

quando siamo in volo, scrivo

per imitare l’onda e rispondere

alla sabbia che parla per conchiglie

e stelle marine ancora addormentate.

Dal cielo si specchiano quelle che

non toccheranno mai il mare e

sono invidiose delle sorelle che

ci vivono nel mezzo. Scrivo anche

per il giardino, perché non dimentichi

lo splendore delle rose nella

loro ultima fioritura e custodisca

questo spazio vuoto come se fosse

un sacrario per il loro profumo e

le nostre parole.

 


Ecco che è passata un’altra bella giornata di fine estate che ho condiviso con Elisabetta, Simone e Giorgia, Rita e Ilaria, Martina, Roberta e Francesca. Ricorderemo, un giorno ricorderemo come sarà stata la luce di queste ore di domenica 19 settembre del secondo anno senza Carnevale e della sua Cronaca 560, ventosa, arruffata e pensierosa, come le rose che non possono sapere ancora che la stagione è quasi finita.

sabato 18 settembre 2021

Cronache dagli anni senza Carnevale/559. Se anche le pietre conoscono la forza dell’amore

 

 


 

La notte arriva all’improvviso mentre non stiamo guardando la finestra. Il cielo di oggi era grigio-azzurro, l’aria ancora calda. Un inganno, un’illusione d’estate, un prolungamento della stagione bella, uno scarto improvviso e ci ritroviamo immersi nell’aria d’autunno, l’aria della transizione, quella che conserva ancora nitide le immagini del mare e della spiaggia, dell’isola e del giardino.

 

La marea ha trascinato i nostri sguardi a riva

 

Quando cammino non cerco

di ritrovare le tue impronte e

tanto meno quelle che ho lasciato

giorno dopo giorno perché

cercavo una corrispondenza tra

il mio cuore e il tuo. Poi la marea

ha trascinato lontano le acque e

le nostre impronte sono emerse

scolpite nella roccia e non erano

i nostri passi che ho ritrovato,

era il tuo profilo accanto al mio.

Se anche le pietre conoscono

la forza dell’amore, lo capirò

più tardi, quando vedrò le stelle

e i tuoi occhi brillare perché

saremo vicini nell’oscurità.

 

 

È sempre strano ricominciare a camminare nel buio, cedere alla notte i privilegi del giorno, arrendersi ai capricci delle luci piccole, del vento che non soffia ma sta fermo a guardare cosa faremo, se le nostre mani si staranno cercando, se il buio accetterà di dormire quando avremo spento la luce.

Ma amo l’autunno e lascio andare l’estate, tornerà l’estate con o senza di noi.

Benvenuta stagione che rosseggia tra il fuoco e le trame delle storie che ancora non ho scritto.

Ora posso finire il raccolto, fare ordine tra gli spunti e le piume, scegliere quale segreto custodire e quale mistero andare a svelare. Dobbiamo arrenderci alla facoltà di scelta, se non raccontiamo quello sguardo che abbiamo incontrato, come potrai tu averne nostalgia?

 

Oggi è sabato 18 settembre del secondo anno senza Carnevale, quando arriverà la fine di questa parola, anche la Cronaca 559 starà dormendo, in attesa dei sogni non ancora sognati.