domenica 28 luglio 2019

l'inizio della scrittura

Sapere che non si scrive per l’altro, sapere che le cose che sto per scrivere non mi faranno amare da chi amo, sapere che la scrittura non compensa niente, non sublima niente, che è precisamente là dove non sei: è l’inizio della scrittura.

Roland Barthes 
Saggi critici
nuova edizione a cura di Gianfranco Marrone
Einaudi 2002

sabato 27 luglio 2019

inciampare in una pietra, bagnarsi in qualche pioggia


Un appunto

La vita – è il solo modo
per coprirsi di foglie,
prendere fiato sulla sabbia,
sollevarsi sulle ali;

essere un cane,
o carezzarlo sul suo pelo caldo;

distinguere il dolore
da tutto ciò che dolore non è;

stare dentro gli eventi,
dileguarsi nelle vedute,
cercare il più piccolo errore.

Un’occasione eccezionale
per ricordare per un attimo
di che si è parlato
a luce spenta;

e almeno per una volta
inciampare in una pietra,
bagnarsi in qualche pioggia,
perdere le chiavi tra l’erba;
e seguire con gli occhi una scintilla
nel vento;

e persistere nel non sapere
qualcosa d’importante.


Wislawa Szymborska
La gioia di scrivere
Tutte le poesie (1945-2009)
a cura di Pietro Marchesani
Adelphi Edizioni 2009

venerdì 26 luglio 2019

Sì, ho visto le stelle

Gli incontri di una lumaca avventurosa
A Ramón P. Roda

Che dolcezza infantile nella mattina tranquilla.

Gli alberi tendono le braccia verso la terra.
Un vapore tremulo copre i seminati
e i ragni tendono le loro strade di seta
- incrinature sul cristallo pulito del vento -.


Sul viale, una fonte recita il suo canto fra l'erbe.
E la lumaca, pacifica borghese del sentiero, umile e ignorata contempla il paesaggio.
La pace divina della natura l'ha rincuorata,
e dimenticando le pene della casa, desiderò vedere la fine del sentiero.


Camminando s'internò in un bosco d'edere e d'ortiche.
In mezzo c'erano due rane vecchie a prendere il sole,
tristi e malate.
«Questi canti moderni mormorava una di loro - sono inutili».
«Tutti, cara - le risponde la compagna che era ferita e quasi cieca -.
Da giovane credevo che se un giorno Dio sentisse il nostro canto, ne avrebbe pietà.
La mia scienza - ho vissuto molto -
m'impedisce di crederlo.
E io non canto piú...»


Le due rane si lamentano chiedendo l'elemosina a una giovane ranocchia
che passa sdegnosa scartando l'erba.
Davanti al bosco cupo la lumaca si spaventa.
Vuol gridare. Non può.
Le rane le si avvicinano.
«È una farfalla?» dice la cieca.
«Ha due piccole corna - risponde l'altra rana -.

È la lumaca.
Lumaca, vieni da altri paesi?»
«Vengo da casa mia e voglio tornarci subito.»
«È un verme vile esclama la rana cieca -.


Non canti mai?». - «Non canto», dice la lumaca.
«E non preghi?» - «Neppure: non ho mai imparato.»
«Non credi alla vita eterna?» - «E che cos'è?»
«Mah, vivere sempre nell'acqua trasparente vicino a una terra fiorita di ricchi pascoli.»
«Da bambina, un giorno la mia povera nonna mi disse che dopo morta sarei andata sulle foglie più tenere degli alberi più alti.»

«Tua nonna era un'eretica.
La verità te la diciamo noi.
Dovrai crederci!» dicono le rane furiose.


«Perché ho voluto vedere il sentiero? geme la lumaca -
Sì, credo per sempre alla vita eterna che dite voi...»

Le rane pensierose si allontanano e la lumaca spaventata si perde nella foresta.
Le due rane mendicanti restano come sfingi.
Una alla fine chiede:
«Credi alla vita eterna?»
«Io no», dice tristemente quella ferita e cieca.
«Allora perché abbiamo detto di credere, alla lumaca?»

«Perché... Non lo so dice la rana cieca -.
Mi emoziono quando sento i miei figli invocare Dio con fiducia dal canale...»
La povera lumaca torna indietro.
Nel sentiero un silenzio ondulato sgorga dal viale.

S'incontra con un gruppo di formiche rosse.
Sono tutte in tumulto e trascinano a forza un'altra formica con le antenne spezzate.
La lumaca esclama:
«Pazienza, formiche. Perché maltrattate così la vostra compagna?
Ditemi quello che ha fatto.
Giudicherò io in coscienza.
Su, formica, racconta tu.»
La formica mezza morta le risponde tristemente:
«Ho visto le stelle.»
«Che cosa sono le stelle?», dicono le formiche inquiete.
E la lumaca pensierosa domanda: «Stelle?»

«Sì - ripete la formica -. ho visto le stelle,
son salita sull'albero più alto che abbia il viale e ho visto migliaia d'occhi nelle mie tenebre.»


La lumaca domanda:
«Ma che cosa sono le stelle?»
«Sono luci che portiamo sulla nostra testa.»
«Noi non le vediamo», commenta
E la lumaca: «La mia vista arriva fino all'erba.»
Le formiche esclamano, muovendo le loro antenne:
«Ti uccideremo; sei pigra e perversa.
La tua legge è il lavoro.»
«Sì, ho visto le stelle», dice la formica ferita.
La lumaca sentenzia: «Lasciatela andare, fate le vostre faccende.
Può darsi che muoia presto, arresa.»


Nell'aria dolce è passata un'ape.
La formica agonizzante sente la sera immensa e dice:
«Viene a portarmi su una stella.»
Le altre formiche fuggono vedendola morta.
La lumaca sospira e s'allontana stordita, piena di confusione per l'eternità.
«Il sentiero è finito - dice -.

Forse di qui si arriva alle stelle.
Ma la mia grande lentezza mi impedirà di arrivare.
Non pensiamoci più.»


Tutto era soffuso di sole pallido e nebbia.
Campane lontane chiamavano in chiesa e la lumaca,
pacifica borghese del sentiero,
intontita e inquieta,
contempla il paesaggio.


Federico Garcia Lorca

Granada, dicembre 1918

Hay dulzura infantil 
En la mañana quieta. 
Los árboles extienden 
Sus brazos a la tierra. 
Un vaho tembloroso 
Cubre las sementeras, 
Y las arañas tienden 
Sus caminos de seda 
?Rayas al cristal limpio 
Del aire?. 
En la alameda 
Un manantial recita 
Su canto entre las hierbas 
Y el caracol, pacífico 
Burgués de la vereda, 
Ignorado y humilde, 
El paisaje contempla. 
La divina quietud 
De la naturaleza 
Le dio valor y fe, 
Y olvidando las penas 
De su hogar, deseó 
Ver el fin de [la] senda. 

Echó andar e internóse 
En un bosque de yedras 
Y de ortigas. En medio 
Había dos ranas viejas 
Que tomaban el sol, 
Aburridas y enfermas. 

Esos cantos modernos, 
Murmuraba una de ellas, 
Son inútiles. Todos, 
Amiga, le contesta 
La otra rana, que estaba 
Herida y casi ciega: 
Cuando joven creía 
Que si al fin Dios oyera 
Nuestro canto, tendría 
Compasión. Y mi ciencia, 
Pues ya he vivido mucho, 
Hace que no la crea. 
Yo ya no canto más... 

Las dos ranas se quejan 
Pidiendo una limosna 
A una ranita nueva 
Que pasa presumida 
Apartando las hierbas. 

Ante el bosque sombrío 
El caracol, se aterra. 
Quiere gritar. No puede, 
Las ranas se le acercan. 

¿Es una mariposa?, 
Dice la casi ciega. 
Tiene dos cuernecitos, 
La otra rana contesta. 
Es el caracol. ¿Vienes, 
Caracol, de otras tierras? 

Vengo de mi casa y quiero 
Volverme muy pronto a ella. 
Es un bicho muy cobarde, 
Exclama la rana ciega. 
¿No cantas nunca? No canto, 
Dice el caracol. ¿Ni rezas? 
Tampoco: nunca aprendí. 
¿Ni crees en la vida eterna? 
¿Qué es eso? 
Pues vivir siempre 
En el agua más serena, 
Junto a una tierra florida 
Que a un rico manjar sustenta. 

Cuando niño a mí me dijo 
Un día mi pobre abuela 
Que al morirme yo me iría 
Sobre las hojas más tiernas 
De los árboles más altos. 

Una hereje era tu abuela. 
La verdad te la decimos 
Nosotras. Creerás en ella, 
Dicen las ranas furiosas. 

¿Por qué quise ver la senda? 
Gime el caracol. Sí, creo 
Por siempre en la vida eterna 
Que predicáis... 
Las ranas, 
Muy pensativas, se alejan, 
Y el caracol, asustado, 
Se va perdiendo en la selva. 

Las dos ranas mendigas 
Como esfinges se quedan. 
Una de ellas pregunta: 
¿Crees tú en la vida eterna? 
Yo no, dice muy triste 
La rana herida y ciega. 
¿Por qué hemos dicho entonces 
Al caracol que crea? 
¿Por qué?... No sé por qué, 
Dice la rana ciega. 
Me lleno de emoción 
Al sentir la firmeza 
Con que llaman mis hijos 
A Dios desde la acequia... 

El pobre caracol 
Vuelve atrás. Ya en la senda 
Un silencio ondulado 
Mana de la alameda. 
Con un grupo de hormigas 
Encarnadas se encuentra. 
Van muy alborotadas, 
Arrastrando tras ellas 
A otra hormiga que tiene 
Tronchadas las antenas. 
El caracol exclama: 
Hormiguitas, paciencia. 
¿Por qué así maltratáis 
A vuestra compañera? 
Contadme lo que ha hecho. 
Yo juzgaré en conciencia. 
Cuéntalo tú, hormiguita. 

La hormiga medio muerta 
Dice muy tristemente: 
Yo he visto las estrellas. 
¿Qué son estrellas? ?dicen 
Las hormigas inquietas. 
Y el caracol pregunta 
Pensativo: ¿estrellas? 
Sí, repite la hormiga, 
He visto las estrellas. 
Subí al árbol más alto 
Que tiene la alameda 
Y vi miles de ojos 
Dentro de mis tinieblas. 
El caracol pregunta: 
¿Pero qué son estrellas? 
Son luces que llevamos 
Sobre nuestra cabeza. 
Nosotras no las vemos, 
Las hormigas comentan. 
Y el caracol, mi vista 
Sólo alcanza a las hierbas. 
Las hormigas exclaman 
Moviendo sus antenas: 
Te mataremos, eres 
Perezosa y perversa, 
El trabajo es tu ley. 

Yo he visto a las estrellas, 
Dice la hormiga herida. 
Y el caracol sentencia: 
Dejadla que se vaya, 
Seguid vuestras faenas. 
Es fácil que muy pronto 
Ya rendida se muera. 

Por el aire dulzón 
Ha cruzado una abeja. 
La hormiga agonizando 
Huele la tarde inmensa 
Y dice, es la que viene 
A llevarme a una estrella. 

Las demás hormiguitas 
Huyen al verla muerta. 

El caracol suspira 
Y aturdido se aleja 
Lleno de confusión 
Por lo eterno. La senda 
No tiene fin, exclama. 
Acaso a las estrellas 
Se llegue por aquí. 
Pero mi gran torpeza 
Me impedirá llegar. 
No hay que pensar en ellas. 

Todo estaba brumoso 
De sol débil y niebla. 
Campanarios lejanos 

Llaman gente a la iglesia. 
Y el caracol, pacífico 
Burgués de la vereda, 
Aturdido e inquieto 
El paisaje contempla.

giovedì 25 luglio 2019

le nuvole ciecamente corrono cancellando dai cieli ogni genealogia


Limba

Non tenes baùle ?e istrisinare in supr'e nie Ma unu cane a trémula in s'iscuriù Limba-matre ses triste
S'azu s'inniéddigat in sa sartàine
Sa mùghit'anziat
Sos ventos si coffundent.
Eolo survat et Babele s'isparghet. Fiza-limba tràchitas a ghineperu
Una tremita tua naschinde
Est ch'astula de livrina in mes'a isteddos et sas nues, sas nues a sa thurpas fughint iscanzellande dae chelu onzi zenìas

Antonella Anedda

*
Lingua

Non hai bara da trascinare sulla neve
ma un cane che trema nel buio. Madre-lingua sei triste
l'aglio si fa nero nel rame
il rombo dal camino sale.
I venti si confondono
Eolo soffia e Babele vive.
Figlia-lingua: scricchioli a ginepro.
il tuo brivido alla nascita
è un frammento di tempesta tra i pianeti e le nuvole, le nuvole ciecamente corrono cancellando dai cieli ogni genealogia

mercoledì 24 luglio 2019

Chiarezza, sottigliezza, agilità, impassibilità. Siedi contro il muro, leggi Giobbe e Geremia


(…)
Si vede talvolta in un treno, in una sala d’aspetto, un volto umano. Che ha di diverso? Di nuovo potremmo dire ciò che quel volto non ha, ciò che i suoi tratti non tradiscono.
Gli occhi non diffidano né sollecitano, non divagano e non indagano. Occhi in nessun attimo assenti, mai interamente presenti. Ai giorni nostri tali volti, comuni nei quadri antichi, sembrano sigillati da una indicibile malinconia. Pure, nel treno, nella sala d’aspetto, essi gonfiano l’animo di gioia, di un accresciuto, appunto, sentimento di vita. Non correrà parola, ma il puro, subitaneo sorriso è fuga in un tranquillo luogo, vulnerabile al punto da essere inattingibile. Si dice, rapidamente “occhi consapevoli”: Sono in realtà, occhi eroici. Hanno guardato la bellezza e non ne sono fuggiti. Hanno riconosciuto la sua perdita sulla terra, e in grazia di ciò l’hanno guadagnata alla mente. Neppure la fotografia può interamente distruggere tali volti, di più in più rari, è vero. Muta la razza, muta ormai la specie, tra poco tali volti saranno appena percepiti e, percepiti, anch'essi imperdonabili, tanto estranei al contesto, al sistema che li racchiude. Già cominciano a farsi invisibili, come il Graal e la lancia di Longino che una mano riportò al cielo, si dice, quando gli uomini non furono più degni di custodirli; come il cinese che leggeva un libro e su cui la folla subito si richiuse. Per essi, tuttavia, la bellezza cacciata non cessa il suo inavvertito circuito, fiore, stella, morte, danza continuano a somigliarsi, la somiglianza a sgominare il terrore. Chiarezza, sottigliezza, agilità, impassibilità. Siedi contro il muro, leggi Giobbe e Geremia.
Attendi il tuo turno, ogni rigo è profitto. Ogni rigo del libro imperdonabile.

Cristina Campo
Gli imperdonabili
Adelphi 1987

lunedì 8 luglio 2019

Il rumore del mare, le ore che passano

Non mi interessano i dati
i dettagli delle cose
non mi interessano gli orologi
che non siano solari
né la lista
degli amori che finiscono.
Mi interessano piuttosto la verità
il rumore del mare
le ore che passano
la luce sul letto a mezzogiorno
e tutto quello che viene
e che va
senza nome e senza preavviso
accadendo
come le cose semplici
accadono.
Nancy Bacelo 
da La nuova poesia
1965

No me interesan los datos
los precisos datos de las cosas
no me interesan los relojes
que no son de sol
ni la lista
de los amores que se acaban.
Me interesa eso sí la verdad
el ruido del mar
las horas que se pasan
la luz sobre la cama al mediodía
y todo lo que viene
y se va
sin nombre y sin aviso
sucediéndos
e
como las cosas simples
se suceden.