lunedì 31 dicembre 2018

Come ringraziano i poeti


In quest’ora della sera, da questo punto del mondo,
io ringraziare desidero il divino labirinto delle cause e degli effetti,
per la diversità delle creature che popolano questo universo singolare
ringraziare desidero per l’amore che ci fa vedere gli altri come li vede la divinità,
per il pane e il sale, per il mistero della rosa che prodiga colore e non lo vede,
per l’arte dell’amicizia, per l’ultima giornata di Socrate.

Ringraziare desidero per il linguaggio, che può simulare la sapienza,
per le parole che in un crepuscolo furono dette da una croce all’altra,
per i fiumi segreti e immemorabili che convergono in noi,
per il mare, che è un deserto risplendente e una cifra di cose che non sappiamo
per il prisma di cristallo e il peso di ottone, per le strisce della tigre,
per l’odore medicinale degli eucaliptus, e la speranza, la fiducia, la lavanda.

Io ringraziare desidero per il coraggio e la felicità degli altri
per la patria sentita nei gelsomini, per lo splendore del fuoco
che nessun umano può guardare senza uno stupore antico,
e per il mare, il più vicino e il più dolce fra tutti gli dei.
Io ringraziare desidero perché sono tornate le lucciole
e per noi, per quando siamo ardenti e leggeri
per quando siamo allegri e grati,
per la bellezza delle parole, natura astratta di dio
per la lettura e la scrittura, che ci fanno esplorare noi stessi e il mondo
per la quiete della casa, per i bambini che sono nostre divinità domestiche,
per l’anima, perché se scende dal suo gradino la terra muore
per il fatto di avere una sorella
perché consola il mio girovagare errante,
per il respiro che è un bene immenso
.

Io ringraziare desidero per tutti quelli che sono piccoli, limpidi, liberi
per l’antica arte del teatro, quando ancora raduna i vivi e li nutre
per l’intelligenza d’amore, per il vino, il suo colore
per l’ozio, con la sua attesa di niente,
per la bellezza tanto antica e tanto nuova.

Io ringraziare desidero per le facce degli altri, le facce del mondo
che sono varie e alcune sono adorabili
per quando la notte si dorme abbracciati
per quando siamo attenti, innamorati,
per l’attenzione che è la preghiera spontanea dell’anima,
per i nostri maestri immensi
per chi nei secoli ha ragionato in noi
per tutte le biblioteche del mondo, per quello stare bene fra altri che leggono
e ancora per il bene dell’amicizia, quando si dicono cose stupide e care
per tutti i baci d’amore,
per l’amore che ci rende impavidi,
per la contentezza, l’entusiasmo, l’ebrezza
Per i nostri morti
che fanno della morte un luogo abitato.

Io ringraziare desidero perché su questa terra esiste la musica,
per la mano destra e la mano sinistra, e il loro intimo accordo
per chi è indifferente alla notorietà,
per i gatti, per i cani esseri fraterni carichi di mistero,
per i fiori e la segreta vittoria che celebrano
per il silenzio, i suoi molti doni,
per il silenzio e per il suo oro
per il sole, nostro antenato.

Ringraziare desidero
per Borges, per Whitman, per Hopkins, per Herbert, per Francesco d’Assisi,
perché scrissero già questa poesia,
per il fatto che questa poesia è inesauribile
e cambia secondo gli uomini
e non arriverà mai all’ultimo verso.

Ringraziare desidero
per i minuti che precedono il sonno, per gli intimi doni che non enumero,
per il sonno e la morte,
questi due tesori occulti.
E infine ringraziare desidero
per l’antica potenza d’antico amor
per amor che muove il sole e l’altre stelle
e muove tutto, in noi….

Mariangela Gualtieri

(mettendo insieme sue varie versioni)


domenica 23 dicembre 2018

quel suono di foglie che ci manca tutto l'inverno

Il peso delle arance


Abito orti importanti.
(...) dagli altri dormo male
e la mia stessa vita non mi è vicina.

Osip Mandel'štam





La mia tazza ha lo stesso colore sabbioso del pane.
La pioggia ha il colore dell'edificio attraverso la strada,
ha strappato dalie rosse
e rovinato un libro appoggiato al davanzale.

La pioggia articolo la pelle di tutte le cose,
rosa di mattoni dal fuoco che li ha cotti,
foglie verde lucertola,
le lingue arricciate delle pigne.
È accurato il modo in cui non siamo mai,
tirando fuori il meglio
senza cambiare una sola cosa.
La pioggia che rende umidi i letti,
la nostra stanza una caverna la mattina,
una tenda nel tardo pomeriggio,
infiamma quel suono di foglie che ci manca tutto l'inverno.

Anne Michaels
Quello che la luce insegna
traduzione e cura di Francesca Romana Paci
Giunti 2000


The Weight of Oranges

My cup’s the same sand colour as bread.
Rain’s the same colour of a building across the street,
its torn red dahlias
and ruined a book propped on the sill.

Rain articulates the skins of everything,
pink of bricks from the fire they baked in,
lizard green leaves,
the wrinkled tongues of pine cones.
It’s accurate the way we never are,
bringing out what’s best
without changing a thing.
Rain that makes beds damp,
our room a cave in the morning,
a tent in late afternoon,
ignites the sound of leaves we miss all winter.

venerdì 21 dicembre 2018

La gioia è vicina


LE PRIME ORE

Le prime ore del mattino. Ancora non scrivi
(anzi, non provi nemmeno a scrivere) leggi solo pigramente

Tutto è fermo, tranquillo, pieno, ma
come per un regalo della musa della lentezza,

come tempo fa, nell'infanzia, in vacanza, quando a lungo
si studiava una mappa colorata prima della gita, una mappa
che prometteva così tanto, stagni profondi nel bosco
come occhi luminosi di farfalla, prati di montagna
coperti di erba pungente;

oppure un momento prima di addormentarsi, quando
ancora non ci sono sogni,
ma già si sente il loro arrivo da ogni parte del mondo,
la loro marcia, il pellegrinaggio, la loro veglia al letto del malato
(malato per davvero) e il vigore tra sculture medievali

rannicchiate in sé nell'eterna immobilità sopra la cattedrale;
le prime ore del mattino, silenzio
-ancora non scrivi,
ancora non capisci così tanto.
La gioia è vicina.


Adam Zagajewski


lunedì 1 ottobre 2018

Accetta questo silenzio

Ottobre, notte

Accetta questo silenzio: la parola stretta nel buio della gola come una bestia irrigidita, come il cinghiale imbalsamato che nei temporali di ottobre scintillava in cantina. Livido e intrecciato di paglia, il cuore secco, senza fumo, eppure contro il fulmine che inchiodava la porta, ogni volta nel punto esatto in cui era iniziata la morte: l'inutile indietreggiare, il corpo ardente, il calcio del cacciatore sul suo fianco.

Chiudi gli occhi. Pensa: lepre, e volpe e lupo, chiama le bestie che cacciate corrono sulla terra rasa e sono nella fionda del morire o dell'addormentarsi sfinite nella tana dove solo chi è inseguito conosce davvero la notte, davvero il respiro.

Antonella Anedda
Notti di pace occidentale

Donzelli editore 1999

sabato 29 settembre 2018

l'unica orma dell'amore

Settembre, notte

Ora solo il linguaggio può ridire quei gesti 
scriverne piano ripetendo l’ardore con cautela 
fissando perché restino ancora in questa stanza 
le grandi ombre di allora.

Schianta ancora il tuo petto contro il mio 
perché questa è l’unica orma dell’amore 
l’autunno che replicava 
stelle quasi da un mondo uguale
la finestra, la cornice di abete
l’addolorato trattenersi delle schiene.

Antonella Anedda
Notti di pace occidentale
Donzelli 1999

venerdì 31 agosto 2018

Vedere le nuvole, amare le parole

Oliver Sacks, amato neurologo e scrittore, si è entusiasmato tutta la vita per tante cose: – le felci, i cefalopodi, le motociclette, i minerali, il nuoto, il salmone affumicato e Bach, tanto per citarne alcune – ma più di ogni altra cosa sono state le parole a riempirlo di entusiasmo. Quando dico che amava le parole, non mi riferisco al semplice fatto che scriveva e che ha pubblicato tanti libri diventati classici – Risvegli, L’uomo che scambiò sua moglie per un cappello, Musicofilia. Se non ne avesse scritto nessuno, sono sicuro che Oliver sarebbe stato in ogni caso lo stesso tipo un po’ stravagante che si portava a letto dizionari giganteschi da leggere, aiutandosi con una lente di ingrandimento. Lo appassionavano etimologie, sinonimie e antonimie, slang, turpiloquio, palindromi, termini anatomici, neologismi (ma, in linea di principio, era restio alle abbreviazioni). A tavola, conversava allegramente di analisi e differenze tra omonimie e omofonie, per non parlare di omografie. E, per inciso, adorava pronunciare quelle tre parole – quell'allitterazione di “H” aspirate (rispettivamente homonyms, homophones, homographs) – con il suo caratteristico accento britannico. «Ogni giorno sono sorpreso da una nuova parola», commentò un giorno, raggiante, a proposito di un vocabolo che, all'improvviso, gli era balenato in mente. Spesso questo fenomeno gli capitava mentre nuotava – «quando nuotava a dorso idee e interi paragrafi» si affacciavano distintamente, dopo di che lui si precipitava a riva o a bordo piscina per annotarle su carta – come ha colto Dempsey Rice in un affascinante film di prossima uscita intitolato The Animated Mind of Oliver Sacks. A casa, invece, di frequente – come ha fatto per anni – scriveva parole e idee direttamente sulle pagine dei libri che stava leggendo. Per buona parte della nostra relazione, durata sei anni, mi sono riferito spesso a Oliver chiamandolo “dizionario ambulante” (anzi, un OED ambulante da “Oxford English Dictionary”) perché ricordava l’ortografia e le definizioni delle parole con grande precisione. Malgrado ciò, Oliver rimase sempre umile, non si vantava mai del suo lessico straordinario e, in caso di dubbio, andava a controllare l’Oed (possedeva tutti i venti volumi che lo compongono), oppure il più compatto e sintetico Chamber’s Dictionary, una copia del quale gli era stata regalata dalla zia preferita in occasione del suo nono compleanno. Oliver adorava così tanto le parole che spesso le sognava e, in qualche caso, le inventava addirittura. Una mattina di sei anni fa trovai scritto sulla lavagnetta in cucina “ore 5. Nepholopsia.” «E che diamine vuol dire?» chiesi mentre preparavo il caffè. Oliver ridacchiò, poi si lanciò nella descrizione di un sogno molto complicato che aveva fatto quella notte nel quale, bloccato su un pianeta alieno, aveva visto alcune nuvole antropomorfe trasformarsi in modo minaccioso e riversarsi dall'alto “con intenzioni omicide” sulla Land Rover che stava guidando. Un “incubo nebuloso”, aggiunse, quasi si trattasse del primo che aveva. Per non dimenticarsene, lo aveva annotato alle cinque del mattino. (Parlò poi di questo suo sogno allo psicanalista freudiano da cui si recava due volte a settimana). «Nepholopsia – mi disse – significa “vedere le nuvole” oppure “essere avvolti dalle nuvole”». Poi aggrottò le sopracciglia. No, non ne era molto sicuro. «Controlliamo su un buon testo» disse, e insieme andammo a consultare l’Oed (la “mia Bibbia” lo chiamava spesso Oliver, ateo convinto). Nell'Oed trovammo “nefologia”, che significa studio delle nuvole (dalla radice greca nephos), ma non “nepholopsia”. Saltò fuori che per puro caso aveva coniato una parola nuova. 

(...)

«Il massimo che possiamo fare è scrivere – in modo intelligente, creativo, critico, evocativo – di quello che vuol dire vivere in questo mondo in questa epoca». (Oliver Sacks al suo compagno Bill Hayes)

Bill Hayes
Repubblica 31 agosto 2018

sabato 11 agosto 2018

Tutto scriveva nella casa quando scrivevo. La scrittura era ovunque.

La solitudine della scrittura è una solitudine senza la quale lo scritto non si realizza o si sbriciola esangue nel cercare cosa scrivere ancora.
Ci vuole sempre una separazione dagli altri intorno a chi scrive libri. È una solitudine, la solitudine dell’autore, quella dello scritto. Tanto per cominciare, ti chiedi che cos’era quel silenzio intorno a te e praticamente a ogni passo che fai in una casa, a ogni ora del giorno, sotto tutte le luci, quella di fuori o quella delle lampade accese anche durante il giorno. La solitudine reale del corpo diventa quella, inviolabile, dello scritto.
Trovarsi in un buco, in fondo al buco, in una solitudine quasi totale e scoprire che soltanto la scrittura ci salverà. Essere senza alcun argomento di libro, senza alcuna idea di libro significa trovarsi, ritrovarsi, davanti a un libro. Un’immensità vuota, un libro eventuale. Davanti a niente. Davanti a una scrittura viva e spoglia, in un certo senso terribile, terribile da sormontare. Credo che la persona che scrive non abbia nessuna idea di libro, ha le mani vuote, la testa vuota e conosce dell’avventura del libro soltanto la scrittura asciutta e nuda, senza futuro, senza eco, remota, con le sue regole auree elementari: ortografia, senso.
Nella vita viene un momento, credo sia fatale, cui non si può sfuggire, in cui si mette tutto in dubbio: il matrimonio, gli amici, soprattutto gli amici della coppia. Non il figlio. Il figlio non è mai messo in dubbio. E il dubbio ci cresce intorno. Questo dubbio è solo, è il dubbio della solitudine, nato dalla solitudine. Si può già dire la parola. Credo che molti non potrebbero sopportare quello che dico, scapperebbero. Forse per questo ogni uomo non è uno scrittore. Ecco la differenza, ecco la verità, nient’altro. Il dubbio, è scrivere. Dunque è anche lo scrittore. E con lo scrittore tutti scrivono, lo si è sempre saputo.
Finché c’è il libro che esige di essere terminato, si scrive. Si è costretti a mettersi dalla sua parte. È impossibile buttare un libro per sempre prima che sia completamente scritto, vale a dire: solo e libero da te, che lo hai scritto. È intollerabile quanto un delitto. Non credo a quelli che dicono: “Ho strappato il manoscritto, l’ho gettato”. Non ci credo. O per gli altri non esisteva, ciò che era scritto, o non era un libro. Quando non è un libro, si sa, sempre. Quando non sarà mai un libro, no, non si sa. Mai.
Tutto scriveva nella casa quando scrivevo. La scrittura era ovunque.
Scrivere comunque, nonostante la disperazione. No: con la disperazione. Quale disperazione, non so darle un nome. Scrivere senza imboccare subito la via che porta allo scritto è pur sempre lavorarlo. E tuttavia si deve accettare questo: lavorare lo “scarto” significa tornare indietro verso un altro libro, verso un altro possibile di quello stesso libro.
«Quando un libro è terminato, un libro che hai scritto, intendo, non puoi più dire, leggendolo, che è un libro che hai scritto, né quali cose vi siano state scritte, né con quale disperazione o quale felicità, quella di una trovata oppure di un fallimento di tutta te stessa. Perché, alla fine, nel libro non si può vedere niente di simile. La scrittura è in certo qual modo uniforme, placata. Non succede più niente in un libro terminato e distribuito. Esso raggiunge l’innocenza indecifrabile della sua venuta al mondo».
Esser soli con il libro non ancora scritto, significa trovarsi ancora nel primo sonno dell’umanità. Significa anche esser soli con la scrittura ancora incolta. Significa tentare di non morirne.
Non so che cos'è un libro. Nessuno lo sa, ma si sa quando ce n’è uno. E quando non c’è, si sa, come si sa che si è, non ancora morti.
Marguerite Duras
Scrivere  
traduzione di Leonella Prato Caruso
Feltrinelli 1994


(grazie al blog Il mestiere di scrivere)

venerdì 10 agosto 2018

La poesia non è parole, né un’azione che culmini in fatti

Forme di pensieri

7

La poesia non è parole, né un’azione
che culmini in fatti. Ed è una difficile cosa
e tu non puoi misurarla se non con la tua propria
misura
ed è la tua patria, promessa oppure no.
E lei ti misurerà sul palmo della mano,
ti sedurrà col bene e anche col male, in essa
costruirai la tua casa, altra casa non avrai
anche se il fuoco la divorerà o se d’un tratto sarà
distrutta
Tu senti ancora ciò che dicono nella stanza accanto
e di là dalla finestra
e ascolti o tiri su una tenda
e non c’è nulla là tranne l’eco
e questa è la via del mondo
e questo è il chiuso
oltre cui non passerai.



Nathan Zach
Sento cadere qualcosa
poesie scelte 1960 - 2008
a cura di Ariel Rathaus
Einaudi 2009

giovedì 9 agosto 2018

Un po' del tuo sale azzurro

Arrivederci fratello mare

Ed ecco ce ne andiamo come siamo venuti
arrivederci fratello mare
mi porto un po' della tua ghiaia
un po' del tuo sale azzurro
un po' della tua infinità
e un pochino della tua luce
e della tua infelicità.
Ci hai saputo dir molte cose
sul tuo destino di mare
eccoci con un po' più di speranza
eccoci con un po' più di saggezza
e ce ne andiamo come siamo venuti
arrivederci fratello mare.

Nazim Hikmet

mercoledì 8 agosto 2018

Un sapore proustiano, un profumo, la musica di una frase

Quota 84

Nel giorno del mio compleanno

Dalla torre degli anni che chiamo vita
Guardo nel pozzo: non tempo ma spazio, non qui ma laggiù,
Non senso ma memoria, ovunque in nessun luogo –
La storia incerta, il nodo al fazzoletto,
Il dove-siete-morti-onnipresenti, i vostri nomi
In un istante mi riportano all'infanzia, a ritroso percorro
La lunga strada fino al Natale e i suoi doni.
Così il DNA modella la sostanza dei sogni,
E la vecchiaia non ha motivo d’essere.
Un sapore proustiano, un profumo, la musica di una frase
Sfidano la legge naturale cui si sottraggono.
La vita sarà mia fintantoché io sarò la mia mente
E la gioventù? Sofferenze, ansie e ferite
Meglio ricordate che rivissute.


At 84

On my birthday

I look from the tower of years I call my life
Into the pit: no time but space, no here but there,
No sense but memory, everywhere nowhere –
The doubtful story, the knotted handkerchief,
The where-are-you ever-present dead, whose names
Transport me instantly to childhood, tracking
The long way back to Christmas in a stocking.
So DNA designs the stuff of dreams,
And old is age that doesn’t need to be.
Some Proustian taste or scent or singing phrase
Defies the natural law it disobeys.
Life will be mine as long as my mind is me.
While youth? Its wounds, anxieties and pain
Are best remembered, not endured again.



Anne Stevenson
Le vie delle parole
traduzione di Carla Buranello
Interno Poesia 2018

martedì 7 agosto 2018

Devi abitare la poesia se vuoi fare poesia

Fare poesia

‘Devi abitare la poesia
se vuoi fare poesia’.


E cosa significa ‘abitare’?

Significa portarla come un abito, indossare
le parole, sedendo nella luce più netta,
nella seta del mattino, nel fodero della notte;
un sentire spoglio e frondoso in un’aria che sorprende;
familiare…insolita.


E cosa significa ‘fare’?

Essere e diventare il clima mutevole
delle parole, il servo della musa a condizioni
atroci, intraprendere viaggi sopra voci,
evitare la collina dell’ego, il pozzo dell’afflizione,
la sirena che sussurra stampare, successo, stampare,
successo, successo, successo
.


E perché abitare, fare, ereditare poesia?

Oh, è la commedia condivisa della peggiore
benedizione; il suono che guida la mano;
la parola vitale che scorre da una mente all'altra
attraverso le stanze lavate dei sensi;
una di quelle stregate, indifendibili, impoetiche
croci che pur dobbiamo portare.



Making Poetry

‘You have to inhabit poetry
if you want to make it.’


And what’s ‘to inhabit’?

To be in the habit of, to wear
words, sitting in the plainest light,
in the silk of morning, in the shoe of night;
a feeling bare and frondish in surprising air;
familiar…rare.


And what’s ‘to make’?

To be and to become words’ passing
weather; to serve a girl on terrible
terms, embark on voyages over voices,
evade the ego-hill, the misery-well,
the siren hiss of publish, success, publish,
success, success, success
.


And why inhabit, make, inherit poetry?

Oh, it’s the shared comedy of the worst
blessed; the sound leading the hand;
a wordlife running from mind to mind
through the washed rooms of the simple senses;
one of those haunted, undefendable, unpoetic
crosses we have to find.



Anne Stevenson
Le vie delle parole
traduzione di Carla Buranello
Interno Poesia 2018

lunedì 6 agosto 2018

Le vie delle parole


Come arrivano le poesie

Rigirale in bocca sottovoce
Poi lasciale vagare nella mente
Finché un significato prende forma.


Come l’amore, sono più forti se accolte alla cieca,
Giudicate all'istante, percepite con sensi acutizzati
Mentre ancora non è chiaro se siano necessarie.


L’emozione imprecisa – intensa
Quanto un’azione adrenalinica –
Si nutre di sé stessa, e a sua difesa


Si immagina un ruolo umanitario,
Ma le poesie, siano maschi o femmine, sono vanesie
E traggono le proprie soddisfazioni dall'interno,


Sfoggiano vocali, o esibiscono catene
Di elle ed emme d’argento per fare mostra
Di intimità o di biasimo, di gioia o di dolore.


Le vie delle parole sono strette ed egoiste,
Esige ognuna uno spazio adeguato al proprio peso.
Non serve scandire i versi ad ogni frase,


Ma una sorta di battito deve integrare
Il suono che la poesia fa quando è inventata.
Sennò, scrivi prosa. Oppure aspetta


Che arrivi e sia lei il proprio intento a dichiarare.

How Poems Arrive

You say them as your undertongue declares
Then let them knock about your upper mind
Until the shape of what they mean appears.


Like love, they’re strongest when admitted blind,
Judging by feel, feeling with sharpened sense
While yet their need to be is undefined.


Inaccurate emotion – as intense
As action sponsored by adrenaline –
Feeds on itself, and in its own defence


Fancies its role humanitarian,
But poems, butch or feminine, are vain
And draw their satisfactions from within,


Sporting with vowels, or showing off a chain
Of silver els and ms to host displays
Of intimacy or blame or joy or pain.


The ways of words are tight and selfish ways,
And each one wants a slot to suit its weight.
Lines needn’t scan like this with every phrase,


But something like a pulse must integrate
The noise a poem makes with its invention.
Otherwise, write prose. Or simply wait


Till it arrives and tells you its intention.

Anne Stevenson
Le vie delle parole
traduzione di Carla Buranello
Interno Poesia 2018

domenica 5 agosto 2018

Guardare un albero, scrivere un film: un periodo di astrazione e acutezza, di umidità

Una domanda antica e persistente.
     Come nasce un'idea? E in particolare l'idea di un film?
     Chi risponderà che l'idea gli è venuta mentre guardava un albero dirà una verità e una menzogna.
     Verità, nella misura in cui durante una passeggiata si è fermato a guardare un albero, senza una ragione precisa, mentre nulla sembrava costringerlo a farlo. Né la forma dell'albero, né il colore, né la vecchia ferita sul suo tronco conducevano a un'idea.
     Menzogna, nella misura in cui quando si è fermato a guardare l'albero, qualcosa - una frase ascoltata per caso in strada, tempo addietro, oppure letta in un libro, una notizia irrilevante comparsa sui giornali, un'immagine, intorpidita o dormiente in fondo al magazzino delle immagini che ognuno possiede - dopo un lavorio sotterraneo, di giorni, di mesi o di anni che si compiva segretamente dentro di lui - in quel preciso momento gli si è ripresentato, trasformato. Quel momento è diventato così, in modo inatteso, un incontro privilegiato con l'indicibile.
     L'albero non c'entrava proprio niente. Era innocente. In questo senso, tra verità e menzogna, potrei dire che l'idea delle nozze sul fiume nel Passo sospeso della cicogna è nata sull'autobus che mi portava da Broadway al Bronx, mentre attraversavo Harlem in una strana primavera del 1987.
     Ma cos'è che si è risvegliato in quel momento, trasformato e reso quasi irriconoscibile dall'oblio?
     E perché?
     Una lettura, probabilmente su un giornale del 1958.
     La lettura potrebbe essere la storia della sepoltura di un pastore, in un'isoletta a qualche decina di metri da Creta ma ancora nella sua ombra, dalla parte meridionale, verso il mar Libico. Inverno, mare in tempesta: impossibile fare la traversata in barca e un pastore morto aspetta di essere seppellito.
     Il papàs del paese più vicino a Creta era stato avvertito con delle segnalazioni. Venne, salì su una roccia, con l'abito che garriva al vento e si mise a dir messa al mare, mentre i pastori, dall'altra parte, sull'isoletta, seppellivano il morto. 
     Ma era proprio questo? O c'era qualcos'altro? In quel momento quale associazione di idee si completava nel silenzio, eppure in modo tanto decisivo, da sovrapporsi a quel che vedevo dal finestrino dell'autobus? (Harlem, nel sole del pomeriggio, magica e terribile al tempo stesso.) Come ha interferito (proprio come un altro canale interferisce improvvisamente con quello che stavamo guardando in televisione) l'immagine fantastica di un fiume, che fa da confine tra due Stati, con la bianca figura della sposa da una parte e dello sposo dall'altra?
     Il periodo che precede la realizzazione di una sceneggiatura è un periodo di umidità, con strane variabili, strane percezioni apparentemente irragionevoli. Un'alternanza di astrazione e acutezza. È un periodo di doppia vita. La parte rumorosa di te vive la quotidianità come sempre, mentre quella silenziosa tesse in segreto, con materiali invisibili, ciò che, a un certo punto, maturerà e uscirà in superficie, quando meno te lo aspetti, attraversando con stupefacente facilità tutti i filtri della quotidianità.
     Chi dirà che l'idea di un film è nata guardando un albero dirà la verità.

Theo Anghelopoulos
In luogo del prologo
in
Petros Markaris
Diario di un'eternita
Io e Theo Anghelopoulos
traduzione di Andrea Di Gregorio
La nave di Teseo editore 2018



martedì 31 luglio 2018

Meglio sole che nuvole


A che età si è pronte per smettere di amare? J vive a Miami in un condominio con piscina e trascorre buona parte del suo tempo cercando di rispondere a questa domanda. Un matrimonio d’amore e di passione finito da non molto, la ricerca di un equilibrio difficile perché alla fine dell’amore non riesce ad arrendersi, J sta trasponendo in inglese moderno le Metamorfosi di Ovidio. Il contrasto tra le fanciulle in fuga per sfuggire alla brutalità del desiderio maschile non potrebbe essere più lontano dal desiderio di amare e di essere amata. Gli ex-fidanzati recuperati al presente, una madre ottantenne che non si arrende “non fidarti di quello che vedi – le dice a un certo punto – io sono sempre quella ragazza di diciannove anni”, un’anatra con l’ala spezzata, un gatto cieco e moribondo, alcuni bizzarri vicini di casa, tra cui N che impiega molto del suo tempo a gettare oggetti dal suo balcone al ventiduesimo piano, rappresentano l’universo chiuso e bizzarro della protagonista che alterna le ore di traduzione alle lunghissime passeggiate sui moli, o alla contemplazione delle vite degli altri che spia con un binocolo. Miami è il paesaggio di queste creature che appaiono possedute dalla natura come accade ai protagonisti di Ovidio. Il mare, il sole, il tramonto, la pioggia e il vento sono i veri padroni delle creature che abitano questa strana città edonista e anziana allo stesso tempo. Da Ovidio J sembra comprendere che è solo grazie a una metamorfosi radicale che si può sopravvivere, o meglio, continuare a vivere in un’altra forma. Le ragazze di Ovidio rinunciano all'amore ma J non è pronta. Lei vuole toccare ed essere toccata, sprofondare nel piacere e nel desiderio. Ma tutto ciò sembra essere riservato solo ai corpi giovani e belli delle ragazze.
Il romanzo di Jane Alison ha un andamento diaristico e forse è davvero il diario del periodo in cui l’autrice ha tradotto Ovidio. È uno dei libri più intensi e veri che io abbia letto in questi ultimi mesi e ho copiato sul mio quaderno diversi passaggi che ricopierò anche qui. Nonostante decenni di femminismo, il ’68 e la liberazione sessuale, è ancora raro leggere le parole di una donna che scrive di amore e di sesso a partire proprio dal corpo, dalle sensazioni, dalla paura di non essere amate. È un libro che ci dice la solitudine, molto, e le stagioni della vita, moltissimo, quando la giovinezza è un ricordo, che il corpo non conserva, e la vecchiaia è la prossima svolta della strada. Un libro che rileggerò e regalerò e consiglierò alle mie amiche. E anche ai miei amici perché possano entrare nella mente e nel corpo di una donna e sentire con la stessa intensità cosa significa essere una donna. E adesso qualche brano tra quelli che più mi hanno colpito. Ma non tutti. Li centellinerò nel tempo seguendo le mie Metamorfosi.

A un tratto nell'aria opaca vedo un dipinto antico: una donna perduta che siede riflettendo sul proprio futuro, sul proprio passato. Ha una mano posata sulla calda calotta ossea di un cranio che è in bella mostra sul tavolo, la fiamma della candela si piega al respiro della donna, percepiamo l’intensità del suo pensiero. Quel cerchio di luce, di coscienza, brilla nell’oscurità. (p. 92)

Gli occhi galleggianti, gli occhi galleggianti, sono stata trasformata in un paio di occhi galleggianti. Ho abbassato il binocolo, ho appoggiato le mani sul tavolo. Ho sentito che erano là calde, e che occupavano spazio vitale. Ho sentito il mio sé inferiore, anche lui, seduto sulla sedia, occupava spazio vitale. Il mio povero vecchio sé inferiore. Lontano, in mare, oltre il Costa brava, oltre la baia, oltre gli edifici illuminati di Miami Beach, sulla scura liquida distesa oceanica: una tempesta muta. Un fulmine silenzioso, una delicata saetta tutta sporgenze e rientranze. Il cielo scuro e fermo per un istante, poi un altro fulmine silenzioso. Belli tutti quei lampi sul mare, e il bagliore che si dissolve come una nuvola. (p. 114)

“Ovidio, sei ancora qui? Mi piace pensare di vedere i tuoi occhi. Mi piace pensare di udire la tua voce. Sento le tue frasi che nuotano dentro di me, i tuoi personaggi che percorrono le lande selvagge dei boschi, e l’aria, e le lettere, e il tempo. L’idea che le tue parole possano essere morte, che il passato non sia sempre il presente. Ma prova a dire questo alla sabbia, al mare” (p. 264)

Jane Alison
Meglio sole che nuvole
Leggere Ovidio a Miami

traduzione di Laura Noulian
NNEDITORE 2018



venerdì 29 giugno 2018

per il giorno del mio compleanno

Le cicale e le rondini, il cielo azzurro,
la menta selvatica e l’oleandro
per il giorno del mio compleanno
il mare sale sullo sfondo e cerca
di afferrare le nuvole, il vento
di maestrale si insinua nel
ricordo, tutti gli istanti cadono
nell’unico momento dove
il tempo è solo un luogo
dove siamo già stati e
le onde ripetono ancora
il nostro nome.
E.P.

martedì 8 maggio 2018

Maggio poetico

Un mese di maggio ricco di incontri!
Fatevi vedere!

  • mercoledì 9/5 alle 18.30 sarò ospite alla Libreria delle Donne di Milano - via Pietro Calvi 29 - per il secondo incontro del Festival Donne in Poesia organizzato da Maria Pia Quintavalla e Luciana Tavernini
  • venerdì 11/5 alle 18 sarò ospite dell'Associazione Apriti cielo - Via Spallanzani 16 Milano - per parlare del mio quarto libro di poesie "Scrivere il vento" - Atì editore 2016
  • sabato 12/5 dalle 10 alle 16 sarò ospite della Libreria Il Trittico di Milano - Via San Vittore 3 - per chiacchierare con i clienti e presentare il mio nuovo romanzo "In giornate identiche a nuvole" Atì editore 2017
  • domenica 13/5 dalle 11 “Donne di Fiori” a Villa dei Tasso – La Celadina in piazza Alpi Orobiche 4, Bergamo “Intrecci tra Creatività Femminile e Universo floreale”
  • giovedì 24/5 alle 19.30 sarò alla Casa della Poesia di Milano - Via Formentini 10 - alla serata della serie "Incontri" organizzata da Tomaso Kemeny, con i poeti Vivian Lamarque e Tiziano Rossi

Elena Petrassi

giovedì 29 marzo 2018

In un angolo con un libro


“In omnibus requiem quaesiviet nusquam inveni nisi in angulo cum libro

(Ho cercato pace ovunque, senza trovarla mai tranne che in un angolo con un libro) 

Tommaso da Kempis

giovedì 22 marzo 2018

In primavera è pericoloso il mondo

Un poeta non deve in primavera
passare da solo per i parchi.

Sotto i rami si abbracciano le coppie
e l’erba è umida.

Non deve attraversare
da solo i parchi in primavera.

Ci sono nuvole lanceolate, voli, resti
di amore usato già in terra, e i lillà,
i lillà così dolci, come feriscono.

In primavera è pericoloso il mondo.

Juan Cobos Wilkins

Biografia impura

Un poeta no debe en primavera

cruzar solo la tarde de los parques.

Bajo las ramas se abrazan las parejas
y la yerba humedece.

No debe pasear
en primavera solo por los parques.

Hay nubes lanceoladas, vuelos, restos
de amor usado ya en la tierra, y las lilas,
tan suaves las lilas, cómo hieren.

En primavera es peligroso el mundo.

mercoledì 21 febbraio 2018

La poesia è il modo in cui per te la luce o il buio si rifrangono

Che funzione abbia la poesia davvero non lo so. 
È semplicemente, per così dire, il modo in cui per te la luce o il buio si rifrangono.

Iosif Brodskij
Conversazioni
traduzione di Matteo Campagnoli
Adelphi 2015



sabato 20 gennaio 2018

La casa azzurra non ha voce

Casa azzurra

La casa azzurra ha balconi azzurri,
porte azzurre, tetto azzurro.
La casa azzurra imita il cielo,
è un cubo azzurro nel sentiero.
La casa azzurra non ha voce,
le persiane sono chiuse.

Io sto al bordo del sentiero.
Il cielo si fa più limpido.
Tutte le nuvole spariscono.
La casa azzurra non c’è più.


Danilo Bramati
Dietro ogni silenzio
Atì editore 2017

venerdì 19 gennaio 2018

e lo scrivere procede da questa lunga meraviglia

Come fosse l’ultima

Scrivo ogni poesia
come fosse l’ultima.

Siedo a un caffè,
guardo le foglie che galleggiano,
guardo le case lì davanti,
apro il taccuino, mi dico: è l’ultima,
questa è l’ultima poesia.

Ogni volta è così,
ogni volta mi domando:
e dopo sarà il silenzio?

Ma poi la voce ricomincia
e lo scrivere procede
da questa lunga meraviglia
che anche per oggi qualcosa è scritto,
come ogni giorno mi stupisco
se spunta un germoglio nuovo
tra i ciuffi dei gelsomini.


Danilo Bramati
Dietro ogni silenzio
Atì editore 2017

giovedì 18 gennaio 2018

Come si spiega la poesia

Fatta di carta

Una poesia si spiega?
Sì, si spiega
nel senso che la puoi svolgere,
srotolare, spiegazzare
come la pagina che scrivi.
E basta un niente per sgualcirla.


Fatta di carta è la poesia.


Danilo Bramati
Dietro ogni silenzio
Atì editore 2017

mercoledì 17 gennaio 2018

È troppo vasta questa vita

Fondali

È ora. Il verde si incupisce,
le cose attorno si nascondono
e tu pensi al grande fiume
a pochi attimi da te.

È troppo vasta questa vita,
troppo profonda da scandagliare.
In ogni onda muore un destino
e cospirano i fondali.

Danilo Bramati
Dietro ogni silenzio
Atì editore 2017

martedì 16 gennaio 2018

le vedi quelle nuvole?

Sole


Oggi c’è tanto sole.
Ma è solo questo che hai da dire?
È tutto qui?
Sì, tutto qui:
c’è tanto sole.
O forse… aspetta… c’è dell’altro…
laggiù… laggiù… le vedi quelle nuvole?


Danilo Bramati
Dietro ogni silenzio
Atì editore 2017

lunedì 15 gennaio 2018

questo è il clima, questo è il tempo

Il vento

Il vento succhia, tira, strappa,
stropiccia folle di alberi,
il vento incalza, ti costringe
a uscire fuori da te.
Tu non vuoi, ti ribelli,
inutilmente.

E le strade sono inquiete,
tutti che cercano riparo
infagottati negli abiti pesanti.
Non c’è sciarpa, non c’è bavero che tenga,
dovranno subire questo vento.

Vento, perché ci assali,
ci torturi, ci strapazzi?
Sgombra le nostre strade,
lasciaci liberi di andare!

Ma siamo tutti incamminati
nei medesimi sentieri
e un vento ci scava dentro:
questo è il clima, questo è il tempo.

Danilo Bramati
Dietro ogni silenzio
Atì editore 2017

domenica 14 gennaio 2018

in ogni stella una stella tace

Dietro ogni silenzio

Mai, in verità, ho raggiunto
le soglie estreme del silenzio.

Mai, mai, neppure
quando ascoltavo il grande platano
sillabare nella nebbia,
quando tacevo con gli amici,
con la gente.

C’è un silenzio oltre quel platano,
un silenzio oltre il silenzio.
Guardo il cielo che si oscura:
in ogni stella una stella tace.


Danilo Bramati
Dietro ogni silenzio
Atì editore 2017

sabato 13 gennaio 2018

Conterai le nuvole, le foglie rosse

Giornata

Una giornata persa in anticipo,
un tempo vuoto che hai davanti.
Ne conterai le sillabe
una per una, una per una,
corona di attimi sgranati
nel respiro.

Conterai le nuvole, le foglie
rosse, i sassolini del sentiero.
Ogni ciottolo, ogni nuvola, ogni foglia
sarà un istante cancellato.

Un’eco ti arriverà
ma così fragile, lontana…

Mondi nascono, si spengono.
Non torneranno più.
Una giornata persa in anticipo,
un buco nero.

Danilo Bramati
Dietro ogni silenzio
Atì editore 2017