martedì 30 novembre 2021

Cronache dagli anni senza Carnevale/632. Il silenzio tiene cuciti insieme acqua e cielo, il vento il cielo e la terra

 

Ho aspettato che ci fosse un nuovo silenzio tra le onde piccole del lago e il cielo limpido di questa giornata. Ho aspettato ed era così dolce l’aria, così quieta l’atmosfera. Poi ho visto che la linea dell’orizzonte, quella dove cielo e terra si toccano, era più scura su entrambi i lati, più azzurra del cielo, più azzurra dell’acqua. In tutta questa azzurrità il silenzio si è levato come uno stormo di anatre in migrazione, come un branco di nuvole disciplinate spinte dal vento. E ho capito che era il silenzio a tenere cuciti insieme l’acqua e il cielo. Dove invece l’unione è tra il cielo e la terra, è il vento che si è fatto filo e ago. Ma dove si nasconde questo abile sarto che ogni giorno unisce gli elementi? Anche il fuoco vorrebbe saperlo, perché sfugge ogni giorno al gioco degli altri elementi che potrebbero spegnerlo, degli altri elementi che lui può distruggere se si avvicina troppo. Lo sa bene il fuoco che quando si avvicina, le cose hanno un ultimo guizzo di splendore prima di svanire in cenere. È difficile amare sapendo che si potrà distruggere l’oggetto del proprio amore, il fuoco lo sa. Come sa di non poter sfuggire alla natura ardente che lo tiene legato a questa realtà.

 

 

Quando l’immaginazione è ferma a covare

 

Tutto è calma sul lago e

intorno, la calma delle cose

non ancora accadute, ma è

anche lo stupore delle cose

dopo l’amore. Mi fermo a

decifrare il sottile sussurro

delle onde, mi fermo e non

capisco, perché mi è ignoto

il loro linguaggio. Oggi è

lo stesso per il vento e per

le nuvole. Ognuno sta al

suo posto e io non capisco,

perché la mia immaginazione

se ne sta raggomitolata in

un nido in riva all’acqua.

Non so, forse dorme, forse

sta covando l’uovo di una nuova

poesia, devo lasciarle tempo

e intanto camminare vicino

al lago come se fosse il mare.

 

 

Oggi ho trascorso quasi tutta la giornata sul lago Maggiore con mia cognata Monica, il tempo era splendido e una volta di più ho imparato che la poesia nasce anche da un minimo sguardo, dall’immaginazione che non cerca cose stupefacenti, ma scava tra le pieghe del sogno e quelle della memoria e si lascia guidare anche dalle più piccole suggestioni. Perché non si sa mai come, dove e quando una nuova poesia arriverà. Ma arriva e si accomoda, come oggi martedì 30 novembre del secondo anno senza Carnevale, in questa Cronaca 632 e nei suoi angoli luminosi e ardenti, che poi sono braci, poi cenere e alla fine solo memoria.

lunedì 29 novembre 2021

Cronache dagli anni senza Carnevale/631. Alla finestra insieme al maestrale, vediamo meglio ogni tramonto

 


Girare il tempo come fosse un foglio, ogni giorno una pagina, cercare almeno un’immagine per ricordare com’era. In tutto quel vento di questa giornata, l’immagine per me è quella di una portinaia che spazza la soglia di un garage, cercando di ammucchiare le foglie degli aceri che abitano nella via. A ogni colpo di ramazza, dove lei è riuscita a fare un mucchietto, segue una folata di vento gelido, se ho capito la rosa dei venti quello odierno è il vento di maestrale. Un vento che non lascia scampo alla nuvole e alle ombre. Tutto riluce e splende e brilla. Nel giardino a risplendere sono i melograni e i cachi, mentre le foglie sono quasi tutte cadute anche qui, nella terra ai piedi delle Montagne della Nebbia.

 

 

 

Quando il vento lascia cadere papaveri e spighe

 

 

In quanto tempo il frutto

diventa inverno? Dalla ringhiera

ho teso la mano e il frutto

era una mela, la conoscenza

originaria e il paradiso non

più solo un’ipotesi. Ho teso

la mano e ho colto un fico,

era l’estate, l’ultima estate

prima dell’inverno del nostro

scontento. Poi ho teso ancora

la mano che non era più forte

e il tempo mi ha consegnato

un melograno. Allora sono scesa

nell’Ade in cerca di compagnia e

Persefone ricamava rose sul bordo

di un lenzuolo e lui, lo sposo

infernale, batteva il ferro e

rovesciava gli occhi in preda

a una visione. Lei era in un campo

di grano con la madre e lasciava

cadere spighe e papaveri nel

campo letterario che avevo

arato. Era estate e in un momento

il frutto è diventato inverno. Dove

noi siamo qui, ora.

 

 

È proprio così, un momento siamo nel pieno delle forze e della giovinezza, una folata dopo sentiamo le forze affievolirsi e un’altra età affacciarsi alle nostre membra. Così dalle finestre del nostro corpo vediamo meglio il tramonto che l’alba. Ma questo non muta il nostro stato d’animo, siamo pieni di gioia e di gratitudine per avere vissuto un’intera giornata sospinti, toccati e stimolati da tutto quel vento. “Anche noi risplendiamo in questa luce”, mi dice la Cronaca 631 di lunedì 29 novembre del secondo anno senza Carnevale.

domenica 28 novembre 2021

Cronache dagli anni senza Carnevale/630. Le farfalle sono parole che si sono alzate in volo

 

 


 Quando vogliamo partire non sempre sappiamo che una parte di noi è già arrivata a destinazione. Può essere la tundra siberiana o la costa bretone battuta dai venti, ma sempre un pezzetto della nostra anima è già arrivato nei luoghi che abbiamo anche solo sognato. In tutto il mondo ci sono tracce di noi, anche se non lo sappiamo, e allo stesso modo tracce di mondo sono in noi. Sia quando lo abbiamo davvero visto con i nostri occhi, quando lo abbiamo toccato, annusato, mangiato, respirato, sia quando lo abbiamo solo immaginato e desiderato, filamenti di mondo, frammenti di mondo ci attraversano e poi sedimentano in noi e diventano parte di noi. C’è chi viaggia per piacere, chi per necessità, c’è anche chi non parte mai perché l’anima è al suo posto sempre nello stesso orizzonte, sotto lo stesso cielo e sotto gli stessi tetti e cornicioni dove le rondini tornano ogni primavera a nidificare. Ci sono anime che vagano perché devono vagare e nelle strade che percorrono, nelle persone che incontrano trovano i luoghi giusti per lasciare frammenti di sogni e storie e altrettanti portarne a casa. In questo doppio movimento dello stare e dell’andare possono nascere storie meravigliose che vogliono essere raccontate e ci sono anime vagabonde che nella tensione tra la casa e le origini, tra il tetto sconosciuto e lunghi percorsi su bus scassati che vanno a venti all’ora sulle strade del Marocco, trovano un senso nel loro essere e stare al mondo. È nel movimento che nascono le storie, è nel movimento che il tempo ricama il senso delle narrazioni e le parole sanno sempre dove andare quando la scrittrice fa volare sulla tastiera le dita come fossero ali di farfalla. Si alzano in volo tutte insieme queste farfalle e sfiorano l’anima di chi ha scritto per prima e poi le anime di chi legge, dopo.

 

Quando la storia sarà finita

 

Desiderio di essere altrove,

per cercare chi davvero

siamo. Per questo non

basta restare e immaginare,

bisogna immaginare e

andare, rinforzare le suole

di vento e credere che ogni

storia sia più grande della

nostra immaginazione. Per

questo ti dico vai e ritorna

solo quando la storia sarà

finita e la grande terrazza

pronta ad ascoltarti ancora,

anima mia vagabonda che

sogna sotto questi cieli.

 

 

 

Che voglia di prendere e partire, che voglia di stare in giro e non sapere mai al risveglio i luoghi, le persone, i cieli, il cibo e l’aria che avremmo incontrato. Una delle grandi maledizioni figlie di questa pandemia infinita è proprio l’aver reso i viaggi più complicati e rischiosi. Ma per fortuna ci sono i libri e i film, mi ricorda questa Cronaca 630 di domenica 28 novembre del secondo anno senza Carnevale, mentre guardiamo dall’alto Milano e il suo libero cielo.

sabato 27 novembre 2021

Cronache dagli anni senza Carnevale/629. Un sabato d’autunno camminare nel vento di Milano

 

 




Nel desiderio di futuro, nei progetti, si muovono come lucciole nella notte le nostre aspettative. Che non è solo prefigurare l’esito finale di un percorso, ma immaginare i desideri come azioni compiute, come magie che si sono realizzate. Forse le aspettative hanno più a che fare con il pensiero magico che con quello razionale, ma fanno parte dell’equipaggiamento che ci spinge verso il futuro, forti di quel che sappiamo e di quel che facciamo. Immaginate un caotico sabato pomeriggio a Milano, una casa borghese e confortevole e piena di libri e quadri. Nel soggiorno un grande divano ad angolo, un tavolo di legno antico con otto sedie, delle coppe da champagne come si usavano negli anni Cinquanta del secolo scorso. C’è un forte senso del tempo in quella stanza sottolineato proprio dagli oggetti, dalle finestre dove si vedono gli alberi di una piazzetta silenziosa che non sembra una piccola piazza milanese dietro corso Italia. Il tempo passa dietro le cime degli alberi e la luce lo segue, è uno strascico di scintille che sono invisibili agli occhi della mente ma non a quelli del cuore. In questa stanza confortevole ci sono otto donne di età diverse che vanno dai diciotto ai sessanta anni, sono coppie di amiche e di colleghe, che hanno scelto di mettersi in gioco con un confronto libero, delle narrazioni e una messa in scena delle loro aspettative. E come accade spesso, quando si mettono in gioco le proprie emozioni, dal profondo dell’inconscio le forze misteriose che animano il carattere delle persone si esprimono e le aspettative di tutte convergono sulle aspettative della diciottenne che vuole emanciparsi dalla famiglia di origine, viaggiare, imparare le lingue. Nella sua voce, all’inizio, c’è un filo di sconsolata disperazione, come se temesse che il suo mondo sarebbe stato per sempre quella piccola piazza, il palazzo dove vive con la famiglia e la sua vita continuasse a coincidere con la vita di sua madre. Ma l’esperienza, le antiche aspettative, i sogni realizzati delle altre donne diventano come le benedizioni delle fate intorno alla culla della principessa neonata, perché la forza si trasmette anche tramite le parole, le parole che molano le attitudini e ci aiutano a far sì che queste sostengano le aspettative. Quando il cerchio magico si scioglie in un ballo scatenato sulle note scatenate di Satisfaction dei Rolling Stones, ecco che le energie dell’universo arrivano a sostenere le aspettative della ragazzina. Dopo i saluti sulla porta di casa tre donne escono insieme e a piedi si dirigono verso i Navigli, l’aria è gelida perché si è alzato un vento siberiano che taglia la faccia. Ma loro camminano e parlano, si fermano a guardare il portone di Via Molino delle Armi dove una delle tre ha abitato, non si fermano poi, se non dietro il Parco delle Basiliche, in via Santa Croce dove c’è Casa Emergency e l’Enoteca Naturale, ci sono mille luci intorno come se Natale fosse arrivato di già ed è facile immaginare com’era quel parco in anni remoti, dove non lontano c’era la libreria Sapere, quella dove una delle due scrittrici che camminano nel freddo di Milano, ha comprato tanti libri della sua prima biblioteca giovanile. Sbucano in Sant’Eustorgio, che è un bel modo per arrivare al Ticinese, sfiorano Porta Cicca e seguono il Naviglio Grande fino a Via Argelati, e giù sempre nel vento, sempre nel freddo sino a via Villoresi dove c’è il piccolo teatro “Linguaggi creativi” in un cortile e dove c’è in scena un monologo di Simona Migliori dedicato alla maestra Italia Donati “Questo è il mio corpo”, una storia di sopraffazione e violenza contro una giovane maestra che finirà con il soccombere alla cattiveria dei compaesani. Sono cambiate le cose, sono cambiate? Non ancora abbastanza, non abbastanza. E dopo lo spettacolo il freddo è ancora più tagliente, si cammina sino all’unica auto disponibile per spostarsi da qualche altra parte. È tutto da un’altra parte quando si è giovani e si ha voglia di essere altrove, di scoprire, di sperimentare. E quando la vita offre tempi supplementari ecco che si è eternamente giovani e si finisce la serata alla birreria “Doppio Malto” in viale Liguria. Musica, musica intorno, un paio di feste di compleanno, gente che guarda una partita sul mega schermo, tutti bevono, molti mangiano, si ride, si aspetta il proprio turno e ci si ritrova stipati in un tavolo minuscolo da pub, con i divanetti e accanto i ragazzi e qualche ragazza che giocano a biliardo e a biliardino. La sera è scivolata nella notte e la notte non vuole finire, anche quando si esce e si torna a casa in taxi e le gocce della pioggia nuova moltiplicano le luci del traffico e la vita è così bella e così luminosa, che fa male dappertutto tanto fa bene questa vita. È come quando ci alza con una gamba addormentata e poi il sangue ricomincia a scorrere, fa male perché fa bene. Oggi è sabato 27 novembre del secondo anno senza Carnevale e questa Cronaca 629 ride nel vento e nella pioggia.

venerdì 26 novembre 2021

Cronache dagli anni senza Carnevale/628. Il mondo per metà è sempre nelle tenebre e la fantasia, come la poesia, parla il linguaggio della notte

 



Ho scritto nelle settimane passate la voce dedicata a Ursula K. Le Guin per l’Enciclopedia delle donne, di cui sono antica collaboratrice. Così, per rinfrescarmi le idee ho riletto Il linguaggio della notte un suo libro che adoro e di cui vi propongo qualche citazione che trovo molto interessante.

“Coloro che rifiutano di ascoltare i draghi sono probabilmente condannati a passare la loro vita nella rappresentazione degli incubi dei politici. Ci piace pensare di vivere nella luce del sole, ma il mondo per metà è sempre nelle tenebre; e la fantasia, come la poesia, parla il linguaggio della notte.

L’esercizio di un’arte significa continuare a cercarne l’orlo estremo.

Leggiamo i libri per scoprire chi siamo. Che cosa fanno, pensano e sentono altre persone, reali o immaginarie, o che cosa hanno fatto, pensato e sentito, o che cosa potrebbero fare, pensare e sentire, è una guida fondamentale per poter comprendere che cosa siamo e potremmo diventare noi stessi. Una persona che non abbia mai conosciuto un altro essere umano non potrebbe essere capace di introspezione più di un terrier o di un cavallo; può darsi (ma è improbabile) che riesca a mantenersi vivo, ma non potrà sapere niente di se stesso, per quanto a lungo abbia vissuto con se stesso. E la persona che non avesse mai sentito raccontare o letto un racconto, un mito, una parabola, o una storia, rimarrebbe ignara delle altezze e degli abissi dei suoi stessi sentimenti e del suo spirito, non saprebbe davvero pienamente che cosa sia essere umano. Perché il racconto, da Tremotino a Guerra e pace è uno degli strumenti fondamentali, inventati dalla mente dell’uomo, per conquistare il giudizio. Ci sono state grandi culture che non usavano la ruota, ma non ci sono state culture che non narrassero storie.

Essere liberi, in fondo, non vuol dire non avere disciplina. Direi che la disciplina dell’immaginazione in realtà può essere il metodo o la tecnica fondamentale sia dell’arte che della scienza. È il nostro puritanesimo, con il suo insistere che disciplina significa repressione o punizione, a rendere confusa la materia. Disciplinare qualcosa, nel significato corretto della parola, non vuol dire reprimerla, ma coltivarla, incoraggiarla a crescere, ad agire, a fruttificare, sia che si tratti di un albero di pesche che della mente di un uomo.

Di solito i maghi sono attempati o senza età, fatto decisamente corretto e fedele agli archetipi. Ma che cosa erano prima di avere barbe bianche? Come hanno imparato quella che è chiaramente un’arte erudita e pericolosa? Esistono istituti per l’istruzione di giovani maghi?

(Chissà se la Rowlings si è ispirata alla Le Guin per scrivere la storia di Harry Potter???)

L’artista che si spinge più profondamente dentro di sé, ed è un viaggio doloroso, è l’artista che più ci tocca nell’intimo, che più ci parla in modo chiaro”.

 

È stato molto rilassante cercare delle citazioni per scrivere questa Cronaca 628 di venerdì 26 novembre del secondo anno senza Carnevale, una serata fantascientifica che trascorrerò insieme ai libri della Le Guin, ancora non ho deciso cosa rileggere, e alla serie di fantascienza Fondazione, tratta dai libri di Asimov.

giovedì 25 novembre 2021

Cronache dagli anni senza Carnevale/627. Tra pioggia e silenzio cercare le giuste parole

 


 È diventato un posto strano il mondo, le tesi e le parole che ci scambiamo sulla pandemia sono diventate muri che si fronteggiano e non ci sono ragioni che portino gli uni o gli altri a cambiare idea. Tra le tante opinioni che leggo ogni giorno e le notizie sempre sconsolanti, una più di tutte mi ha colpito oggi, la grande fuga di medici e infermieri dalle strutture di pronto soccorso, la crisi delle vocazioni, le conseguenze delle politiche scellerate degli anni passati di selezione all’ingresso nei percorsi universitari, le politiche ancor più scellerate di privatizzazione della sanità pubblica, di accorpamenti di ospedali o, addirittura della loro chiusura, come la Regione Lombardia aveva deciso di fare prima della pandemia per il San Carlo, che serve la zona ovest di Milano, e il San Paolo che serve quella sud. Ma il covid ci ha scaraventati in un mondo sconosciuto, dove l’importanza fondamentale di scuola e sanità è emersa con una forza che il pensiero unico delle privatizzazioni e dell’aziendalizzazione del mondo aveva coperto per moltissimi anni.

 

 

Tutto il silenzio che non abita qui

 

Non c’è silenzio tra queste

mura, ci sono stati addii

silenziosi e ripetuti, ma

un silenzio vero qui non

lo abbiamo mai ascoltato.

Pure lo cerchiamo e desideriamo

quel sollievo che arriva dalle

parole non dette, da quelle

dimenticate. Ma per dire questo

silenzio non ci resta che una

strada, un’opzione, la tua stessa

possibilità di pronunciare il nome

e poi tacere. Forse nell’assenza

capirà che lo stiamo cercando e

verrà tra queste mura, a condividere

questi giorni autunnali e dare

loro il senso che solo dal silenzio

può arrivare.

 

 

Così, mentre continuo a leggere notizie e opinioni e mi sconsolo, penso che queste mie Cronache dovranno continuare ben oltre la fine di questo secondo anno senza Carnevale e mi chiedo se riuscirò a tenere questo impegno, giorno dopo giorno. Per oggi ci sono riuscita di nuovo e nella breve passeggiata pomeridiana per fare la spesa, mi sono incaponita a cercare filamenti e frammenti di silenzio tra le mille voci della città che amo, questa città così poco amata ma che per me è il paesaggio natale, la terra d’infanzia, tutto quello che ho amato per primo nel mondo. Così, tra pioggia e silenzio, ho scritto la Cronaca 627 di giovedì 25 novembre del 2021, il secondo anno della pandemia, il secondo di quanti ancora?

mercoledì 24 novembre 2021

Cronache dagli anni senza Carnevale/626. Nuotare nel cielo come fosse il mare, cantare

 

 

 

A volte è meglio non fare nulla, stare in piedi sulla riva e vedere cosa il mare ci porta. A volte è meglio gettare le reti al largo, scandagliare i fondali e muoversi per favorire la pesca. Bisogna uscire quando fuori è ancora buio e attraversare la notte come se fosse un altro mare e sentire che anche il cielo è un’altra forma del mare e diventare nuotatori celesti, imparare a fermarsi vicino alle costellazioni come fossero arcipelaghi. Immaginiamo questi mari, le stelle, le isole, immaginiamo e lasciamo che le storie arrivino a noi. Con una storia ben raccontata possiamo mettere ordine nel tempo e dare un senso a ogni giornata, fare di ogni giornata un tempo ben vissuto. Così peschiamo nell’immenso mare delle immagini, vedute, ricordate e anche spontanee, tutte quelle che la nostra mente riesce a cogliere e poi elaborare.

 

 

 

L’alba attraversa le finestre

 

Mi fermo e aspetto che arrivi

il banco dei pesci argentati,

nella scia appaiono le sirene,

cantano, ma la loro lingua è

sconosciuta, nessuna malia ci

rapirà. Aspetto e ferma cerco

un’immagine che rappresenti

il senso di questa giornata.

Il senso mi ripeto e poi capisco

che in quel mare ci sono anch’io,

sono un’immagine? Seguo i pesci

nella loro scia d’argento, canto

lontano dalle sirene, la mia voce

è un’altra, diverso questo canto.

Si girano i pesci, le sirene fuggono,

l’alba attraversa le finestre, mi

sveglia. Era un sogno, un sogno?

Ridono le sirene e fuggono di

nuovo, il silenzio si leva con

il sole. È giorno, un giorno nuovo

che ancora non abbiamo scritto.

 

 

Ma ora che è scritto questo giorno nuovo, ne do conto in questa Cronaca 626 di mercoledì 24 novembre del secondo anno senza Carnevale, mentre la notte è di nuovo padrona del nostro mondo e i sogni sono pronti a ritornare.

martedì 23 novembre 2021

Cronache dagli anni senza Carnevale/625. I filamenti di luce che accendono la giornata

 

 


 

Quando le stagioni arrivano è la luce che lo annuncia, muta intensità e colore, e noi non possiamo che piegare lo sguardo sotto le nuove tonalità. Amo la luce azzurra dei freddi tramonti novembrini e questo nuovo scarto della luce so che entrerà in una poesia, in una Cronaca o anche solo in un appunto che resterà nel suo quaderno. Vorrebbero unirsi al coro della luce anche gli alberi, ma non trovano modo di inserirsi in un canto che solo la luce conosce e capisce e tutte le altre creature possono solo intuire. La minima variazione fa vibrare le corde invisibili del creato, la luce è l’unica prova evidente che l’universo è energia prima ancora che massa, che il tempo è una nostra narrazione e che le nostre parole e immaginazioni riescono a rendere conto solo di una minima parte, una parte residuale, dell’immenso mistero che abitiamo e che ci abita. Mi piace tirare uno di questi fili luminosi che accendono la giornata e tirarlo per vedere dove mi porta. A volte diventa una storia nuova, a volte una poesia, la maggior parte delle volte diventa il filamento di luce che era già e resta sospeso nell’aria come una farfalla o una foglia, sino a quando non svanisce o non cade a terra. Un filamento di luce caduto sceglie di solito una foglia per cadere, è questo il motivo per cui le foglie autunnali si accendono di colori meravigliosi.

 

 

La luce che non ci appartiene

 

Se dico luce ognuno comprende

cosa annuncio: un giorno nuovo,

il sole che sale, un’intuizione,

una vita che nasce. Anche quando

pronuncio a voce bassa ombra,

ognuno comprende e vede

la luce infrangersi sui corpi

opachi di persone e cose. Ombra

non è buio, il buio arriva prima,

è la condizione originaria da

cui la luce scaturisce. Come lo

è il silenzio per la parola, è

il nido ed è anche lo scoglio

dove le onde del senso devono

infrangersi per permettere

alle parole di risplendere e dire

la luce, anche quella che non

ci appartiene, anche quella che

verrà dopo di noi.

 

 

 

La vita è fatta davvero di poco, di piccole contemplazioni, di ricordi che ci saltellano in testa come le rane nello stagno, di una buona conversazione con un amico, di una parola o di un gesto d’amore, di un libro nuovo appena comprato per irresistibile impulso. A volte il libro se ne sta da anni su un ripiano della nostra biblioteca ed è bello scoprirlo e riscoprire perché lo avevamo comprato.

Ci sono foglie secche e una tazza di tè sulla mia scrivania, una raccolta di racconti fantastici scelti da Borges, il manoscritto del nuovo libro di poesie di Danilo Bramati per cui voglio scrivere una nota di lettura, molte penne colorate, molti quaderni. Ho qui con me tutto il mondo che mi serve perché nelle fredde giornate novembrine sto chiusa in casa, lavoro, scrivo, penso, leggo e torno a scrivere, mi lascio portare dai pensieri e dalle immaginazioni. Anche questa Cronaca 625 di martedì 23 novembre del secondo anno senza Carnevale respira la mia stessa aria e contempla la mia stessa luce e dopo un giretto davvero breve, torna ad acciambellarsi nella sua cesta accanto al fuoco.

lunedì 22 novembre 2021

Cronache dagli anni senza Carnevale/624. Immaginazione dei colori e delle stagioni

 


 

Come parlano tra loro le stagioni? E se parlano lo fanno solo perché sono contigue nel tempo o anche per altre vie? Me lo chiedevo oggi mentre camminavo nella limonaia e mi fermavo a guardare i frutti maturi, gialli e profumati, pronti per essere raccolti. Così ne ho presi alcuni e li messi nel cestino che tenevo al braccio e sono tornata a casa. Ho scelto un piatto di ceramica blu e verde acquistato in Sicilia nel secolo scorso e ho subito sentito il profumo dei limoni diffondersi nell’aria. Ho accesso il fuoco e messo a bollire l’acqua per preparare il tè. La luce iniziava a scemare e sono rimasta alla finestra sino a quando il buio non si è impadronito di tutto il cielo, l’acqua era diventata troppo tiepida e così ho riempito di nuovo il bollitore e riacceso il fornello. Tutti i colori nella stanza sembravano convergere verso i limoni e ho capito, in quel momento, che le stagioni si parlano attraverso i colori. Il giallo colore dell’estate arriva all’inverno con i limoni. Così inverno e autunno, che pure conosce da vicino l’estate, decifrano i sussurri dell’estate grazie al giallo dei limoni. E il bianco lattiginoso delle nuvole invernali e la neve, arrivano all’estate e alla primavera grazie ai fiori bianchi che sbocciano anche nella neve. Mi piace questa immaginazione dei colori e delle stagioni, potrei andare avanti per pagine e pagine, ma è più divertente se ognuno di voi catturerà con gli occhi e la fantasia le conversazioni che più gli si addicono.

 

 

Portare la nostra mente nelle terre meridionali

 

Guardo i limoni e subito

il poeta si manifesta, ma

non sono le sue parole che

voglio dire qui. Qui cerco

un profumo e un segreto

che i limoni hanno custodito

e che nessuna lingua umana

potrà dire senza che la bocca

e il naso siano presi da questi

frutti e possano così portare

la nostra mente nelle terre

meridionali dove siamo già

stati e ricordare come l’inverno

sia, prima di tutto, uno stato

d’animo e poi una stagione.

 

 

Mentre mi sono persa a inseguire i limoni e il loro profumo, è arrivata anche l’ora di cena e così metto sul fuoco un minestrone verde di broccoli e cavoli, arancione di zucca e carote. Il profumo più forte resta quello della legna che arde nel focolare e così, intanto, che il fuoco scalda e cuoce, inizio a sistemare le foglie raccolte i giorni scorsi nel grande quaderno per farle essiccare. Hanno colori meravigliosi e porteranno all’estate che verrà tutto il rosso, l’arancione e il giallo che le serviranno.

Anche questa Cronaca 624 di lunedì 22 novembre del secondo anno senza Carnevale sta selezionando le sue foglie preferite e, quando mi alzo per prendere i pennarelli, come se niente fosse mi rubacchia un paio di foglie davvero belle, rosse e nere. Faccio finta di niente, anche questa Cronaca birichina sa che tutto resterà nella nostra casa comune.

domenica 21 novembre 2021

Cronache dagli anni senza Carnevale/623. Dove le foglie sillabano con le ghiandaie

 

 


Una domenica a raccogliere foglie e parole con la stessa caparbia intenzione. Ho riempito metà quaderno di appunti e l’altro di foglie di acero rosso, di acero riccio e di betulla. Nelle foglie cerco quella sfumatura nel coloro o nella forma che renda proprio quella foglia unica e irripetibile e il pensiero di lasciarla sbriciolare a terra, insostenibile. Intanto che raccolgo foglie mi viene in mente la vecchia e maestosa quercia che stava dietro la casa di mia nonna paterna, in Calabria.

 

 

Nel vento scrivo le parole

 

Resto laterale sempre,

una quercia centenaria

sul bordo del campo di

grano, circondata di

ulivi e fichi, il fiume

poco lontano. Scrivo nel

vento le mie parole, lascio

le foglie a sillabare con

le ghiandaie e offro la mia

ombra per il riposo e

il gioco dei bambini. È così,

le nuvole si contendono

le mie storie, ma tutto

passa e vanno dove devono

le immaginazioni, mentre io

resto sul bordo del campo

di grano, a meditare.

 

 

Ho raccolto così tante foglie e scritto così tanti appunti che mi sento le mani anchilosate e, così, questa sera, lascio la Cronaca libera di andare e la faccio corta, più corta del solito.

Oggi è domenica 21 novembre del secondo anno senza Carnevale e questa Cronaca 623 sta cercando di ritrovare la mia quercia. Oggi è iniziato il mese con i giorni più corti dell’anno, sarà così fino a Natale, poi la luce comincerà a riprendere spazio e noi a sognare, non solo a dormire.

sabato 20 novembre 2021

Cronache dagli anni senza Carnevale/622. Le nuvole in una stanza sono sempre nuvole

 

 


 

Non è che una piccola nube, grigia, oblunga e bassa. Se ne sta in mezzo alle altre nubi che si spostano lente sulla città mai più silenziosa. È molto curiosa la piccola nuvola e vorrebbe scendere ancora un po’ per vedere cosa succede laggiù sulla terra. Ma il tuono la ferma e le insegna che quando si scende troppo, un solo destino è inevitabile, sciogliersi in vapore acqueo se l’aria è troppo calda, rapprendersi in pioggia se, invece, è fredda. Il vento le suggerisce di restare in ordine, nell’ordine delle nuvole ben inteso che non è quello che intendiamo noi umani, di restare nella formazione e imitare le mosse delle nuvole più anziane, quelle che hanno anche più di un giorno e non solo una mezz’ora come lei. La piccola nube annuisce, come fanno le nuvole e noi umani non capiamo, si mette in fila ben impettita e poi lascia che tutte le altre nuvole, quasi tutte grigie, qualcuna bianca ma molto, molto opaca, le sfilino davanti come un gregge di pecorelle, similitudine che a loro, gli umani, cioè noi piaceva moltissimo usare. Quando fu certa di essere rimasta in coda, ecco che trattiene il respiro, che è un respiro da nuvola e non assomiglia a nessun respiro umano, e non solo resta indietro, ma può proprio scendere, con le dovute precauzioni, verso la terra che tanto l’attira. L’aria è mite in quel momento, il vento continua a stare dietro al gregge e i tuoni borbottano come vecchietti addormentati davanti all’osteria. Scende e scende la piccola nuvola, sino a quando inizia a distinguere le auto colorate, sono quasi tutte grigie come le nuvole a ben guardare, e si muovono su strisce di terra molto scura con linee intere e linee spezzate bianche che le dividono in due.

 

 

 

La catena dell’ombra e della terra

 

 

Delle nuvole è il cielo, come

degli uccelli e delle foglie.

Ma anche dei sognatori è il cielo,

lo sanno nuvole e uccelli, un po’

meno le foglie perché sono intente

a seguire la melodia che le

condurrà a terra per accorgersi

che ci sono sogni e immaginazioni

sparpagliati nei cieli e nessuno

ne conosce i proprietari, nessuno

vuole scoprire che un sogno lieve

è dell’uomo triste, nessuno vuole

carpire il segreto della ballerina

che volteggia, del fiore che sboccia.

Forse il cielo è di chi lo guarda, forse

non esiste un solo cielo, forse esiste

un cielo per ogni sguardo che si

alza e smette di sentire la gravità

che ci incatena all’ombra e alla terra.

 

 

 

 

Scende e scende, ancora sempre più vicina ai palazzi, talmente vicina che vede i tetti, conta le tegole e come può resistere a quella finestra aperta? Entra la piccola nube e subito si accorge di essere un po’ meno grigia e un po’ più bianca. È contenta, si rilassa, ma poi l’uomo con i pennelli la vede e se ne innamora all’istante, chiude la finestra e scivola sino alla soglia, da dove può fotografarla. Così la piccola nuvola diventa un’opera d’arte e per me un pretesto per scrivere questa nuvolosa Cronaca 622 di sabato 20 novembre del secondo anno senza Carnevale. Mentre scrivevo mi sono venute in mente le nuvole in una stanza dell’artista olandese Berndnaut Smilde e ho preso in prestito una delle sue immagini.

venerdì 19 novembre 2021

Cronache dagli anni senza Carnevale/621. Storia di un albero, di una foglia, di un quaderno e della bambina con la cartella rossa

 



Salto o non salto? Non è che la prospettiva mi arrida poi molto. È inutile che tutti quanti continuino a dirmi che si tratta solo di fiducia, che è un momento, che non mi succederà niente di male. Ma io non mi fido. Già quando si è trattato di uscire la prima volta sono stata l’ultima, stavo così bene lì dov’ero. Ma poi mi hanno spinta fuori, non so bene chi. E mi sono ritrovata immersa in quella luce accecante che mi pizzicava dappertutto, un vero trauma all’inizio. Poi però mi sono abituata, era bello starsene lì al sole, a rigirarsi senza nient’altro da fare che essere me stessa, che vivere.

Salto o non salto? Non mi piacciono i cambiamenti e so che una volta che il salto sarà fatto, mica mi faranno tornare indietro, qui non ci potrò tornare mai più, tocca ad altri mi hanno detto, io devo ricominciare il ciclo dall’inizio e, per farlo, devo saltare. Appunto, salto o non salto?

La mia livrea ha di nuovo cambiato colore, non so fino a quando resterà di questo bel giallo acceso, vedo le punte che già cominciano a diventare più scure. Se resto quassù magari divento tutta marrone che non è un colore che amo. Se salto resterò gialla ancora per un po’, prima di svanire. Ma mica si svanisce davvero, l’albero racconta che sulla terra si ridiventa terra e acqua, poi linfa o vapore e si sale, su, su nei rami o nelle nuvole e poi si scende e si torna giù con la pioggia e la nostra essenza riconosce sempre la strada di casa, sempre ritroviamo il nostro albero e il nostro ramo, sempre ritorniamo.

 

 

 

L’indecisione della caduta

 

Cado anche se non

vorrei, cado senza vento

e cado seguendo questo

vento che non mi porterà

al mare, ma poco lontano

dal mio ramo. Sono caduta

su un letto soffice di altre

foglie cadute prima di me.

Le riconosco, ci sorridiamo.

Cado perché questo è il mio

destino, essere foglia, polvere,

linfa e poi neve. Non importa

il colore, non la forma, perché

so che sempre il mio albero

mi riconoscerà.

 

 

Salto o non salto? Ho ascoltato tutte le leggende, so che devo saltare, meglio farlo adesso che sono bella gialla e ancora vigorosa. Salto, il vento mi sostiene, le nuvole sono sempre più lontane, ma mi sorridono ancora. Ecco che arrivo e mi adagio accanto alle foglie mie sorelle. Poi accade la cosa, quella imprevista, quella di cui ho sentito parlare dalle rondini e dai rami più antichi. Arriva una bambina con la cartella rossa, si china, inizia a scegliere. Nessuna di noi grida “Prendi me! Prendi me!”, anzi, cerchiamo di nasconderci. Ma poi tocca a me, la bambina mi sceglie, mi spolvera, sorride e apre la cartella che mi inghiotte. È buio, non so dove mi sta portando e non riconosco subito il posto, quando mi estrae e mi mette su uno strano albero orizzontale ricoperto di altre cose di quelle che amano gli umani. Mi deposita sul piano, prende un grande quaderno dove riconosco l’odore di altri alberi che ho conosciuto. So che si chiama quaderno perché dal mio ramo lo vedevo questo aggeggio che loro chiamano tavolo, ma non sapevo che una volta lui e il quaderno erano alberi. Ma allora si può continuare a essere se stessi anche lontano dal nostro albero originario? Sì che si può mi dice il tavolo, sììììì mi sibila il quaderno, presto lo capirai anche tu. La bambina mi prende, mi gira e mi rigira, poi mi incolla su un foglio e scrive: “Foglia del platano riccio, l’albero bellissimo che sta davanti alla mia finestra. Milano 19 novembre del 2021”.

 

La piccola foglia ancora non si capacita di come farà a resistere chiusa in quel quaderno, anche se sente altre foglie che sono state incollate prima di lei e anche molte e molte stagioni fa.

Non so come finirà questa storia, intanto il mio quaderno è pieno di foglie bellissime, ne conviene anche questa Cronaca 621 di venerdì 19 novembre del secondo anno senza Carnevale.

giovedì 18 novembre 2021

Cronache dagli anni senza Carnevale/620. Essere un melograno, una castagna o un riccio? Essere betulla e la steppa tutta intera

 



Inizia con una vertigine il tempo questa mattina, ancora indeciso sul colore del mantello autunnale. Ma poi prevale il giallo in tutte le sue sfumature e la città mai più silenziosa si incendia d’oro e abbacina gli occhi. Esco a fare una passeggiata a ora di pranzo, il sole è caldo, mi siedo qualche minuto su una panchina, lascio che le immaginazioni spontanee se ne vadano a spasso in tutta libertà. E sono indecisa se essere un melograno, una castagna o un riccio. Essere il contenuto o il contenitore? Nell’abbondanza dei doni scelgo di essere un riccio appena caduto e non ancora raccolto. Sul sentiero passerà qualcuno ed esclamerà “Ma che belle castagne!”, e raccoglierà i miei frutti e io sarò felice di essere stata così a lungo in compagnia di quei bei frutti lucidi e marroni.

La vertigine del tempo non si è placata con i colori e i frutti, ora che tutto è addobbato, i lupi sono sbucati dal sentiero dove inizia il bosco, non stanno cercando cibo ma compagnia. Nella Casa delle Parole gli abitanti sono tutti intenti a scrivere le loro storie e le loro poesie, così non li disturbiamo e usciamo di nuovo a girovagare nella brughiera. Ci sono macchie di erica rosa qua e là, nuvolette come pecorelle e immagini d’Irlanda che occupano tutto lo spazio negli occhi. Sulla nostra sinistra ci sono i boschetti di betulle che stanno solo aspettando la neve per diventare steppa siberiana. Dall’altro ci sono i boschi di castagni e lecci che stanno intorno alla casa rosa di Soliva. Una casa che ho tanto amato e che ora vive solo nei ricordi e nelle fotografie. Ci sarà ancora il roseto rampicante sul lato meridionale? E i due immensi abeti dell’Himalaya? In questa terra ai piedi delle Montagne della Nebbia posso evocare tutti gli alberi che ho amato e vederli apparire come per magia. Questo accade nelle lande dell’immaginazione, quando lasciamo che nostalgia e desiderio declinino nuove immagini nella nostra mente.

 

Quando il tempo è un lupo accucciato accanto al fuoco

 

Si muove piano il lupo della

nostalgia, mi segue, mi odora,

non ulula e poi mi segue nella

brughiera e monta la guardia.

Poi si accuccia ai miei piedi

quando accendo il focolare e

sonnecchia insieme alle castagne

che ancora riposano nei loro ricci.

Saranno i melograni a dare la sveglia?

Un guizzo di vitalità, un falso

movimento? No, se ne stanno

sul tavolo quieti i melograni,

insieme alle mele e alle castagne.

L’aria profuma di legna bruciata

e del tè nero che ho appena

preparato. Il lupo è il tempo,

più che la nostalgia,

ulula di notte quando la luna

chiama e tutti rispondiamo.

Confusi tra i cespugli della

brughiera e le betulle che

biancheggiano nella luce lunare.

Non ci sono altre svolte nel

sentiero, tutte le direzioni

portano verso la nostra casa.

 

 

 

Vorrei essere una melagrana stasera, non l’albero, ma proprio il frutto, tutta rossa e tondeggiante, aggrappata al ramo sino a quando qualcuno non verrà a raccogliermi e i semi rossi saranno poesie nuove per le nuove Cronache dei giorni che verranno.

Oggi è giovedì 18 novembre del secondo anno senza Carnevale, una giornata luminosa e soleggiata, ma dove le ambulanze hanno ricominciato a percorrere le strade del quartiere, oggi ne ho contate sette.