domenica 31 ottobre 2021

Cronache dagli anni senza Carnevale/602. Scoprire che le biblioteche sono infestate dai fantasmi dei giorni passati

 


Inizio dal ripiano più alto della libreria, dove ci sono libri già letti o che non mi è ancora venuta voglia di leggere. Guardo le copertine, di quasi tutti mi ricordo dove li ho acquistati e se li ho già letti o, almeno, sleggiucchiati. Ripiano dopo ripiano recupero anche i libri doppi che un tempo ho comprato perché sapevo che prima o poi li avrei regalati a una persona che avrebbe saputo apprezzarli. Sono molti più di quanti non immaginassi e ne sono davvero felice. Poi scelgo libri letti che non leggerò mai più e inizio a preparare un borsone che diventerà una o più scatole e questi libri finiranno in una piccola biblioteca di un paese romagnolo. Mi piace immaginare che questi libri potranno avere una nuova vita e nuovi occhi. Ammucchio poi un metro cubo di dispense, fotocopie e quadernoni A4 dei tempi dell’università: scienze politiche, sociologia, economia politica, senza indugio finiscono nel cassonetto della carta. Insieme ai due eserciziari con la copertina arancione di micro e macro economia che sono stati un incubo ricorrente. Sarei ancora in grado di fare quegli esercizi? Forse sì, ma che importanza ha? Via, via! Butta, butta! Ah che soddisfazione! Era davvero parecchio tempo che non mi arrampicavo in cima alla libreria, sapevo che ci avrei trovato un po’ di polvere che, nonostante non tutti siano d’accordo, è la migliore amica dei libri e del tempo. La polvere è solo vita che si è frantumata, briciole dei nostri discorsi e dei nostri passi, immagini di giorni perduti di cui non sapremo e non abbiamo mai saputo assolutamente nulla. È bello consegnare all’oblio quei giorni appena evocati da quei quaderni, dagli appunti con la mia grafia giovanile molto più panciuta e tondeggiante. Non ho paura dell’oblio, non ho paura perché nulla è davvero perduto per sempre. Come da bambina credevo che esistesse il paradiso delle cose e degli oggetti, che non sono proprio la stessa cosa, adesso so che esiste non un paradiso dei giorni perduti ma un’immensa Biblioteca gemella di quella di Babele, lì i giorni se ne stanno ben allineati come libri di una stessa collana e sono solo i colori delle copertine e i nomi a dire se sono stati giorni buoni o cattivi per chi li ha vissuti.

 

 

Quel che resta nelle pagine

 

Finisce la tua mano dove

finisce il sogno, per questo

non arrivi a prendere quel

volume che stavi cercando.

Era un giorno arancione, vivo

e caldo nonostante gli anni,

nonostante fosse un giorno

d’autunno come questo.

Un giorno in cui è bello stare

chiusi in casa, cuocere le castagne

sul fuoco e respirarne il profumo.

Se aprirai quel libro ne sentirai

l’aroma, perché è proprio

questo il segreto, ogni giorno

ha un diverso profumo, non

solo un diverso colore. Ricorderò

domani come sarà stata questa

domenica di fine ottobre? Ricorderò

il cielo grigio e basso, il freddo,

il silenzio e ricorderò i libri in

compagnia della loro polvere e

degli sguardi giovani che li hanno

percorsi. Un po’ di noi resta nelle

pagine un po’, un poco soltanto.

 

 

Adesso che sto scrivendo la Cronaca mi rendo conto di essere stramazzata dalla stanchezza, quindi continuerò domani, adesso vado a leggere un libro nuovo, una storia di fantasmi, o almeno credo.

Oggi è domenica 31 ottobre del secondo anno senza Carnevale e questa Cronaca 602 è vestita proprio da fantasma, invisibile agli occhi, mi fa venire un brivido lungo la schiena se mi avvicino troppo.

sabato 30 ottobre 2021

Cronache dagli anni senza Carnevale/601. Nella parabola dell’azzurro che grida il tuo nome

 

 


 

Scegliere una forma diversa per ogni giorno, concentrarsi, seguirla, non cercarne un’altra. Oggi ho scelto la pioggia, una delle forme dell’acqua che più amo. La pioggia è messaggera delle nuvole e delle stelle, a volte anche degli dèi. È preceduta dal rombo del tuono e come il vento non ha una sua propria voce autonoma, diversa, ma risuona insieme alle cose, agli oggetti che tocca, sfiora o sferza. Oggi sul lago era una pioggia piccola che cantava con il canto sommesso delle onde di acqua dolce, niente a che vedere con quelle del mare salato. Le nuvole erano così tristi all’idea di lasciar andare quelle goccioline, che sono scese sino sulla superficie di acqua ferma in forma di nebbiolina. In fondo, non si distingueva la linea dell’orizzonte, il grigio era uniforme, sembrava di stare camminando all’interno di una bolla privata della luce. Era così tranquilla quella passeggiata, un cammino nel sogno, cercando invano di intravedere le stelle scrutando il cielo.

 

Con la pioggia e il vento chiusi nella mano


Volevo restare ferma, proprio

nell’attimo prima della caduta,

ma guardare la pioggia e dire

il suo nome, no, non si può

farlo insieme, perché si deve

rispettare sempre il doppio

movimento di pensare il cuore

di una rosa e imparare a

sentirne il profumo. La pioggia,

invece, non ha un suo profumo

ma trasporta quello degli amanti,

così, a volte, anche le rose vivono

in quella trappola di sensi amorosi.

A volte mostra una bocca di lupo,

la pioggia, ma non può farci paura,

perché sorride e noi per amore,

crediamo nella sua bontà. Così

papaveri e mandorle diventano

icone di un passato che abbiamo

conosciuto solo attraverso quel

poeta, e nessuno, neanche questa

pioggia, sa dove sta andando.

Sorella del vento, cadi piano, alza

la fronte e non tornare là dove

tutto è iniziato, dove le porte

sono spalancate e non ci sono mai

parole già scritte, ma solo sussurri

che raccolgono conchiglie e rami

secchi nella parabola dell’azzurro

che grida il tuo nome.

 


Quanti echi di poeti sento oggi nella pioggia e nel vento? Quanti desideri e quante intenzioni? Era bellissimo il lago Maggiore, anche sotto la pioggia, anche senza orizzonte. 

Oggi è sabato 30 ottobre del secondo anno senza Carnevale e questa Cronaca 601 si è affidata alle gocce e al vento, li porta chiusi nella mano e aspetta che sia finita la trasformazione.

venerdì 29 ottobre 2021

Cronache dagli anni senza Carnevale/600. Siamo ancora qui, nel vortice delle stagioni e delle ripetizioni

 



 

I bambini sciamano fuori da scuola come ogni giorno alle 16.30 e mi ritrovo circondata da streghe, orchesse e vampire. Sono soprattutto le bambine a essere già mascherate per Halloween, un ritorno del Carnevale fuori stagione, e sono deliziose. Il sole di ottobre continua a non dare tregua, fa troppo caldo nella città mai silenziosa per essere arrivati ormai alla fine del mese, le foglie ormai cadono a legioni e l’aria è ancora così dolce, almeno qui. In questa atmosfera sto leggendo e scrivendo storie di fantasmi e di revenant, rileggo il nuovo romanzo, faccio correzioni e variazioni.

 

 

Quando le stelle si affacciano nel cielo ancora chiaro

 

Quando arriva la fine

di un mese vedo i suoi

giorni scivolare nel grande

cerchio del tempo passato,

mentre i giorni che verranno

sono come pane ancora nel

forno. Forse per questo l’aria

ne ha il profumo stamane,

insieme a quello delle foglie

cadute e delle pozzanghere

che evaporano al sole. Vita

vorrei saperti dire con parole

diverse e nuove, ma forse

all’autunno si adattano meglio

le ripetizioni e i ritorni.

Vivere è questo, tornare

nello stesso luogo e sapere

che è sempre uguale, sempre

diverso. Cadete mie foglie

ottobrine e tornate presto

quando sarà primavera,

cadete e guardate come

brilla il sole, come le stelle

si affacciano nel cielo

ancora chiaro.

 

 

Per la Cronaca 600 (Seicento!) di venerdì 29 ottobre del secondo anno senza Carnevale, avrei voluto scrivere cose nuove e meravigliose. Invece ho scritto di cose vecchie e meravigliose, presa nel ciclo delle ripetizioni, nel vortice delle stagioni.

giovedì 28 ottobre 2021

Cronache dagli anni senza Carnevale/599. Cosa è realtà? Cosa è immaginazione?

 


Di colpo il buio arriva prima che il pomeriggio sia finito, mi sorprende alle spalle mentre scrivo e solo le ombre degli oggetti nella stanza mi fanno capire che un altro giorno è passato.

Quanto tempo è trascorso per arrivare sino a questo momento diverso, quello in cui un giorno e la vita finiscono con il coincidere? Smetto di scrivere e guardo dalla finestra le sagome dei rami immobili nell’assenza di vento. Ci sono le tende, i vetri, le imposte sono aperte, il mio sguardo è protetto dal mondo esterno, posso concentrarmi su quello che accade in questa stanza e nel mio cuore.

 

 

Se la realtà è solo un vetro trasparente

 

Si riempiono a turno

il vaso della realtà e

quello dell’immaginazione.

Con che lacrime sto

abbeverando il tempo

di queste parole? Dorme

sulle tue spalle come

un predatore notturno,

esce a dissetarsi solo

all’alba, quando crede

che io non stia guardando.

Ma è nel presente che

sto piangendo e il vaso

trabocca e solo allora

vedo in un angolo quel

terzo vaso tutto sbreccato,

è di un azzurro pallido,

il suo colore è un tono che

mai avrei usato per dire

il passato. Guardo intorno e

ogni sillaba decade come

un atomo radioattivo quando

mi muovo nella stanza dove

solo i ricordi sembrano avere

vita. Alcune scivolano nel

vaso e si acquattano, altre

cadono a terra e si polverizzano,

poche prendono il volo e vanno

a sbattere contro la finestra

chiusa e mi dicono che questa

è la nostra realtà: un vetro

trasparente che non riusciamo

a oltrepassare.

 

 

Raccolgo le sillabe cadute per la mia collezione, brillano come ciottoli raccolti in riva al mare. Mi ricorderò di questi momenti quando le prenderò in mano in quel giorno in cui tempo e memoria saranno all’unisono nelle mie parole?

Oggi è giovedì 28 ottobre del secondo anno senza Carnevale e la sua Cronaca 599 è stupefatta di essere l’ultima che inizia con il numero 5 e vorrebbe uscire dalla finestra, vorrebbe che io la lasciassi andare e poi ritornare.

mercoledì 27 ottobre 2021

Cronache dagli anni senza Carnevale/598. Il passato arriva sino a noi con il respiro degli oggetti

 


 

 

Il mattino presto, molto presto, è quello il momento in cui possiamo sentire il respiro del mondo. Sentire non solo con le orecchie, ma con tutti i sensi.

Quando la luce ritorna il chiaro del mondo respira, gli alberi stendono verso il cielo i rami e dentro la terra le radici.

Aria e respiro del mondo sono un tutt’uno per noi, l’aria che pervade, l’aria che sorregge, l’aria che spinge. Unico elemento invisibile, non ha colore, lo riconosciamo perché agita le forme degli altri elementi.

Quando sfiora i rami, sfiora anche le nostre mani e i nostri capelli, ci fa vivere e se sentiamo l’aria espandere i nostri polmoni, allora sappiamo di stare bene. Se il petto è contratto e l’aria entra ed esce a fatica, è segno che qualcosa non va.

Quando emettiamo aria intonata ecco che stiamo cantando, esce in forma di risa quando siamo allegri e in forma di sospiri quando siamo pensosi o nostalgici.

Se moduliamo l’aria con la bocca, la lingua e tutto l’armamentario, ecco che stiamo parlando, e se leggiamo i segnetti neri sul foglio bianco, trasformiamo dei segni in significati e le parole in storie.

  

Come fermare un’immagine in fuga

 

Non respiriamo con intenzione,

respiriamo con naturalezza e

allegria. Sento il mondo

espandersi intorno e dentro,

così che l’albero metta radici

forti in noi e rami tra i nostri

capelli. Quando sospiro è

sempre un’immagine fuggita

che vorrebbe trovare la sua

storia, non la fermo, anzi

la seguo e respiro, perché

so che questo la riporterà

da me. E un canto improvviso

sorgerà dal bosco.

 

 

Oggi ho respirato solo chiusa tra le mura di casa, niente passeggiate, circondata da oggetti che portano con sé il nostro comune passato. E un po’ del mio respiro è rimasto con loro.

Oggi è mercoledì 27 ottobre del secondo anno senza Carnevale e questa Cronaca 598 si muove e respira in quel passato che non ha conosciuto.

martedì 26 ottobre 2021

Cronache dagli anni senza Carnevale/597. Quando si muovono nuvole e tempeste

 

 


 

Dire acqua è dire mare, nuvole, pioggia. Le forme dell’acqua, che non ha forma, sono quanto di più affascinante possiamo ammirare in natura. L’acqua, in forma di pioggia, è l’unico elemento che cade sulla terra dal cielo e al cielo può ritornare. Alle foglie non è dato questo privilegio, che ha un prezzo, cioè l’impermanenza delle nuvole. Niente è più effimero, meraviglioso e celestiale di una nuvola. È fatta di vapore acqueo, il vento può disperderla, così come il calore. Ma può diventare pioggia e riscattare la sua bellezza dissetando la terra, quando è benevola, portando devastazione e morte, quando non lo è, così come sta accadendo nella provincia di Catania in queste ore. È un terra bellissima quella, di cui ho solo buoni ricordi e che ho visto in tutte le stagioni, ma sempre con un clima mite e paesaggi meravigliosi. Faccio fatica e mi addolora immaginare la devastazione in città, sulle colline circostanti, nei meravigliosi paesini della cintura etnea: Biancavilla, Pedara, Trecastagni, Zafferana, Belpasso, Linguaglossa, Acireale e Aci Castello, San Giovanni La Punta, Sant’Agata li Battiati, Bronte. Li ricordo bene, sono stata in quasi tutti, in anni lontani di felicità giovanile. Erano belli i luoghi, le persone, i paesaggi, il cibo, il profumo di eucalipti e zagare nell’aria, gli alberi del pepe, gli ibischi dalle mille sfumature di rosso e di bianco, le bouganville rosa e rosa.

Anche le nuvole avevano sfumature rosa all’alba e al tramonto, quando le guardavo e non c’era bisogno di indovinare per sapere che non c’era pioggia lassù, ma solo bellezza in movimento.

Ma non amo solo le nuvole, amo anche la pioggia e la neve, acqua cadente e acqua gelata. Un pomeriggio di pioggia evoca l’autunno, un temporale l’estate, una pioggerellina la primavera e la neve ci porta nel cuore dell’inverno, sospesi tra dicembre e le sue feste e gennaio, il mese più lungo e freddo dell’anno.

Quando l’acqua si raccoglie in grande quantità dopo la pioggia, o quando la neve si scioglie, ruscelli, torrenti e fiumi corrono verso il mare, verso il nostro bellissimo Mediterraneo, uno dei luoghi benedetti dagli dèi.

 

 

 

Se la pioggia canta con le voce delle sirene

 

Porto con me poche

gocce di pioggia che

ho raccolto dalla mia

finestra, perché non era

pioggia destinata a

diventare fiume o mare,

con me la porto per

cambiare una forma

in un’altra che non era

data. Anche se sono

molte le regine che

muovono nuvole e

tempeste, ho avuto io

pure questa licenza oggi

nel pomeriggio e così

posso portare la mia

pioggia nel tuo mare

e stare a vedere cosa

succede. Parleranno

la stessa lingua? Come

si parleranno, se un’acqua

è salata e l’altra cittadina?

Verso le gocce nella mano

a conca, poi mi chino e piano

scendo sotto la superficie

dell’onda e vedo una sirena

passarmi accanto, ancora

non sento la sua voce, ma

so che è alle mie gocce

che sta cantando.

 

 

Mi piace riscrivere cose già scritte, mi piace dire poeticamente cose che sanno già tutti. Per questo scriverò ancora del mio amore per la pioggia, le nuvole e il mare.

Oggi è martedì 26 ottobre del secondo anno senza Carnevale e questa Cronaca 597 corre con le nuvole e scherza con la pioggia, è dispettosa come il vento e di nuovo corre a saltare nelle pozzanghere.

lunedì 25 ottobre 2021

Cronache dagli anni senza Carnevale/596. Danzare intorno al fuoco, recitare poesie a memoria

 

 


La terra è sabbia, bianca, rosa, nocciola, grigia, in riva a mari e oceani. La terra è fango dopo la pioggia, è bello saltarci dentro come si faceva da bambini. La terra è nido dei semi, nutrimento degli alberi e dei fiori. Una delle esperienze più appaganti è mettere a dimora le piantine di pomodoro, basilico, zucchine, peperoni e melanzane, le insalate e le altre erbe aromatiche. È bello affondare le mani nude nella terra, sentire l’aroma che si sprigiona e l’invisibile legame con chi ha compiuto o sta compiendo i medesimi gesti, con quella stessa terra, in un altro tempo. La terra non malleabile la chiamiamo pietra, sasso, macigno, se è molto grande sarà una collina o una montagna. Con la terra impastiamo l’acqua per farne anche mattoni che con la pietra e il legno sono gli elementi di base delle nostre abitazioni. Se facciamo incontrare la sabbia al fuoco ecco che potrebbe nascerne del vetro, vetro trasparente che la luce attraversa sino ad arrivare alle foglie. Mi sorprende sempre sentire come gli elementi siano in profonda relazione tra loro e possano diventare oggetti per la creazione della poesia. Il poeta assomiglia all’alchimista perché crede nelle proprietà segrete della materia e nel potere evocativo della parola, così nascono le poesie, materia e parola che danzano intorno al fuoco delle immagini.

 

 

Nascere dove il fuoco starà bruciando

 

Il fuoco, proprio quel

fuoco, è acceso e brucia,

ci chiama a danzargli

intorno, presi nella vertigine

della materia e della parola.

Brillano tra le fiamme, solide

e fatte di vento, le immagini

che abbiamo raccolto come

le api fanno con il polline. Ora

è piena la nostra arnia, possiamo

sciogliere i dubbi e lasciare

alla poesia di indicarci una

nuova direzione, proprio ora

che ci siamo smarriti, proprio

ora che l’autunno soffia sulle

nostre fiamme e chiama

l’inverno a portarci nel luogo

bianco dove non siamo nati,

dove nasceremo se brucerà

ancora tutto questo fuoco

di scintille e immagini vere.

 

 

Ora è la stagione della semina e poi del riposo, la terra ha accolto i semi del grano, abbiamo raccolto la legna per affrontare l’inverno, guardiamo i melograni splendere, quasi pronti a essere raccolti e ci chiediamo quanto sarà freddo l’inverno che viene, quanto sapremo aspettare il ghiaccio e l’attesa, un’attesa fatta di molte immagini e di poche parole.

 

Oggi è lunedì 25 ottobre del secondo anno senza Carnevale e la sua Cronaca 596 danza intorno al fuoco e recita poesie a memoria.

domenica 24 ottobre 2021

Cronache dagli anni senza Carnevale/595. Sulle origini e la natura del fuoco in una domenica autunnale

 

Il primo fuoco è arrivato da una stella fredda e remota che varcò i nostri cieli e cadde su un albero morto e secco. No, il primo fuoco è figlio del fulmine, mentre gli dèì combattevano invisibili agli occhi umani, nel pieno di una tempesta mai vista, un fulmine andò oltre il confine dell’Olimpo, che neanche si chiamava così al tempo, e cadde su un altipiano dove vivevano piccoli gruppi di cacciatori nomadi. Enorme fu il terrore, ma quando si avvicinarono, videro che alcuni piccoli animali, simili alla lepre, erano rimasti intrappolati dalle fiamme, l’aroma era buono, il sapore anche. Poi uno dei cacciatori si avvicinò a un fuoco che ancora non si era estinto, si provava una sensazione piacevole a stargli accanto, perché il freddo della sera che scendeva si allontanava e tornava solo quando il fuoco diventava brace.

O forse fu padre sole a lanciare uno dei suoi raggi d’oro infuocato verso le miserabili creature che brulicavano ai bordi delle foreste, e dormivano tra rami e caverne e per vivere seguivano gli spostamenti degli animali di cui si nutrivano.

Il fuoco è calore, cibo cotto, illuminazione, passione, immaginazione, creatività, mania, vaticinio, nostalgia, casa, focolare, distruzione, incendio, bruciò Roma per mano di Nerone, bruciarono migliaia e migliaia di libri nei roghi nazisti, bruciarono streghe e maghi nei roghi dell’Inquisizione. Il fuoco abita il cielo tanto quanto la terra e i suoi anfratti più nascosti, il vento lo alimenta o lo spegne, così come possono fare sia l’acqua che la terra. Forse per questo il fuoco gareggia in velocità con l’aria per allontanarsi quando le cose si mettono male, forse.

So che il fuoco è un grande conforto quando accendo la stufa, qui nella Casa delle Parole, metto a bollire l’acqua per il tè, e le castagne a cuocere, solo per il piacere di respirarne il profumo abbrustolito. Quando accendo il camino, allora so che casa è proprio casa, che non ho più bisogno di camminare nel giardino, in riva al mare o in direzione dell’altipiano. Prendo un libro da iniziare, la tazza del tè e mi siedo nella poltrona preferita accanto al camino. Ora il mondo esterno so che smetterà di esistere e solo nel libro il vento soffierà attraverso le cime tempestose.

 

 

Il pensiero è un airone che cerca di ritrovarsi in volo

 

Apro le pagine a caso,

lo faccio sempre quando

inizio un libro nuovo, lo

faccio anche se il libro

già lo conosco, perché

so che saranno le vecchie

letture a guidare la mia

mano. Senti come urla

il vento tra gli alberi e

le cime, proprio in fondo

all’altipiano? Senti come

urla proprio nelle pagine

di questo libro? Mentre è

il crepitio del fuoco a dire

la stagione fredda che è

di nuovo padrona delle

nostre vite. Nella prima

ombra della sera mi è

sembrato di veder volare

un airone, ma non sono

certa che ne siano rimasti

ancora nei nidi vicini al lago.

Forse non era un airone,

ma solo un vecchio pensiero

che ha trovato la strada per

andare a cercare un cuore

nuovo dove posarsi e aspettare,

nel vento e nel cielo scuro

di questo domenica autunnale.

 

 

Ho camminato a lungo, come faccio sempre quando sono nella terra ai piedi delle Montagne della Nebbia. Ho camminato così tanto da non sentire più i piedi e le mani e il fuoco è un conforto che vivifica e riunisce il corpo all’anima e non ci sono molte altre scuse, solo l’autunno con i suoi fuochi e questa Cronaca 595, e la sua poesia, di questa domenica 24 ottobre del secondo anno senza Carnevale.

 

sabato 23 ottobre 2021

Cronache dagli anni senza Carnevale/594. Un paesaggio non è solo un ricordo, è anche la cornice che il nostro sguardo gli ha costruito intorno

 

 


Non so perché ma mi accorgo spesso del tramonto perché sento un cane che abbaia in lontananza. Questo mi accade non solo nella città non più silenziosa, ma accadeva anche quando passavo l’estate in campagna, le vacanze di dicembre a Orta San Giulio o a Santa Caterina Valfurva. Il cane che abbaia è sempre per me una porta che si apre e in rapida sequenza vedo il paesaggio delle colline che si appoggiano alla Montagna Magna tra i comuni di San Marco Argentano, Fagnano Castello e Roggiano Gravina in Calabria, la cittadina di Orta e l’isola di San Giulio, la Valfurva con Bormio. Ma cosa accade subito dopo le immagini che tornano insieme all’abbaiare del cane in lontananza? Prima di tutto devo notare che le immagini non sono mai le stesse, variano le altezze, le angolazioni, il clima, l’intensità della luce, la vegetazione. Poi sono gli odori che tornano nelle narici: legna bruciata, fichi maturi, oleandri in fiore, castagne sul fuoco, neve appena caduta, temporale estivo. Così mi tocca riconoscere che interi mondi abitano tra le narici e gli occhi e se ne stanno acquattati in attesa di un cane che abbaia in lontananza. Quando sono a Milano, soprattutto in autunno e se non piove, insieme al cane, alle foglie che cadono, alla luce che scema, sono le prime note del Köln Concert di Keith Jarrett che accolgono nelle mie orecchie la notte che viene.

 


La musica che cambia e non cambia

 

Lo so, lo so che ogni

memoria è una costruzione,

per questo mi piace

vedere e sentire cosa

ci sarà di nuovo ogni volta

che un cane in lontananza mi

annuncia il tramonto.

Non è strano sapere,

quando ricordiamo, che

siamo lì in quello spazio

remoto e qui, proprio qui

nella nostra stanza, sedute

alla stessa scrivania dove

per la prima volta, secoli

fa abbiamo ricordato quelle

colline, i fichi maturi, la pioggia

d’estate e la musica che cambia

e non cambia a seconda se

mi lascio prendere dalla nostalgia

o dal desiderio di ascoltarla

una volta ancora.

 


Un paesaggio non è mai soltanto un’immagine, non è solo un ricordo è anche la cornice che il nostro sguardo ha costruito, è l’intenzione con cui abbiamo guardato, la caparbietà con cui vogliamo ricordare e scrivere. Non è vero Fiammetta, Maria Teresa, Letizia, Giusy, Lucia, Paola, Stefania, Susanna, Giorgio e Lorenzo, compagne e compagni d’avventura in questa esplorazione del paesaggio del romanzo?

 

Oggi è sabato 23 ottobre del secondo anno senza Carnevale e questa Cronaca 594 è barocca nelle intenzioni e razionalista nella stesura. Sta ancora camminando per Milano, alla ricerca di un nuovo punto di vista.

venerdì 22 ottobre 2021

Cronache dagli anni senza Carnevale/593. Stare alla finestra tra intenzione e contemplazione

 


 

Non vedo mai il cielo intero quando sono qui, nella città silenziosa. Sempre il cielo è ritagliato dall’albero bellissimo, nella stagione bella sono germogli e foglie a scontornarlo, in quella fredda sono i rami spogli. Negli spazi liberi tra rami e foglie vedo il passaggio delle nuvole, vedo il volo delle rondini, vedo le stelle che splendono, lontanissime e fioche. Il cielo ha il suono del vento, delle nuvole e delle tempeste. È una voce in prestito la sua, perché il cielo è silenzioso e tondo, liscio e distratto, mai tutto intero. A volte gli spuntano occhi, stelle più luminose per non si sa quale misterioso gioco delle lontananze, e sembra scrutarci. Io e la finestra restiamo un po’ in disparte, nascoste dai rami e delle foglie, e non ricambiamo lo sguardo, ma impariamo a guardare meglio, impariamo a immaginare quel che non riusciamo a vedere. Se il cielo non ci offre, a me e alla mia finestra, abbastanza spunti per discutere e procedere nella conoscenza metafisica del mondo intorno, è la finestra che mi ricorda che è grazie all’intenzione che possiamo cambiare il nostro sguardo sul cielo, sugli alberi, sulle foglie e sulle nuvole. Così torniamo a sederci, anche le finestre sanno sedersi, e riprendiamo la nostra contemplazione congiunta. Il cielo non è di un solo colore, su uno dei rami c’è un nido, su un altro una fila di formichine. Dove sarà la città delle formiche? Su alcuni rami ci sono le tracce dei semi volati via, su altri la cicatrice delle foglie che sono già cadute. Ha sonno l’albero, lo capiamo all’improvviso, perché lo sentiamo sbadigliare, ma con quale voce?

Ascolto meglio e così riconosco la mia voce uscire sommessa dall’intreccio dei rami. È la mia voce, sono io che parlo, sono io che prego e aspetto.

 

Tra sogno e immaginazione

 

Quando mi fermo e

osservo la finestra,

vedo che lei fa lo stesso,

si china un poco, sorride.

Sembrano crederci anche

nuvole e stelle in questa

quiete cittadina. Ma io so

che fuori è già tempesta,

che l’albero si piegherà

al vento e alla pioggia, che

non brucerà abbastanza

il nostro fuoco mentre avanza

l’inverno e divora i confini

tra il sogno e i miei passi,

tra sogno e immaginazione.

 

 

 

Intenzione e contemplazione sono le parole di questo venerdì 22 ottobre del secondo anno senza Carnevale e della sua Cronaca 593 ancora affacciata, ancora intenta e silenziosa.

giovedì 21 ottobre 2021

Cronache dagli anni senza Carnevale/592. Sotto la grande quercia rossa non c’è una tavola rotonda

 


Sta proprio nel mezzo, maestoso e regale, proprio come si addice al re dell’Olimpo. Mentre Lunedì, Martedì e Mercoledì stanno alla sua sinistra, già seduti nel passato, Venerdì, Sabato e Domenica si aprono verso destra, verso il tempo che verrà. Giovedì, Giovedì che racconto mi porgi ora che stai finendo? Alla mensa della scuola elementare di giovedì c’era il menù peggiore, con il rollé di pollo in gelatina. Di giovedì la settimana ha già il suo peso, mentre il venerdì, la promessa del sabato si appropinqua. Quanti giovedì abbiamo vissuto sinora? Quanti ne vivremo ancora? Perché diamo così tanta importanza ai giorni della settimana? Forse perché ognuno porta nel nome il nome degli dèi e dei pianeti. Lunedì è la Luna, Martedì il dio della guerra Marte, Mercoledì è Mercurio il messaggero, Giovedì è Giove il padre di tutti gli dèì, Venerdì è il giorno di Venere, la dea della bellezza e dell’amore, ma per i Cristiani è il giorno della penitenza e della morte di Cristo. A Sabato, ma solo per i latini e greci, appartiene l’ombroso dio Saturno, e agli Ebrei il riposo, mentre è di Domenica, giorno del Sole e del Signore, che la luce torna a risplendere. Così viviamo, giorno dopo giorno, settimana dopo settimana, tutta la storia che ci ha preceduto, rivivono gli dèi dimenticati e quelli abbandonati. Ma tutti noi siamo conformati e abitati da questa sequenza del tempo, dalle leggende che contiene e con le quali potremmo intrecciare storie su storie. A me il giovedì evoca il Carnevale, dove lo si definisce “grasso” e forse perché è il pianeta più grande, non è difficile immaginarlo tondo e imponente che si ingozza di leccornie. Ma in questi tempi disincantati, dove niente delle forze numinose del passato funziona ancora, in questi tempi dove si continua a lavorare a casa per la maggior parte del tempo, il quarto giorno ha perso il suo splendore perché non annuncia più la fine della settimana. A Giove si consacrava la quercia e allora posso spostarmi io pure dal puro mondo dell’astrazione, da quel monte Olimpo, dove gli dèi vivono solo nel ricordo, per andare a ripararmi sotto la chioma maestosa della quercia più grande che abita nella città silenziosa, in piazza XXIV Maggio. È così pesante questa chioma che è stata puntellata e so che non dovrei stare qui sotto, perché è pericoloso e di sicuro a breve spunteranno i vigili e mi faranno minimo una ramanzina, se non una multa. Ma intanto che sono qui, tutti i rumori della città sono svaniti e sento gli uccellini che cantano sopra la mia testa, le foglie che hanno appena iniziato a ingiallire, le ghiande cadute a terra e qualche piccola quercia che è già spuntata a cercare la luce. Ogni quartiere di Milano ha almeno un albero simbolo e mi piacerebbe raccontare una storia, raccontarne la storia e fingere che anche i palazzi siano alberi e tutta la città solo un immenso bosco.

 

 

Nella foresta che non è Brocéliande

 

Se anche gli alberi sono

solo un’immaginazione,

non è bello credere che

l’antica foresta sia ancora

tutta qui? Possiamo sostare,

evocare le fate e i folletti,

anche se questa non è

Brocéliande la mitica e

non c’è un signore che

torna verso il suo castello

dove una regina fedele dorme

ancora, dove una tavola rotonda

è solo un desco e non ci sono

cavalieri e armature splendenti,

ma solo questa città vuota che

ha dimenticato le sue leggende

e le storie d’amore.

 

 

Anche oggi, giovedì 21 ottobre del secondo anno senza Carnevale, il giorno è finito e questa Cronaca 592 ha lucidato la tavola rotonda e spera che qualche cavaliere, almeno quel cavaliere, torni a sedersi per raccontarle una storia.