Le porte
aprono e chiudono, ci consentono l’ingresso nei luoghi chiusi, ci proteggono
dagli estranei. Apriamo le porte per entrare nel vasto mondo e affrontare ogni
nuova giornata.
Apriamo e
chiudiamo la porta della nostra casa e della nostra stanza, scegliamo lo spazio
ristretto, per lasciarci andare a quella intimità con noi stessi che solo le
mura intorno e il tetto sopra e un pavimento sotto, ci consentono.
Quando
usciamo, la porta alle nostre spalle verrà dimenticata sino al ritorno. Le
porte negli uffici di rado hanno resistito alla mania degli open space. Niente
porte da aprire e chiudere se non un’unica porta di accesso ai saloni. Intorno
il brusio del lavoro dei colleghi, nessuna intimità, controllo sociale
attivato, fatica a concentrarsi.
In tanti
anni di lavoro credo di avere provato tutte le combinazioni possibili di
ufficio, perché gli open space sono stati una moda, lo sono ancora, resistono
anche se meno disumanizzanti che negli anni Novanta e Duemila, adesso ci sono
dei minimi separé che proteggono dallo sguardo, ma per i rumori non si può fare
nulla, né si possono contrastare i malumori dei coinquilini, le loro sfuriate.
In questi
mesi di confinamento ho molto apprezzato il silenzio e la solitudine, benché io
passi diverse ore al giorno appesa al mio riquadro in una delle tante
piattaforme disponibili.
Un giorno
qualcuno scriverà della sparizione degli uffici e della retorica spaziale
connessa.
In un luogo
dove ho lavorato per tantissimi anni, agli impiegati venivano date sedie senza
braccioli, quelle con i braccioli erano riservate solo ai funzionari. Non era
il ruolo, ma il grado a sancire un diritto. I funzionari avevano sottomano,
portapenne e portacarta di vera pelle e un set di penne da firma come se ne
vedono ormai solo nei film degli anni Cinquanta e Sessanta.
Un giorno mi
si ruppe lo schienale della mia sedia e chiesi al segretario capo di averne una
nuova. Nel magazzino ce ne erano di due diversi colori, rosso arancio per gli
informatici e verdi per gli analisti di procedure. Ma non c’erano sedie rosse
senza braccioli, c’erano solo sedie verdi senza braccioli. Ma non la ottenni
perché io ero un tecnico informatico, non un’analista.
Così andai a
protestare dal vice capo della struttura che chiamavamo benevolmente “il
vescovo” perché si aggirava per i corridoi con aria pensosa, il busto chino in
avanti e, spesso, le mani dietro la schiena. Non era difficile immaginarselo
come un porporato che stesse andando a visitare il suo gregge.
Tornai dal
segretario capo, che si arrabbiò moltissimo, insieme al vescovo e tutti e tre
tornammo in magazzino. Infervorato l’uomo spiegò perché non potesse darmi una
delle sedie verdi senza braccioli, riservate agli analisti, né una sedia rossa
con i braccioli, riservata sì ai tecnici informatici, ma solo se funzionari.
Il vescovo
ben conosceva le mie veementi reazioni e così ordinò al segretario capo di
darmi una sedia rossa con i braccioli perché, e qui si mise a ridere da solo,
di certo non avrei preteso di diventare funzionario grazie alla sedia. Fu
l’unica battuta che gli sentii pronunciare in tanti anni trascorsi sullo stesso
piano, ma non l’unica occasione che la vita ci propose di vivere insieme
esilaranti situazioni da ufficio che vi racconterò nel corso del tempo.
Il
segretario capo, mi intimò di non dire a nessuno che avevo avuto in dotazione
la sedia con i braccioli. Protestai che se ne sarebbero comunque accorti tutti,
ma lui fu implacabile. Nessuno doveva saperlo, punto e basta. Peccato che tra
il magazzino e il mio ufficio ci fosse tutto il quarto piano da percorrere. Voi
non avete idea di quanto fossero lunghi quei corridoi! E siccome gli
informatici tenevano volentieri aperte le porte di quei magnifici uffici con
due grandi finestre, quattro scrivanie, quattro armadi e quattro sedie a bracciolo
variabile, ne approfittai per salutare tutti i colleghi. In questo caso il
maschile plurale non è un maschile plurale diventato universale, ma lo specchio
fedele della realtà, perché i tecnici informatici erano tutti maschi e all’epoca,
su circa centocinquanta baldi programmatori, analisti tecnici, sistemisti, operatori
e proceduristi, donne eravamo solo in sette. Tra gli analisti di procedure la
presenza femminile era un po’ più alta, ma solo perché tante ragazza che
facevano le “perforatrici” avevano cambiato ruolo. In ogni ufficio trascinai la
mia nuova dotazione potei riposarmi sulla mia sedia rossa nuova fiammante e con
i braccioli.
Mi sono resa
conto, ripensando a tutti gli anni trascorsi a una scrivania, che i capi più
pericolosi sono stati quelli della retorica della porta aperta. Quelli che ti
dicevano, bonari e sorridenti, che per qualunque problema la loro porta sarebbe
stata sempre aperta.
Come faranno
ora che le porte degli uffici sono sempre meno aperte e chiuse? Facezie a
parte, la sociologia, l’antropologia e la poetica degli uffici meriterebbero
indagini approfondite. Magari ricorderò in una Cronaca futura qualche altro
aneddoto degno di nota, almeno per me.
La retorica
delle porte è affascinante, ma trovo ancora più interessante la dimensione
spaziale della soglia, quel luogo che è dentro e fuori allo stesso tempo.
Vermeer è
stato il pittore della soglia, ho dedicato a questo tema un lungo intervento
tenuto una quindicina di anni fa alla Taverna San Tomaso, nel ciclo “Sentimento
dello spazio” organizzato dal poeta Danilo Bramati che già conoscete perché ho
incluso molte sue poesie nelle Cronache.
Lo sguardo
di Vermeer si ferma sempre abbastanza lontano dal soggetto ritratto, che non
sembra quasi mai accorgersi dello sguardo del pittore.
Anche in
poesia il tema della soglia e dello sguardo è ricorrente, ma non andrò oltre,
perché volevo scrivere solo delle porte di casa che si aprono sempre meno
spesso, delle soglie dove non possiamo fermarci, degli uffici che sono retaggi
del passato.
O forse,
come ha dichiarato Umberto Galimberti, ma non so più dove, “Cosa ci ha
insegnato la pandemia? Niente. Torneremo al precedente stile di vita con la
foga di chi ha vissuto un periodo di astinenza”.
Non sono
certa che abbia ragione, non credo che abbia ragione, spero che non abbia ragione;
però è vero che siamo una società in crisi di astinenza.
A volte ci
vogliono interruzioni brusche per imparare la differenza tra le cose buone e le
cose cattive. Qui mi fermo e vado a fare una chiacchierata con la mia porta di
casa che vedo ormai di rado. Dovrò inventarmi qualcosa per vivificare la nostra
relazione.
Oggi è un
giovedì dodici del mese di novembre dell’anno senza Carnevale. È notte, le
porte sono tutte chiuse, le strade silenziose. Dormono gli alberi e i bambini,
chi proteggerà i loro sogni se gli adulti e il vento sono così incerti e preda
di sgomento?
P. S.
qualche tempo dopo la mia pretesa della sedia con i braccioli, il vescovo considerò
che anche gli impiegati dovevano beneficiare della maggiore comodità delle
sedie dei funzionari. Così tutti avemmo, ufficialmente, la nostra sedia rossa
con i braccioli a prescindere dall’inquadramento.