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sabato 14 maggio 2022

Cronache dagli anni senza Carnevale/797. L’odore di casa e d’infanzia

 

 


 

Ecco abbiamo quasi finito, la luce del pomeriggio entra morbida da Ovest e quando dico la parola casa, sono queste le stanze che subito mi saltano negli occhi. Certo non ci sono più i rumori noti, il suono dei vostri passi, le vostre risa, le voci sommesse che parlavano di notte al di là del muro, il respiro lieve del fratellino che dormiva accanto nella culla che pure era stata mia. È una belva feroce il tempo, una belva che ci lascia crescere e nell’ombra aspetta solo il momento per gettarsi su di noi e riprendere tutto quello che ci aveva dato. Ammesso che davvero qualcosa ci fosse arrivato tra le pieghe grigie della vita quotidiana. Ma è tutto finito, solo noi sappiamo quel che ho detto il giorno in cui ci portasti a vedere la casa. In punta di piedi davanti alla finestra della cameretta ti chiesi, papà: “Ma è tutta mia?”. “Tua e del fratellino” mi rispondesti mentre il fratellino se ne stava beato nel gorgogliare dei suoi sette mesi e guardava innocente quelle mura che sarebbero state davvero sue solo venti anni dopo. Ci sono stati lutti, commiati e distacchi in questi anni. E anche se so che le cose sono soltanto cose, staccarmi da qui è una delle prove più dure.

 

 

Una cosa, una cosa è rimasta

 

Ora che la casa è tutta in ordine

e pulita, ora che i vostri oggetti

preferiti hanno trovato dimora

nelle nostre case, posso salutare

le ombre e lasciarle scivolare via.

Ormai non riconosco più

queste mura, non riconosco

l’impronta dei vostri corpi sul

letto e nelle poltrone. Ma resta

una cosa, una cosa è rimasta:

è il vostro odore, l’odore di casa

e d’infanzia.

 

 

Lo so che siamo stati fortunati per averla avuta questa casa, per avere avuto una famiglia e molti ricordi. Dolori non sono mancati ma anche tanta gioia, gli alberi nel giardino e un luogo dove poter ritornare ogni giorno e ogni giorno dire: casa!

Oggi è sabato 14 maggio del terzo anno senza Carnevale e del primo anno di guerra e questa Cronaca 797 odora di casa e d’infanzia.

sabato 7 maggio 2022

Cronache dagli anni senza Carnevale/790. Nel profumo del limone maturo noi siamo creature d’infanzia e di lontananza


 


 

Di che colore è la lontananza? Azzurra, azzurra mi risponde la poetessa Anne mentre continua a vagare nella via nomade che l’ha rapita per sempre. Esiste dunque un per sempre? Solo nella poesia, solo nella letteratura mi dico. Una cosa accade, un amore inizia e inizia di nuovo e per sempre. Una cosa finisce, finisce un amore e per sempre continuerà a finire, per questo posso continuare a scriverti nell’azzurro delle lontananze. Posso poi fermarmi sul limitare della sera e aspettare che le stelle inizino a brillare per poter intessere anche il mio scialletto che diventerà così un manto regale. E con le stelle mi fermerò a respirare la notte, a lasciare che tutto il tempo scivoli nel tempo, come acqua che ritorna nel pozzo senza che nessuno se ne sia dissetato. Così verremo trascinati verso le sorgenti del giorno e potremo fermarci ad ascoltare il canto del merlo e scambiarlo per quello dell’allodola.

 

Così scrive Anne Perrier nel libro La via nomade:

 

Alzata prima dell’alba

getto al vento queste parole

manciata di semi dedicati

al mondo alato del giorno.

 

 

Per questo sabato di studio e di psicoanalisi ho scelto come compagna la poesia di Anne Perrier e come mi parlano le sue poesie!

 

Così nelle pause leggo e rileggo questi versi brevi e fulminanti e ne offro alcuni anche a voi lettori:

 

Nell’attimo in cui un limone maturo cade

sul palmo del giorno

i miei occhi ritrovano la freschezza

dell’infanzia.

 

 

Sì è proprio così, basta un limone e noi siamo creature d’infanzia e di lontananza. Anche in questo sabato 7 maggio del terzo anno senza Carnevale e del primo anno di guerra e questa Cronaca 790 profuma come un limone bello grosso e succoso.

sabato 23 aprile 2022

Cronache dagli anni senza Carnevale/776. Apparteniamo al paesaggio d’infanzia, gli altri paesaggi sono doni della comparazione e della differenza

 



Sono giorni che mi sveglio sempre prima della sveglia e prestissimo esco a godermi il silenzio della città, questa solitudine urbana che mi canta intorno come un intero coro di stelle o di folletti. Dopo la passeggiata sono andata in giro per commissioni con fratello e cognata e siamo andati a Baggio vecchia a fare la spesa da un fruttivendolo strepitoso che mi incanta ogni volta che ci vado. Ho fatto scorta di frutta e verdura per tutta la prossima settimana e comprato anche qualche delizia di fine stagione come le cime di rapa che ho deciso di fare fritte con olio evo e peperoncino rosso piccante, una delle ricette apprese da mia madre. È stata una giornata molto impegnativa, non di riposo, passata a selezionare oggetti, vestiti e libri. che sembra si moltiplichino da una volta all’altra. Sì è proprio così, le cose si moltiplicano per partenogenesi, non c’è nessun bisogno che le riproduciamo noi. Sono molto stanca, però è stato bello girare per le vie deserte e respirare quell’atmosfera che si trova solo nei vecchi quartiere di Milano, nei quartieri che un tempo erano comuni autonomi dalla grande città.

 

 

 

Il canto del città di sabato mattina

 

Vorrei comprendere in

quale lingua canta questa

mia città, ma non è una

lingua umana, così posso

solo immaginare e poi

cantare a squarciagola

la gioia semplice di essere

qui di essere viva, di

respirare, di camminare

e guardare la bellezza

umana che mi circonda.

 

 

 

Non c’è niente da fare, quando penso alla mia città divento sempre sentimentale e non riesco a non pensare com’era bello quando si tornava dalle lunghe vacanze estive e la pianura Padana ci accoglieva con la sua coltre di nebbiolina e smog, con l’odore della benzina nei distributori sull’autostrada, con la frenesia del casello di Melegnano e il cappuccino dell’ultimo Autogrill.

Forse è vero che apparteniamo soltanto al paesaggio della nostra infanzia, ai suoi colori, ai suoi odori. Tutti gli altri paesaggi li impariamo per comparazione e differenze.

Oggi è sabato 23 aprile del terzo anno senza Carnevale e del primo anno di guerra e questa Cronaca 776 ancora gironzola per le viette di Baggio vecchia.

giovedì 17 febbraio 2022

Cronache dagli anni senza Carnevale/711. Sentire il mondo con la gioia dell’essere bambini

 

 


 

Il paese dell’infanzia è un luogo fatto di luoghi, di profumi, di sapori. È un luogo di immagini, di sole, un luogo dove i genitori sono eternamente giovani, ci sono ancora i nonni e noi siamo solo bambini che corrono dentro e fuori dall’acqua in una giornata calda di agosto. Ma il paese dell’infanzia è anche un luogo di nebbia bassa, di cielo bianco, di un inverno infinito segnato dalle sirene delle fabbriche, dai giorni di scuola a guardare fuori dalla finestra e a vedere solo le cime degli alberi spogli e la pioggia che cade e cade.

Il paese dell’infanzia è un luogo nel cuore e nella memoria che coincidono in noi, anche se non tutti hanno questo desiderio di ritornare, forse perché non tutti hanno un tempo mitico dove le radici hanno fatto presa nella realtà e nel mondo e hanno dato all’albero dell’immaginazione il modo per crescere e potersi ripiegare su se stesso e nutrirsi della linfa della nostalgia e agitarsi al vento della memoria.

 

 

Dove affondano le radici del tempo

 

 

È un albero che ha radici

nel tempo, un albero fatto

di immagini, un albero dove

i sogni stanno appesi come

frutti maturi. Possiamo

sentire le radici, possiamo

immaginare il mondo

sotterraneo che le nutre.

Così come sentiamo che

soffia il vento del tempo

presente  e che ogni

istante scivola dalla corteccia

giù sino al terreno e cerca

dove fermarsi, cerca un modo

per tornare nel visibile se

la memoria ci avrà fatto

la grazia, se continueremo

a sentire il mondo con la gioia

dell’essere bambini.

 

 

Sto ferma sotto all’albero, sento le radici, le vedo affiorare, la linfa scorre veloce da loro al tronco, ai rami ancora spogli, alle gemme che iniziano a spingere. Oggi è giovedì 17 febbraio del terzo anno senza Carnevale e questa Cronaca 711 se ne sta meditabonda quanto me ad accarezzare il muschio sul tronco dell’albero.

martedì 8 febbraio 2022

Cronache dagli anni senza Carnevale/702. Come un lupo è il vento


 


 

Amo il vento, quello reale, quello cantato dai poeti, quello atteso quando si è in mare aperto. Ieri è stata una giornata di vento inatteso e inusuale qui a Milano, un vento cattivo che ha ferito persone, abbattuto alberi, cornicioni, danneggiato staccionate, muri e tetti. Per fortuna non dovevo uscire e non l’ho fatto, ma ho visto anche sui poveri alberi nella mia strada, l’effetto ventoso di questo evento anomalo. Una volta il vento a Milano era talmente raro da essere una festa, ne ho scritto talmente tante volte, sia nei romanzi che nelle poesie, soprattutto nelle poesie, dove il vento è spesso uno dei protagonisti dei miei versi e che ho anche usato nel titolo del mio quarto libro Scrivere il vento, per l’appunto. Quando c’è il vento qui nella città mai più silenziosa la prima poesia che mi viene sempre in mente è questa di Attilio Bertolucci tratta dalla raccolta Sirio del 1929:

 

Vento


Come un lupo è il vento
che cala dai monti al piano,
corica nei campi il grano
ovunque passa è sgomento.
Fischia nei mattini chiari
illuminando case e orizzonti,
sconvolge l’acqua nelle fonti
caccia gli uomini ai ripari.
Poi, stanco s’addormenta e uno stupore
prende le cose, come dopo l’amore.



Quando il vento smette di soffiare è proprio lo stupore che resta e il silenzio, un silenzio diverso dal silenzio precedente. Mi viene in mente una giornata ventosa e letteraria del settembre della terza media, quando avevo letto su una rivista femminile un racconto che si intitolava (forse) “Stasera scrivo una lettera a Mauro” e la protagonista femminile si chiamava Elena. Mi ero così emozionata, come se fosse un segno del destino, perché Mauro era il ragazzo per cui avevo una cotta, come qualche altra decine di ragazzine, perché lui piaceva a tutte, aveva i capelli biondi lunghi e suonava la chitarra. Tra le altre fan c’era una cattivissima compagna di classe, tale Antonella che con la sua sodale Laura (mi ricordo i cognomi di tutti, ma non sarebbe gentile scriverli), si appropriò del mio diario da me sbadatamente lasciato sotto il banco durante l’ora di ginnastica. Quando tornai in classe mi accorsi subito che il diario era stato spostato ma non mi aspettavo certo di trovare le pagine strappate. Credo di avere litigato con le due compagne di classe, quel racconto non riuscii mai più a recuperarlo e rileggerlo, ma quell’aura della giornata di settembre ventosa e amorosa è rimasto in me, intatta, come se davvero io avessi vissuto nel racconto. Non so che fine abbiano fatto gli altri protagonisti di questa breve storia, certo Antonella resterà la ladra di racconti e Laura l’aiutante stupida. E che dire di lui? Posso dire solo che era bello e che suonava bene la chitarra. Chiudo così questa giornata senza più vento, dove i ricordi tornano a posarsi come polvere e foglie secche nella città della memoria. 

Oggi è martedì 8 febbraio del terzo anno senza Carnevale e questa Cronaca 702 ancora corre nel vento.

venerdì 4 febbraio 2022

Cronache dagli anni senza Carnevale/698. Immenso e profondissimo, un frammento di ieri

 


 

Cosa resterebbe di questa giornata se non ne scrivessi in questa Cronaca? Non lo saprò mai, non so come funzionino i meccanismi della mia memoria. Potrebbe accadere tra qualche tempo, giorni o anni, che un’immagine ripetuta, un refolo di vento, una lama di luce funzionerebbero come chiave per la porta serrata che celerà le ore di questo giorno. Un giorno di aria umida, di odore di prati e foglie secche che mi hanno riportato a certi interminabili pomeriggi dell’adolescenza, dove il tempo futuro della vita adulta era un sogno più che un progetto. Oggi sono tornata con passo lento in quel tempo e ne ho portato frammenti con me, sino a questo scritto, sino a queste parole. È stata anche una giornata di grande polvere, di starnuti, di vecchi libri, di quaderni dimenticati che credevo già buttati da decenni. Fa sempre un certo effetto ritrovarsi davanti la propria grafia bambina e riconoscere le “o” panciute e le gambette di “f” e “p” con l’occhiello. Qualcosa ho deciso di conservare, soprattutto i vecchi quaderni Pigna con copertine bellissime che non sono più in produzione da anni. Messi in fila tutti i ricordi, a meno che non ci si chiami Marcel Proust, sono forse a malapena un paio per ogni mese vissuto. Ma anche se noi non ricordiamo, quella vita, quel tempo, vivono in noi, ancora e per sempre, anche se noi non lo sappiamo.

 

 

Dopo essere stato lupo

 

È rimasto quel frammento

verde di vetro, una conchiglia,

un sasso e quel giorno al

mare torna da noi e ci

trascina in spiaggia. Vedo

ancora il costume rosso e

le ciabattine di plastica, e

un secchiello, una paletta,

il castello di sabbia era

immenso e profondissimo

il fossato intorno e tornava

il cavaliere ogni mattina

dopo essere stato lupo,

notte dopo notte, qui

con me e il buio.

 


È passato così un altro giorno di questo terzo anno senza Carnevale, venerdì 4 febbraio e questa Cronaca 698 è impolverata e taciturna, meditabonda. Le nostre ombre sono rimaste in quel prato dell’adolescenza, hanno abbandonato i nostri passi e torneranno, forse un giorno torneranno e noi non sapremo perché e dove.

lunedì 31 gennaio 2022

Cronache dagli anni senza Carnevale/694. La fisica quantistica della carta e dei libri

 

 


 

Come scegliere cosa tenere e cosa gettare? Metterò mai più quel lungo abito color avorio? Rileggerò quel romanzo che mi era piaciuto così tanto? Ha senso continuare a conservare i ritagli delle recensioni più interessanti a libri che poi non abbiamo mai comprato? E quelle vecchie fotografie sfocate di gente che non abbiamo visto mai più, che senso ha tenerle ancora? Sono domande che mi pongo tutte le volte che faccio ordine negli armadi, nei cassetti e nelle librerie e più passa il tempo più mi rendo conto che il senso non esiste se non perché ogni oggetto è la chiave di una diversa porta che ci conduce nel passato, un passato di cui non siamo più consapevoli, salvo quando prendiamo in mano quel romanzo leggero e piacevole e ci ricordiamo anche della piacevolezza di quel pomeriggio in spiaggia stesi a leggere e a guardare il mare. Oppure quando riguardiamo le fotografie di vecchi colleghi con cui non lavoriamo più da anni ma, che nel tempo che abbiamo condiviso sono stati importanti. Allora cosa tengo e cosa butto? La biblioteca accetterà anche questi romanzi remoti? Le fotografie le conservo ancora, dei libri ho imparato a fare a meno e a regalarli, perché possano continuare a seminare piacere e curiosità anche in altre menti, soprattutto quando ho la certezza che non li rileggerò mai più. La cosa stupefacente di ogni riordino è che, nonostante la quantità di libri e oggetti regalati o buttati via, secondo la ben nota legge della carta polistirolo, sul ripiano della libreria non ci sarà comunque nessuno spazio per un libro nuovo. Questo è uno dei misteri della fisica quantistica dei libri, soprattutto quando siamo certi di avere finalmente riposto in ordine di pubblicazione tutti i libri di Paul Auster e, non si sa come, troviamo in mezzo un Philip Roth che, a parte la condivisione della casa editrice italiana, non centra proprio nulla. Lo stesso accade quando riordiniamo tutti i libri di e su Katherine Mansfield e Virginia Woolf. Sono sempre molti, molti di più di quanto non ricordassimo, così dobbiamo fare e disfare l’ordine dieci volte prima di averli raggruppati secondo un ordine solo a noi noto e che presto avremo dimenticato e rimettere le mani su quei ripiani sarà sempre come partire per una caccia nella jungla nera e selvaggia. Il segreto che tutti gli amanti dei libri conoscono è che i libri parlano tra loro e si raccontano di notte con voci sussurranti che le nostre orecchie sensibili di lettori e maniaci riusciamo a sentire. Per questo impariamo molto più di quanto una semplice lettura potrà mai darci. Perché i libri sono come i gatti, affamati e riconoscenti, fanno le fusa per attirare la nostra attenzione e quando cadiamo tra le loro sgrinfie, non possiamo resistere alla loro malia.

 

 

Navigare nel mare dell’infanzia

 

Con ogni libro costruisco

un mondo o lo distruggo.

Volo su un magico tappeto

e solco l’oceano più periglioso

mentre Nemo si inabissa tra

le onde dell’infanzia e la foresta

continua a richiamare non solo

cani e lupi, ma anche noi

bambini, quei bambini che

stanno sdraiati interi pomeriggi

e quando finiscono un libro,

lo iniziano da capo.

 

 

Che tenerezza avere ritrovato i libri che leggevo da bambina, sfogliarli e poi riporli in un ripiano speciale, quello dove stanno i libri che vogliamo continuino a farci compagnia. Una compagnia imperdibile di cui ci è impossibile fare a meno. Oggi è lunedì 31 gennaio del terzo anno senza Carnevale e questa Cronaca 694 ancora una volta ha smesso di spolverare i libri e si è messa a pancia in giù sul tappeto a rileggere Il giro del mondo in ottanta giorni, cosa che, a questo punto, penso farò anch’io.

venerdì 21 gennaio 2022

Cronache dagli anni senza Carnevale/684. La voce delle cose che sentiamo solo noi

 


 

 

Archeologia del tempo, archeologia dei giorni, disseppellire un mazzetto di vecchie foto in bianco e nero, dimenticate in mezzo ai libri. Ritrovare un paio di orecchini, regalo di un’amica perduta, una volta di più mi fa pensare che il nostro attaccamento umano agli oggetti non è per gli oggetti in sé, ma perché ogni oggetto porta con sé un significato che trascende la mera consistenza della forma e del materiale. Quando facciamo un regalo una parte di noi la trasferiamo al ricevente, una parte di noi che resterà attaccata per sempre a quell’oggetto. Vi ricordate di quando, qualche anno fa, si parlava di memoria dell’acqua? Ecco la memoria degli oggetti è certa, perché frammenti della nostra anima vanno a sistemarsi tra le pieghe delle materia come in un mosaico di cui ancora non conosciamo il disegno completo. Forse è anche per questo motivo che alcuni tra noi diventano accaniti collezionisti anche delle cose più bizzarre e inutili. Perché in quella serie di oggetti accomunati dall’uso, dalla forma, dalla provenienza, noi rispecchiamo una parte di chi siamo o di chi siamo stati. Un oggetto antico porta con sé tanto di quel tempo e di quell’energia. Per questo conservo un vaso di terracotta che stava nella cucina di mia nonna in Calabria e conservo anche un coprimaterasso di cotone a righe bianche e blu tessuto al telaio negli anni Venti del secolo scorso dalla nonna pugliese. Non ha importanza il valore commerciale delle cose, ciò che conta è il valore sentimentale, un valore che solo noi possiamo conferire e anche ritirare. Perché a volte gli oggetti diventano ricordo di qualcuno che non vogliamo più ricordare e per farlo è necessario sbarazzarsi proprio di quell’oggetto che un tempo era importante avere tenuto con sé.

  

Il miele della nostalgia

 

Li tengo sulla mensola,

uno dietro l’altro i vostri

oggetti che ho voluto

tenere. Un portasigari

di radica, un ditale di

ottone, un rocchetto di filo,

due fotografie di voi a

vent’anni, ma quanto

vi assomiglio? Ci sono

tutte le ombre del tempo

dietro ognuna di queste

cose e io sono rimasta

l’unica, l’unica testimone

di quel gesto della vostra

mano e tanto basta

perché la notte sia meno

scura e la nostalgia una

tazza di tè addolcito

col miele.

 

 

Ho trascorso molte ore di questa giornata a spolverare e sistemare oggetti che conosco da quando sono nata e oggetti che sono entrati nella mia vita in varie fasi e qui sono rimasti, come quando un naufrago ha trovato la salvezza di un’isola e non cerca il modo per andare via, ma il modo per restare giorno dopo giorno.

 Oggi è venerdì 21 gennaio del terzo anno senza Carnevale e questa Cronaca 684 indossa un cappello vintage saltato fuori da non so più quale armadio.

sabato 8 gennaio 2022

Cronache dagli anni senza Carnevale/671. Quando le ombre incontrano i volti è già sera

 


Come vanno donne e uomini sui vecchi marciapiedi del secolo passato? C’è chi scivola, chi accelera il passo, c’è chi inciampa per potersi fermare. Per andare da una strada all’altra a volte bisogna attraversare, c’è chi vorrebbe tornare indietro, chi non vorrebbe mai essere partito. Mi piace fermarmi a guardare il passo della gente, vedere come camminano alzando la punta o il tallone, se dondolano le braccia, se la testa oscilla, se si guardano intorno curiosi o guardinghi, se contano i passi, se evitano le righe sul marciapiede, se aggirano le formiche o le saltano. Dicono tanto di noi i passi, noi che non abbiamo ali per volare, né lunghi colli per andare oltra la cima degli alberi spogli. Il paesaggio intorno a noi, qui nella città silenziosa, muta di rado, solo le stagioni segnano un cambiamento, qualche volta un palazzo quando viene tinteggiato, qualche volta un albero malamente potato. I grandi cambiamenti nei quartieri più alla moda già appartengono al passato e i grattacieli di City Life svettano nel buio e dall’ultimo piano del mio palazzo posso ammirarne le mille luci notturne e immaginare le vite incapsulate dietro quelle finestre che sono intenzioni di fuga, mai fughe realizzate.

 

 

 

Canto della città silenziosa

 

Come può una città tenerci

sempre accanto? Bastano

i palazzi, le strade, quegli

antichi cammini che intuiamo

nascondersi sotto i nostri stessi

passi? Bastano il paesaggio

d’infanzia, la storia, il ricordo

delle mani di nostra madre?

Basta il rumore delle chiavi

di nostro padre alla porta?

Bastano il profumo del pane,

l’aroma della nebbia e delle

rose? Sì bastano, bastano

tutte queste cose e i ricordi,

i fili invisibili che ci hanno

cucito in questa forma e

attaccati alle mura e alle case.

Per questo possiamo partire e

sapere che ombre di noi

restano sul selciato e alle

finestre, ombre di ombre

diventano tutti i nostri desideri.

 

 

 

Compressi tra le strade senza cielo e i ritmi di vita dettati dalla pandemia, vivono giorno dopo giorno, sognando e immaginando, gli abitanti di questa città senza mare e senza fiume, una città bruciata nel tempo, distrutta e ricostruita, una leggenda la sua fondazione, un sogno la sua ricostruzione. Cosa resterà di questi anni perduti? Cosa porteremo con noi nel futuro che già ci chiama alla sua tavola imbandita?

Oggi è sabato 8 gennaio del terzo anno senza Carnevale e questa Cronaca 671 ha sparpagliato sul tavolo vecchie fotografie in bianco e nero e cerca di riconoscere quei volti che sono ombre, le nostre ombre, il nostro passato.

domenica 2 gennaio 2022

Cronache dagli anni senza Carnevale/665. Un paesaggio con sentieri e ombrelli rossi per la pioggia e per il sole

 

Una domenica uguale al sabato che l’ha preceduta, silenziosa, pensosa e solitaria. Tranne che per le code davanti ad alcune farmacie non si vede nessuno in giro, pochi i passanti anche sotto l’albero bellissimo. Così stare qui è anche essere altrove, con i pochi amici in vacanza che mi mandano fotografie di paesaggi marini e montani. Questa sera è stato proprio il paesaggio, in senso molto narrativo, a essere il perno di una serata divertente trascorsa con Fiammetta Palpati e tante altre persone conosciute al suo laboratorio “Il paesaggio del romanzo”. Tutti insieme abbiamo fatto una cosa molto tradizionale che adoro sin da quando ero bambina: abbiamo giocato a tombola! In palio c’erano un mucchio di libri attinenti il tema del paesaggio, purtroppo non ho vinto nulla, ma è stato bello ritrovare così tanti volti amici e ridere insieme, fare battute e ripromettersi di vedersi presto. A proposito del ridere, confesso che sto approfittando del periodo festivo per guardare dei cartoni animati, anche questo un retaggio dell’infanzia, dove non mi perdevo un film Disney e il sabato sera stavo appiccicata alla TV svizzera e non mi perdevo una puntata di Scacciapensieri, e come la domenica Supergulp fumetti in TV. Così ho deciso di riguardare un vecchio film visto coi nipoti quando erano piccini, cioè L’era glaciale, e ho riso moltissimo grazie a Sid il bradipo e Scrat lo scoiattolo alla ricerca perenne della sua ghianda sacro Graal che sarà causa della maggior parte dei disastri climatici e geologici che muteranno lo stato delle cose sul pianeta. Mi sono fatta prendere dalla magia dell’infanzia, dalle luci natalizie, dalla cometa che ritornava ogni anno a illuminare il piccolo presepe casalingo. Intanto, fuori dai miei ricordi e dalla mia casa, continuano le notizie preoccupanti sulla pandemia, sui no vax che non vogliono farsi curare neanche quando sono in punto di morte. Però, con la perfetta schizofrenia dei nostri media, vengono annunciate le aperture dei saldi invernali in alcune regioni, come se non stesse accadendo altro nel mondo. Il mondo che va come va oggi, così chiedo a questa piccola Cronaca 665 di domenica 2 gennaio del terzo anno senza Carnevale, di accontentarsi di questa oasi di quiete e di stare con me a guardare le avventure di Scrat e della sua ghianda.

 

 

Solo un margine non scritto

 

Come sono piccole queste

tue mani, eppure niente

potrà mai riempirle, non

la pioggia che cade solo

in riva al mare, non il sole

che illumina i prati sotto

al ghiacciaio, non l’eco

di queste parole che ti

lancio dall’altro lato della

valle e spero che tu unirai

le tue mani a coppa e così

raccoglierai la mia invocazione

prima che la città bruci, prima

che il fumo misto alla nebbia

copra questa consolazione

di immaginarti nel nostro

paesaggio di colline dolci

e mare che scivola verso

l’infinito, lì dove non ci sono

aree di sosta, ma solo sentieri

e ombrelli rossi per la pioggia

e per il sole, solo un margine

non scritto per tenermi in

compagnia i pensieri.

lunedì 27 dicembre 2021

Cronache dagli anni senza Carnevale/659. Le cose vanno come vanno e non hanno l’impronta delle vostre mani

 



Tutto per fermare il tempo, facciamo di tutto. Fotografie e post su FB che ogni giorno ci presenta i ricordi degli anni passati. Foto e ancora foto su IG, stories, più immagini che parole.

In altri tempi le immagini stavano nella memoria, nell’immaginazione, nel teatro del sonno, nei sogni, nei dipinti. Ora possiamo replicarle all’infinito grazie alle tecnologie. E le parole? Le parole stavano nell’aria, nella memoria, nei libri, nella punta delle dita, nei quaderni. Ora stanno anche nelle misteriose memorie dei pc e degli smartphone. Da cosa ci viene questa smania di fermare il tempo quando sappiamo che è impossibile? Ora abbiamo anche questi supporti tecnologici, ma ancora oggi ci basta prendere un oggetto che ha una storia e tante immagini si affolleranno nella nostra mente e cercheranno le parole per essere dette.


Filastrocca dei giorni della settimana

 

 

Dove sono nascoste quelle

domeniche d’inverno dove

studiavo al tavolo della cucina

e mio padre mi interrompeva

per preparare la cioccolata?

Dove abbiamo riposto quegli

infiniti lunedì mattina alle sei,

quando con la prima sveglia

accendevamo la stufa elettrica

e il fuoco sotto la caffettiera?

Il martedì portava già il peso

delle cose iniziate, era un giorno

tondo di lavoro e spesa, il latte

era finito e mancava sempre

una cerniera per finire un vestito.

Il mercoledì aveva le guglie come

il Duomo, il giorno in mezzo

alla settimana, preludio dei

futuri piaceri lontani da uffici

e scuole. Se il giovedì era

sempre grasso, lo dobbiamo

alla felicità del fine settimana,

proprio dietro l’angolo del

giorno seguente. Il venerdì era

serio, sussiegoso e chiaro

nelle case e nelle strade. Selvaggio

se stavi su un’isola deserta e

avevi un naufragio nel cuore e

nelle mani. E il sabato, oh il sabato,

quale meraviglia in ogni villaggio!

Il mercato, le spezie, i panni stesi

ai balconi, le grida dei bambini,

il rotolare delle biciclette, i pattini,

le caramelle. Poi il silenzio domenicale,

le campane della chiesa, la tovaglia

ricamata sul tavolo da pranzo. Proprio

quella tovaglia che ora tengo in mano,

e piego per riporla nel mio cassetto,

un luogo nuovo che ha un altro odore,

un’altra storia e non ha l’impronta

delle vostre mani.

 

 

Vanno così le cose, vanno come vanno, più anni siamo stati insieme, più lungo sarà il distacco. Ma forse è impossibile staccarsi da quelle domeniche d’infanzia, dalle voci care dei nostri genitori, dal sorriso del fratellino che ancora non cammina. Per questo ho lasciato che le immagini e i ricordi irrompessero in questo lunedì 27 dicembre del secondo anno senza Carnevale e in questa Cronaca 659, aiutante della memoria e custode di molte infanzie.

sabato 25 dicembre 2021

Cronache dagli anni senza Carnevale/657. Sbucciare i mandarini e schiacciare le noci, anche questo è Natale

 

 

Sssttt, silenzio e ancora silenzio. Il giorno della nascita volge al termine, il bambino è entrato nel mondo e nel tempo. Non sapremo nulla, o quasi, della sua vita per molto, molto ancora. Una vita durata un soffio che ogni anno per noi inizia con l’Annunciazione, l’Avvento, la nascita e si conclude nella Pasqua dell’anno successivo, con la Crocefissione, la morte e la Resurrezione, la seconda nascita. È stata una giornata gioiosa, iniziata con un pranzo barocco, dove non mancava nessun piatto della tradizione e finita con una cena digestiva a base di tortellini in brodo che “sgrassano”, come dice ogni anno mia cognata. Tante chiacchiere, lo scambio dei regali, un pisolino, un film semi-comico. Quando si ritorna a casa non c’è in giro nessuno perché manca poco anche alla fine di questo giorno.


 

Di cosa ci parlano gli oggetti?

 

Quando hanno iniziato

le cose a non trovare

più il loro posto usuale?

Ci sono lenzuola sulla

tavola, i piatti in lavatrice

e i bicchieri in mezzo alle

spezie, la pasta tra le

piante sul davanzale e

così via. Cosa stanno

cercando di dire le cose?

Cosa non abbiamo capito?

Cosa abbiamo dimenticato?

Ogni oggetto fuori posto è

un messaggio che arriva da

qualcuno che amiamo e che

non è più con noi, in questo

tempo e nel suo spazio. Ma

ho imparato a leggere le cose,

la loro tristezza è la mia, mancano

le vostre parole, per questo

piange la teiera e i tovaglioli

sono stropicciati anche se

nessuno ne ha fatto uso.

Faccio i vostri nomi a voce

bassa, perché gli oggetti

vi portino questo mio saluto.

Non ho dimenticato, voi

siete sempre con noi, seduti

alla nostra tavola imbandita.

 

 

A Natale è facile lasciarsi prendere dalla tristezza perché alcune delle persone che amiamo non ci sono più. Ma preferisco scegliere la gioia di ricordarvi seduti con noi a questa tavola, la prova generale per il banchetto che divideremo nell’Eternità.

Questa Cronaca è dedicata al mio amico Maurizio che ha perso il suo papà da pochi giorni, a Francesca che ha perso la sua mamma, anche lei da poco, e a Luca, il fidanzato di Elisabetta che ha perso il suo papà l'anno scorso in questo stesso periodo.

Oggi è sabato 25 dicembre del secondo anno senza Carnevale e con il secondo Natale un po’ in sordina, ma questa Cronaca 657 sta ancora banchettando in onore dei vivi e dei morti, sbuccia mandarini e schiaccia le noci per tutti i commensali.

lunedì 20 dicembre 2021

Cronache dagli anni senza Carnevale/652. La vita è meravigliosa disse l’angelo, la vita è vita disse la scrittrice

 


Storie dell’Avvento/13. Sprofondare sotto il peso del metallo e dell’inchiostro

 

La grande stufa divorava legna come un drago l’aria intorno. Era bello rientrare nel tepore della casa e provare quella sensazione di essere al sicuro, che niente di male sarebbe potuto accadere. Quella sensazione arrivava dritta dritta dall’infanzia, dai giorni precedenti il Natale, dove si portava in casa un giovane abete con le radici che era stato fatto crescere in un vaso e che con la primavera successiva, avrebbe provato il brivido di radicarsi, di scendere nella terra. C’erano palline di Natale che arrivavano dall’infanzia dei nonni, di vetro trasparente con delicate decorazioni di abeti verdi e fiocchi rossi. C’erano le boule de neige comprate a Parigi, con la torre Eiffel, Notre Dame e le Sacre Coeur, ricordo di un viaggio dei genitori. C’erano tre palline di vetro smaltato rosa, bianco e oro, le superstiti di una scatola da dodici, anche questa proveniente dall’Europa ma comprata da Bergdorf. C’erano le palline di legno intagliate dal nonno e dipinte da lei. C’erano quelle ricoperte di elaborati lavori all’uncinetto, come fossero delle teiere. C’era una mezza pallina rossa, ricordo del gatto Merlino che era riuscito a farla cadere proprio il suo ultimo Natale. Quante storie sono nascoste in questi semplici oggetti che stanno chiusi in una scatola per la maggior parte dell’anno. Mise il puntale a forma di stella cometa, quello era il momento del culmine, quando papà la prendeva in braccio per permetterle di compiere il rito. Ecco, aveva trovato la storia di Natale da scrivere per il New Yorker. Ma non sarebbe stata una storia dolce e rassicurante. Sarebbe stato il racconto di un Natale in cui le palline restano rinchiuse nella scatola e si chiedono come mai, cosa possa essere successo di così grave al punto da non meritare di uscire a festeggiare quel mese scarso privo di luce ma ricco di cibo. Cosa poteva essere successo allora? Certo, la morte di un componente della famiglia, la tremenda morte della madre. No, ancora più crudele, la morte della bambina che metteva la stella cometa in cima all’albero. Ma noi adulti, si chiese la scrittrice, siamo bambini che sono scomparsi o bambini che sono sopravvissuti all’infanzia? Poteva decidere di essere meno crudele, niente morti, bastava un divorzio, i genitori che litigano sempre perché il papà ha una relazione con la segretaria. Oppure la mamma con il dentista. Oppure lui con la cameriera del caffè sotto l’ufficio e lei con l’idraulico. Era terra di divorzi l’America e New York più di qualunque altra città al mondo. Però decise di scrivere anche una seconda storia di Natale, una storia agrodolce come quella di Auggie Wren raccontata da Paul Auster e diventata uno dei suoi film preferiti, Smoke, che guardava ogni anno intorno a Natale. Ecco, avrebbe scritto la storia di una donna che ripercorre la sua vita a partire dai film di Natale che l’hanno segnata. E doveva cominciare con La vita è meravigliosa di Frank Capra. Avrebbe scritto la storia a lieto fine sempre per la stessa rivista, ma avrebbe usato un altro dei suoi pseudonimi. La scrittrice che pensava di essere Fernando Pessoa, c’era da farsi venire le vertigini. L’albero di Natale era pronto, accompagnò se stessa a mettere la stella cometa in punta, era leggera, leggera come la bambina che era stata. Poi si mise al tavolo da lavoro, un tavolo di legno appena sgrezzato che le aveva costruito il nonno quando era ragazzina, non accese il computer, ma infilò un foglio nel rullo della macchina da scrivere Remington portatile su cui aveva imparato a battere a macchina. Era uno di quei giorni in cui le piaceva sentire il ticchettio metallico dei tasti e vedere la carta sprofondare sotto il peso del metallo e dell’inchiostro. Mentre lei si immerge nelle sue storie, noi lettori possiamo svolazzare per la stanza come un angelo di marzapane, atterrare sul davanzale, fare le smorfie all’orso che è passato a salutarla ma che lei non vede mai, ballare con le tazzine e la teiera come in un film Disney, e anche di questo lei non se ne accorge, perché sta vivendo in quell’altro mondo della sua immaginazione.

Bene, adesso prepariamoci a questi due racconti, cosa ci farà leggere per primo? Quello triste triste o quello litigioso? O magari ci sorprenderà con una storia degna dell’angelo Clarence?

Tamburello le dita sul tavolo, in attesa di scoprire io stessa qual è la storia più scalpitante e vera.

 

Oggi è lunedì 20 dicembre del secondo anno senza Carnevale, l’ultimo giorno d’autunno, mentre nel mondo impazza la variante Omicron e non si sa se i vaccini possano tenerla a bada. Nel dubbio, questa Cronaca 652 esce sempre con una vezzosa mascherina FPP2 di un bel rosso natalizio, con le renne e gli angioletti.