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martedì 21 febbraio 2017

Leggere come esperienza di di ricchezza, profondità e durata

Dobbiamo difendere la lettura come esperienza che non coltiva l'ideale della rapidità, ma della ricchezza, della profondità, della durata. Una lettura concentrata, amante degli indugi, dei ritorni su di sé, aperta più che alle scorciatoie, ai cambiamenti di andatura che assecondano i ritmi alterni della mente e vi imprimono le emozioni e le acquisizioni.

Giuseppe Pontiggia
citato da 
Corrado Augias
Leggere
perchè i libri ci rendono migliori, più allegri e più liberi
Mondadori 2007

venerdì 3 febbraio 2017

Scrivere in treno

Per le persone che scrivono, per i poeti e i letterati, nulla è come il viaggiare. Non solo le mutazioni dell'ambiente, ma lo stesso dondolio del vagone, il rumore cadenzato delle ruote ferrate sui binari suscitano nel''intelletto un particolare fermento. Le idee si moltiplicano, il ritmo della poesia diviene racconto e così, invece di osservare e stupirsi per tutte le meraviglie della terra straniera, il viaggiatore si immerge nei ricordi e da essi nascono le finzioni che, pur non avendo nulla in comune con la realtà circostante, sorgono grazie ad essa.

Jarosław Iwaszkiewicz
Novelle italiane
traduzione di Dario Prola
21 Editore 2014

sabato 8 ottobre 2016

Tengo alla metrica, al ritmo della frase, alla cadenza della pagina, al suono delle parole

Senza fermarmi cioè senza mangiare e senza dormire. Non sentivo neanche la fame e il sonno. Mi tenevo su a sigarette, caffè, e basta. E qui devo fare una messa a punto. Devo dire che scrivere è una cosa molto seria per me. 
Non è un divertimento o uno svago o uno sfogo. Non lo è perché non dimentico mai che le cose scritte possono fare un gran bene ma anche un gran male, guarire oppure uccidere. Studia la Storia e vedrai che dietro ogni evento di Bene o di Male c'è uno scritto. Un libro, un articolo, un manifesto, una poesia, una preghiera, una canzone. (Un Inno di Mameli. Una Marsigliese. Uno Yankee Doodle Dandy. O peggio: una Bibbia, una Torah, un Corano, un Das Kapital). Così non scrivo mai alla svelta, cioè di getto. Sono uno scrittore lento, uno scrittore cauto. Sono anche uno scrittore incontentabile. Non assomiglio davvero a quelli che si compiacciono sempre del loro prodotto, manco urinassero ambrosia. In più ho o molte manie. Tengo alla metrica, al ritmo della frase, alla cadenza della pagina, al suono delle parole. E guai alle assonanze, alle rime, alle ripetizioni non volute. La forma mi preme quanto la sostanza. Penso che la forma sia un recipiente dentro il quale la sostanza si adagia come un vino dentro un bicchiere, e gestire questa simbiosi a volte mi blocca. Ora, invece, non mi bloccava per niente. Scrivevo alla svelta, di getto, senza curarmi delle assonanze, delle rime, delle ripetizioni perché la metrica cioè il ritmo fioriva da sé, e come non mai ricordando che le cose scritte possono guarire od uccidere. (Può giungere a tanto la passione?). 

Oriana Fallaci
La rabbia e l'orgoglio
Rizzoli 2001

domenica 22 maggio 2016

una lingua capace di dire ciò che preme suono, frontalità, selvatiche radici respiro di pianure

Irgendwo in RuBland ist meine Seele.
Gertrud Kolmar
In qualche luogo in Russia esiste la mia anima
se anima si chiama
questo ascolto del corpo a gola tesa: voce – e libri
libri simili a ferri tra le pietre di un monte
metalli su cui posare i piedi lentamente.
Dunque non solo carta – immagini:
steppa, slitta, sonagliera
ma in quell'uscire del corpo dall'infanzia
colori netti come mai accade da bambini
non un dio ma un'orma nelle cose
come se a ogni forma potessimo levare il suo sigillo.
Forse l'anima non esiste ma esistono i suoi luoghi
la distanza: verste da percorrere a ritroso
una lingua capace di dire ciò che preme
suono, frontalità, selvatiche radici
respiro di pianure
sì respiro – per lo stretto di un´isola
e al posto delle rime
il ritmo di un pensiero
mai udito
inaudito
come sempre è cercare concisione nell'altezza.
Antonella Anedda
Notti di pace occidentale
Donzelli 1999

martedì 27 ottobre 2015

Scrivere è sentire le parole che navigano nell'aria

Mi sembra di aver capito alcuni ritmi della mia lingua e di affidarmi a quelli. Tutto incerto quello che si scrive, nessun valore intrinseco nelle parole, non si dimostra mai niente, non si stabilisce mai niente, non si arriva mai ad una salda roccia madre dove piantare le nostra bandiera e dire:«Ecco, voi dovete sapere che io scrivo per questo e per quest’altro».
Sì, si può farlo. Ma allora è come fare i professori universitari, si può dire tutto, una cosa vale l’altra, si parla solo perché si è su una cattedra. Noi ci attiriamo e respingiamo con i ritmi, i toni, le curve delle frasi, il cipiglio, il labbro duro o socchiuso, gli occhi spenti o gli occhi che fanno lumetti. Quello che diciamo, la sostanza, il contenuto, è l’antichissima illusione di parlare e di essere davvero diversi dagli altri benedetti animali.
Questa mia risposta è chiaramente un momento di malumore contro il totalitarismo corrente, quello che interpreta tutto in base alla presenza o assenza di «realismo». Ma i nostri ritmi non c’entrano niente con il realismo, loro sono proprio fatti perché le parole navighino nell'aria, siano emissione di fiato, battito, musica.
Tutti i racconti nascono da toni sentiti, annidati nelle parole, e se nascono da un’idea realistica si vede subito, perché sono musicalmente grevi. Ritmi morti sulla pagina e sordità dell’orecchio: non c’è mica da vantarsi, ma lo sanno tutti che uno stonato non ha la minima idea di cosa lo separi dalla musica.
Andarglielo a spiegare? Impossibile, di nuovo si vede che le parole non servono. Può darsi che un giorno s’innamori, o gli caschi il tetto sulla testa, e allora apre un occhio, scruta, ascolta e sente qualcosa: il resto riguarda solo lui, e l’amore che ha per la lingua.

Gianni Celati
Perché scrivete ? Rispondono 109 scrittori italiani
Nord- Est

a cura di Ferdinando Camon
Garzanti 1989


lunedì 15 giugno 2015

Nei mattini d'estate nasceva la grazia d'un ritmo, nasceva il tuo canto

Kayyâm, nei mattini d'estate, 
basta avere una foglia in bocca
il sole dei giardini  ci ubbriaca meglio del tuo vino  
che noi non berremo.  
Abbiamo, dopo di te,  
bevuto in ben altre cantine.  
Abbiamo la gola rossa 
dei nostri vini d'Occidente,  
o mio vecchio, melodico persiano.  
Ma la tua dolce infanzia di filosofo  
questa è un gran dono.  
Tu hai guardato il mondo 
tra nebbie e per distanze siderali.  
Tu hai potuto iridare  
di primordiali curiosità  
l'ombra della vita. Dove tutto non era  
che disperata certezza 
tu hai fatto domande,  
proposto accordi e tutto era concluso.  
E quando, non la durezza 
della faccia di Dio,  
pietosamente a te ascosa,  
ma la tua carne stanca  
ti rimbrottava,  
da quell'oscuro e flebile scontento  
nasceva la grazia d'un ritmo.  
Così dell'umano  
viaggio eludesti  
le premesse fatali,  
convinto di non saperle  
e illuso di doverle ricercare.  
E questo era il buon vino,  
Kayyâm.  
Il dio che ti propiziava  
questa bevanda d'inganni  
faceva la tua fortuna  
e il tuo canto.  
E tu libavi alle rose  
del tuo ridente sepolcro,  
non sospettando, o impavido,  
che la tua vita era già  un cimitero fiorito. 

Vincenzo Cardarelli
Poesie
Mondadori 1942


mercoledì 27 maggio 2015

Scrivere poesia è lasciare che il senso ritmico leghi le cose in un tutto armonioso

[…] scoprire il rapporto tra cose incompatibili mentre hanno un’affinità misteriosa, assorbire ogni esperienza che attraversa la […] strada, senza timore e saturarla completamente in modo che la […] poesia sia un insieme, non un frammento; ripensare la vita umana in poesia onde darci di nuovo la tragedia e la commedia attraverso personaggi concentrati e sintetizzati come fanno i poeti. […] Tutto quello che devi fare adesso è stare alla finestra e lasciare che il tuo senso ritmico si apra e si chiuda, si apra e si chiuda, in modo audace e libero finché una cosa non si fonde in un’altra, finché i taxi non si mettono a ballare con i narcisi, finché da tutti questi frammenti separati non si viene formando un insieme. […] Poi lascia che il tuo senso ritmico si snodi tra gli uomini e le donne, tra gli omnibus, i passeri - qualsiasi cosa si presenti lungo la strada - finché non li abbia legati in un tutto armonioso.

Virginia Woolf
Lettera a un giovane poeta
a cura di M. Premoli
Archinto 2000


martedì 8 luglio 2014

Il ritmo è il denominatore comune di tutte le arti


Molto tempo addietro era stato un mio professore, una persona molto sensibile, a farmi notare che il ritmo è il denominatore comune di tutte le arti; ma aveva tralasciato di aggiungere, o aveva voluto che lo scoprissi da adulto, che è anche il denominatore comune di ogni esperienza umana. Ora cominciavo poco a poco a riconoscere che questo ritmo è ciò che crea o distrugge ogni istante delle nostre vite.
Come si può vivere un solo giorno nel suo ritmo autentico, un giorno composto di una moltitudine di ritmi che si intreccia sottilmente? Riconoscere il problema non vuol dire sapere la risposta, ma soltanto prendere atto che ogni momento sciupato non ritornerà più.

Peter Brook 
I fili del tempo. Memorie di una vita
traduzione d Isabella Imperiali
Feltrinelli 2001

martedì 13 maggio 2014

Nella notte le frasi, mi girano attorno, bisbigliano, diventano poesie

Leggo ancora un po' se ho qualcosa da leggere, alla luce del lampione, poi, mentre mi addormento tra le lacrime, nascono delle frasi nella notte. 
Mi girano attorno, bisbigliando, prendono un ritmo, delle rime, cantano, diventano poesie.

Agota Kristof 
L'analfabeta
traduzione di Letizia Bolzani
Casagrande 2005

giovedì 8 maggio 2014

Il ritmo è essenziale in ogni progetto di scrittura

Il ritmo è molto visibile nella poesia, un po' meno in uno scritto narrativo. Eppure il ritmo è essenziale in ogni progetto di scrittura.
Diversi elementi contribuiscono alla costruzione di una buona cadenza narrativa: il taglio delle frasi, la punteggiatura, la scelta non scontata dei vocaboli, una personale distribuzione delle metafore, l'uso non convenzionale della sintassi, l'abilità nel legare e slegare le frasi tra di loro.

Dacia Maraini
Amata scrittura
RCS Libri 2000

mercoledì 16 aprile 2014

Leggere è imparare a riconoscere il ritmo di ogni scrittore

La sedia preferisce non usarla. Si toglie la giacca e rimane in maniche di camicia. Si guarda intorno, controlla che tutti abbiano preso posto e dice: «Scusate, ma Céline è un autore che si legge in piedi». Fuori la gente
passeggia nelle vie intorno a piazza Montecitorio, godendosi il primo assaggio della primavera romana. Dentro, all'interno della libreria Arion, c’è Alessio Dimartino, professione scrittore. Oggi però non è qui per promuovere il suo nuovo libro (C’è posto per gli indianiGiulio Perrone editore) ma per tenere una lezione di lettura. Ha scelto di farlo attraverso la Trilogia del Nord di Céline. Scelta non facile. Eppure la sala si riempie. Una quarantina di persone, soprattutto donne, aspettano che questo strano insegnante con orecchino e jeans rompa il ghiaccio.

«OGNI scrittore ha il proprio ritmo. La lettura di Céline è una corsa a scatti che toglie il fiato e lascia con l’affanno. Céline non è certo un maratoneta. Per leggere queste pagine bisogna ingaggiare un corpo a corpo con il testo»

(..)

«Troppi stimoli, troppe sollecitazioni», dice Paolo Di Paolo
«I librai tradizionali stanno sparendo e c’è un forte disorientamento collettivo, serve qualcuno che indichi la via. Le scuole di lettura, a differenza di aNobii o altri social network, possono funzionare da palestra, mettendo a disposizione un lettore più esperto che faccia da allenatore». 
E se i corsi di scrittura pompano i muscoli del narcisismo, queste sono palestre di umiltà, in cui l’ego va messo da parte per disporsi all'ascolto. D’altra parte il piacere della lettura è tutt'altro che istintivo. Ha bisogno di guide, va educato. 
Tullio De Mauro, la cui lezione alla scuola Orlando è prevista per il 24 maggio, spiega: 
«Scrivere e leggere non appartengono all'immediatezza naturale. Sono possibilità che alcuni popoli hanno cominciato a sviluppare da alcune migliaia di anni e che si sono andate generalizzando soltanto negli ultimi secoli. Si impara a leggere quando si prova il bisogno di uscire dalla pura sopravvivenza».

A Roma lo scrittore Paolo Di Paolo ha fondato la scuola di lettura "Orlando". 
Questi sono alcuni frammenti dell'intervista che gli ha fatto Raffaella De Santis su Repubblica del 14 aprile 2014