venerdì 24 giugno 2022

Cronache dagli anni senza Carnevale/838. Quanto sei bella Roma quando è sera

 


  

Prima di partire dall’Umbria per Roma, sono rimasta parecchio a guardare il lago Trasimeno e la bellezza del paesaggio intorno, quanto mi è mancato viaggiare in questi anni…. come a tutto il resto del mondo. Ormai faccio davvero fatica a restare seduta davanti al computer a lavorare, fare call, corsi. Via, via, via… voglio stare in giro, ascoltare la voce delle persone dal vivo, abbracciarle, fermarmi a guardare il cielo e continuare a pensare che in questa bolla di mondo che il destino ci ha riservato, possiamo fare finta di niente e vivere come se non ci fossero la guerra, la pandemia in recrudescenza, la siccità. È davvero uno scenario da pre-apocalisse, ma lo ignoro, volutamente. Raffaella mi accompagna alla stazione e poi parte per uno dei suoi molti viaggi di lavoro. Ho il tempo di fare colazione in pasticceria e fare un po’ di osservatorio antropologico, una delle mie attività preferite. Colgo frammenti di conversazione tra la barista e gli avventori, poi vado in stazione dove una pattuglia della Polizia di Stato, chiede i documenti a tutti i presenti. Finalmente è ora di partire, il viaggio per Roma non è lungo, e sui treni regionali si vede la vera Italia che viaggia, lavora, dorme, ride, ascolta musica ad alto volume. Quel che non ho calcolato è che il treno regionale arriva alla stazione Termini nell’ultimo binario, proprio fuori, fuori, e sotto un sole cocente bisogna trascinarsi sino all’uscita. Affaticata non prendo in minima considerazione l’idea di andare coi mezzi pubblici e prendo un taxi, in una coda di taxisti nervosi che temono che gli altri rubino i clienti, che pure sono tanti. Infatti, due litigano violentemente e si prendono a male parole, alla fine salgo sul mio taxi e dopo aver dato l’indirizzo della mia amica Camilla, mi immergo nella bellezza eterna della città eterna, assediata da cinghiali e rifiuti, ma non in tutti i quartieri. Quando arrivo lei e suo figlio Nico mi stanno aspettando per il pranzo. Prima mangiamo una zuppa fredda di zucca e carote, poi pomodori ripieni di riso al forno, insalata fredda di pollo, mozzarella e pomodoro. Mangiamo un poco di tutto e avanzerà abbastanza cibo per il mio pasto serale. Dopo pranzo Nico sparisce in camera sua e io e Camilla ci adagiamo sui divani paralleli del soggiorno e iniziamo a parlare di Celan, Kafka, Bachmann, di tutte le cose accadute in questi anni, dei figli cresciuti, dei libri scritti e da scrivere. Nel tardo pomeriggio Camilla e suo marito Paolo partono perché devono seguire dei lavori nella casa in campagna, che è in Umbria, non molto lontano da Piegaro, dove ero io sino a qualche ora prima. Quando loro sono partiti e sono rimasta sola in casa ho sentito forte le stesse emozioni che ho provato la prima volta che sono venuta a trovarli, un senso di casa e di famiglia, loro hanno quattro figli, e di benessere. Resto per un po’ ancora a leggere allungata sul divano, poi vado in terrazza ad ascoltare le rondini, a guardare un cielo che si tinge di rosa, ad ascoltare le voci degli avventori dei bistro e ristoranti che sono nelle numerose vie che si incrociano. Apparecchio la tavola in maniera spartana, recupero dal frigorifero il cibo avanzato dal pranzo, una bottiglia di acqua fresca e mi lascio cullare dall’atmosfera dolce e romana. Prima di andare a dormire leggo e sono gioiosa per questo venerdì 24 giugno del terzo anno senza Carnevale e del primo anno di guerra e questa Cronaca 838 è lieta di essere qui con me a Roma.

giovedì 23 giugno 2022

Cronache dagli anni senza Carnevale/837. Impressioni di Perugia e dintorni

 


 

Impressioni di Perugia la prima volta che la visito: Medioevo, allegria, curiosità, bellezza, a misura umana. Il mattino facciamo una lunga passeggiata per le vie del centro, fermandoci a guardare le facciate dei palazzi, i cortili, le facce dei perugini, a respirare i profumi che escono dai forni e dalle pasticcerie. Dopo un pranzo rapido in una piazza attraversata da pochi turisti, torniamo a casa di Raffaella, l’editrice di Kaba Edizioni che mi ha invitato a presentare il nuovo libro di Anna Maria Farabbi La via del poco, in coedizione tra piédimosca edizioni e Al3vie, una raccolta di otto plaquette uscite negli anni che trovano insieme una nuova vita e contribuiscono a dare il senso all’opera raffinata della poetessa. Nel pomeriggio scendo in giardino, mi ronzano intorno api e farfalle, il profumo delle piante che mi circondano è intenso è persistente, mi riempio gli occhi di verde e provo una gioia creaturale perfetta. Il gatto – o gatta ? – che si è presentato alla porta ieri sera miagolando a voce altissima sino a quando non abbiamo condiviso il prosciutto crudo che stavamo mangiando insieme a un melone dolcissimo, non appena mi siedo per rileggere gli appunti e prepararmi alla presentazione che ci sarà nel tardo pomeriggio da POPOUP libri-spunti-spuntini, arriva e inizia a fare le fusa, si rotola nel prato, mi salta in braccio, mi dà tenere testate sulla guancia e poi si sdraia accanto a me. Le ore che passano sono perfette, una vita più vita, grazie alla natura nella quale sono immersa e alla presenza dell’adorabile micio. Poi arriva l’ora di tornare in città, la libreria è in uno slargo che mi ricorda un borgo ligure, c’è una fontana, le case rosa, gialle e verdi, la gente inizia ad arrivare, ci accomodiamo, beviamo acqua fresca, chiacchieriamo, poi inizia la presentazione, Anna Maria legge alcuni testi su mio invito, ha una voce molto bella e una grande capacità interpretativa. Del suo libro vorrei parlare in un post dedicato, così mi limito a copiare una poesia.

 

 

È la freccia scoccata dal dio delle origini

che affonda precisa/mente

dentro la terra vivente

della mia fronte

Sono milioni di uccelli

in uno stormo a punta

che vengono a riprodursi in me

nel brevissimo periodo del disgelo

 

 

Prima di ripartire ci fermiamo a comprare al volo due pizze, così scopro che in Umbria la quattro stagioni la fanno col prosciutto crudo e mezzo uovo sodo. Farò felice il micio, ne sono certa. La mia pizza alla fine la mangio in macchina, non tutta, e quando arriviamo a casa ecco che subito il gatto arriva a chiedere la pappa. Mangia senza esitazione il prosciutto, ma di fronte all’uovo sodo, si ferma e mi guarda, come se mi stesso dicendo “Ma davvero devo mangiare questa roba gialla e bianca?”, alla fine mangerà solo il tuorlo. Quando ha finito se ne va e mi intristisco un po’, perché non so se e quando ci rivedremo. Ecco che finisce così questo giovedì 23 giugno del terzo anno senza Carnevale e del primo anno di guerra e questa Cronaca 837 afferma con decisione che l’uovo sulla quattro stagioni non ci va.

mercoledì 22 giugno 2022

Cronache dagli anni senza Carnevale/836. Più la giornata è intensa, più la Cronaca è pigra

 


Partire, partire, guardare il paesaggio dal treno come se fosse un viaggio lunghissimo che ci aspetta, poi fermarsi a Firenze qualche ora e prendere un regionale per l’Umbria dove un’amica ci aspetta. Arrivare a casa sua, un piccolo borgo incantato, case di pietra e una vista fenomenale sul lago Trasimeno. Una cena estiva e poi una rapida conoscenza con una gattina tutta nera, compreso nasino e vibrisse, che si è spazzolata tre fette di prosciutto e una di tacchino come se non ci fosse un domani. Gli occhi sono avidi di piccole cose, di bellezza, di novità. Tutto sembrava più bello e diverso oggi, perché era tempo che non guardavo un paesaggio così selvaggio e verde. Oggi è mercoledì 22 giugno del terzo anno senza Carnevale e del primo anno di guerra e questa Cronaca 836, piccola e pigra, è inversamente proporzionale all’intensità della giornata.

martedì 21 giugno 2022

Cronache dagli anni senza Carnevale/835. La biblioteca è una farmacia dell’anima

 


 

Nella disordinata felicità delle letture estive mi decido a rileggere un piccolo prezioso libricino di Miro Silvera, scomparso da poco, Libroterapia. Un viaggio nel mondo infinito dei libri, perché i libri curano l’anima. In esergo c’è una famosa citazione tratta da La provincia dell’uomo. Quadermi di appunti 1942-1972 di Elias Canetti.

 

«Ci sono libri che si posseggono da vent’anni senza leggerli, che si tengono sempre vicini, che uno si porta con sé di città in città, di paese in paese, imballati con cura, anche se abbiamo pochissimo posto, e forse li sfogliamo al momento di toglierli dal baule; tuttavia ci guardiamo bene dal leggerne per intero anche una sola frase. Poi, dopo vent’anni, viene un momento in cui d’improvviso quasi per una fortissima coercizione, non si può fare a meno di leggere uno di questi libri d’un fiato, da capo a fondo: è come una rivelazione. Ora sappiamo perché lo abbiamo trattato con tante cerimonie. Doveva stare a lungo vicino a noi; doveva viaggiare; doveva occupare posto; doveva essere un peso; e adesso ha raggiunto lo scopo del suo viaggio, adesso si svela, adesso illumina i vent’anni trascorsi in cui è vissuto, muto, con noi. Non potrebbe dire tanto se per tutto quel tempo non fosse rimasto muto, e solo un idiota si azzarderebbe a credere che dentro ci siano state sempre le medesime cose».

 

È proprio così, lo so per esperienza. La prima volta che ho letto Canetti avevo ventritré anni e vivevo da sola da pochi mesi. Non era usuale che una ragazza della mia generazione e della mia classe sociale facesse un simile passo, ma io ero molto orgogliosa della mia scelta e della mia affermazione di indipendenza. Lavoravo, studiavo, scrivevo, leggevo moltissimo e oltre a Canetti la grande scoperta di quel periodo fu Jung. Leggevo arrotolata sulla mia vecchia sedia a dondolo, ricordo in particolare un fine settimana di neve ed era bellissimo starsene in casa con Canetti che mi illuminava la vita. Nella mia memoria e nella mia biblioteca di Babele interiore, Jung e Canetti starano per sempre uno accanto all’altro e forse è arrivato il momento per rileggere tutto Canetti.

Ma intanto mi sono gustata il librino di Miro Silvera e i suoi consigli libresco-terapeutici e anche questa Cronaca 835 di martedì 21 giugno del terzo anno senza Carnevale continua a leggere con me.

lunedì 20 giugno 2022

Cronache dagli anni senza Carnevale/834. Era la rabbia dei temporali estivi furiosa, impulsiva, svelta a montare così come a zittirsi

 

Quando muore qualcuno lo sappiamo che non se ne è davvero andato via. Perché sentiamo la presenza intorno e dentro di noi, la voce cara che ci parla, a volte addirittura il profumo. Finché qualcuno viene ricordato non è davvero morto. Ma cosa succede se un morto torno dal luogo innominabile e non torna come fantasma, ma come persona in carne e ossa? È da questo spunto narrativo che Giorgia Tribuiani ha costruito il suo gran bel terzo romanzo Padri, pubblicato da Fazi qualche mese fa e presentato al Premio Strega, che ho divorato. La lingua è bellissima, chiara e precisa, il ritmo travolgente.

“Quel pomeriggio un vento nuovo si affannò a oscurare il cielo – un’unica stringa, gialla e malata, resisteva tra le nubi e un mare d’asfalto – e, come una raccoglitrice nel giorno della prima delusione d’amore, con la stessa irruenza e lo stesso desiderio di rovinare il mondo, a strappare e tirare giù dagli alberi le nespole, i fichi, le albicocche e l’estate troppo acerba. Era la rabbia dei temporali estivi: furiosa, impulsiva, svelta a montare così come a zittirsi, e Gaia dovette colmare correndo la distanza tra il cancello e le scale, i polsi sulla fronte e i gomiti in avanti a parare le sferzate della pioggia. Stampò orme d’acqua e polvere su tutti i gradini e rincasò ignorando il tappetino. Si affacciò invano in ogni stanza cercando il padre e il nonno; poi si tolse i vestiti bagnati, ne indossò di nuovi e riempì una brocca d’acqua per dare da bere alle piante: dare da bere alle piante la calmava”.

La giovane Gaia, che dovrebbe scrivere la tesi, si trova intrappolata nella cittadina di Alba Adriatica, piacevole come lei la descrive con anche qualche riferimento reale, alle prese con il ritorno di nonno Diego, deceduto da 40 anni, suo padre Oscar e una crisi matrimoniale che esplode perché sua madre Clara si rifiuta di credere che quel barbone senza mestiere possa essere davvero il suo mancato suocero. Ecco una tipica scena balneare:

“Sul lungomare l’odore salmastro del pomeriggio era stato annichilito da quelli della sera. Fumo e profumi. Sudore. Dopobarba. Odori umani spezzati da pizzerie che rompevano la fila di hotel sul lato della strada opposto alla spiaggia; odori in frantumi, frammenti di odore, così come la musica e le voci: narici e orecchie facevano appena appena in tempo a ritrovarsi, abituarsi, a risintonizzarsi, che ecco che tutto già cambiava, era cambiato. Latino americano, discomusic, karaoke; ogni sera. Passeggini, tacchi, quattro anziane sottobraccio, ragazzi seduti su vecchi schienali di panchine sbiadite – gambe distese, gambe piegate; gambe pronte a scattare al passaggio di altre gambe – per dirigersi in direzione opposta alla fiumana, verso sud: si stava lentamente abituando a tutto questo? Diego tirò fuori il tabacco. Accettare questo mondo, starci dentro non potendo starne fuori, rivedere i vecchi amici: avrebbe camminato (pure lui, ma per forza) sottobraccio, avrebbe spinto i passeggini coi nipoti. Il tabacco gli cadde. Suo figlio gli passò una Marlboro e fumò con lui contro la siepe che costeggiava la passeggiata, gli sguardi al tratto di spiaggia con le giostrine, i tappeti elastici e le file di genitori che, un metro alla volta, spingevano i passeggini fino alle casse”.

Ma Diego, stonato da quel ritorno, non può non confrontare il suo tempo con questo tempo:

“Ad onta dei vecchi all’entrata, ad onta di suo figlio e sua nipote lì dintorno, Diego varcò la porta a vetri volendo accondiscendere all’inganno di essere rientrato nel suo tempo, e che per una sera, una soltanto, gli fosse concesso un commiato alla vita perduta; ma affacciandosi sull’area di legno circolare, un’impalcatura edificata sulla rena e sbiadita dal sole, delimitata da sedie e tavolini, vide dissiparsi l’illusione. Lungo il perimetro gli anziani più timidi osservavano le danze delle gonne e degli orli delle giacche attraverso la rotonda, ed erano gonne ed erano giacche che il Diego della vita precedente non riconosceva: dov’erano quei bei colori accesi? i rossi e i gialli e i verdi e le gonne lunghissime e svasate, i corpetti coi pois, fiocchi rossi nei capelli? dov’erano quei bravi stivaletti con il tacco e con la punta arrotondata?”.

È proprio il tempo il signore di questo romanzo, il tempo che prima ha gettato Diego sulla spiaggia del presente come un naufrago... e poi dopo poche settimane gli ruba quel che resta della giovinezza e lo trasforma in un vecchio... perché l'ordine del tempo non può essere sovvertito... e il passato serve solo a ricordarci che è del presente che dobbiamo avere cura e non vivere di ricordi e rimpianti. Una delle cose che più mi è piaciuta è come la talentuosa scrittrice sia riuscita a rendere plausibile e verosimile, grazie a dettagli ed elementi di realtà, un avvenimento perturbante, il ritorno di un morto, che sconvolge la vita di suo figlio e della sua famiglia. E la cosa più strana non è neanche questa inattesa resurrezione, ma la segretezza dell'evento... a nessuno viene in mente di raccontare alle autorità e ai media che un morto è tornato. Tutte le tensioni e i non detti della famiglia esplodono intorno al lutto e all'assenza che Oscar ha subito da bambino... Oscar che guarda ossessivamente i VHS con le immagini di Gaia bambina... mentre Clara fugge come se non avesse aspettato di avere il giusto pretesto per farlo. Da dove è tornato Diego? E perché è tornato? Non scrivo altro, perché i misteri devono essere preservati.

Oggi è lunedì 20 giugno del terzo anno senza Carnevale e questa Cronaca 834 rilegge il romanzo respirando l’aroma della pineta di Alba Adriatica.

domenica 19 giugno 2022

Cronache dagli anni senza Carnevale/833. Un libro che si cancella mentre lo scrivi

 

 


 

È bello non ricordare da un giorno con l’altro le cose fatte o pensate, è molto riposante. Così non penso a niente di quel che è accaduto di piacevole nei giorni scorsi e mi concentro sulla vita cittadina, con le sue incombenze e richieste continue di fare e fare. Milano è fatta così, non ha requie e non è facile staccarsi dai ritmi frenetici, anche se da quando hanno chiuso le scuole tutto si muove al rallentatore e il quartiere si è svuotato. Anche oggi mi sono immersa nella poesia di Brezmes e questa è la mia preferita:

 

 

Autobiografia

 

 

Vengo da un luogo

che mi insegue;

vado verso un luogo

che mi sfugge.

 

Tra questi due luoghi io esisto:

questo spazio tra parentesi,

questi puntini di sospensione

nella neve

delle pagine di un libro

che si cancella mentre lo scrivi.

 

Impronte di qualcuno

che dice che sono io.

 

 

Oggi è domenica 19 giugno del terzo anno senza Carnevale e del primo anno di guerra e questa Cronaca 833 mi insegue per le vie vuote della città.

sabato 18 giugno 2022

Cronache dagli anni senza Carnevale/832. Il mondo esiste, e non ha bisogno di me

 



Continua la pigra deriva estiva e io leggo poesia, scrivo e fantastico sdraiata in spiaggia. Il resto del tempo lo trascorro a nuotare, a chiacchierare con i vicini di ombrellone e passeggiare in pineta L’estate è ormai arrivata, mi sono così allontanata dalla vita cittadina e respirare salsedine e resina mi ritempra e mi riempie di gioia. In questa vita beata continuo a leggere Alfonso Brezmes Quando non ci sono e le sue parole sono un balsamo.

 

 

 

Microcosmo

 

Sto seduto qui.

Mormora un fiume

che non raggiunge lo sguardo.

Presto farà notte

e verranno gli animali

con i loro occhi come ferite,

soffierà il vento,

cadrà qualche stella,

e il mondo avrà compiuto

un altro giro perfetto

su se stesso.

Sto seduto qui.

Tutto è così semplice.

Il mondo esiste,

e non ha bisogno di me.

 

 

 

Oggi è sabato 18 giugno del terzo anno senza Carnevale e la città mai più silenziosa mi stava aspettando. Sono così contenta di essere qui com’ero contenta di essere al mare ancora stamattina e questa Cronaca 832, in realtà, sta ancora sguazzando tra le onde.

venerdì 17 giugno 2022

Cronache dagli anni senza Carnevale/831. Attraversare volando le frontiere incerte della poesia

 

 


 

Quando scopro un poeta per me nuovo e sconosciuto è sempre una festa. Ho iniziato a leggere durante questa pigra vacanza marina Alfonso Brezmes Quando non ci sono tradotto da Mirta Amanda Barbonetti per Einaudi. Sento molto la sua poesia e questo mi fa vibrare e mi mette allegria.

 

Ecco qualche piccolo assaggio della sue poesia che sto centellinando.

 

 

Vite parallele

 

Tu sulla linea 3,

che leggi Plutarco;

io sulla linea 5,

che faccio l’amore con te,

mentre fingo

di scrivere questa poesia.

 

Finzioni

 

 

Dimmi che questo è solo un sogno

o tutt’al più un altro racconto di Borges,

che i sentieri che percorre l’amore

sono labirinti che si biforcano

e si perdono, si biforcano

e si perdono, e che il tuo ricordo

è solo un uccello che attraversa

volando

le frontiere incerte della poesia.

Un universo in più

tra i mille universi possibili.

Un’ultima

e dolce

e superba

metafora dell’oblio.

 

 

Perduti

 

To celebrate this night we found each other,

let’s get lost, oh, let’s get lost…

Chet Baker

 

Rimani qui,

dove tutto è possibile.

Non aver paura,

anche se tutto è buio.

La realtà è qui.

Perché ci sarà sempre qualcuno

che tornerà ad aprire questo libro

e arriverà a questa pagina,

e nel pronunciare i nostri nomi

ci ritroverà.

 

 

Oggi è venerdì 17 giugno del terzo anno senza Carnevale e del primo anno di guerra e questa Cronaca 831 ascolta Chet Baker e canticchia a mezza voce.

giovedì 16 giugno 2022

Cronache dagli anni senza Carnevale/830. Era qualcuno che aveva conosciuto in albergo o che aveva già incontrato?


 


 

Oggi lettori e scrittori festeggiano una giornata speciale il Bloomsday, nato per ricordare la giornata del 16 giugno 1904, unico giorno del romanzo Ulisse di James Joyce.

Mi casca quindi a fagiolo il libro di Federico Pace che mi è molto piaciuto. Ecco l’incipit del capitolo dedicato all’incontra tra i duo giovani James e Nora.

 

“Quando la gemma esce dalla dormienza

 

Dublino conservava, in un’unica dimensione, la solitudine di molti. Aveva tenuto a lungo le persone ostinatamente separate nelle minute stanze delle proprie abitazioni, poi aveva cominciato a divertirsi, permettendo a quelle stesse persone di tuffarsi nel fervente andirivieni di chi si affretta ad attraversare gli incroci. Faceva sì che percepissero una libertà nuova, ma non sembrava voler concedere loro, fino in fondo, la possibilità di riscattarsi davvero. La città quasi traeva un piacere crudele a farle avvicinare, sfiorare, a permettere che si scambiassero uno sguardo, per poi separarle di nuovo. Per lo più, in quei giorni, la città metteva in scena un rimescolare apparente che in realtà lasciava, al termine di ogni giorno, le cose immutate. Così come erano state fino ad allora. Eppure le aspettative continuavano a covare seguendo strade che nessuno prevedeva. Eppure l’inestinguibile forza di un desiderio permaneva anche a cospetto del volto scaltro del disincanto. Era il 10 giugno del 1904 e Nora Barnacle era alle prese con il progredire dei compiti che scandivano l’orario del lavoro in albergo. Le stanze da rimettere in ordine, i letti sfatti, le lenzuola pulite con il loro profumo. I saluti nei corridoi dei clienti che nel giro di pochi minuti sarebbero partiti. Più tardi i piatti da servire ai tavoli. I boccali di birra. Era una bella giornata e neppure i rimproveri per qualche piccola imprecisione e le raccomandazioni su tutto quello che andava ancora terminato avevano diminuito la vitalità sotterranea che aveva cominciato a provare. Neppure la fine del turno di lavoro l’aveva trovata sfinita. Anzi, proprio in quel momento in cui i compiti dell’impiego e del dovere erano terminati, quando la pianura del tempo si era fatta più distesa, proprio allora, la febbre di vita era cresciuta, alimentata dalla leggerezza irripetibile dell’aria di quel mese. Con lo sguardo andava alle insegne dei negozi: JOHN MORTON, HARRIS, RACINE, YEATS & SON. Le lettere in oro che componevano i nomi e i cognomi dei proprietari di quelle aziende splendevano più che negli altri giorni sopra lo sfondo nero e lucido. Prorompeva, da dietro e dal centro della strada, lo sferragliare del tram a contatto con l’acciaio delle rotaie. Annunciava l’arrivo di inaspettate novità. Qualcosa di imperscrutabile le faceva sorgere un sorriso sulle labbra. A cosa pensava? Forse, con precisione, non lo sapeva neppure lei. Non c’era niente di definito a prendere forma nella mente, era più uno stato d’animo. Un modo di guardare alle cose che, inspiegabilmente, dopo tanti giorni, aveva mutato direzione. Quasi come una gemma che rompe la dormienza sullo stelo. Un principio di fioritura. Le piaceva camminare per le strade. Guardare le donne con le velette che nascondevano solo in parte il volto, gli uomini con i loro abiti scuri, i colletti inamidati delle camicie, le mani in tasca, fermi agli angoli. Le carrozze, i cavalli. Le piaceva confondersi tra la folla. Entrare in quel flusso di persone le offriva la possibilità, o almeno l’illusione, di far parte di un destino più ampio. Poi, tra la gente, aveva visto quel giovane. Sembrava stesse guardando proprio lei. Nella polifonica moltitudine di persone che vociavano su Nassau Street, sembrava che lui avesse messo a fuoco il volto di lei. Era qualcuno che aveva conosciuto in albergo o che aveva già incontrato?”.

 

Dalla mia pigrizia marina saluto questo 16 giugno del terzo anno senza Carnevale e questa Cronaca 830 che passeggia da sola per le vie di Dublino.

mercoledì 15 giugno 2022

Cronache dagli anni senza Carnevale/829. Si sentiva il respiro, l’andirivieni eterno e interrogativo delle onde

 


 

Continuo la mia vita marina, dove immergermi nel mare è sempre la gioia più grande. Forse ancora più grande dell’immergermi in un libro che mi piace molto. La processione è il titolo del capitolo dedicato a Simone Weil:

 

Dopo la fatica, il disincanto e la paura. Dopo il dolore e la ferita. Solo dopo tutto questo può arrivare all’improvviso il sollievo. Non è la luce del mattino, non è il vento che soffia sulle coste esposte del mare, non è il tempo del riposo. Non è il tuffo con cui riusciamo a gettarci da una roccia di un’ansa nascosta, non è il bacio di chi ci ha aspettato ancora, non è la corsa delle nuvole lontane che finiscono per dissolversi nella loro fuga verso il precipizio dell’orizzonte. Non è la pioggia che arriva nel pomeriggio, non è la luce della sera. Le barche erano tutte a riva, simili a grandi baccelli di un frutto sconosciuto deposto da chissà quale dio. L’arco dell’insenatura terminava proprio laggiù, sulla punta estrema, dove il faro con la sua luce

intermittente segnava i battiti della notte. Gli uomini si sono sempre adoperati per tenersi in contatto e dialogare. Per soccorrersi e aiutarsi. Anche quando sono stati costretti a rimanere lontani. Gli uomini hanno sempre trovato il modo di scambiare almeno un segnale con chi cerca un approdo, tra chi è andato al largo a pescare e chi, da terra, può soltanto dire: Guarda sono qui, devi rientrare da questa parte. La piccola comunità era tutta sul ciglio della spiaggia. Sospinta in quella striscia di terra, incerta fra l’attrazione esercitata dal mare maestoso e l’apparente protezione delle case edificate con pazienza sulla terra. Una comunità raccolta e ammutolita. Si sentiva il respiro, l’andirivieni eterno e interrogativo delle onde.

 

Oggi ho salutato anche Giorgia ed Enrico che sono ritornati a casa e mi muovo in questo piccolo mondo che ha le sue regole e i suoi rituali che mi si confanno, perché avevo davvero bisogno di staccare dalla vita cittadina, anche se è vero che non lasciamo mai davvero noi stessi da un’altra parte. La parte di me che sta sempre con me è soprattutto la lettrice, non riesco proprio a immaginarmi senza almeno un libro con me, e non c’è ebook che tenga, i libri veri sono quelli di carta. Così mi avvio verso la fine del libro di Federico Pace, mentre questa Cronaca 829, come al solito, non vuole uscire dall’acqua.

Oggi è mercoledì 15 giugno del terzo anno senza Carnevale e del primo anno di guerra.

martedì 14 giugno 2022

Cronache dagli anni senza Carnevale/828. La luce del sole che alle prime ore del mattino balugina nello spazio minuto tra le fenditure delle persiane

 

Continua la lettura spiaggiata del libro La più bella estate e anziché iniziare con le mie impressioni, inizio con un brano di Amoz Oz tratto da Lo stesso mare che Federico Pace ha messo in esergo:

 

 

Deserto: tufo e dirupo

odore di terra bagnata dopo un’estate di sete.

Viene una voglia:

essere ciò che sarei stato se avessi saputo ciò che è dato di sapere.

Essere prima di ogni cognizione. Come i colli. Come un sasso di luna.

Inerte e sicuro

di decantazione illimitata.

 

Un battito d’ali è il capitolo dedicato a Vladimir Nabokov e inizia così:

 

C’è un tempo della vita, e una stagione dell’anno, in cui tutti gli abbozzi della nostra esistenza sembra che vogliano, e possano, realizzarsi. In quel periodo, in quella stagione effimera, riusciamo a intravedere i vascelli delle nostre infinite esistenze possibili mentre se ne stanno schierati nel blu dell’orizzonte estivo. Al chiuso della nostra stanza, vediamo le prue di quelle imbarcazioni pronte a salpare, quando, ancora sdraiati nel letto, intuiamo la luce del sole che, alle prime ore del mattino, balugina nello spazio minuto tra le fenditure delle persiane. Con addosso il leggero velo del sonno, ne immaginiamo le traiettorie, le infinite avventure. Rimaniamo a guardare, con gli occhi dell’immaginazione, tutte le peripezie che si andranno compiendo. Le terre in cui giungeremo, le persone che avremo l’opportunità di avvicinare e che ci toccheranno nel profondo. Le cose sconosciute che avremo tra le mani. E di quelle prospettive, prima di scendere le scale della casa in cui ci troviamo in quel tempo della nostra

vita, sembriamo nutrirci e abbeverarci come di un alimento e un nettare prelibato. Non sappiamo ancora, e non possiamo nemmeno intuire, che ne sarà di quei vascelli schierati laggiù dove la terra si congiunge con il cielo. All’alba di un mattino di luglio del 1910, Vladimir Nabokov, non appena intravide attraverso le fenditure delle persiane un luminoso e vivace raggio di luce, invece di andare dove tutti lo aspettavano per la colazione, eccitato dal pensiero di ciò che lo aspettava fuori di casa, lontano dalla routine dell’abitazione familiare, scavalcò la finestra della sua stanza e sparì.

Leggo in spiaggia, faccio lungo passeggiate su e giù per il paesello che mi ospita, respiro il profumo della pineta, nuoto moltissimo, chiacchiero con i vicini di ombrellone e poi ho pranzato con le amiche e gli amici in partenza in un posticino delizioso, che si chiama Angolo 74,  che ci ha servito pesce freschissimo e c’era il vento e c’era il sole e l’estate era già iniziata.

 

Oggi è martedì 14 giugno del terzo anno senza Carnevale e del primo anno di guerra e con questa Cronaca 828 vivo nella mia bolla di mondo e riesco a essere gioiosa, non mi stancherei mai del mare, non mi stanco mai del mare.

lunedì 13 giugno 2022

Cronache dagli anni senza Carnevale/827. La più bella estate è quella che sta arrivando

 

 


 

Viaggio sempre con almeno tre libri e per questa breve vacanza abruzzese, uno dei tre è La più bella estate. Storie di una stagione in cui tutto è possibile (Einaudi 2022) di Federico Pace che già mi piaceva per i suoi libri precedenti e con questo si conferma come un cantastorie di pregio. Lui ha questa capacità di infilarsi nelle pieghe della Storia, delle vite di personaggi eminenti e di tirare fuori sempre qualcosa di importante, di unico, un’epifania che illumina quella vita e quella persona e ce la presente nella sua umanità e ricchezza e paura e gioia.

Questo è l’incipit del libro che mi ha tenuto compagnia in spiaggia almeno per oggi:

 

La persistenza del desiderio

Dalla finestra si vedono le chiome degli alti pini, poi alcuni scogli e infine il mare. Sono i primi giorni d’estate. Dagli inneschi luminosi fino al dissolversi autunnale, il tempo della sua evoluzione si ripete ogni anno. Nel suo svolgersi pare accadere ogni cosa. Le stelle cadenti, il volo fragile delle farfalle, l’apparire ad altezze mesosferiche delle nubi nottilucenti, l’ostinata fioritura delle gemme. Seppure conosciamo le spiegazioni scientifiche dei fenomeni a cui assistiamo, quando ne facciamo l’esperienza diretta, quelle indicazioni non sembrano esaurirne il significato, piuttosto ne aumentano il mistero. Sempre rimane qualcosa di inaccessibile. Nonostante il rumore assordante e la sua veste consumata di rito collettivo, l’estate è sempre qualcosa di vivo e personale. Di intimo e struggente. Al suo approssimarsi, si sente, prima in maniera incomprensibile, e poi più urgente e chiara, la spinta del ricordo e della promessa. Ciò che è stato e ciò che sarà. Si sente di nuovo il bisogno di mettere in moto qualcosa che ci riguarda davvero. Riaprire il discorso che a un certo punto, senza esserne consapevoli, avevamo lasciato interrotto. Un tuffo in acqua, lo sfiorarsi delle labbra, le notti che si dissolvono nel giorno senza alcuna cesura. Ciò che accade d’estate è caratterizzato da una singolare unicità e il ricordo ci insegue con un’insistenza abbacinante.

 

Con questa Cronaca 827 avida di storie, prendo commiato da questo lunedì 13 giugno del terzo anno senza Carnevale e del primo anno di guerra.

domenica 12 giugno 2022

Cronache dagli anni senza Carnevale/826. La prevalenza del bianco tra mille colori

 


 

Oggi è stata una giornata davvero speciale ed emozionante, iniziata con il matrimonio di Giorgia ed Enrico e terminata con una lunga passeggiata a piedi nudi sulla battigia a parlare di romanzi e scrittori. La sposa era bellissima e lo sposo pure, splendevano nella magnifica giornata estiva in un luogo incantato, circondati dalla bellezza del paesaggio abruzzese, colline, colline e il mare sullo sfondo. Kristine ha officiato la cerimonia e quando gli sposi hanno letto le promesse, confesso che anche il mio cuore di pietra si è smosso e mi sono commossa, come non mi succedeva al matrimonio di mio fratello e come non mi succede di solito ai matrimoni. Alla cerimonia è seguito un pranzo nuziale perfetto, con ogni ben di dio di cibo e bevande e tra mille chiacchiere, giochi, divertimenti. E così è passata questa giornata magnifica, terminata con la performance di Luca, una dei testimoni della sposa, che ha scritto e recitato due poesie erotiche scritte per l’occasione. L’unico momento di solitudine che mi sono concessa in questa giornata di riti collettivi, è stata a bordo piscina, quando mi sono messa a contemplare il paesaggio intorno e il cielo contornato dalle palme che lo inquadravano, verde su azzurro intenso, scintillii dell’acqua battuta dai raggi del sole che raggiungevano comunque il mio sguardo, le chiacchiere degli invitati che arrivavano come un’eco lontana. Ogni tanto mi fermavo a guardare i bei vestiti delle signore dai colori che coprivano davvero tutta la gamma dell’arcobaleno, lavanda, rosso, rosa, fucsia, bianco, avorio, blu, arancione, blu china, verde, verde chiarissimo, oro, giallo, azzurro, avorio sfumato di rosa e ancora lavanda. E la sposa in bianco che è il classico colore da matrimonio in un abito incantevole con lo strascico e un enorme bouquet di rose bianche. È proprio vero, più si invecchia più si apprezzano i riti e le consuetudini della tradizione, almeno così è per me.

Oggi è domenica 12 giugno del terzo anno senza Carnevale e questa Cronaca 826 ha gli occhi colmi di bellezza e il pancino satollo di torta nuziale, una squisita millefoglie con la crema pasticcera e le gocce di cioccolato.

sabato 11 giugno 2022

Cronache dagli anni senza Carnevale/825. Una lingua millenaria che solo gli alberi conoscono

 


 

I viaggi lenti sono i miei preferiti, i viaggi in treno soprattutto, perché posso guardare il mutare del paesaggio, fantasticare, dormire, leggere e contare le stazioni che mancano all’arrivo. È stato un viaggio lento quello odierno in compagnia di Elisabetta e Roberta e la meta era una regione remota dell’Italia centrale a me sconosciuta, gli Abruzzi che al plurale mi piace di più. Siamo partite all’inizio del pomeriggio e arrivate in tarda serata. Poi abbiamo depositato i bagagli in albergo e raggiunto le amiche e gli amici per bere qualcosa. Il profumo del mare si mescolava con quello della pineta che separa il lungomare dalla strada principale che attraversa il paese. Gli invitati del Nord erano arrivati tutti, c’era un’allegria diffusa e quando i quasi sposi sono arrivati, abbiamo notato subito che lei sprizzava gioia come una ragazzina. Abbiamo tirato tardi ridendo e scherzando e poi siamo tornati in albergo. Dal balconcino della mia camera vedo le colline illuminate, l’aria è sempre profumata e il paesaggio mi ricorda quello calabrese della mia infanzia. Si sta bene sul balconcino, così prendo uno dei quattro libri che mi accompagnano in questo viaggio e leggo una poesia, quella sulla copertina della raccolta Quando non ci sono:

 

Vogliamo imparare in due giorni

una lingua millenaria

che solo gli alberi conoscono:

lasciarsi cullare dall’aria,

mentre le foglie dicono me ne vado

e le radici resto qui.

 

 

Una giornata lunga e bella questo sabato 11 giugno del terzo anno senza Carnevale e del primo anno di guerra e questa breve Cronaca 825 si accontenta di tutta la bellezza che abbiamo condiviso.

venerdì 10 giugno 2022

Cronache dagli anni senza Carnevale/824. Appunti per un romanzo. La nostra vita consiste in come scegliamo di distorcerla

 



 

“Mi piace! Un personaggio che è troppo nevrotico per funzionare nella vita ma che funziona solo nell’arte. Appunti per un romanzo. Inizio possibile. Rifkin conduceva una frammentaria, disarticolata, esistenza. Era arrivato da tempo a questa conclusione: tutti conosciamo la stessa verità. La nostra vita consiste in come scegliamo di distorcerla. Soltanto la sua prosa era serena, quella prosa che in più di un’occasione gli aveva salvato la vita”.

 


Sto rivedendo a caso i film di Woody Allen, uno dei mie registi preferiti. È amaro, filosofico, ironico, antipatico, divertente e commovente. Per ora ho rivisto Match Point e Harry a pezzi, la citazione di apertura è la sua scena finale. Allen conosce molto bene le nevrosi dell’artista e la letteratura e gli scrittori sono parte fondamentale del suo bagaglio. Forse anche per questo mi piacciono così tanto i suoi film. I mie preferiti Hannah e le sue sorelle, Manhattan e Un’altra donna, me li terrò per ultimi come faccio sempre. In queste giornate luminose e ormai estive, sto continuando a leggere i diari di Virginia Woolf, Federico Pace, Borges e Laura Boella, di cui poi scriverò. Stasera sono poi andata a mangiare una pizza con Alex, Monica, Franco e Manuela, una coppia di vecchi amici con cui per anni abbiamo trascorsi dei bellissimi giorni di Ferragosto. Mancava un quarto d’ora alle 22 e la luce era ancora alta, le rondini sfrecciavano nel cielo e sentivo l’estate scorrermi nelle vene. Così chiudo questa Cronaca 824 di venerdì 10 giugno del terzo anno senza Carnevale e del primo anno di guerra con le citazioni che Pace ha messo in esergo al suo libro La più bella estate:

 

Shall I compare thee to a summer’s day?

William Shakespeare

 

I say Live, Live because of the sun,

the dream, the excitable gift.

Anne Sexton

 

Deserto: tufo e dirupo

odore di terra bagnata dopo un’estate di sete.

Viene una voglia:

essere ciò che sarei stato se avessi saputo ciò che è dato di sapere.

Essere prima di ogni cognizione. Come i colli. Come un sasso di luna.

Inerte e sicuro

di decantazione illimitata.

Amos Oz

 

 

 

William Shakespeare, I sonetti, a cura di Lucia Folena, Einaudi, Torino 2021; Anne Sexton, Complete Poems, Ecco Press, New York 1999; Amos Oz, Lo stesso mare, Feltrinelli, Milano 2000.

giovedì 9 giugno 2022

Cronache dagli anni senza Carnevale/823. La parola semplice, della stessa materia della luce

 


  

Oggi giornata di lavoro durissimo, intenso e divertente e poi a fine pomeriggio incontro alla Libreria delle Donne per programmare gli incontri futuri. Ci sono tanti libri interessanti, documentari e persone da incontrare e scoprire. Però oggi è anche uscito un prezioso libro Verrà la pace e avrà i tuoi occhi. Piccolo vademecum per la pace ricco di riflessioni e poesie dedicate a questo tema imprescindibile per educarci a vivere in un mondo senza conflitti. Che è un intento utopistico, lo so bene, ma senza l’orizzonte dell’utopia, come scriveva Eduardo Galeano, è difficile continuare a camminare. Nel libro c’è anche la mia poesia Trittico degli alberi e della pace che ho già postato nelle Cronache, così scelgo la poesia di Lorenzo Gobbi:

 

 

La gioia è un turbine di quiete

 

Ho imparato, Layla, quanto

è giusto stendere la mano

al disperdersi dei passeri

per fame – senza foga di nutrire,

di salvare. Impazzirei se non sognassi

un dio che è pane.

Penso che sia stata pronunciata

la parola semplice, la sola

che ci ascolti intimamente

senza dire, della stessa materia

della luce.

Purifica il dolore... a me

non sembra: direi che c’è un bisogno

indiscutibile di gioia

com’è forse nella vita oscura

dei diamanti – gioia pura,

grazia illimitata perché a volte

l’opera si compia.

È bene liberare, Layla,

assolvere nel gesto e nella voce,

aspergere col sangue se bisogna –

il proprio, il solo. Se no, perché

parlare?

Quando si spezza la canna incrinata

e il lume che vacilla cede

tutto alla durezza della notte,

senti a poco a poco come

un fremito nel buio e nella terra:

un saluto che si colma, un abbraccio

caldo che ridona vita appena può.

 

 

Con un canto di speranza si chiude questo giovedì 9 giugno del terzo anno senza Carnevale e del primo anno di guerra e questa Cronaca 823, semplice, pura, luminosa.

mercoledì 8 giugno 2022

Cronache dagli anni senza Carnevale/822. Nel vago confine immaginario dello specchio vive la luce

 

 


 

Ho scoperto da poco un pittore che non conoscevo, così sono andata a Palazzo Reale a vedere Joaquin Sorolla. Pittore di luce con i cari amici Grazia e Danilo. Sorolla è stato un pittore famosissimo in vita, che è stata piuttosto breve, ha ottenuto riconoscimenti e venduto moltissimi quadri, un destino d’artista opposto a quello di Van Gogh in definitiva. La mostra non è molto grande ma vale la pena vederla perché davvero i suoi quadri sprigionano luce.

Credo lo si possa definire un pittore post-impressionista e, come mi faceva notare Danilo, grande appassionato ed esperto d’arte, mentre lui continuava a procedere in una tradizione, Picasso dipingeva Les damoiselles d’Avignon, ma a ciascuno il proprio destino e la propria maestria. Dopo la mostra sono andata con il nipotine Marco a cena dall’amico regista Luciano, gran bella serata anche questa. C’era anche la sua amica Nicola Eugenia, e abbiamo ben mangiato e bevuto e parlato moltissimo di cinema, politica, letteratura e vacanze. Luciano ha un carattere magnifico è curioso di tutto e si muove nella vita con la stessa vitalità di un ragazzo. Chissà se invecchiare bene è questione di geni, carattere o fortuna o di tutte le cose messe insieme. Comunque ho continuato a leggere Borges nei vari viaggi in metro, per cui anche oggi ecco una sua poesia tratta da Storia della notte:

 

 

Lo specchio

 

Da bambino, temevo che lo specchio

mostrasse un volto altrui o una cieca

maschera impersonale che celasse

oscure atrocità. Temevo inoltre

che il silenzioso tempo dello specchio

deragliasse dal corso quotidiano

delle ore dell’uomo e che ospitasse

nel suo vago confine immaginario

forme e colori nuovi, esseri ignoti.

(Non lo dissi a nessuno; il bimbo è timido).

Oggi, io temo che lo specchio colga

il volto autentico della mia anima,

segnata dalle ombre e dalle colpe,

quello che vede Dio. E forse gli uomini.

 

 


Ora è tardissimo, il calendario sta per girare pagina, sono gli ultimi minuti di mercoledì 8 giugno del terzo anno senza Carnevale e del primo anno di guerra e insieme alla Cronaca 822 sto vivendo come se niente fosse