domenica 31 maggio 2015

La verità è che scrivere è un profondo piacere ed essere letti è un piacere superficiale

Il primo giorno d'estate, le foglie escono visibilmente fuori dalle gemme e lo Square è quasi verde. Ah, che giornata sarebbe in campagna - e alcuni dei miei amici ora stanno leggendo Mrs Dalloway in campagna.
Volevo annotare qualcosa di più sulla temperatura dei miei libri. Common Reader non vende; ma è lodato. Mi ha fatto veramente piacere aprire il "Manchester Guardian" questa mattina e leggere Mr Fausset sull'arte di V. W. Brillante e onesta; profonda e anche eccentrica. Se soltanto il "Times" parlasse in modo altrettanto chiaro invece di bofonchiare e borbottare come chi succhia sassolini - ho detto che ci sono quasi due colonne di bofonchiamenti su di me nel "Times"?
Ma la cosa strana è questa: onestamente non sono quasi per niente nervosa riguardo a Mrs D. Come ma? Davvero mi dà fastidio, per la prima volta, il pensiero di quanto dovrò parlarne quest'estate. La verità è che scrivere è un profondo piacere ed essere letti è un piacere superficiale. Sono ora tutta presa dal desiderio di smetterla col giornalismo per mettermi al lavoro con To the Lighthouse. Sarà un libro piuttosto breve: vi traccerò il ritratto completo di mio padre; di mia madre; ci metterò St Ives; l'infanzia; e tutte le solite cose che tento di metterci - la vita, la morte ecc. Ma al centro c'è il personaggio di mio padre, seduto in barca, che recita "We perished, each alone", mentre colpisce uno sgombro morente - Ma devo fermarmi. Prima devo scrivere alcuni brevi racconti, e lasciare che To the Lighthouse cuocia a fuoco lento, aggiungendoci qualcosa tra il tè e la cena fino a che non sia pronto e soltanto da trascrivere in bella.
Giovedì 14 maggio 1925
Virginia Woolf
Diari. 1925-1930
a cura di Bianca Tarozzi
BUR 2012

sabato 30 maggio 2015

Fuori dalla finestra può ritrovarsi qualunque cosa – una nave, il deserto, Londra

Parliamo di questo libro, Le falene. Come iniziarlo? E cosa deve essere?
Non sento forti impulsi, nessuna febbre: soltanto una grande tensione per la
complessità. Perché scriverlo, allora? Perché scrivere? Ogni mattina scrivo un
breve abbozzo, per divertirmi. Non dico – potrei dirlo – che questi abbozzi abbiano un legame. Non cerco di raccontare una storia. Eppure si potrebbe forse costruire così. Una mente che pensa. potrebbero essere isole di luce, isole nel fiume che cerco di rappresentare: la vita stessa che scorre. La corrente del volo delle falene attirata fortemente in questo senso. Una lampada e un vaso di fiori, al centro. Il fiore può cambiare continuamente. Ma tra una scena e l’altra dev'esserci più unità di quanto non riesca a trovarne per ora. Autobiografia, si potrebbe chiamare. Come posso rendere una fase, o atto, tra due apparizioni delle falene, più intensa di un’altra se vi sono soltanto delle scene? Bisogna afferrare il concetto che questo è l’inizio, questo il centro, questo il culmine, quando lei apre la finestra e le falene entrano.
Ci metterà le due diverse correnti: la falene che volano, il fiore ritto nel mezzo;
un perenne rinnovarsi e polverizzarsi della pianta. Nelle sue foglie, lei potrebbe
vedere accadere le cose. Ma chi è lei? Mi preme molto che non abbia nome. Non
voglio una Lavinia, una Penelope: voglio ‘lei’. Ma questo diventa artistoide, un po’ floreale-estetizzante, simbolismo in tunica. Naturalmente io posso farla pensare al passato e al futuro. Posso raccontare storie. Ma non è questo il punto. Abolirò anche l’esattezza di luogo e di tempo. Fuori dalla finestra può ritrovarsi qualunque cosa – una nave, il deserto, Londra.

28 maggio 1929

Virginia Woolf
Diario di una scrittrice

Mondadori 1979
Minimum Fax 2005
traduzione di Giuliana De Carlo

venerdì 29 maggio 2015

E mi piace Londra, per scrivere questo libro

Londra è un incanto. Esco e poso il piede su un magico tappeto bronzeo, e mi trovo rapita, nella bellezza, senza neppure alzare un dito. Uno stupore le notti, con tutti quei portici bianchi e i vasti viali silenziosi. E la gente che sbuca dentro e fuori, agilmente, piacevolmente, come conigli. Io guardo giù per Southampton Road, bagnata come il dorso di una foca o rossa e gialla di sole e osservo gli omnibus che vanno e vengono e sento i vecchi organetti folli. Uno di questi giorni scriverò di Londra, di come raccoglie la vita intima e la trasporta, senza alcuno sforzo. I volti dei passanti sollevano il mio pensiero; gli impediscono di posarsi, come nella quiete di Rodmell.

Ma la mia mente è piena delle Ore. Adesso dico che ci lavorerò per quattro mesi, giugno, luglio, agosto, settembre, e poi sarà finito, e lo metterò via per tre mesi, durante i quali terminerò i miei saggi; e allora sarà – ottobre, novembre, dicembre – gennaio; e lo rivedrò tutto tra gennaio, febbraio, marzo e aprile; e in aprile usciranno i miei saggi e in maggio il mio romanzo. Questo è il programma. Mi si dipana dalla mente rapido, e adesso anche libero; e dalla crisi dell’agosto scorso, che considero l’inizio, è andato molto in fretta, anche se con molte interruzioni. Sta diventando più analitico e umano, mi sembra; meno lirico; ma sento di avere allargato i limiti a sufficienza e di poterci riversare tutto. Se così è, tanto meglio. Resta da rileggere. Questa volta miro a 80.000 parole. E mi piace Londra, per scrivere questo libro; in parte perché, come dico, la vita ti sostiene; e con il mio cervello a gabbia di scoiattolo è una gran cosa non dover più girare in tondo. Poi vedere creature umane, liberamente e rapidamente, è per me un infinito vantaggio. E posso fare rapide sortite fuori di casa e rinfrescare il mio ristagno.

Virginia Woolf
Diario di una scrittrice

traduzione di Giuliana De Carlo
Oscar Saggi Mondadori 1979

giovedì 28 maggio 2015

Le stagioni e il vento, la luce e le nubi

I

Mentre tu dormi
le stagioni passano
sulla montagna.

La neve in alto
struggendosi dà vita
al vento:
dietro la casa il prato parla,
la luce
beve orme di pioggia sui sentieri.

Mentre tu dormi
anni di sole passano
fra le cime dei làrici
e le nubi.

II

Io posso cogliere i mughetti
mentre tu dormi
perché so dove crescono.
E la mia vera casa
con le sue porte e le sue pietre
sia lontana,
né io più la ritrovi,
ma vada errando
pei boschi
eternamente –
mentre tu dormi
ed i mughetti crescono
senza tregua.

28 maggio 1935

Antonia Pozzi


mercoledì 27 maggio 2015

Scrivere poesia è lasciare che il senso ritmico leghi le cose in un tutto armonioso

[…] scoprire il rapporto tra cose incompatibili mentre hanno un’affinità misteriosa, assorbire ogni esperienza che attraversa la […] strada, senza timore e saturarla completamente in modo che la […] poesia sia un insieme, non un frammento; ripensare la vita umana in poesia onde darci di nuovo la tragedia e la commedia attraverso personaggi concentrati e sintetizzati come fanno i poeti. […] Tutto quello che devi fare adesso è stare alla finestra e lasciare che il tuo senso ritmico si apra e si chiuda, si apra e si chiuda, in modo audace e libero finché una cosa non si fonde in un’altra, finché i taxi non si mettono a ballare con i narcisi, finché da tutti questi frammenti separati non si viene formando un insieme. […] Poi lascia che il tuo senso ritmico si snodi tra gli uomini e le donne, tra gli omnibus, i passeri - qualsiasi cosa si presenti lungo la strada - finché non li abbia legati in un tutto armonioso.

Virginia Woolf
Lettera a un giovane poeta
a cura di M. Premoli
Archinto 2000


martedì 26 maggio 2015

La felicità è un filo a cui appendere le cose

La felicità è un filo a cui appendere le cose. Per esempio, andare dalla sarta in Judd Street o piuttosto pensare a un vestito che potrei chiederle di farmi, e immaginarlo già fatto - questo è il filo che, negligentemente immerso nel tesoro di un'onda, tornerebbe alla superficie ricoperto di perle. La povera Murphy ha un muso lungo così dopo i feroci e violenti rimbrotti di L. - epiteti che lui rinnegherebbe. Lei non ha fili da immergere nell'onda verde: le cose per lei non sono collegate, non si uniscono nei grappoli allettanti che costituiscono le felicità. I miei giorni invece probabilmente ne sono pieni. Mi piace questa vita londinese di inizio estate - passeggiare per le strade e fermarmi negli Square coi giardini e poi se i miei libri (non parlo mai dell'opuscolo di L.) dovessero avere successo; se potessimo cominciare i lavori a Monk e installare una radio per Nelly, ospitare gli Skeat nel cottage di Shanks - se - se - se Quel che acccadrà sarà un qualche intenso momento di piacere e qualche profonda immersione nella malinconia. Cattive recensioni, essere ignorata; e poi qualche delizioso battimani. Ma quel che mi piacerebbe davvero sarebbe avere £ 3 per comprare un paio di stivali con la suola di gomma, e fare delle passeggiate in campagna la domenica. 

Lunedì 20 aprile 1925

Virginia Woolf
Diari. 1925-1930
a cura di Bianca Tarozzi
BUR 2012

Scrivere è scavare il mio pozzo di petrolio per estrarne tutto il contenuto

Una cosa, considerando il mio stato d'animo di ora, mi sembra incontestabile ed è che finalmente, scavando, sono arrivata a perforare il mio pozzo di petrolio  e non scriverò mai abbastanza in fretta, tanto da estrarne tutto il contenuto. Ho almeno sei racconti che premono per uscire e ho la sensazione, finalmente, di poter tradurre in parole tutti i miei pensieri. Restano nondimeno una quantità infinita di problemi; ma non ho mai sentito prima questa urgenza, questa frenesia. Credo di poter scrivere molto più in fretta: se è scrivere - questo improvviso balzo verso un pezzo di carta per annotare una frase, per battere e e ribattere a macchina - sperimentando, perché lo scrivere vero e proprio ora è come una larga pennellata, che perfeziono più tardi. 
E se diventassi un romanziere interessante - non dico grande - ma interessante? Stranamente, nonostante tutta la mia vanità, finora non ho avuto molta fiducia nei miei romanzi, né ho pensato che esprimessero me stessa.

Lunedì 20 aprile 1925

Virginia Woolf
Diari. 1925-1930
a cura di Bianca Tarozzi
BUR 2012


lunedì 25 maggio 2015

tutto sarà dimenticato, tranne quell'istante

Gli anni poi passeranno
masse di monti e pietra si frapporranno
tutto sarà dimenticato
come si dimentica il cibo quotidiano
che ci tiene in piedi.

Tutto, tranne quell'istante
in cui sul metrò affollato
ti aggrappasti al mio braccio.

Titos Patrikios
La resistenza dei fatti 
Crocetti 2007

domenica 24 maggio 2015

unisci lentamente i giorni finché luce di luce non li arda sui bordi

Lascia che il corpo rovesci ogni riparo
e lo colmi dei corpi che abbandona
unisci lentamente i giorni
finché luce di luce
non li arda sui bordi
togliendo nomi alla terra.
Scendono nella notte gli orti cittadini
il vento inclina un cespuglio.
Nessuno sa quando sarà chiamato, quale dettaglio
– quale grigio di pietra o di stoviglia –
lo stringerà nel buio
quale parte di pena si staccherà per prima
dondolando in avanti fino a cadere piano intorno al vuoto.
Ora solo il vento davvero riconduce alla notte
e gioghi annunciano altri gioghi
dietro vetri, dietro nebbia inusuale
in questo anno che addensa
ed è appena l’inizio di una maturità più dura.

Antonella Anedda
Notti di pace occidentale 
Donzelli 1999

sabato 23 maggio 2015

Scrivere è curare le ferite, addomesticare le cicatrici

Quello che appare memoria è raccolta di cicatrici.

Dolores Prato
Giù la piazza non c'è nessuno
Quodlibet 2009

venerdì 22 maggio 2015

come due lenti fiumi uno accanto all'altro

Il tempo ora
 A Américo Ferrari 



Il tempo non mi parla della morte,
in quella città più non viviamo.

E non è che io mi scordi di morire a ogni istante
assieme alle foglie, agli alberi, al vento.

Muoio quanto posso, ma non in anticipo.
In questa primavera le mie missive hanno altre lettere.
Non sono più giovane. Vado piano.
Ho imparato molto dal passero
che al mattino mi risveglia.

Il tempo trascina il sole dietro la collina
e si porta via i miei giorni uno dopo l'altro,
ma non parliamo della morte.

Vaghiamo lontani con le ore che passano,
contemplando le nuvole in fondo alle strade,
le pietre sotto la pioggia, i suoni silvestri,
come due lenti fiumi uno accanto all'altro,
quasi sempre in silenzio.

Eugenio Montejo
La lenta luce del tropico
traduzione di Luca Rosi
Le Lettere 2006




El tiempo ahora


 A Américo Ferrari 

El tiempo no me habla de la muerte, 
en esa ciudad ya no vivimos. 

Y no es que me olvide de morir cada instante junto a las hojas, los árboles, el viento. 

Muero lo que puedo, pero no me adelanto. 
En esta primavera mis cartas tienen otras letras. 
Ya no soy joven. Voy despacio. 
He aprendido mucho del gorrión que en la mañana me despierta. 

El tiempo arrastra al sol tras la colina 
y se lleva mis días uno tras otro, 
pero no hablamos de la muerte. 

Vagamos lejos con las horas que pasan, 
contemplando las nubes al fin de los caminos, 
las piedras en la lluvia, los sonidos silvestres, 
como dos lentos ríos uno al lado del otro, 
casi siempre en silencio.

giovedì 21 maggio 2015

in cerca di te dappertutto

In cerca

Ricordo un tale una volta ammettere
che tutto quel che ricordava di Anna Karenina
era che aveva a che fare con un cestino da picnic,

ed ora, dopo avere consumato un libro
dedicato a Barcellona,
la sua gente, la sua storia, la sua complessa architettura,

tutto quel che ricordo è l'accenno
a una gorilla albina, l'abitante di un parco
dove una volta stava la Cittadella dei Borboni.

Il suo perfetto candore sovrastava
tutte le date e i nomi famosi
mentre chi passeggia la sera si ferma davanti a lei

e la indica per farla vedere ai bambini.
La gente del luogo la chiama Fiocco di neve
ed è stata citata di nuovo in questo libro

nella speranza di tenere in vita la sua pallida fiamma
e dia aiutarla, nonostante il nome, a durare
in questa poesia dove ha trovato un'altra gabbia.

Oh, Fiocco di neve,
non mi importava nulla della capitale della Catalogna,
della sua gente, della sua storia, della sua complessa 
                                                                      architettura,

no, eri tu il motivo
per cui ho tenuto accesa la luce fin dentro la notte
girando tutte quelle pagine, in cerca di te dappertutto.

Billy Collins
Balistica
a cura di Franco Nasi
Fazi Editore 2011




Searching
I recall someone once admitting
that all he remembered of Anna Karenina
was something about a picnic basket,
and now, after consuming a book
devoted to the subject of Barcelona--
its people, its history, its complex architecture--
all I remember is the mention
of an albino gorilla, the inhabitant of a park
where the Citadel of the Bourbons once stood.
The sheer paleness of him looms over
all the notable names and dates
as the evening strollers stop before him
and point to show their children.
These locals called him Snowflake,
and here he has been mentioned again in print
in the hope of keeping his pallid flame alive
and helping him, despite his name, to endure
in this poem, where he has found another cage.
Oh, Snowflake,
I had no interest in the capital of Catalonia--
its people, its history, its complex architecture--
no, you were the reason
I kept my light on late into the night,
turning all those pages, searching for you everywhere.

mercoledì 20 maggio 2015

come le rose disordinando l'aria

Ricevimento di un amico

Lo seguo, 
lo precedo nella voce 
perché ho, 
come il fumo spopolato, 
vocazione di acquerello.
Raccontami 
come sono lì le cose di consumo:
libri, 
rose, 
tintinnii di rondini.

A parte tutto questo 
gli domando
dei manghi geologici 
che lo bordeggiano di polpa,
e di un nuovo fiume, 
senza guardarlo,
con popoli di suono 
e longitudine di Arcangelo.
Dimmi anche qualcosa del piccolo litorale 
dove recentemente il giorno, 
come un celeste animale bifronte, 
si accampò in due acquari 
e si colmò di pesci.

O se lo ricevettero unanimi gli alberi 
come quando elessero la prima allodola dell'anno 
e il giorno della fioritura.

Riassumimi ora che tremo 
benignamente 
dietro una rondine, 
ora che mi propongono pubblicamente 
per nudo di farfalla

e sto come le rose 
disordinando l'aria.



Eunice Odio
Come le rose disordinando l’aria
traduzione e introduzione a cura di Tomaso Pieragnolo
Passigli 2015

Recepción a un amigo

Lo sigo, 
lo precedo en la voz 
porque tengo, 
como el humo en despoblado, 
vocación de acuarela. 

Cuénteme 
cómo son ahí las cosas de consumo: 

libros, 
rosas, 
tintineos de golondrina. 

Aparte de todo eso 
le pregunto 

por los mangos geológicos 
bordeándolo de pulpa, 

y por un rio nuevo, 
sin mirarlo, 

con pueblos de sonido 
y longitud de Arcángel. 

Dígame algo también sobre el pequeño litoral 
donde recientemente el día, 
como un celeste animal bifronte, 
acampó en dos acuarios 
y se llenó de peces. 

O si lo recibieron unánimes los árboles 
como cuando eligieron a la primera alondra del año 
y el día de florecer. 

Resúmame ahora que tiemblo 
benignamente 
detrás de una golondrina, 

ahora que me proponen públicamente 
para desnudo de mariposa 

y estoy como las rosas 
desordenando el aire.

martedì 19 maggio 2015

Scrivere poesia è proteggere il silenzio con parole minime, rispettose, memorabili

Quello che si può fare
è preservare i luoghi inaccessibili. Costoni
impervi striati di ghiaccio,
rive non accostabili, gole.
Tracce di vita animale che ci sfugge.
Proteggere il silenzio con parole
minime, rispettose, memorabili.
Fabio Pusterla
Corpo stellare 

Marcos y Marcos 2010

lunedì 18 maggio 2015

Ogni poesia è un atto d’amore e di fede

Perché scrivere

Perché è un gesto che amiamo

Ogni poesia è un atto d’amore e di fede. Quello del poeta è un mestiere che rende così poco, sia finanziariamente sia in termini di fama e successo, che l’atto di scrivere una poesia dev'essere un atto che trova la propria giustificazione in se stesso e non mira a nessun altro scopo. Per volerlo fare, bisogna amarlo, quell'atto. In questo senso, allora, ogni poesia è una “poesia d’amore”.

Raymond Carver
Niente trucchi da quattro soldi
Consigli per scrivere onestamente
traduzione di Riccardo Duranti
minimum fax 2002

domenica 17 maggio 2015

sentirmi amato sulla terra

Ultimo frammento

E hai ottenuto quello che
volevi da questa vita, nonostante tutto?
Si.
E cos'è che volevi?
Potermi dire amato, sentirmi
amato sulla terra.

Raymond Carver
Niente trucchi da quattro soldi
Consigli per scrivere onestamente
traduzione di Riccardo Duranti
minimum fax 2002

sabato 16 maggio 2015

Scrivere poesia è parlare a ogni tempesta con voce fiera, vedere ogni città con occhi ardenti

Parla pacatamente

Parla pacatamente: sei più vecchio
di quello che a lungo sei stato; sei più vecchio
di te stesso - e ancora non sai
cosa siano l'assenza, la poesia e l'oro.

Un'acqua bruna ha inondato le vie; una breve tempesta
ha scosso questa piatta città sonnolenta.
Ogni tempesta è un'addio, come se centinaia
di fotografi roteassero su noi, fissando con il flash
attimi di panico e di angoscia.

Sai cos'è il lutto, la disperazione tanto violenta
da soffocare il ritmo del cuore e il futuro.
Hai pianto fa estranei, in un negozio moderno
dove svelto continuava a girare il denaro.

Hai visto Venezia e Siena e, sulle tele come nelle vie, 
tristi giovani madonne che sognavano di essere 
ragazze come tante e ballare a carnevale.

Hai visto anche piccole città, non certo belle, 
gente vecchia, spossata dal tempo e dalla sofferenza.
Nelle icone medioevali brillavano gli occhi
di santi bruni, occhi ardenti di fiere.

Raccoglievi sassolini sulla spiaggia, a la Galère,
e di colpo avvertivi una così grande tenerezza
- per loro e per il pino snello, per coloro
che erano lì con te e per il mare
che è davvero possente, ma molto solo - 

così grande, come se tutti fossero orfani
della stessa casa, separati per sempre
e condannati solo a vedersi per brevi istanti
nelle fredde prigioni del presente.

Parla pacatamente: non sei più giovane,
l'abbagliante incanto deve accordarsi con settimane di digiuno,
devi scegliere, rinunciare, temporeggiare

e parlare a lungo con gli emissari di paesi aridi
e di labbra screpolate, devi aspettare,
scrivere lettere, leggere libri di cinquecento pagine.
Parla pacatamente. Non rinunciare alla poesia.


Adam Zagajewski
Dalla vita degli oggetti 
a cura di Krystyna Jaworska
Adelphi 2012


Quando trovo una pagina bianca da scrivere, respiro

Tra il 1955 e il 1990, Elena Croce e Maria Zambrano scambiarono moltissime lettere, che ora vengono raccolte in un bel libro curato da Elena Laurenzi, A presto, dunque, e a sempre (Archinto). 
Erano molto diverse: nella mente, nella cultura, nelle inclinazioni; ma tra loro nacque subito un'amicizia, che affondava nelle regioni più intime e segrete dell'animo. Erano legate, senza che noi possiamo dirne esattamente la ragione. Bastava che l'una pronunciasse una parola, perché nell'altra si risvegliasse un'emozione, a volte quasi estatica, di cui non finiamo di raccogliere gli echi.
Maria Zambrano aveva una geniale immaginazione filosofica, che cominciò a sviluppare all'ombra di Ortega y Gasset, e che si nutriva di una ricca fantasia lirica e ritmica. Per il suo pensiero, la scrittura era essenziale. "Il tono, il ritmo e la melodia e, se la si ottiene, la cadenza - la musica insomma, è essenziale nella comunicazione del pensiero". Le parole scritte si immergevano nella fluida mobilità della vita. "Tu sai - scriveva - quanto mi piace immergermi tra la gente, camminare per le strade, mescolandomi, essere come una spugna che si imbeve di quel che c'è nell'ambiente". "Quanto ho scritto in vita mia! Quando trovo una cartella bianca respiro".

incipit della recensione, pubblicata sul Corriere della Sera di venerdì 8 maggio 2015, che Pietro Citati ha dedicato all'epistolario di Maria Zambrano e Elena Croce.

giovedì 14 maggio 2015

La poesia è la lingua rovente della gioia

Feste tardive

La sera, ai confini della città, dopo un giorno intero
di vuoto, iniziano all'improvviso feste tardive
e il sanscrito del crepuscolo parla
nella lingua rovente della gioia.
In alto nell'aria fluttuano fuochi fatui
di sigarette che nessuno fuma.
Arde la carta di fugaci segreti;
le confidenze del cielo che si spegne sommesso
non si lasciano annotare o ricordare.
Che importa se t'insegue l'esercito del faraone,
quando l'eternità è intrecciata ai giorni
della settimana come il muschio tra le travi
di una casa di legno.


Adam Zagajewski
Dalla vita degli oggetti 
a cura di Krystyna Jaworska
Adelphi 2012

mercoledì 13 maggio 2015

Se la poesia è un fiume da guadare...

Una parola
- una pietra
in un freddo fiume.
Un'altra pietra -
Mi servono altre pietre
per poter guadare.

Olav H. Hauge
La terra azzurra
traduzione di Fulvio Ferrari
Crocetti editore 2008

martedì 12 maggio 2015

La rosa solitaria, fuori dal tempo e dallo spazio

La rosa che non vuoi ricevere
quella che non puoi offrire
cresce nella sua gloria senza nome,
sopra scarpate o ghiacci
nel silenzio, ma cresce solitaria
fuori dal tempo, fuori dallo spazio
visibili; sta lì a ricordare la cosa
che hai visto una volta, sta lì
a ricordare la rosa.
Fabio Pusterla
Argéman 
Marcos y Marcos 2014

lunedì 11 maggio 2015

Dove fioriscono i tigli, nasce la poesia

I tigli

Quanta dolcezza – 
la città è sotto anestesia;
il ragazzo scarno che quasi 
non occupa spazio sulla terra, e il cane, 
e io, soldato in una guerra invisibile, 
e il fiume che amo. 
Fioriscono i tigli.

Adam Zagajewski
Dalla vita degli oggetti 
a cura di Krystyna Jaworska
Adelphi 2012



domenica 10 maggio 2015

Ognuno ha il suo arco d'orizzonte. Ad alcuni basta per abbracciare un po' di mondo. A lui per escluderlo

(...)
Quasi in coro, gesto e voce: « I padroni non aprono, non aprono mai ».
Una selva di « no », un intrigo di « ma », uno stillicidio di « è inutile », « è impossibile ». Ma il silenzio, che si risaldava rapidamente fra una frase e l'altra, inquietava di più. « Chi ha insegnato la musica a questi morti? » aveva gridato il poeta.
L'aria diventava stregata. SI aggravava la sera insieme col nostro turbamento. Di fianco a « l'arida schiena del formidabile monte », spuntò la luna. Al piede del colle, luccicava il mare.
Per qualche minuto la villa fu ancora un blocco d'ostilità.
Poi la porta si aperse. Due figure si profilarono. Il conte da Gavardo, la duchessa Carafa d'Andria. Si scusarono amabilmente di averci fatto aspettare. A nostra volta ci scusammo. Soli, in tanta rovina, essi, ospiti d'uno spettro, s'erano forse persuasi  di dover rifiutare tutto, anche il paesaggio, cui chiudevano in faccia le finestre.
La scala, la saletta centrale e, di fronte alla scala, la porta che ammetteva alla camera del poeta. La visitammo al lume di candela: il lume che ne rischiarò le lunghe veglie.
Un letto stretto; il modesto tavolino da lavoro al lato della finestra; il calamaio, l'asticciuola. In un angolo, il lavabo. Chiusa la persiana che un tempo si aprì sul balconcino. Su un cassettone, qualche cimelio e i calchi della maschera funebre; fotografie di famiglia alle pareti; l'atto di morte. Lo lesse uno di noi, a bassa voce, avvicinando la testa e la candela al documento sottovetro.
Aveva raccontato, l'amico Ranieri: « Aperti più dell'usato gli occhi, mi guardò fisso più che mai. Poscia "Io non ti veggo più", mi disse sospirando. E cessò di respirare ».
Soggezione, fascino, il senso annichilente di quella grandezza: di quel dolore: una profonda angoscia piegava le ginocchia.
Quanti persuasivi archi disegnavano i lumi, laggiù, nella città adagiata in faccia al mare.
Lo sguardo del poeta li avrebbe esclusi. Immaginarne il giro, sentirvisi sollevati, percorrerlo, fu un approdo fuggitivo in uno spazio straniero, dove il cuore vacillava. Ognuno ha il suo arco d'orizzonte. Ad alcuni basta per abbracciare un po' di mondo. A lui per escluderlo.

Gianna Manzini
Album di ritratti
La Villa delle ginestre

Mondadori 1964

ancora un frammento dedicato a Giacomo Leopardi.

sabato 9 maggio 2015

Scrivere poesia è sentire la nuca dolente per un continuo sciogliersi e serrarsi nodi d'energia

Con la palpebra abbassata, pesante, il suo viso esprimeva sdegnosa fierezza; e trapelava un rapporto inafferrabile, ma non per questo meno certo, fra quella palpebra immensa e la spalla sinistra alta, portata in avanti: quasi un modo di ricusare distanziando. Se invece guardava intorno, quel suo veder poco illudeva di un'indulgente premura che dava agli zigomi alti una dolcezza come di sorriso.
Ma il suo vero sguardo lo trovava allorché fissava alto e lontano. E come, alzando gli occhi, alzava anche la testa, lo sforzo di tenere eretto il capo, quel sentirsi la nuca dolente per un continuo sciogliersi e serrarsi nodi d'energia, quello squilibrio fra la persona portata a piegarsi e il gesto volitivo, quasi di protesta: tutto ciò, oltre a rendere più acute le pupille, rivelava una straziante contraddizione; ma anche un vittorioso fuoco dell'anima.
Volto e atteggiamento senza carità, né speranza.
Così mi rappresentavo Giacomo Leopardi, quando, da Napoli, decidemmo di andare alla Villa delle ginestre.
(...)

Gianna Manzini
Album di ritratti
La Villa delle ginestre

Mondadori 1964

venerdì 8 maggio 2015

Senza nome, invisibile, silente

La terra del fuoco

Tu, che di notte vedi le nostre case
e le esili pareti delle nostre coscienze,
tu, che senti come ronzano
le macchine da cucire delle nostre conversazioni
- salvami, strappami dal sonno,
dall'amnesia.

Perché l'infanzia - oh, tesori della carta stagnola,
oh, fruscio del piombo, bello e nefasto,
rimane l'unica sorgente, l'unica nostalgia?
Perché l'età adulta, che sostituisce la maturità,
è una strada senza fine,
gialla come il Sahara?

Eppure sai che capitano giorni
in cui persino l'anelito inaridisce
e si induriscono le labbra della preghiera.

Talvolta si fa opaca la moneta del sole
e la vita rimpicciolisce tanto
da potersi infilare
nei guanti azzurri di una zingara
che predice il passato 
fino alla settima generazione

e allora anche nella piccola cittadina
del Sud un certo impostore
decide di annientare te
e me e se stesso.

Tu, che vedi il bianco dei nostri occhi,
tu che ti celi tra i sorbi
come un ciuffolotto
e nelle calde calze delle nuvole
come un falco
- apri gli scrigni pieni di canto,
apri il sangue che pulsa nell'aorta
degli animali e delle pietre,
accendi i lampioni nei giardini bui.

Senza nome, invisibile, silente,
salvami dall'analgesia,
portami nella Terra del fuoco,
portami là dove i fiumi
scorrono in verticale, in verticale scorrono 
i fiumi orizzontali.


Adam Zagajewski
Dalla vita degli oggetti 
a cura di Krystyna Jaworska
Adelphi 2012

giovedì 7 maggio 2015

Un album di ritratti che è il ritratto di Gianna Manzini

Quando scopro o riscopro una scrittrice o uno scrittore che mi catturano divento ossessiva e non ho pace sino a quando non avrò letto la sua opera completa. Posso fermarmi, tornare indietro, appassionarmi e pentirmi, ma non cedo fino all'ultima parola. Poi è la volta delle biografie e autobiografie, dei diari, degli epistolari, dei profili critici. E tutto questo paesaggio di libri va poi a popolare un ripiano della libreria perché i libri di uno scrittore amato sono un mondo che deve essere contiguo e completo. Ora compiere questa operazione, che ha una sua logica e un suo intrinseco piacere, diventa sempre più difficile perché nel tempo gli scrittori e le scrittrici che mi accompagnano sono diventati via via più numerosi ma oggi ho la necessità di trovare spazio per un'autrice "totale" che mi sta incantando e che in passato ho un po' snobbato ma che ho deciso di riprendere in mano leggendo il profilo che le ha dedicato Grazia Livi nel bellissimo Le lettere del mio nome. Così ho iniziato a comprare vecchie edizioni - cosa c'è di più bello di una vecchia edizione? - dei libri di Gianna Manzini su Maremagnum, che è una libreria di librerie dove si trova l'introvabile, avendo una smodata passione per i libri di carta, soprattutto se stampati nel secolo scorso. Così ho iniziato a leggere il suo Album di ritratti che è un capolavoro ricchissimo, strabordante di riflessioni sulla scrittura e sul mestiere di scrivere e una galleria di ritratti degli scrittori e delle scrittrici amate che spesso furono anche suoi amici nella prima parte e di persone qualunque nella seconda e "parole povere" sulla "diciamo vocazione", "diciamo mestiere" della terza. Gli scrittori di cui uno scrittore scrive entrano a far parte della sua biografia, della sua opera e di quel canto e controcanto che rimanda da un'opera all'altra, di quel dialogo che varca il tempo e lo spazio e che è una delle esperienze più ricche che la vita ci offre. Così la Manzini sta ora con Virginia Woolf, Katherine Mansfield, Grazia Livi, Agota Kristof, Simone de Beauvoir, Marie Cardinal, e la Plath e la Sexton e Janet Frame e qui mi fermo per non rendere infinita la mia lista che è comunque desumibile dalle "etichette" di questo blog. Amo e ho bisogno di parole scontornate e pesanti come cose, di raccogliermi l'anima e di tenerla in fronte come la lampada dei minatori, per poter entrare nel cerchio di chiarità che la vita ci offre anche quando leggiamo e quando scriviamo. Così andrò avanti e, mano a mano che entrerò in questo libro della Manzini e delle sue parole, a copiarne frammenti per questo blog che è diventato come uno scrigno dei pirati, pieno di tesori che scelgo e getto nell'oceano come un messaggio in bottiglia, perché raggiungano altri lidi e altri lettori.

E.P.

Le parole scontornate, imperfette, pesanti come cose che permettono al silenzio di filtrare in esse o di circondarle

(...)
E Giovanna non è soltanto l'innamorante compagna di scuola, che " così Giovanna, col suo passo, le sue gambe, la sua nuca, il suo verde e il suo azzurro; così Giovanna", e neppure è la magia d'un nome, ma anche il senso di "una immensa bontà di perdono".
Le parole hanno per Vittorini un'attirante necessità d'imperfezione. Egli le vuole imperfette, scontornate, improprie nel senso di essere aperte all'umano; d'indurre in esse, mutevolmente, l'umano. E al tempo stesso pesanti come cose, da usare come cose, cariche d'una loro potenza affermativa. Risulteranno dunque poche e ripetute col gusto d'una variazione musicale. E dicendo "scontornate", non alludevo a un alone poetico. Tutt'altro. Mi riferivo a una 
non-precisione che permetta al silenzio di filtrare in esse o di circondarle. 
Un silenzio che le renda sospette, che le diffidi, insomma che le rinnovi, togliendole un poco al loro significato originario e alla loro esattezza povera.


Gianna Manzini
Album di ritratti
Vittorini e il Garofano rosso
Mondadori 1964