sabato 31 maggio 2014

La rosa sapiente e profumata

La rosa sapiente e profumata
  
Quella rosa, quella non un’altra
perfetta sull'orlo della sparizione
dove l’ultimo petalo esita a
proclamare la propria fioritura.
È quella la rosa che ha scolpito
il fondo della pupilla, immagine
pietrosa incisa in un occhio
che non sa il fondo perché
dentro l’abisso vive. Quello
è l’occhio scolpito, quella
vi dico, proprio quella rosa
aulentissima e perfetta, oh
mia mistica visione che a ogni
cosa doni il profilo di una
rosa. Quella rosa, quella
non un’altra. Dolorosa,
sapiente e profumata, mai
nata nel maggio odoroso.

Elena Petrassi
Figure del silenzio
Atì Editore 2010

venerdì 30 maggio 2014

La rosa irragiungibile

La rosa,
l’immarcescibile rosa che non canto,
quella che è peso e fragranza,
quella del buio giardino a notte alta,
quella d’ogni giardino e d’ogni sera,
la rosa che per arte d’alchimia
nasce di nuovo dalla tenue cenere,
la rosa dei persiani e dell’Ariosto,
quella ch'è sempre sola,
quella che è sempre la rosa delle rose,
il giovane fiore platonico,
l’ardente e cieca rosa che non canto,
la rosa irraggiungibile.

Jorge Luis Borges
Fervore di Buenos Aires 


Traduzione di Tommaso Scarano
Adelphi 2010

La rosa 
La rosa,
la inmarcesible rosa que no canto,
la que es peso y fragancia,
la del negro jardín en la alta noche,
la de cualquier jardín y cualquier tarde,
la rosa que resurge de la tenue
ceniza por el arte de la alquimia,
la rosa de los persas y de Ariosto,
la que siempre está sola,
la que siempre es la rosa de las rosas,
la joven flor platónica,
la ardiente y ciega rosa que no canto,
la rosa inalcanzable.

de Fervor de Buenos Aires
1923


giovedì 29 maggio 2014

Io vago per il mondo anche dalla mia scrivania

Jhumpa Lahiri è una scrittrice americana nata a Londra da genitori bengalesi.

Innamorata della lingua italiana, soprattutto, e dell'Italia, da qualche mese scrive, in italiano per Internazionale
Ogni settimana il suo racconto è il primo articolo che leggo. Questa settimana scrive di lingua ed esilio:

Chi non appartiene a nessun posto specifico non può tornare, in realtà, da nessuna parte.
I concetti di esilio e di ritorno implicano un punto di origine, una patria. Senza una patria e una vera lingua madre, io vago per il mondo, anche dalla mia scrivania. Alla fine mi accorgo che non è stato un vero esilio, tutt'altro. 
Sono esiliata perfino dalla definizione di esilio.

Girare la pagina per cercare l'angolo del vento

Spesso c’è bonaccia sulla pagina.
Inutile girarla per cercare
l’angolo del vento.

Si sta fermi,
il pensiero oscilla,
si riparano le cose

che la navigazione ha guastato.

Valerio Magrelli
Ora ser­rata reti­nae
Feltrinelli 1981

mercoledì 28 maggio 2014

Raggiungibile, vicina e non perduta in mezzo a tante perdite, una cosa sola: la lingua

Raggiungibile, vicina e non perduta in mezzo a tante perdite, una cosa sola: la lingua. 
La lingua, essa sì, nonostante  tutto, rimase acquisita. Ma ora dovette passare attraverso tutte le risposte mancate, passare attraverso un ammutolire orrendo, passare attraverso le mille e mille tenebre di un discorso gravido di morte. 
Essa passò e non prestò parola a quanto accadeva; ma attraverso quegli eventi essa passò. Passò e le fu dato di riuscire alla luce, 'arricchita' da tutto questo. 
Con questa lingua, in quegli anni che seguirono, io ho tentato di scrivere poesie: per parlare, per orientarmi, per accertare dove mi trovavo e dove stavo andando, per darmi una prospettiva di realtà. 

Paul Celan
da Allocuzione discorso tenuto in occasione del conferimento del premio letterario della libera città anseatica di Brema in 
La verità della poesia
a cura di Giuseppe Bevilacqua
Einaudi 1993

martedì 27 maggio 2014

Il silenzio che amo è quello che si staglia fra una parola e l'altra

Silenzio

Il silenzio che amo
è quello che si staglia
fra una parola e l'altra
fra torrente e boscaglia

quello di due persone
che si stringono le mani
quello che fan gli uccelli
ogni sera sui rami

quello che fa la notte
quando ti sembra immensa
quello d'una tua voglia
impetuosa e intensa

quello che dalla linea
mossa dell'orizzonte
avvicina e allontana
la pianura ed il monte.

Il silenzio che amo
è quello che si staglia
fra una parola e l'altra
fra torrente e boscaglia.
Il silenzio che amo
è quello che dipana
una parola e l'altra
e il silenzio allontana.

una filastrocca dal sito di 

Giuseppe Pontremoli
Ballata per tutto l'anno e altri canti
Nuove edizioni Romane 2005

lunedì 26 maggio 2014

Io sono il mio chiaro fiume che passa

IO SONO IL MIO FIUME

Io sono il mio fiume, il mio chiaro fiume che passa
ruzzolando sulle pietre.
Mi circondano le ore e le onde,
non so dove mi trascinano,
ignoro la mia fine e il mio inizio,
vado attraversando il mio corpo come l’arcata di un ponte.
Le nubi mi seguono tra i campi
con caldi riflessi.
Svio tra gli alberi, tra le ombre;
portai alla terra soltanto questo rumore
per attraversare il mondo,
l’ho sentito crescere dal fondo delle mie vene.
Queste voci che dico
hanno rotolato per secoli purificandosi nelle sue acque,
fuori dal tempo.
Sono echi dei morti che mi nominano
e mi rincorrono come pesci.
Io sono il mio fiume, il mio chiaro fiume che passa
e senza tregua mi trascina.
So che esiste un vascello
che passa alle mie spalle;
le sue vele palpo nel sogno;
seguo la traccia che lascia al passaggio,
però non so che cerca nel mio solco
né quando arriveremo
nemmeno chi c’è a bordo.

Eugenio Montejo
traduzione di Alessio Brandolini
dal numero 17 della rivista fili d'aquilone

YO SOY MI RÍO
Yo soy mi río, mi claro río que pasa
a tumbos en las piedras.
Me circundan las horas y las ondas,
no sé adónde me arrastran,
desconozco mi fin y mi comienzo,
voy cruzando mi cuerpo como el arco de un puente.
Las nubes me siguen por los campos
con cálidos reflejos.
Entre los árboles derivo, entre los hombres;
sólo traje a la tierra este rumor
para cruzar el mundo,
lo he sentido crecer al fondo de mis venas.
Estas voces que digo
han rodado por siglos puliéndose en sus aguas,
fuera del tiempo.
Son ecos de los muertos que me nombran
y me recorren como peces.
Yo soy mi río, mi claro río que pasa
y me lleva sin tregua.
Sé que existe un navío
que cruza a mis espaldas;
palpo sus velas en mi sueño;
sigo la estela que deja en su camino,
pero no sé qué busca entre mi cauce
ni quién va a bordo
ni cuándo llegaremos.

domenica 25 maggio 2014

leggeri d’autunno, gonfi d’estate, con l’ombra, la memoria, il desiderio,

TERRITUDINE

Stare qui per anni sulla terra,
con le nubi che arrivano, con gli uccelli,
sospesi a fragili ore.
A bordo, quasi alla deriva,
più vicini a Saturno, più lontani,
mentre il sole fa un giro e ci trascina
e il sangue percorre il suo profondo universo
più sacro di tutti gli astri. 

Stare qui sulla terra: non più lontani
di un albero, né più incomprensibili,
leggeri d’autunno, gonfi d’estate,
con ciò che siamo o non siamo, con l’ombra,
la memoria, il desiderio, fino alla fine
(se c’è una fine) voce a voce,
casa per casa,
sia chi porta la terra, se la portano,
o chi l’attende, se l’attendono,
dividendo insieme ogni volta il pane
in due, in tre, in quattro,
senza dimenticare gli avanzi per la formica
che sempre viaggia da remote stelle
per essere puntuale all’ora della nostra cena
sebbene le briciole siano amare.

Eugenio Montejo

traduzione di Alessio Brandolini
dal numero 23 della rivista fili d'aquilone

TERREDAD
Estar aquí por años en la tierra,
con la nubes que lleguen, con los pájaros,
suspensos de horas frágiles.
A bordo, casi a la deriva,
más cerca de Saturno, más lejanos,
mientras el sol da vuelta y nos arrastra
y la sangre recorre su profundo universo
más sagrado que todos los astros.
Estar aquí en la tierra: no más lejos
que un árbol, no más inexplicables,
livianos en otoño, henchidos en verano,
con lo que somos o no somos, con la sombra,
la memoria, el deseo, hasta el fin
(si hay un fin) voz a voz,
casa por casa,
sea quien lleve la tierra, si la llevan,
o quien la espere, si la aguardan,
partiendo juntos cada vez el pan
en dos, en tres, en cuatro,
sin olvidar las sobras de la hormiga
que siempre viaja de remotas estrellas
para estar a la hora en nuestra cena
aunque las migas sean amargas.

sabato 24 maggio 2014

La poesia e il dolore, l'amore e l'attesa

Suzanne Vega è tornata dopo sette anni di silenzio con Tales From The Realm of the Queen of Pentacles per descrivere un interregno tra materia e spirito, dove in fondo abita, cercando di osservare il mondo con occhio poetico, colpita dall'esoterismo dei tarocchi come dalla realtà delle strade di New York.
(...)

È laureata in letteratura, figlia dello scrittore portoricano Ed Vega. 
La poesia le dà sollievo?
È doloroso scriverla ma trasforma la pena in qualcosa di tangibile, talvolta bello.
(...)
Il nero è il mio colore preferito. Estremo, sensuale, misterioso, è un segreto.

A proposito di segreto. Suo marito le ha chiesto la mano nel 1983, lei ha accettato nel 2005. È l'attesa il segreto dell'amore?
No, è riconoscere cosa sia l'amore. Ovvero quando qualcuno si prende i tuoi fardelli come se fossero i suoi e le vite si intrecciano profondamente. Il fatto è che ci vuole tanto tempo per capirlo.

frammenti dell'intervista di Simona Orlando a Suzanne Vega.
Il Messaggero sabato 24 maggio 2014

venerdì 23 maggio 2014

e manca sempre una cosa, un bicchiere, una brezza, una frase

Ottenere tutto per sufficienza divina –
le vigilie, i consensi, i presagi,
le cose belle della vita –
il talento, la virtù, l’impunità, 
la tendenza di accompagnare gli altri a casa,
la situazione di passeggero,
la convenienza di imbarcarsi subito per trovare posto,
e manca sempre una cosa, un bicchiere, una brezza, una frase,
e la vita duole quanto più la si gode e quanto più la si inventa.


Fernando Pessoa
Una sola moltitudine
traduzioni di Antonio Tabucchi e Maria José de Lancastre
Adelphi 1979

giovedì 22 maggio 2014

Le parole che piangevano

LE PAROLE CHE PIANGEVANO


Dopo cena volevo
Sedermi accanto a te
Prenderti la mano, (magari baciarla)
Dirti che sei più amato
Di Dio
Invece
Ho preso un libro che non avrei letto
E sono salita al piano di sopra nel mio vuoto
A un tratto
Il vento
Sentivo che nel piano sottostante sbatteva le imposte e le finestre
Sparpagliava i quadri i tappeti i libri i cuscini
Da cui volavano le piume ovunque
insieme ai fogli dei libri stropicciati
E poi ha afferrato
Il pesante portacenere di Aalto e la colomba di porcellana
dell’Arabia e li ha scagliati sul pavimento di pietra
ha succhiato il sangue dalle nostre vene
Ci ha spezzato le ossa strappato la lingua insieme alle parole
non dette
Il Caos Magnifico
All’improvviso come una donna capricciosa
Ha sbattuto la porta
Ed era notte
E sotto la finestra: VIGNETI, VIGNETI, VIGNETI
e in lontananza il MARE

Vojka Smiljanić-Đikić
dalla rivista Fili d'aquilone 

Mi piace soltanto viaggiare nel mondo e guardare cosa c'è sotto il cielo

L’acqua non è una cosa che puoi trattenere. Come gli uomini. Ho provato. Padre, fratello, amante, amici veri, fantasmi affamati e Dio, uno per uno, tutti mi sono scivolati via dalle mani. 
Forse è così che deve essere quello che gli antropologi chiamano il “rischio medio” dell’incontro con altre culture. Fu un antropologo a spiegarmi cosa fosse il rischio. Sottolineava l’importanza di usare, parlando di queste cose, il termine incontro piuttosto che ad esempio scoperta. Pensala come differenza – disse – tra il credere ciò che vuoi credere e il credere ciò che può essere provato. 
Ci pensai. Non voglio credere a nulla, dissi. (Ma mentivo). 
E non ho nulla di dimostrare. (Mentivo ancora). 
Mi piace soltanto viaggiare nel mondo e fermarmi, osservando cosa c’è sotto il cielo. (Questo è vero).

Anne Carson
Antropologia dell’acqua, Riflessioni sulla natura liquida del linguaggio
a cura di Antonella Anedda, Elisa Biagini, Emmanuela Tandello 
Donzelli Editore 2010

mercoledì 21 maggio 2014

Vivere nella libertà e nel mistero

Fin dai primi anni della mia giovinezza, pensavo che ognuno di noi ha la propria no man's land, in cui è totale padrone di se stesso. C'è una vita a tutti visibile, e ce n'è un'altra che appartiene solo a noi, di cui nessuno sa nulla. (...) Semplicemente, l'uomo di tanto in tanto sfugge a qualsiasi controllo, vive nella libertà e nel mistero, da solo o in compagnia di qualcuno, anche soltanto un'ora al giorno, o una sera alla settimana, un giorno al mese; vive di questa sua vita libera e segreta da una sera (o da un giorno) all'altra, e queste ore hanno una loro continuità. Queste ore possono aggiungere qualcosa alla vita visibile dell'uomo oppure avere un loro significato del tutto autonomo; possono essere felicità, necessità, abitudine, ma sono comunque sempre indispensabili per raddrizzare la linea generale dell'esistenza. (...)
In questa no man's land, dove l'uomo vive nella libertà e nel mistero, possono accadere strane cose, si possono incontrare altri esseri simili, si può leggere e capire un libro con particolare intensità o ascoltare musica in modo anch'esso inconsueto, oppure nel silenzio e nella solitudine può nascere il pensiero che in seguito ti cambierà la vita, che porterà alla rovina o alla salvezza.
Forse in questa no man's land gli uomini piangono, o bevono, o ricordano cose che nessuno conosce (...) 
Ma non bisogna credere che quest'altra vita, questa no man's land, sia la festa e tutto il resto i giorni feriali. Non per questa via passa la distinzione: solo per quella del mistero assoluto e della libertà assoluta.

Nina Berberova
Il giunco mormorante
traduzione di  Donatella Sant'Elia
Adelphi 1990

martedì 20 maggio 2014

In un paese che è aria, nuvola, notte

Non raggiungo il tempo del tuo corpo,
sono nato lontano, in un paese che è aria, nuvola, notte,
anche se mi ascolti da vicino.
Sono nato fuori dal tempo del tuo sorriso, dei tuoi occhi,
in un altro meridiano.
Ci amiamo da mare a mare,
da un astro a un altro,
non importa che oggi tu mi senta accanto a te.


Sebbene ti risvegli nuda qui con me,
il tuo tempo va avanti,
il tempo delle tue mani, del tuo volto;
sono accanto alla tua ombra e non ti afferro.


Sono lontane da me le ore del tuo amore,
sotto una luce di neve,
in qualche città che non conosco.
Le nostre vite si raggiungono, si confondono,
si scambiano singhiozzi, baci, sogni,
ma siamo lontani mille miglia l’uno dall’altro,
forse in secoli diversi,
su due pianeti che si cercano
stanchi di non trovarsi.

Eugenio Montejo

lunedì 19 maggio 2014

Essere ombra, pace serale

Pensiero

Avere due lunghe ali
d'ombra
e piegarle su questo tuo male;
essere ombra, pace
serale
intorno al tuo spento
sorriso.


maggio 1934

Antonia Pozzi
Parole
Garzanti 1989

domenica 18 maggio 2014

Il narrare è l'atto stesso in cui si esalta la magia della parola

Il narrare è l'atto stesso in cui si esalta la magia della parola, la sua capacità non solo informativa, ma performativa, cioè la sua efficacia trasformatrice e liberatrice... Il racconto è, dunque, una atto di fiducia e l'ascolto partecipe un atto d'amore. È «un cammino verso il senso» che scopri dipanando sia le fila della tua storia sia creando una vicenda esemplare pur se fittizia.

Gianfranco Ravasi
frammenti dell'articolo "A Dio piacciono le storie. Sant'Agostino, Sharazad, Proust, Calvino: narrare è salvarsi. Perché ogni racconto è un atto di fiducia che libera dal dolore".
Corriere della Sera domenica 18 maggio 2014 

sabato 17 maggio 2014

Scrivere è tirar fuori dal sacco delle parole le noci e le mandorle

Non è niente, non è un merito, vivere, scrivere, tirar fuori dal sacco delle parole le noci e le mandorle. 

Ingeborg Bachman
Libro del deserto
traduzione di Anna Pensa
Cronopio 1999 

venerdì 16 maggio 2014

La scrittura all’origine è gesto e suono

Lo stesso rapporto, che intercorre tra l’esperienza e noi, c’è tra pensiero e linguaggio. Non viene prima il pensiero e poi la maniera di esprimerlo (o viceversa): non c’è un contenente e un contenuto. Concrescono insieme. Abitano nella medesima e inesauribile realtà. Esiste qualcosa prima di questa relazione? C’è il mito che è già una “voce”, un suono prima ancora di essere linguaggio o nome: la traccia di un tempo in cui l’uomo comunicava con cenni o atti o corpi. La scrittura è perciò all’origine gesto e suono. Coincide con la voce mitica, dice Cacciari, che si agita all’interno di ogni parola. Ed è quel “suono” (ancora una volta indicibile) che il poeta cerca di rievocare.

Repubblica martedì 13 maggio:frammenti della recensione di Antonio Gnoli a
Massimo Cacciari
Labirinto filosofico
Adelphi 2014

giovedì 15 maggio 2014

Cosa proibita, scura la primavera

Elegia di Portland Road

Cosa proibita, scura la primavera.

Per anni camminai lungo primavere
più scure del mio sangue. Ora tornano sul Tamigi
sul Tevere i bambini trafitti dai lunghi gigli
le piccole madri nei loro covi d'acacia
l'ora eterna sulle eterne metropoli
che già si staccano, tremano come navi
pronte all'addio...

Cosa proibita
scura la primavera.

Io vado sotto le nubi, tra ciliegi
così leggeri che già sono quasi assenti.
Che cosa non è quasi assente tranne me,
da così poco morta, fiamma libera?

(E al centro del roveto riavvampano i vivi
nel riso, nello splendore, come tu li ricordi
come tu ancora li implori).

Cristina Campo

La tigre assenza
Adelphi 1991

mercoledì 14 maggio 2014

Scrivere è tornare a casa

Scrivere è cercare la calma, e qualche volta trovarla. 
E tornare a casa: lo stesso che leggere. 
Chi scrive o legge realmente, cioè solo per sé, rientra a casa, sta bene. 
Chi non scrive o non legge mai, o solo su comando - per ragioni pratiche - è sempre fuori casa, anche se ne ha molte. 
È un povero, e rende la vita più povera.

Anna Maria Ortese
Corpo Celeste
Adelphi 1997

martedì 13 maggio 2014

Nella notte le frasi, mi girano attorno, bisbigliano, diventano poesie

Leggo ancora un po' se ho qualcosa da leggere, alla luce del lampione, poi, mentre mi addormento tra le lacrime, nascono delle frasi nella notte. 
Mi girano attorno, bisbigliando, prendono un ritmo, delle rime, cantano, diventano poesie.

Agota Kristof 
L'analfabeta
traduzione di Letizia Bolzani
Casagrande 2005

lunedì 12 maggio 2014

Scrivere è bruciare in fondo a ogni vento

È rimasta laggiù, calda, la vita,
l'aria colore dei miei occhi, il tempo
che bruciavano in fondo ad ogni vento
mani vive, cercandomi...

Rimasta è la carezza che non trovo
più se non tra due sonni, l'infinita
mia sapienza in frantumi. E tu, parola
che tramutavi il sangue in lacrime.

Nemmeno porto un viso
con me, già trapassato in altro viso
come spera nel vino e consumato
negli accesi silenzi...

Torno sola
tra due sonni laggiù, vedo l'ulivo
roseo sugli orci colmi d'acqua e luna
del lungo inverno. Torno a te che geli

nella mia lieve tunica di fuoco.


Cristina Campo
La tigre assenza
Adelphi 1991

domenica 11 maggio 2014

In un'ora propizia lavorare ai frammenti

Tracce II

a Etty Hillesum


Non riesco a inginocchiarmi, scrivevi
e hai portato, dentro i giorni dannati dei campi,
per proteggere dio una gioia.

Forse pregare fu quello - le tue ginocchia,
ossa d'ombra sulla pietra, e tu
per questa terra a camminare in volo.

Ora tu credi che basterebbe un niente,
sedere ad un tavolo sgombro
in un'ora propizia, e lavorare ai versi
lavorare ai frammenti. Io sono fatta invece
di questo non scrivere giorno per giorno ;
dentro il sedimentarsi delle piccole
cose, e delle grandi, sono
l'anima ingombra del loro farsi mute.

Cristina Alziati
Come non piangenti
Marcos y Marcos 2011

sabato 10 maggio 2014

Scrivere è abitare in una casa di poche stanza buie

Quali notizie arrivano dalle tenebre, per un narratore?

Joe Lansdale: Arrivano il mistero e l'ombra che sempre ci accompagna. Io vivo in un luogo boscoso, pieno di alberi e acque: le paludi e i nascondigli riflettono il mio modo di vedere e scrivere. Le tenebre ci attirano verso quello che è coperto, compresi i delitti: lì dentro si agitano le cose da raccontare.

Niccolò Ammaniti: Nel buio nascono le nostre ossessioni, quelle che non comunichiamo mai agli altri. Il buio è solo nostro e per uno scrittore è prezioso, spesso dà forma all'ossatura dei personaggi.

(...)

Joe Lansdale: Vale sempre la vecchia regola: scrivi solo di ciò che conosci, il tuo mondo è il tuo luogo. Il lavoro riflette l'interno e l'esterno di me, due visioni che si nutrono una con l'altra.
(...)
La casa della mia scrittura ha pochissime stanze soltanto buie, anche negli angoli più profondi risuona una risata che li rischiara. Io entro ed esco dalla luce.

Spesso, i vostri personaggi vanno all'involontaria scoperta di qualcosa di tremendo. Soltanto una coincidenza?

Joe Lansdale: Chi scrive cerca sempre di indagare il mistero che siamo: questo fa ridere e fa soffrire. Ma io non ho presente nessun percorso mentre creo la storia. Aveva ragione Catullo, non si vede mai il confine perché il confine si espande di continuo...
(...)
Come diceva Somerset Maugham, il romanzo è il modo più facile di scrivere un racconto. Perché il racconto è breve, richiede più precisione, invece il romanzo si espande, a volte va dove vuole.
(...)
Scrivere costa fatica, io lo faccio per tre ore tutte le mattine, così mi tolgo il pensiero e poi m'occupo d'altro. Scrivo come sotto dettatura dei sogni notturni. E quando chiudo la sessione con tre o cinque pagine all'attivo, sono beato come un bambino.

Niccolò Ammaniti: Vorrei diventare metodico come Joe, invece non faccio niente tutto il giorno e scrivo solo quando la necessità assoluta mi spinge...

frammenti della conversazione di Maurizio Crosetti con Joe Lansdale e Niccolò Ammaniti su Repubblica di oggi, sabato 10 maggio 2014
in occasione dell'uscita di Notizie dalle tenebre, traduzione di Luca Briasco, Einaudi 2014 

Scrivere è anche rimpiangere di averlo fatto

«J.D. Salinger trascorse dieci anni a scrivere Il Giovane Holden e il resto della sua vita a rimpiangere di averlo fatto»

incipit della biografia «Salinger. La guerra privata di uno scrittore», Isbn 2014
recensita da Giuseppe Culicchia su Tuttolibri di oggi.

venerdì 9 maggio 2014

Scrivere come dipingere, vivere nel presente assoluto

Vorrei scrivere come un pittore.
Vorrei scrivere come dipingere.
Come vorrei vivere.
Come forse riesco a vivere talvolta.
O piuttosto: come talvolta mi è dato vivere, nel presente assoluto.


Je voudrais écrire comme un peintre.
Je voudrais écrire comme peindre.
Comme je voudrais vivre.
Comme peut-être j'arrive à vivre parfois.
Ou plutôt: comme parfois il m'est donné de vivre, au présent absolu.

Hélène Cixous
Le Dernier Tableau ou Le Portrait de Dieu
in Entre l'écriture
Editions des femmes 1986

di solito non commento i frammenti e le poesie che scelgo per il blog. Ma questa citazione di oggi, che ho ritrovato nel libro di Dacia Maraini, Amata scrittura (in corso di rilettura), mi ha folgorata. Così ho recuperato il volume della Cixous, frutto di antiche scorribande alla Librairie des femmes in rue de Seine a Parigi e ho trascritto e tradotto le sue parole come fossero una poesia, inserendo gli a capo dove non c'erano. Scrivere come si dipinge, guardare il mondo con occhi attenti, ma poi seguire la propria visione interiore, vivere nel presente assoluto. La scrittura rende presente assoluto le nostre storie, le nostre narrazioni, ogni volta che qualcuno apre un libro e inizia a leggere tutto accade di nuovo per la prima volta.

giovedì 8 maggio 2014

Il ritmo è essenziale in ogni progetto di scrittura

Il ritmo è molto visibile nella poesia, un po' meno in uno scritto narrativo. Eppure il ritmo è essenziale in ogni progetto di scrittura.
Diversi elementi contribuiscono alla costruzione di una buona cadenza narrativa: il taglio delle frasi, la punteggiatura, la scelta non scontata dei vocaboli, una personale distribuzione delle metafore, l'uso non convenzionale della sintassi, l'abilità nel legare e slegare le frasi tra di loro.

Dacia Maraini
Amata scrittura
RCS Libri 2000

mercoledì 7 maggio 2014

Il nome esatto delle cose

Intelligenza, dammi
il nome esatto delle cose!
....La mia parola sia
la cosa stessa,
creata nuovamente dalla mia anima.
Attraverso di me vadano tutti
coloro che le ignorano, alle cose;
attraverso di me vadano tutti
quelli che le obliano, alle cose;
attraverso di me vadano tutti
coloro che le amano, alle cose...
Intelligenza, dammi
il nome esatto, e tuo,
e loro e mio, delle cose.


Juan Ramón Jiménez
da Eternità (1918)
in Poesie
traduzione di Francesco Tentori Montalto
Guanda 1960


¡Inteligencia!, dame
el nombre exacto de las cosas!
…Que mi palabra sea
la cosa misma,
creada por mi alma nuevamente.
Que por mí vayan todos
los que no las conocen, a las cosas;
que por mí vayan todos
los que ya las olvidan, a las cosas;
que por mí vayan todos
los mismos que las aman, a las cosas…
¡Intelijencia, dame
el nombre exacto; y tuyo,
y suyo, y mío, de las cosas.

martedì 6 maggio 2014

Prendi questa parola

Promessa

Take this word
Wind it in twice around your heart
Once to hold it together
And again,
So it won't come apart.

Prendi questa parola
falle fare due giri intorno al cuore
uno per tenerlo insieme
l'altro perché non vada in pezzi.

Suzanne Vega
Solitude standing
Racconti, poesie e canzoni inedite

traduzione di Valerio Piccolo
minimumfax 2000

lunedì 5 maggio 2014

La creatività è un campo coltivato a maggese

...leggere con gli occhi fissi può essere una necessità
(...)
vorrei invitarli (i lettori) a scovare un autore. Un principe indiano scomparso nel 1989, allievo di Winnicott, faceva lo psicoanalista a Londra e si chiamava M. Masud R. Khan. Ha scritto poco, ma ogni suo libro è un po' una pietra miliare. In un saggio intitolato: The Privacy of the Self, pubblicato a Londra nel 1974, diceva, tra le altre cose, che "la creatività è un campo coltivato a maggese". Un luogo dove si aspetta. Si aspetta per capire le cose. Si fa riposare il campo per poi seminarlo con miglior profitto. Aspettare è dunque tutto. Soprattutto nella lettura, e nella comprensione dei testi; aspettare che gli occhi si fermino su un segno, su un verbo, su un termine palindromo, a guardarlo. Lasciando che il tempo ci regali il senso delle cose.

Sette Corriere della Sera giovedì 1 maggio 2014

Ci vuole tempo per leggere, per capire, per imparare. 
Ci vuole tempo vuoto e anche la noia per rendere fertile la nostra immaginazione.
Grazie a Roberto Cotroneo che ci ha regalato le sue intense riflessioni sul valore del tempo e della lentezza e la bella citazione di Masud Khan

domenica 4 maggio 2014

Con le mura avemmo conversazioni sommesse

ALL’ENTRATA DEL CIELO ODORI DI NOCCIOLE


All'entrata del cielo odori di nocciole

troppo stagionate (ci vorrebbero satelliti
di canfora, lavande, viola appena colta).
Le montagne impiallacciate di mogano
chiedevano restauro o, finalmente,
demolizione. Arcuata nel controsoffitto
s’allargava la schiuma verdina del tempo
aveva preso ormai consistenza di cupola
nonostante l’insolenza degli armadi.
Solo la terra reggeva astuta il paragone
con le diverse opere degli uomini
contorta di radici lieta nel disegno
primaverile ingiungeva alle polveri di
sopportare desideri smaglianti, i venti

Dovemmo tenerne conto: con le mura

avemmo conversazioni sommesse talora
concitate di progetti, costantemente ci
volgemmo ad osservarne i sassi che nei
ciotoli del fiume si specchiavano portando
a galla il sentimento lavato da millenni
di note-parole (da mondi diversi avevamo
raccolto preziosi da mostrarci l’un l’altro
e lei la mandorla amara del nostro giardino
cresceva in grazia ed in bellezza) la luna
aveva scelto la sua casa nel nostro segno
ma stabilmente vi soggiornava il pianeta
amoroso della nascita. Apprese dunque
dopo non molto un modo cortese
quella casa, amabilmente osò perfino
dirci di no. Ci prese per mano lei stessa.
Divelta dalle fondamenta comprese.
Arresa, rinacque.

Marcella Corsi

da Distanze 
Edizioni Archivi del ’900 2006

sabato 3 maggio 2014

Ma vedere non è la parola

APPARIZIONI


II

Se il cielo grida e senti che ti chiama
con un grido d’abisso, se ti attira
in alto, nel profondo, dov’è più oscura
la chioma di neve degli astri o il gelo
a squame della notte, o se tu stesso
gridi ancora più forte e non ti stanchi
d’ascoltare la tua voce, sgradevole
come all’udito debole di un sordo,
o insidiosa e nuda come l’acqua
ferita dai bagliori della falce lunare;                                  
se ti chiamano al centro di te stesso
e in quel chiamarti trovi un centro;
se, nodo di luce, appari a te stesso;
se interiore è il richiamo, guardando
in te vedrai il sogno che ho sognato
stanotte? Ma vedere non è la parola.
Non lo vedevo: ero io stesso il sogno.
Non è che mi vedessi, ma era essere
qualcosa che esisteva e che ero io.
Perché il tema delle apparizioni
è il tema dell’io. Però in quel caso
non vedevo una concreta identità:
non m’appariva alcuna immagine.
Non c’era sdoppiamento, né sguardo.
Era la vita in negativo, stato nullo,
il silenzio del fiume disseccato,
la chiarità del cielo che spoglio d’azzurro
è sempre cielo: un fulgore invisibile,
sentito come vuoto di visibilità.
Come il letto di un fiume: terra, pietra,
quiete di devastata aridità,
ramo, verde rancore che è fuggito
dal mondo vegetale, umidità
bevute dal deserto. Cambia la luce
e, guarda, tutto è roccia, polverio
famelico: per questo esiste l’acqua.
È un’assenza, violenta come il sole,
pietrificata, che non scorre, ferro
incrostato d’immobilità, acqua
libera d’acqua che pesa nel letto
del fiume, o il rumore dell’acqua
che non scorre in questo fiume secco.


Pere Gimferrer

da Espejo, espacio y apariciones
Visor Poesia 1988
Questa è la seconda parte del poemetto Apparizioni del 1978, composto di otto parti.
Traduzione di Francesco Dalessandro
dal blog Poesia senza pari