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lunedì 20 maggio 2024

Il coro delle nuvole impazzite

Ho appena saputo che è mancato Renzo Favaron, un vecchio amico e poeta straordinario. Ci siamo frequentati parecchio in tempo remoto, ricordo i suoi racconti sulla Croazia, la mostra di Corot che avevamo visitato insieme a Maddalena Cavalleri a Verona nel dicembre 2009, è stato un amico, tanto che gli ho dedicato due poesie che copio qui per ricordarlo, insieme a quei giorni di sabato straordinari di un'estate di tanti anni fa.


Il coro delle nuvole impazzite

a Renzo Favaron

L’ora del tempo e la dolce stagione

non chiediamo altro al coro delle

nuvole impazzite e cortigiane

di questo vento che nega

la primavera ai fiori prima

ancora che a noi smemorati

e pieni di ogni luce negli

occhi caparbi nell’attesa

intenti nell’intagliare a

questo giorno una figura

memorabile nella teoria

degli anni, miserabili

frammenti delle stelle

che mai saremo, ma potremo

ricordare quel grande

albero in Croazia anche

se mai lo avremo veduto

e solo uno tra noi

lo ha cantato.


dalla raccolta Scrivere il vento

Atì editore 2016



Variazioni su nuvole, luce e ombra

a Renzo F.

Un presagio per il giorno che

verrà è un’invenzione di nuvole

in quel cielo che mai vedremo,

in un luogo privo di memoria,

ai nostri sguardi solo quel cielo

è rimasto della città antica,

il cielo che le mani capricciose

del tempo e della ragione

appendono sulla mia giornata.

Guardo ancora e le nuvole

di Corot si dissolvono con

l’eleganza di un segreto custodito

nel cuore della luce che veloce

si alza a oriente. È un mattino

nuovo, memoria della notte, fiato

lungo nei passi, sempre più

piano avvolti nella brina,

inondati di luce sino alla fine

della stessa strada.


dalla raccolta Figure del silenzio. Atì editore 2010

venerdì 3 giugno 2022

Cronache dagli anni senza Carnevale/817. Il sole mi interessa soltanto perché fa ombra

 


Mi piace sempre quando a un giorno di festa segue un altro giorno di festa. Ho finito di rivedere i tre film originali della saga Millennium e ho ricordato perché la storia di Lisbet e Mikahil mi era piaciuta così tanto: perché loro due combattono le ingiustizie, non si arrendono mai e se anche diventano vittime, trovano sempre il modo di rialzarsi e di continuare a combattere a prescindere da quanto siano feriti, malconci e delusi. Dopo un buon pranzetto alla trattoria Burla Giò in compagnia di mio nipote Marco, siamo andati a fare un giretto alla libreria American Bookstore in Cairoli, libreria che non è solo una miniera di libri in lingua, ma anche di oggetti vintage, soprattutto scatole e cofanetti, e di edizioni fuori commercio di tanti magnifici libri in italiano. Siamo stati a curiosare tantissimo, lasciato gli acquisti in deposito e poi siamo andati a vedere la mostra di Ferdinando Scianna a Palazzo Reale Viaggio RaccontoMemoria che ci è piaciuta moltissimo, soprattutto i ritratti, soprattutto quelli di Borges e Sciascia. Il payoff della mostra è una bella frase del fotografo: “Io guardo in bianco e nero, penso in bianco e nero. Il sole mi interessa soltanto perché fa ombra”. Le fotografie in bianco e nero hanno una potenza espressiva che difficilmente quelle a colori riescono a raggiungere. Forse perché noi umani sogniamo anche in bianco e questi sono i colori della memoria. Non vi è mai successo di vedere foto del passato, della Seconda Guerra Mondiale in particolare, e di provare un certo sgomento? Per ricordare questa esperienza notevole pubblico anche una poesia di Borges tratta da Storia della notte (a cura di Francesco Fava, Adelphi 2022)

 

Un sabato

 

Un uomo cieco in una casa vuota

logora circoscritti itinerari

e tocca le pareti che si allungano

e il vetro delle porte delle stanze

e sfiora i dorsi ruvidi dei libri

preclusi al suo amore e l’annerita

argenteria che fu degli antenati

e i rubinetti e le modanature

e alcune vaghe monete e la chiave.

È da solo e nessuno è nello specchio.

Va e viene. La sua mano tocca il bordo

di uno scaffale. Senza aver voluto,

si è disteso sul letto solitario

e sente che ogni atto che ripete

all’infinito in questo suo tramonto

segue le regole di un gioco oscuro

che è diretto da un dio indecifrabile.

Con alta voce e cadenzata, sillaba

frammenti di poemi antichi e tenta

variazioni nei verbi e negli epiteti

e bene o male scrive questi versi.

 

Oggi però è venerdì 3 giugno del terzo anno senza Carnevale e del primo anno di guerra e questa Cronaca 817 scruta il cielo con occhi borgesiani.

venerdì 20 maggio 2022

Cronache dagli anni senza Carnevale/803. Le scuse della poesia: chiedo scusa al caso se lo chiamo necessità

 



Non sono proprio certa di condividere tutte le scuse di Wislawa Szymborska, ma la poesia ha un suo perché e io mi sono lasciata trascinare dal ritmo e dalle immagini più che dal significato. A volte bisogna anche abbandonarsi a questo stare nelle parole senza porsi troppi perché, senza vivere nel senso di colpa e nel rimpianto. A volte bisogna vivere e basta, così come accade in questi giorni di una guerra sempre più stanca e dall’esito ancora imprevedibile.

 

 

Sotto una piccola stella

 

Chiedo scusa al caso se lo chiamo necessità.

Chiedo scusa alla necessità se tuttavia mi sbaglio.

Non si arrabbi la felicità se la prendo per mia.

Mi perdonino i morti se ardono appena nella mia memoria.

Chiedo scusa al tempo per tutto il mondo che mi sfugge a ogni istante.

Chiedo scusa al vecchio amore se do la precedenza al nuovo.

Perdonatemi, guerre lontane, se porto fiori a casa.

Perdonatemi, ferite aperte, se mi pungo un dito.

Chiedo scusa a chi grida dagli abissi per il disco col minuetto.

Chiedo scusa alla gente nelle stazioni se dormo alle cinque del mattino.

Perdonami, speranza braccata, se a volte rido.

Perdonatemi, deserti, se non corro con un cucchiaio d’acqua.

E tu, falcone, da anni lo stesso, nella stessa gabbia,

immobile con lo sguardo fisso sempre nello stesso punto,

assolvimi, anche se tu fossi un uccello impagliato.

Chiedo scusa all’albero abbattuto per le quattro gambe del tavolo.

Chiedo scusa alle grandi domande per le piccole risposte.

Verità, non prestarmi troppa attenzione.

Serietà, sii magnanima con me.

Sopporta, mistero dell’esistenza, se strappo fili dal tuo strascico.

Non accusarmi, anima, se ti possiedo di rado.

Chiedo scusa al tutto se non posso essere ovunque.

Chiedo scusa a tutti se non so essere ognuno e ognuna.

So che finché vivo niente mi giustifica,

perché io stessa mi sono d’ostacolo.

Non avermene, lingua, se prendo in prestito parole patetiche,

e poi fatico per farle sembrare leggere.

 

 

E così è arrivato anche venerdì 20 maggio del terzo anno senza Carnevale e del primo anno di guerra e questa Cronaca 803 non chiede scusa proprio per niente e impettita continua a leggere e rileggere questa poesia cercando un senso.

mercoledì 11 maggio 2022

Cronache dagli anni senza Carnevale/794. Quel ridere di bimbo… che attraversa il fulmine

 

 


 

Quando si avvicina un temporale me ne accorgo ore e ore prima perché sento quei minimi cambiamenti nell’aria e nella pressione che ne sono i messaggeri. Nel momento preciso in cui sento che pioverà, non sempre decido di tornare a casa o di cercare un riparo al chiuso. Spesso me sto per strada e continuo a camminare come se la pioggia non mi riguardasse, come se non stesse piovendo e fosse solo l’aria ad avere acquisito una diversa consistenza.  Respirare la pioggia è come respirare il mare senza il salato, me lo dico tutte le volte. Poi quando il battere delle gocce sul selciato si acquieta, riprendo la strada di casa e mi avvio, con passo lento, lenta nei movimenti perché i vestiti inzuppati mi fasciano come se fossi una mummia. Quando arrivo a casa mi spoglio non appena entrata, poi mi infilo sotto la doccia calda e lascio che il sangue ricominci a circolare a una velocità normale.

 

 

Poetica delle gocce di pioggia

 

Non ha scelta la pioggia,

non hanno forma le gocce

prima di cadere. Solo quando

arriva l’istante del lancio

scoprono di essere più lunghe

che tonde. Non decide mai di

piovere la pioggia, solo è

pioggia, acqua impetuosa,

pensieri disordinati che

cercano una posizione nel

pensiero dominante del mondo

che è orizzontale, mentre

la pioggia cade solo in verticale.

 

 

Oggi pioveva nella mia memoria, ha piovuto nei sogni e nei miei passi. Perché non occorre aspettare che davvero il temporale arrivi sino a noi. Basta chiamarlo nella nostra testa e lasciare che la pioggia ci bagni come fossimo terra arida da rianimare. Oggi è mercoledì 11 maggio del terzo anno senza Carnevale e del primo anno di guerra e questa Cronaca 794 è corsa in casa a prendere l’ombrello, mentre il suo titolo è il frammento di un verso di Anne Perrier.

sabato 30 aprile 2022

Cronache dagli anni senza Carnevale/783. Un profumo di glicine a primavera in una strada di Parigi

 



Non tutti i giorni lasceranno tracce nella nostra memoria, ma ogni istante avrà lasciato una traccia, solo che noi non sappiamo più vederlo. Perché dopo lo sguardo e la percezione del mondo intorno e dentro di noi, le forze dell’oblio sono più veloci di quelle del ricordo e ci sembrerà di non avere molto da dire sul giorno appena trascorso, presi come siamo stati dalle mille faccende della vita quotidiana, dalle preoccupazioni causate dalla pandemia e dalla guerra. Eppure restano in noi molte più cose, immagini e profumi che si riveleranno col passare degli anni. perché anche i ricordi hanno un loro periodo di maturazione, proprio come i frutti sugli alberi, e i ricordi sono i frutti della vita stessa. Così ne dice il filosofo Vladimir Jankélévitch nel libro Da qualche parte nell’incompiuto, (Einaudi, 2012):

 

“[…] se dobbiamo distinguere il contatto grossolano dal tocco leggero diciamo: la reminiscenza non ha il peso del ricordo, è piuttosto il tocco fuggevole che ci sfiora, spesso anche a nostra insaputa. Ne resta qualcosa e al contempo non ne resta niente, ne resta qualcosa che non è niente; è una traccia che non lascia tracce! Un profumo di glicine a primavera in una strada di Parigi, l’odore della pioggia in ottobre sul ferro dei balconi, un sentore di erbe riarse nei campi, una drogheria di villaggio che sa di pepe e naftalina ed eccoci invasi ad un tratto da un languore inspiegabile, abitati da queste presenze infime e intime che non si osa chiamare ricordi. È questo il profumo del tempo. […] indefinita malinconia”.

 

 

Ricordi che non erano miei

 

Sollevo un velo e non

resta che il gesto.

Sfioro un margine non

scritto e subito si

nostrano segni solo

pensati.

Allora scrivo e penso

a questo giorno di

immagini e profumi

che non erano miei

e ora lo sono.

 

 

Così di questo giorno appena concluso, abitato da una lunga passeggiata, dalle faccende della vita domestica, dal rito della spesa e della cucina, e poi di una cena in famiglia in un bel ristorante in una zona poco alla moda di Milano, ecco che ancora non so cosa ritornerà a me negli anni. Ma la memoria è un esercizio di pazienza, una pesca a strascico nell’oceano del tempo e la scrittura, questo scrivere quotidiano, è al contempo la rete e il pescato.

Oggi è sabato 30 aprile del terzo anno senza Carnevale e del primo anno di guerra e questa Cronaca 783 ancora si aggira tra la riva e questo mare ancora così ignoto.

sabato 2 aprile 2022

Cronache dagli anni senza Carnevale/755. Non cercare i confini del mare. Sono già in te.

 


 Credo proprio che aprile sarà accompagnato quasi ogni giorno dai versi di Char, anche oggi li ho scelti come titolo della nuova Cronaca. In attesa di andarci davvero al mare, mi impegno per parecchio tempo a immaginare il mare, a disegnarne quei confini che il poeta mi dice essere già in me. Ed è vero che il mare esiste in me, esistono onde che io sola ho visto e ascoltato, esistono le sfumatura dei colori che rispecchiano il colore del cielo. Esiste in me il Mar Ligure, da Sestri Levante e alla Baia del Silenzio, uno dei luoghi che più amo al mondo, al mare delle Cinque Terre, l’ha prima volta che l’ho visto e ci ho fatto il bagno nell’estate del 1983. Potrei scrivere a lungo anche del Mar Jonio nella zona di Sibari e del Tirreno, in Calabria, in Basilicata, in Campania e in Toscana, in particolare del mare intorno all’Isola d’Elba. E come non tornare al Tirreno e alla bellezza della costa palermitana, al Mar di Sicilia e a Lampedusa? Come non parlare dei mari di Grecia e di Spagna?, E come potrei dimenticarmi del Mare Adriatico, giù da Trieste, passando dalla Romagna e dalle Marche, sino alla punta estrema della Puglia? No che non mi dimentico, e più mi impegno a ricordare i mari che ho amato, più il mare interiore sconfina e si fa immenso. Immenso come gli oceani, che conosco molto meno, solo un po’ di Atlantico francese e inglese e poi americano. Ma il mio mare è un mare raccolto, che bagna terre millenarie, ricche di storia e di bellezza. Un mare che mi dà respiro e nutre la mia anima anche se non lo vedo, anche se non sono lì a guardarlo e respirarlo. Dunque esiste un mare reale, da cui vivo troppo lontana, un mare ricordato e un mare immaginato. Esiste il mare colore del vino dei poeti e il mare degli scrittori abitato da Moby Dick. Potrei continuare il mio elenco, adoro scrivere elenchi e liste, renderlo infinito. Ma mi fermo qui e torno ai versi di René Char, giusto per concludere questa Cronaca 755 di sabato 2 aprile del terzo anno senza Carnevale e del primo anno di guerra.

 

Non cercare i confini del mare.

Sono già in te.

Ti sono stati dati

in uno con la tua vita che svapora.

Il sentimento, lo sai, è figlio della materia:

ne è lo sguardo mirabilmente

vanescente.

 

 

Di che marò sarò stanotte? E di che mare mi sveglierò domattina? Non lo so, non lo sappiamo, nessuno lo sa. Per questo è bello immaginarlo.

martedì 22 febbraio 2022

Cronache dagli anni senza Carnevale/716. Amicizia, desideri e tempo tra il lago e la città

 


 

Ci sono giorni in cui vorrei essere capace di tenere insieme le immagini e i suoni, il profumo dell’aria, gli incontri e le voci. Ho passato la giornata sul lago Maggiore a guardare le onde piccole, i tuffi delle anatre e dei gabbiani, i rari passanti, qualche famiglia con bambini piccoli che corrono e ridono, come solo i bambini sanno fare. Perché i bambini corrono sempre? Mi piace pensare che anche noi un tempo, amavamo correre perché era tale la gioia di vivere che era impossibile restare fermi, bisognava andare incontro alla vita. Correre era uno dei giochi che più amato nell’infanzia e adolescenza, a volte mi sembrava di volare, di star toccando davvero il cielo, anche quando non c’era un vento fortissimo come quello che attraversa queste strane giornate di febbraio, dove non piove, la primavera già si affaccia e l’aria secca rende luminoso non solo il lago, ma anche la città non silenziosa.


La memoria è una pagina bianca

 

In un soffio inseguo

la linea d’ombra che

separa il mattino dal

pomeriggio ma non

la fermo, non la prendo,

è solo la luce più densa

a dire come ci si avvicina

alla notte, dove il tempo

è inchiostro e la memoria

una pagina bianca.

 

 

Dopo le ore dolci trascorse al lago sono stata a casa dell’amico Luciano Martinengo con i miei nipoti Marco e Andrea. Abbiamo visto il suo ultimo film America Alternativa 1972, girato con materiali d’epoca originali e montato durante i mesi di lockdown. Per me era la seconda visione, ma ci tenevo che anche i ragazzi lo vedessero. È stato bello vedere e sentire quei ragazzi di mezzo secolo fa che in presa diretta esprimevano la loro visione del mondo, il loro desiderio di cambiamento. Alla fine del film una parte di quei ragazzi si raccontavano in una call in zoom com’era andata la loro vita. Poi abbiamo trascorso una bella serata seduti intorno a una tavola ricca di buon cibo insieme anche a Valerio, altro regista talentuoso e Nicola Eugenia, un’amica siciliana in visita a Milano. Quel che mi incanta di Luciano è il suo essere rimasto allo stesso tempo il ragazzo delle comuni e l’uomo maturo che è ancora curioso delle persone e delle storie, che non ne ha mai abbastanza di conoscere il mondo.

Sono tornata a casa con l’ultimo metro e quando ho attraversato la piazza c’era un uomo visibilmente alterato che gridava “Io sono Marco Aurelio e voi dovete aiutarmi a fare la guerra contro Putin”. Inquietante per quello che diceva, per come lo diceva e per il tono quasi messianico, invasato, che sosteneva le sue parole.

Oggi è martedì 22 febbraio del terzo anno quasi senza Carnevale e questa Cronaca 716 se ne sta con le mani a tapparsi le orecchie perché non vuole sentir pronunciare la parola guerra.

lunedì 21 febbraio 2022

Cronache dagli anni senza Carnevale/715. Il tempo è un gatto addormentato, un compito non ancora finito nel quaderno nuovo


 


Un gatto addormentato davanti al fuoco sogna di essere una camelia, ma quando si sveglia è ancora un gatto. Allora è la camelia che si addormenta e sogna di essere una ragazzina che corre e corre sotto una pioggia leggera e accanto a una nuvoletta che volteggiava un po’ troppo in basso, un po’ troppo vicino alla terra. La madre sogna e cuce, sogna ad occhi aperti, sogna il giorno in cui smetterà di cucire e i vestiti si limiterà a indossarli e ad andare a passeggio con la giacca nuova e quella bella camelia appuntata sul bavero. Ragazzina ha smesso di correre e adesso è china sui libri di scuola. Ha già finito i compiti di italiano e ora sta studiando scienze naturali e poi farà gli esercizi di matematica e ancora non riesce a decidere cosa le piaccia di più tra tutte quelle materie, cosa le piacerebbe studiare davvero e poi cosa le piacerebbe fare da grande. Da grande è un tempo che non ha tempo, un tempo a venire che oggi ha la dimensione di un sogno e ragazzina lo sa bene, perché anche lei sogna ad occhi aperti, proprio come fa sua madre. Un sogno concreto, ma si realizzerà mai? – è quello di avere una stanza tutta per sé, una stanza dove poter studiare e leggere lontano dagli sguardi dei genitori. Anche se sul tavolo della cucina, in effetti si sta bene. L’unica scocciatura è quella di dover raccogliere tutti i libri una volta finiti i compiti e apparecchiare, riempire la bottiglia con l’acqua del rubinetto e poi una bustina di idrolitina, tagliare il pane e girare il sugo nella pentola. In verità a ragazzina piace stare in cucina ad aiutare sua madre. Quando un giorno avrà non solo una stanza tutta per sé, ma anche una casa tutta sua, molto spesso si siederà al tavolo della cucina per leggere, scrivere e studiare. E in un giorno di fine inverno vedrà una camelia rossa che assomiglia a una gardenia fare capolino, solitaria, su un ramo già gemmato. E la raccoglierà e ricorderà l’altra cucina, il gatto addormentato, il fuoco acceso e la giacca nuova di sua madre, proprio quella giacca che ora è appesa nel suo armadio. È questo il segreto del tempo, tessere con la memoria una camelia rossa, una ragazzina che corre, una ragazzina che studia, un gatto che dorme, una nuvola che diventa pioggia, il vento che osserva tutto e scompiglia la carta e i rami.

Oggi è lunedì 21 febbraio dell’anno dove forse ci sarà Carnevale e questa Cronaca 715 se ne sta proprio come un gatto addormentato.

giovedì 17 febbraio 2022

Cronache dagli anni senza Carnevale/711. Sentire il mondo con la gioia dell’essere bambini

 

 


 

Il paese dell’infanzia è un luogo fatto di luoghi, di profumi, di sapori. È un luogo di immagini, di sole, un luogo dove i genitori sono eternamente giovani, ci sono ancora i nonni e noi siamo solo bambini che corrono dentro e fuori dall’acqua in una giornata calda di agosto. Ma il paese dell’infanzia è anche un luogo di nebbia bassa, di cielo bianco, di un inverno infinito segnato dalle sirene delle fabbriche, dai giorni di scuola a guardare fuori dalla finestra e a vedere solo le cime degli alberi spogli e la pioggia che cade e cade.

Il paese dell’infanzia è un luogo nel cuore e nella memoria che coincidono in noi, anche se non tutti hanno questo desiderio di ritornare, forse perché non tutti hanno un tempo mitico dove le radici hanno fatto presa nella realtà e nel mondo e hanno dato all’albero dell’immaginazione il modo per crescere e potersi ripiegare su se stesso e nutrirsi della linfa della nostalgia e agitarsi al vento della memoria.

 

 

Dove affondano le radici del tempo

 

 

È un albero che ha radici

nel tempo, un albero fatto

di immagini, un albero dove

i sogni stanno appesi come

frutti maturi. Possiamo

sentire le radici, possiamo

immaginare il mondo

sotterraneo che le nutre.

Così come sentiamo che

soffia il vento del tempo

presente  e che ogni

istante scivola dalla corteccia

giù sino al terreno e cerca

dove fermarsi, cerca un modo

per tornare nel visibile se

la memoria ci avrà fatto

la grazia, se continueremo

a sentire il mondo con la gioia

dell’essere bambini.

 

 

Sto ferma sotto all’albero, sento le radici, le vedo affiorare, la linfa scorre veloce da loro al tronco, ai rami ancora spogli, alle gemme che iniziano a spingere. Oggi è giovedì 17 febbraio del terzo anno senza Carnevale e questa Cronaca 711 se ne sta meditabonda quanto me ad accarezzare il muschio sul tronco dell’albero.

venerdì 4 febbraio 2022

Cronache dagli anni senza Carnevale/698. Immenso e profondissimo, un frammento di ieri

 


 

Cosa resterebbe di questa giornata se non ne scrivessi in questa Cronaca? Non lo saprò mai, non so come funzionino i meccanismi della mia memoria. Potrebbe accadere tra qualche tempo, giorni o anni, che un’immagine ripetuta, un refolo di vento, una lama di luce funzionerebbero come chiave per la porta serrata che celerà le ore di questo giorno. Un giorno di aria umida, di odore di prati e foglie secche che mi hanno riportato a certi interminabili pomeriggi dell’adolescenza, dove il tempo futuro della vita adulta era un sogno più che un progetto. Oggi sono tornata con passo lento in quel tempo e ne ho portato frammenti con me, sino a questo scritto, sino a queste parole. È stata anche una giornata di grande polvere, di starnuti, di vecchi libri, di quaderni dimenticati che credevo già buttati da decenni. Fa sempre un certo effetto ritrovarsi davanti la propria grafia bambina e riconoscere le “o” panciute e le gambette di “f” e “p” con l’occhiello. Qualcosa ho deciso di conservare, soprattutto i vecchi quaderni Pigna con copertine bellissime che non sono più in produzione da anni. Messi in fila tutti i ricordi, a meno che non ci si chiami Marcel Proust, sono forse a malapena un paio per ogni mese vissuto. Ma anche se noi non ricordiamo, quella vita, quel tempo, vivono in noi, ancora e per sempre, anche se noi non lo sappiamo.

 

 

Dopo essere stato lupo

 

È rimasto quel frammento

verde di vetro, una conchiglia,

un sasso e quel giorno al

mare torna da noi e ci

trascina in spiaggia. Vedo

ancora il costume rosso e

le ciabattine di plastica, e

un secchiello, una paletta,

il castello di sabbia era

immenso e profondissimo

il fossato intorno e tornava

il cavaliere ogni mattina

dopo essere stato lupo,

notte dopo notte, qui

con me e il buio.

 


È passato così un altro giorno di questo terzo anno senza Carnevale, venerdì 4 febbraio e questa Cronaca 698 è impolverata e taciturna, meditabonda. Le nostre ombre sono rimaste in quel prato dell’adolescenza, hanno abbandonato i nostri passi e torneranno, forse un giorno torneranno e noi non sapremo perché e dove.

lunedì 31 gennaio 2022

Cronache dagli anni senza Carnevale/694. La fisica quantistica della carta e dei libri

 

 


 

Come scegliere cosa tenere e cosa gettare? Metterò mai più quel lungo abito color avorio? Rileggerò quel romanzo che mi era piaciuto così tanto? Ha senso continuare a conservare i ritagli delle recensioni più interessanti a libri che poi non abbiamo mai comprato? E quelle vecchie fotografie sfocate di gente che non abbiamo visto mai più, che senso ha tenerle ancora? Sono domande che mi pongo tutte le volte che faccio ordine negli armadi, nei cassetti e nelle librerie e più passa il tempo più mi rendo conto che il senso non esiste se non perché ogni oggetto è la chiave di una diversa porta che ci conduce nel passato, un passato di cui non siamo più consapevoli, salvo quando prendiamo in mano quel romanzo leggero e piacevole e ci ricordiamo anche della piacevolezza di quel pomeriggio in spiaggia stesi a leggere e a guardare il mare. Oppure quando riguardiamo le fotografie di vecchi colleghi con cui non lavoriamo più da anni ma, che nel tempo che abbiamo condiviso sono stati importanti. Allora cosa tengo e cosa butto? La biblioteca accetterà anche questi romanzi remoti? Le fotografie le conservo ancora, dei libri ho imparato a fare a meno e a regalarli, perché possano continuare a seminare piacere e curiosità anche in altre menti, soprattutto quando ho la certezza che non li rileggerò mai più. La cosa stupefacente di ogni riordino è che, nonostante la quantità di libri e oggetti regalati o buttati via, secondo la ben nota legge della carta polistirolo, sul ripiano della libreria non ci sarà comunque nessuno spazio per un libro nuovo. Questo è uno dei misteri della fisica quantistica dei libri, soprattutto quando siamo certi di avere finalmente riposto in ordine di pubblicazione tutti i libri di Paul Auster e, non si sa come, troviamo in mezzo un Philip Roth che, a parte la condivisione della casa editrice italiana, non centra proprio nulla. Lo stesso accade quando riordiniamo tutti i libri di e su Katherine Mansfield e Virginia Woolf. Sono sempre molti, molti di più di quanto non ricordassimo, così dobbiamo fare e disfare l’ordine dieci volte prima di averli raggruppati secondo un ordine solo a noi noto e che presto avremo dimenticato e rimettere le mani su quei ripiani sarà sempre come partire per una caccia nella jungla nera e selvaggia. Il segreto che tutti gli amanti dei libri conoscono è che i libri parlano tra loro e si raccontano di notte con voci sussurranti che le nostre orecchie sensibili di lettori e maniaci riusciamo a sentire. Per questo impariamo molto più di quanto una semplice lettura potrà mai darci. Perché i libri sono come i gatti, affamati e riconoscenti, fanno le fusa per attirare la nostra attenzione e quando cadiamo tra le loro sgrinfie, non possiamo resistere alla loro malia.

 

 

Navigare nel mare dell’infanzia

 

Con ogni libro costruisco

un mondo o lo distruggo.

Volo su un magico tappeto

e solco l’oceano più periglioso

mentre Nemo si inabissa tra

le onde dell’infanzia e la foresta

continua a richiamare non solo

cani e lupi, ma anche noi

bambini, quei bambini che

stanno sdraiati interi pomeriggi

e quando finiscono un libro,

lo iniziano da capo.

 

 

Che tenerezza avere ritrovato i libri che leggevo da bambina, sfogliarli e poi riporli in un ripiano speciale, quello dove stanno i libri che vogliamo continuino a farci compagnia. Una compagnia imperdibile di cui ci è impossibile fare a meno. Oggi è lunedì 31 gennaio del terzo anno senza Carnevale e questa Cronaca 694 ancora una volta ha smesso di spolverare i libri e si è messa a pancia in giù sul tappeto a rileggere Il giro del mondo in ottanta giorni, cosa che, a questo punto, penso farò anch’io.

venerdì 28 gennaio 2022

Cronache dagli anni senza Carnevale/691. La luce scrive il mondo e io scrivo la luce

 

 


 

Due delle attività umane che più mi piacciono sono in perfetta antitesi: stare ferma alla scrivania – a leggere e scrivere - , o uscire e andare a zonzo per la mia città come se fossi una turista e riuscire a stupirmi davanti al mio albero bellissimo come se non lo avessi visto mai. Le novità che l’occhio coglie sono favorite soprattutto dalla diversa luminosità e atmosfera, anche questa mattina c’era una leggera nebbia, perché i colori del mondo cambiano moltissimo a seconda della luce. Così, di fatto, è proprio la luce a essere la scrittrice del mondo e io ne sono una fedele lettrice impegnata a decifrare significati, a stratificare ricordi e a trasporli sulla mia carta che non è il mondo intero ma un foglio bianco, reale o virtuale, poco importa.

La luce ha molti aiutanti in questa faticosa opera quotidiana e chi sono i principali? Sono le nuvole, le meravigliose nuvole che impediscono o favoriscono che la luce arrivi sino alla superficie del mondo e lavori di cesello sulle case e sugli alberi, sulle strade e su di noi umani, noi che passeggiamo e cerchiamo di attraversare il tempo in punta di piedi, senza fare troppo rumore, senza lasciare troppe tracce intorno a noi.

 

 

Il luogo dove tutti i luoghi non sono che uno

 

Con passo di volpe hai

attraversato il bosco urbano

che circonda la mia casa. E

non sono i sussurri delle foglie,

non i fischi del vento che mi

hanno rivelato il tuo passaggio,

un andare veloce che non si è

trasformato in presenza, ma

solo in tracce che gli elementi

hanno presto cancellato. Nessuna

impronta sul selciato, niente

piume nel nido abbandonato,

non una sola parola incisa sul

muro che circonda il mio

giardino. Eppure so che sei

passato, me lo dicono i sogni,

notte dopo notte, me lo dice

la luce che si ritrae a ogni

mio passo per condurmi

verso di te, in quel regno

che posso solo immaginare,

in quel luogo fatto di tutti

i luoghi che è la nostra

memoria comune, madre.

Eppure vorrei, proprio vorrei

per una volta ancora vedere

le tue mani nude scavare

nella terra e poi la pianta e

poi il fiore, rosa, perfetto e

profumato che non avresti

mai raccolto. È quel profumo

la nostalgia, è quel colore che

tinge tutte le parole che non

ci siamo dette, che ancora

non ci siamo dette.

 

 

 

Così la città mi ha accolto con tracce di mia madre nei luoghi dove siamo state insieme e dove non l’ho cercata, è stata lei a trovarmi in questa giornata di inverno gelido e umido, venerdì 28 gennaio 2022, il terzo anno senza Carnevale. Sono queste Cronache a custodire quel che trovo qua e là e questa Cronaca 691 non è da meno di quelle che l’hanno preceduta e tiene in ordine in una specie di erbario tutto quello che abbiamo raccolto insieme, in giro per la nostra città.

mercoledì 26 gennaio 2022

Cronache dagli anni senza Carnevale/689. Quando le mani si muovono nell’aria

 


 

Cerco indietro nel tempo i primi momenti in cui ho capito che la forma della materia non era stabile, che potevano intervenire azioni, umane o naturali, che l’avrebbero cambiata. Forse la prima volta è stato quando ho visto le onde cancellare le mie impronte sulla sabbia, l’ho visto quando ho impastato terra e acqua per farne torte di fango per il mercatino in cortile, l’ho visto quando da una montagnola di farina, acqua e sale, uscivano impasti morbidi che sarebbero diventati recchitelli, strascinati e cavatiddi sotto il lavoro sapiente delle mani di mia madre. Allo stesso modo i tessuti tagliati e cuciti diventavano vestiti, le piantine messe nei vasi in germoglio diventavano fiori e i capelli lunghi e selvaggi diventavano disciplinate code e trecce.

Tutta la nostra vita umana è una lotta continua contro la materia nella sua forma originaria, confrontarci e scontrarci, lasciare le nostre impronte sulle cose, imparare a usare il fuoco e l’acqua, la legna e l’aria per dare nuove forme, ma spesso non nuove vite, alle cose intorno. Anche scrivere è una lotta contro la materia, contro una materia molto particolare che è il vuoto, la pagina bianca, il silenzio. Incidiamo la carta con l’inchiostro e la grafite, riempiamo di segni e simboli la carta bianca virtuale del computer, ci insinuiamo nel silenzio e lo trasformiamo in qualcosa d’altro.

 

 

Madre, materia, mani

 

Anche se le mani stanno

ferme, è la materia a

chiamare i nostri movimenti,

a chiedere di mutare in forme

che altrimenti le sarebbero

precluse. Forti come farfalle

nell’aria si riposano le mani

e non perdono la loro forma,

mai, se non quando accarezzano

un viso amato, asciugano lacrime

o sfiorano un ricordo addormentato

in un oggetto. Mani e materia iniziano

con la stessa sillaba “ma”, la prima

sillaba anche della parola madre,

la prima parola mamma e anche

l’ultima, per chi ha imparato a

dire l’amore e lo chiama da

un capo all’altro del tempo.

 

 

Mi fermo a cercare nella memoria quelle mani, a ricordare le ultime carezze, a cercare nella loro forma la mia forma, le diverse abilità. E trovo conforto in quei gesti ripetuti talmente tante volte, che sono ormai parte di me.

Oggi è mercoledì 26 gennaio del terzo anno senza Carnevale e questa Cronaca 688 impasta acqua e farina per ricordarmi come si fa.

lunedì 27 dicembre 2021

Cronache dagli anni senza Carnevale/659. Le cose vanno come vanno e non hanno l’impronta delle vostre mani

 



Tutto per fermare il tempo, facciamo di tutto. Fotografie e post su FB che ogni giorno ci presenta i ricordi degli anni passati. Foto e ancora foto su IG, stories, più immagini che parole.

In altri tempi le immagini stavano nella memoria, nell’immaginazione, nel teatro del sonno, nei sogni, nei dipinti. Ora possiamo replicarle all’infinito grazie alle tecnologie. E le parole? Le parole stavano nell’aria, nella memoria, nei libri, nella punta delle dita, nei quaderni. Ora stanno anche nelle misteriose memorie dei pc e degli smartphone. Da cosa ci viene questa smania di fermare il tempo quando sappiamo che è impossibile? Ora abbiamo anche questi supporti tecnologici, ma ancora oggi ci basta prendere un oggetto che ha una storia e tante immagini si affolleranno nella nostra mente e cercheranno le parole per essere dette.


Filastrocca dei giorni della settimana

 

 

Dove sono nascoste quelle

domeniche d’inverno dove

studiavo al tavolo della cucina

e mio padre mi interrompeva

per preparare la cioccolata?

Dove abbiamo riposto quegli

infiniti lunedì mattina alle sei,

quando con la prima sveglia

accendevamo la stufa elettrica

e il fuoco sotto la caffettiera?

Il martedì portava già il peso

delle cose iniziate, era un giorno

tondo di lavoro e spesa, il latte

era finito e mancava sempre

una cerniera per finire un vestito.

Il mercoledì aveva le guglie come

il Duomo, il giorno in mezzo

alla settimana, preludio dei

futuri piaceri lontani da uffici

e scuole. Se il giovedì era

sempre grasso, lo dobbiamo

alla felicità del fine settimana,

proprio dietro l’angolo del

giorno seguente. Il venerdì era

serio, sussiegoso e chiaro

nelle case e nelle strade. Selvaggio

se stavi su un’isola deserta e

avevi un naufragio nel cuore e

nelle mani. E il sabato, oh il sabato,

quale meraviglia in ogni villaggio!

Il mercato, le spezie, i panni stesi

ai balconi, le grida dei bambini,

il rotolare delle biciclette, i pattini,

le caramelle. Poi il silenzio domenicale,

le campane della chiesa, la tovaglia

ricamata sul tavolo da pranzo. Proprio

quella tovaglia che ora tengo in mano,

e piego per riporla nel mio cassetto,

un luogo nuovo che ha un altro odore,

un’altra storia e non ha l’impronta

delle vostre mani.

 

 

Vanno così le cose, vanno come vanno, più anni siamo stati insieme, più lungo sarà il distacco. Ma forse è impossibile staccarsi da quelle domeniche d’infanzia, dalle voci care dei nostri genitori, dal sorriso del fratellino che ancora non cammina. Per questo ho lasciato che le immagini e i ricordi irrompessero in questo lunedì 27 dicembre del secondo anno senza Carnevale e in questa Cronaca 659, aiutante della memoria e custode di molte infanzie.