martedì 31 maggio 2016

e nei tuoi occhi esula ogni azzurro

Diana


Torna il tuo cielo d’un tempo
sulle altane lombarde,
in nuvole d’afa s’addensa
e nei tuoi occhi esula ogni azzurro,
si raccoglie e riposa.

Anche l’ora verrà della frescura
col vento che si leva sulle darsene
dei Navigli e il cielo
che per le rive s’allontana.

Torni anche tu, Diana,
tra i tavoli schierati all'aperto
e la gente intenta alle bevande
sotto la luna distante?

Ronza un’orchestra in sordina;
all'aria che qui ne sobbalza
ravviso il tuo ondulato passare,
s'addolce nella sera il fiero nome
se qualcuno lo mormora
sulla tua traccia.

Presto vien giugno
e l’arido fiore del sonno
cresciuto ai più tristi sobborghi

e il canto che avevi, amica, sulla sera
torna a dolere qui dentro,
alita sulla memoria
a rimproverarti la morte.

Vittorio Sereni
Frontiera
1941

In ombra e in luce

Io ero solamente ciò
che tu toccavi, quello
su cui - notte fonda, corvina -
la fronte reclinavi tu.
Io ero solamente ciò
che tu là in basso distinguevi:
sembiante vago, prima, e poi
molto più tardi, tratti.
Sei tu ardente, che
sussurrando hai creato
la conchiglia dell'udito
a destra, a manca, là, qui.
Tu che nell'umida cavità,
tirando quella tenda,
hai messo voce, perché
potesse te chiamare.
Cieco ero, nulla più.
Tu, sorgendo, celandoti,
hai dato a me la facoltà
di vedere. Si lasciano scie
così, e si creano così
mondi. Spesso, creati,
si lasciano ruotare così,
elargendo regali.
E, gettata così,
in caldo, in freddo, in ombra, in luce,
persa nell'universo,
ruota la sfera e va.

Josif Brodskij

lunedì 30 maggio 2016

Amami solo per amore

XIV

E se mi devi amare per null’altro sia
che per amore. Non dire "L’amo per il
suo sorriso, il suo sguardo, il modo
gentile di parlare, per le sue idee
che si accordano alle mie e che un giorno
mi resero sereno". Queste cose possono
Amato, in sé mutare o mutare per te.
Così fatto un amore può disfarsi.
E ancora non amarmi per la pietà che
le mie guance asciuga. Può scordare
il pianto chi ebbe a lungo il tuo
conforto, e perdere così il tuo amore.
Ma amami solo per amore dell’amore,
che cresca in te, in un’eternità d’amore!

Elizabeth Barrett Browning 
Sonetti dal portoghese
traduzione di Silvio Raffo

XIV

If thou must love me, let it be for nought
Except for love's sake only. Do not say
'I love her for her smile — her look — her way
Of speaking gently, — for a trick of thought
That falls in well with mine, and certes brought
A sense of pleasant ease on such a day' —
For these things in themselves, Beloved, may
Be changed, or change for thee, — and love, so wrought,
May be unwrought so. Neither love me for
Thine own dear pity's wiping my cheeks dry, —
A creature might forget to weep, who bore
Thy comfort long, and lose thy love thereby!
But love me for love's sake, that evermore
Thou mayst love on, through love's eternity.


Elizabeth Barrett Browning – Sonnets from the Portuguese, 1856

sabato 28 maggio 2016

come vento sul monte irrompe, dolce amara indomabile belva

Tramontata è la luna

e le Pleiadi a mezzo della notte; 
anche giovinezza già dilegua, 
e ora nel mio letto resto sola.

Scuote l'anima mia Eros, 
come vento sul monte 
che irrompe entro le querce, 
e scioglie le membra e le agita, 
dolce amara indomabile belva.

Ma a me non ape, non miele; 
e soffro e desidero.

Saffo
Lirici greci

tradotti da Salvatore Quasimodo
Mondadori 1944

venerdì 27 maggio 2016

Le stelle che nascondono la luna

Plenilunio

Gli astri d'intorno alla leggiadra luna 
nascondono l'immagine lucente, 
quando piena più risplende, bianca 
sopra la terra.

Saffo
Lirici greci
tradotti da Salvatore Quasimodo
Mondadori 1944

giovedì 26 maggio 2016

Il signore degli uomini e degli dèi

Voglio cantare il molle Eros 
pieno di ghirlande ricche di fiori, 
Eros che domina gli uomini, signore degli dèi. 

Anacreonte
Lirici greci
tradotti da Salvatore Quasimodo
Mondadori 1944

mercoledì 25 maggio 2016

Vorrei andare con te in un giorno di primavera dove vaga la poesia

Vorrei che tu venissi da me in una sera d’inverno e, stretti insieme dietro i vetri, guardando la solitudine delle strade buie e gelate, ricordassimo gli inverni delle favole, dove si visse insieme senza saperlo.
Per gli stessi sentieri fatati passammo infatti tu ed io, con passi timidi, insieme andammo attraverso le foreste piene di lupi, e i medesimi genii ci spiavano dai ciuffi di muschio sospesi alle torri, tra svolazzare di corvi.
Insieme, senza saperlo, di là forse guardammo entrambi verso la vita misteriosa, che ci aspettava. Ivi palpitarono in noi per la prima volta pazzi e teneri desideri. “Ti ricordi?” ci diremo l’un l’altro, stringendoci dolcemente, nella calda stanza, e tu mi sorriderai fiduciosa mentre fuori daran tetro suono le lamiere scosse dal vento.
Ma tu – ora mi ricordo – non conosci le favole antiche dei re senza nome, degli orchi e dei giardini stregati. Mai passasti, rapita, sotto gli alberi magici che parlano con voce umana, né battesti mai alla porta del castello deserto, né camminasti nella notte verso il lume lontano lontano, né ti addormentasti sotto le stelle d’Oriente, cullata da piroga sacra. Dietro i vetri, nella sera d’inverno, probabilmente noi rimarremo muti, io perdendomi nelle favole morte, tu in altre cure a me ignote. Io chiederei “Ti ricordi?”, ma tu non ricorderesti.
Vorrei con te passeggiare, un giorno di primavera, col cielo di color grigio e ancora qualche vecchia foglia dell’anno prima trascinata per le strade dal vento, nei quartieri della periferia; e che fosse domenica. In tali contrade sorgono spesso pensieri malinconici e grandi, e in date ore vaga la poesia congiungendo i cuori di quelli che si vogliono bene.
Nascono inoltre speranze che non si sanno dire, favorite dagli orizzonti sterminati dietro le case, dai treni fuggenti, dalle nuvole del settentrione. Ci terremo semplicemente per mano e andremo con passo leggero, dicendo cose insensate, stupide e care. Fino a che si accenderanno i lampioni e dai casamenti squallidi usciranno le storie sinistre delle città, le avventure, i vagheggiati romanzi. E allora noi taceremo, sempre tenendoci per mano, poiché le anime si parleranno senza parola.
Ma tu – adesso mi ricordo – mai mi dicesti cose insensate, stupide e care. Né puoi quindi amare quelle domeniche che dico, né l’anima tua sa parlare alla mia in silenzio, né riconosci all’ora giusta l’incantesimo delle città, né le speranze che scendono dal settentrione. Tu preferisci le luci, la folla, gli uomini che ti guardano, le vie dove dicono si possa incontrar la fortuna. Tu sei diversa da me e se venissi quel giorno a passeggiare, ti lamenteresti di essere stanca; solo questo e nient’altro.
Vorrei anche andare con te d’estate in una valle solitaria, continuamente ridendo per le cose più semplici, ad esplorare i segreti dei boschi, delle strade bianche, di certe case abbandonate. Fermarci sul ponte di legno a guardare l’acqua che passa, ascoltare nei pali del telegrafo quella lunga storia senza fine che viene da un capo del mondo e chissà dove andrà mai. E strappare i fiori dei prati e qui, distesi sull’erba, nel silenzio del sole, contemplare gli abissi del cielo e le bianche nuvolette che passano e le cime delle montagne.
Tu diresti “Che bello!”. Niente altro diresti perché noi saremmo felici; avendo il nostro corpo perduto il peso degli anni, le anime divenute fresche, come se fossero nate allora. Ma tu – ora che ci penso – tu ti guarderesti attorno senza capire, ho paura, e ti fermeresti preoccupata a esaminare una calza, mi chiederesti un’altra sigaretta, impaziente di fare ritorno.
E non diresti “Che bello! “, ma altre povere cose che a me non importano. Perché purtroppo sei fatta così. E non saremmo neppure per un istante felici. Vorrei pure – lasciami dire – vorrei con te sottobraccio attraversare le grandi vie della città in un tramonto di novembre, quando il cielo è di puro cristallo. Quando i fantasmi della vita corrono sopra le cupole e sfiorano la gente nera, in fondo alla fossa delle strade, già colme di inquietudini. Quando memorie di età beate e nuovi presagi passano sopra la terra, lasciando dietro di sé una specie di musica.
Con la candida superbia dei bambini guarderemo le facce degli altri, migliaia e migliaia, che a fiumi ci trascorrono accanto. Noi manderemo senza saperlo luce di gioia e tutti saran costretti a guardarci, non per invidia e malanimo; bensì sorridendo un poco, con sentimento di bontà, per via della sera che guarisce le debolezze dell’uomo. Ma tu – lo capisco bene – invece di guardare il cielo di cristallo e gli aerei colonnati battuti dall’estremo sole, vorrai fermarti a guardare le vetrine, gli ori, le ricchezze, le sete, quelle cose meschine. E non ti accorgerai quindi dei fantasmi, né dei presentimenti che passano, né ti sentirai, come me, chiamata a sorte orgogliosa. Né udresti quella specie di musica, né capiresti perché la gente ci guardi con occhi buoni.
Tu penseresti al tuo povero domani e inutilmente sopra di te le statue d’oro sulle guglie alzeranno le spade agli ultimi raggi. Ed io sarei solo. È inutile. Forse tutte queste sono sciocchezze, e tu migliore di me, non presumendo tanto dalla vita. Forse hai ragione tu e sarebbe stupido tentare. Ma almeno, questo sì almeno, vorrei rivederti. Sia quel che sia, noi staremo insieme in qualche modo, e troveremo la gioia. Non importa se di giorno o di notte, d’estate o d’autunno, in un paese sconosciuto, in una casa disadorna, in una squallida locanda.
Mi basterà averti vicina. Io non starò qui ad ascoltare – ti prometto – gli scricchiolii misteriosi del tetto, né guarderò le nubi, né darò retta alle musiche o al vento. Rinuncerò a queste cose inutili, che pure io amo. Avrò pazienza se non capirai ciò che ti dico, se parlerai di fatti a me strani, se ti lamenterai dei vestiti vecchi e dei soldi. Non ci saranno la cosiddetta poesia, le comuni speranze, le mestizie così amiche all’amore. Ma io ti avrò vicina.
E riusciremo, vedrai, a essere abbastanza felici, con molta semplicità, uomo con donna solamente, come suole accadere in ogni parte del mondo. Ma tu – adesso ci penso – sei troppo lontana, centinaia e centinaia di chilometri difficili a valicare. Tu sei dentro a una vita che ignoro, e gli altri uomini ti sono accanto, a cui probabilmente sorridi, come a me nei tempi passati. Ed è bastato poco tempo perché ti dimenticassi di me. Probabilmente non riesci più a ricordare il mio nome. Io sono ormai uscito da te, confuso fra le innumerevoli ombre. Eppure non so pensare che a te, e mi piace dirti queste cose.
Dino Buzzati
Gli inviti superflui

martedì 24 maggio 2016

Io invece sono immaginaria, incredibilmente immaginaria

Accanto a un bicchiere di vino

Con uno sguardo mi ha resa più bella,
e io questa bellezza l’ho fatta mia.
Felice, ho ingoiato una stella.

Ho lasciato che mi immaginasse
a somiglianza del mio riflesso
nei suoi occhi. Io ballo, io ballo
in uno sciame di ali improvvise.

Il tavolo è tavolo, il vino è vino
nel bicchiere che è un bicchiere
e sta lì dritto sul tavolo.
Io invece sono immaginaria,
incredibilmente immaginaria,
immaginaria fino all'osso.

Gli parlo di tutto ciò che vuole:
delle formiche morenti d’amore
sotto la costellazione del soffione.
Gli giuro che una rosa bianca,
se viene spruzzata di vino, canta.

Mi metto a ridere, inclino il capo
con prudenza, come per controllare
un’invenzione. E ballo, ballo
nella pelle stupita, nell’abbraccio
che mi crea.

Eva dalla costola, Venere dall'onda,
Minerva dalla testa di Giove
erano più reali.

Quando lui non mi guarda,
cerco la mia immagine
sul muro. E vedo solo
un chiodo, senza più il quadro.


Wislawa Szymborska
Taccuino d'amore
a cura di Pietro Marchesani
Libri Scheiwiller 2002

lunedì 23 maggio 2016

Giungono in volo cieli con nuvole e uccelli

Sogno 

Il mio caduto, il mio tornato polvere,
assunto l'aspetto che ha nella fotografia:
sul viso ombra di foglia, una conchiglia in mano,
si avvia verso il mio sogno.

Cammina attraverso tenebre da mai spente, 
attraverso vuoti aperti verso di sé per sempre,
attraverso sette per sette per sette silenzi.

Appare all'interno delle mie palpebre,
in questo solo, unico mondo a lui accessibile.
Gli batte il cuore trafitto.
Si alza il primo vento dai capelli.

Tra noi comincia a esserci un prato. 
Giungono in volo cieli con nuvole e uccelli.
Montagne esplodono in silenzio all'orizzonte
e un fiume scende giù in cerca del mare.

Si vede già lontano, così lontano
che giorno e notte sono simultanei,
e tutte le stagioni giungono in una volta.

La luna apre a ventaglio dei suoi quattro quarti,
i fiocchi della neve danzano con le farfalle
e cadono i frutti da un albero in fiore.

Ci veniamo incontro. Non so se in lacrime,
non so se sorridendo. Un solo passo ancora
e ascolteremo insieme la tua conchiglia,
quale fruscio di mille orchestre,
quale marcia nuziale, la nostra.

(1962)

Wislawa Szymborska
Taccuino d'amore
a cura di Pietro Marchesani
Libri Scheiwiller 2002

domenica 22 maggio 2016

una lingua capace di dire ciò che preme suono, frontalità, selvatiche radici respiro di pianure

Irgendwo in RuBland ist meine Seele.
Gertrud Kolmar
In qualche luogo in Russia esiste la mia anima
se anima si chiama
questo ascolto del corpo a gola tesa: voce – e libri
libri simili a ferri tra le pietre di un monte
metalli su cui posare i piedi lentamente.
Dunque non solo carta – immagini:
steppa, slitta, sonagliera
ma in quell'uscire del corpo dall'infanzia
colori netti come mai accade da bambini
non un dio ma un'orma nelle cose
come se a ogni forma potessimo levare il suo sigillo.
Forse l'anima non esiste ma esistono i suoi luoghi
la distanza: verste da percorrere a ritroso
una lingua capace di dire ciò che preme
suono, frontalità, selvatiche radici
respiro di pianure
sì respiro – per lo stretto di un´isola
e al posto delle rime
il ritmo di un pensiero
mai udito
inaudito
come sempre è cercare concisione nell'altezza.
Antonella Anedda
Notti di pace occidentale
Donzelli 1999

sabato 21 maggio 2016

Anch'io sono uno scriba con un tavolo breve che si piega, chiamo lingua questo destino della forma

a Franco Scataglini

Anche per me la Russia
era lunarità dolente
- tundra senza alture - 
cupole radenti
al deserto dei prati.

Anch'io sono uno scriba
con un tavolo breve che si piega
la schiena indifesa - la cera rappresa tra le dita.

Chiamo lingua questo destino della forma
l'azzurro dei suoi segni, il foglio
come luna tra le foglie.

Nel vetro di un vagone
vedo me stessa buia
venire col suo pegno
di ombra e di paura
fino allo spazio ardente
del nome che si perde.


Antonella Anedda
Notti di pace occidentale
Donzelli 1999

venerdì 20 maggio 2016

che il silenzio mi basti e non mi scacci verso il vento di terra che mi chiama

Sbianca la nott la ghe tegniva in scoss...
Franco Loi 

Pallida notte ci teneva in grembo
e la città sfocava le sue luci
tra l'acqua dei canali senza moto. Gente forse rideva
andava più veloce di noi verso case vicine
in luoghi solo loro. Stelle riposte
le stelle dentro un campo alti lumi notturni
come occhi distolti come il buio che a un tratto
ci stordiva. Pallida notte e freddo in calli nere
dove io ti chiedevo e ancora chiedo: scosta quell'ombra
lascia che la porti nel tempo solo io
che il silenzio mi basti e non mi scacci
verso il vento di terra che mi chiama.


Antonella Anedda
Notti di pace occidentale
Donzelli 1999

giovedì 19 maggio 2016

Un uomo che crea frequenta la migliore delle salvezze umane

Mesi ormai, a scrivere, ogni mattina, ogni mattina, immerso nel mondo costruito per essere più vero del vero, che vero non è. Il romanzo, immenso, che si dipana, dopo anni: facce, cuori, vite che non esistevano. Compagni ormai inevitabili. 
Un uomo che crea frequenta la migliore delle salvezze umane. 

Nonostante abbia sempre scritto, anche quando non ero padrone del tempo, mi chiedo: come ho fatto a vivere diviso, per gran parte alieno, facendo cose che non ero io, che io non avevo, che simulavo!?
Bisognerebbe sapere che quando si ha paura, se si va oltre, ci si chiederà, un giorno, come potessimo averne. Increduli...


Simone Perotti
scrittore e navigatore
dalla sua pagina Facebook del 17 maggio 2016
qui il suo sito

e anche la foto è sua scattata a casa di un suo amico che vive su un'isola


mercoledì 18 maggio 2016

Scrivere significa essere esposti a ogni vento

La vita di uno scrittore è molto vulnerabile, quasi nuda. Non dobbiamo piangerci sopra. Lo scrittore fa la sua scelta e a essa è vincolato. Ma è vero che si è esposti a ogni vento e che alcuni venti sono davvero gelidi. Si è isolati, e in una posizione non facile. Non si ha alcun riparo, alcuna protezione, a meno che non si menta, nel qual caso ovviamente, ci si costruisce la propria protezione e, si potrebbe dire, si diventa un politico.

Harold Pinter
dal discorso per il premio Nobel nel 2005

A writer's life is a highly vulnerable, almost naked activity. We don't have to weep about that. The writer makes his choice and is stuck with it. But it is true to say that you are open to all the winds, some of them icy indeed. You are out on your own, out on a limb. You find no shelter, no protection - unless you lie - in which case of course you have constructed your own protection and, it could be argued, become a politician.

martedì 17 maggio 2016

solitudine, lenta fatica d'amore

In campagne di vento
urlano i cani
sul sonno delle mandrie all'addiaccio.
Or sulle mani
mi respiri tu
solitudine
lenta fatica d'amore.

Antonia Pozzi
Parole
Garzanti 1989

lunedì 16 maggio 2016

Poesia e filosofia non sono sostanza ma intensità, come il vento, le nuvole o una tempesta

Giorgio Agamben ha scritto un bellissimo libro. I suoi libri sono sempre densi e tersi (e imprevedibili come quello dedicato recentemente a Pulcinella, edizioni Nottetempo). Hanno lo sguardo rivolto al passato remoto. È il solo modo per intensificare il presente. Prendete il suo ultimo lavoro Che cos'è la filosofia? (edito da Quodlibet), cosa nasconde una domanda apparentemente ovvia? 

"È mia convinzione" - dice Agamben - "che la filosofia non sia una disciplina, di cui sia possibile definire l'oggetto e i confini (come provò a fare Deleuze) o, come avviene nelle università, pretendere di tracciare la storia lineare e magari progressiva. La filosofia non è una sostanza, ma un'intensità che può di colpo animare qualunque ambito: l'arte, la religione, l'economia, la poesia, il desiderio, l'amore, persino la noia. Assomiglia più a qualcosa come il vento o le nuvole o una tempesta: come queste, si produce all'improvviso, scuote, trasforma e perfino distrugge il luogo in cui si è prodotta, ma altrettanto imprevedibilmente passa e scompare".

(...)
Un antidoto allo scadere nella pratica burocratica può essere la poesia. Tu hai spesso ribadito il legame tra filosofia e poesia. Che lo stesso Heidegger pose al centro della sua riflessione. In cosa consiste questo legame?
"Ho sempre pensato che filosofia e poesia non siano due sostanze separate, ma due intensità che tendono l'unico campo del linguaggio in due direzioni opposte: il puro senso e il puro suono. Non c'è poesia senza pensiero, così come non c'è pensiero senza un momento poetico. In questo senso, Hölderlin e Caproni sono filosofi, così come certe prose di Platone o di Benjamin sono pura poesia. Se si dividono drasticamente i due campi, io stesso non saprei da che parte mettermi".


frammenti dell'intervista di Antonio Gnoli a Giorgio Agamben
Repubblica domenica 15 maggio 2016

domenica 15 maggio 2016

fiorisco la magnolia come l'anima mia

Come l'anima mia
la magnolia fiorisce - 
sto meglio.

Kawabata Bosha
Il muschio e la rugiada
antologia di poesia giapponese
BUR 1996

sabato 14 maggio 2016

la strada verso casa brilla con le foglie dei gelsi

Come brillano le foglie
dei gelsi - prendo la strada
del ritorno a casa.

Mizuhara Shuoshi
Il muschio e la rugiada
antologia di poesia giapponese
BUR 1996

venerdì 13 maggio 2016

per questo cuore - sono caduti i fiori

Quieta è la luce 
nei giorni di primavera,
ma non c'è pace 
per questo cuore -
sono caduti i fiori. 

(Kokin. 2, 84)

Ki No Tomonori
Il muschio e la rugiada
antologia di poesia giapponese
BUR 1996



giovedì 12 maggio 2016

i gabbiani sospesi nell’aria si muovono appena, punteggiatura di un più alto scritto

Valzer
Sono così sgargianti i giorni, così chiari,
che la polvere bianca della disattenzione
copre persino le rare esili palme.
Le serpi scivolano silenziose nelle vigne,
ma alla sera il mare si fa cupo e i gabbiani
sospesi nell’aria si muovono appena,
punteggiatura di un più alto scritto.
Sulle tue labbra una goccia di vino.
Le montagne calcaree all’orizzonte si dissolvono
lente mentre una stella appare.
La notte, in piazza, un’orchestra di marinai
in uniformi bianche immacolate
suona un valzer di Šostakovič; piangono
i bimbi, come se intuissero
di cosa parla quella musica allegra.
Siamo stati rinchiusi nella scatola del mondo.
L’amore ci renderà liberi, il tempo ci ucciderà.
Adam Zagajewski
Dalla vita degli oggetti 

a cura di Krystyna Jaworska
Adelphi 2012

mercoledì 11 maggio 2016

Il mio fuoco brucia da sempre col tuo

Alcesti


Ma solo pensare a te.
Non è una figura che viene
una nitida traccia.
È come cadere in un posto
con un po' di dolore.

Tu sei il mio tu più esteso
deposto sul fondo mio. Tu. Non c'è
un'altra forma del mondo
che si appoggi al mio cuore
con quel tocco, quell'orma.
Tu. Tu sei del mondo la più cara
forma, figura, tu sei il mio essere a casa
sei casa, letto dove
questo mio corpo inquieto riposa.
E senza di te io sono lontana
non so dire da cosa ma
lontana, scomoda un poco
perduta, come malata.
Un po' sporco il mondo lontano da te,
più nemico, che punge, che
graffia, sta fuori misura.

Mio vero tu, mio altro corpo
mio corpo fra tutti mio
più vicino corpo, mio corpo destino
ch'eri fatto
per l'incastro con questo mio
essere qui in forma di femmina
umana. Mio tu. Antico suono
riverberante, antico
sentirti destino intrecciato
sentire che sei sempre stato,
promesso da ere lontane
da distanze così spaventose
così avventurose distanze da
lontananze sacre.

Tu sei sacro al mio cuore.
Il mio fuoco
brucia da sempre col tuo
il mio fiato.

Io parlo delle forze --
di correnti sul fondo del mio lago
sul fondo del tuo, oscure e potenti,
più del tempo dure più dello
spazio larghe, ma sottili
al nostro sentire,
afferrate appena
e poi perdute, nel loro gioco.

Che cosa siamo io e te? Che cosa eravamo
prima di questo nome? E ancora
saremo qualcosa, lo sappiamo e non
lo sappiamo, con un sentire
che non è intelligente lavorio cerebrale.

Nessuna parte di corpo che muore
nessun pezzo umano, nessun arto,
nessun flusso di sangue, nessun
cuore, nessuno, niente che sia
stretto nel giro del sole, niente
che sia solo terrestre umano muove
il tuo cuore al mio, il mio al tuo,
come fossero due parti di un uno.

Allora tu sei la mia lezione più grande
l'insegnamento supremo.
Esiste solo l'uno, solo l'uno esiste
l'uno solamente, senza il due.


Mariangela Gualtieri
Bestia di gioia

Einaudi 2010

martedì 10 maggio 2016

Mistero voglio chiamarvi, rose, silenzio che ha colore

È maggio e io scrivo delle rose.
È la paleobotanica che dice
semplicemente che sono un mistero.
Mistero voglio chiamarvi, rose, ticchettio
di una fuga, silenzio che ha colore,
sosta d'altro mondo dentro il mondo,
fuoco che rinfresca, respiro vero
di creature piccole alate.
Voi dettate una legge d'eleganza
una sprezzatura di ciò che osa
durata e non profuma o chiama
come voi la luce. Fino a cadere
dentro una passione che vi bagna.
Voi vi spandete tutte in un'altura
di battiti - visione che vi induce
a sparire senza rumore. Rose.


Mariangela Gualtieri
Le giovani parole
Einaudi 2015

Nel cielo turchino la promessa di un lungo meriggio, di un giorno infinito

Mattina a Vicenza
In memoria di Iosif Brodskij e Krzysztof Kieslowski 

Il sole era così fragile, così giovane,
che un po’ temevamo per lui; un gesto distratto
poteva scalfirlo, persino un grido se qualcuno avesse 
gridato poteva minacciarlo; solo alle rondini in volo
dalle ali temprate, come fuse in uno stampo di ghisa,
era concesso stridere forte, poiché la loro infanzia
era stata breve, colma d’affanno, in nidi d’argilla,
insieme ai fratelli, minuscoli, folli pianeti,
neri come more silvestri.
Nel piccolo caffè un cameriere assonnato sotto i suoi occhi
confluivano le ultime ombre della notte cercava spiccioli
in una tasca fonda, e il caffè profumava solenne
d’inchiostro di stampa, di dolcezza, d’Arabia. Nel cielo turchino
la promessa di un lungo meriggio, di un giorno infinito.
Ti guardavo come se fosse la prima volta.
Persino le colonne del Palladio
parevano sorte in quell'istante, emerse dalle onde dell’alba
come Venere, la tua sorella maggiore.
Iniziare di nuovo, contare le perdite, contare i caduti,
iniziare un nuovo giorno, anche se non ci siete più, tu,
che due volte abbiamo seppellito e pianto
hai vissuto due volte più degli altri, in due continenti,
in due lingue, nella realtà e nella fantasia –, e tu, dal viso affilato,
e dallo sguardo che ingrandiva oggetti e cuori (sempre troppo minuscoli).
Non ci siete e per questo noi ora condurremo una duplice vita,
nella luce come nell'ombra, nell'abbagliante sole del giorno
e nel freddo dei corridoi di pietra, nel lutto e nella gioia.


Adam Zagajewski
Dalla vita degli oggetti 
a cura di Krystyna Jaworska
Adelphi 2012

domenica 8 maggio 2016

Io sono io solo con te

Io sono io, con te,  Senza di te, non riesco a essere me stesso.

Je suis mois, avec toi. Sans toi, je n'arrive pas à être moi-même.

(la traduzione è mia. E.P.)

Jorge Guillén in una lettera alla moglie Germaine Cahen
citata da Roberto Giacomelli nell'introduzione a

Cantico per Jorge Guillén
Breve antologia
Le Lettere 2006


sabato 7 maggio 2016

Apriamo il libro della sera tra due nuvole e una pagina bianca

Luna

Apri il libro della sera alla pagina
in cui la luna, la luna sempre, appare
tra due nuvole, spostandosi così piano che parrà
siano trascorse ore prima che tu giunga alla pagina seguente
dove la luna, ora più luminosa, fa scendere un sentiero
per condurti via da ciò che hai conosciuto
entro i luoghi in cui quello che ti eri augurato si avvera,
la sua sillaba solitaria come una frase sospesa
sull’orlo del significato, in attesa che tu ne dica il nome
una volta ancora mentre alzi gli occhi dalla pagina
e chiudi il libro, sentendo ancora com’era
soffermarsi in quella luce, quell’improvviso paradiso di suono.


Mark Strand
Uomo e cammello
traduzione di Damiano Abeni
Mondadori 2007

venerdì 6 maggio 2016

Lassù, per gli spazi azzurri vagano suoni leggeri, e le stelle

Notte tranquilla
La punta delicata delle tue dita, il finissimo
silenzio delle mie labbra che su di esse
trova il brillìo delle acque, la luna 
che sorge da uno stagno di larghe foglie;
più in alto passa il vento, per gli alberi,
e nel cielo la notte.
Adesso guarda
come è dolce la vita, come si allontanano
le orbite eteree abbandonando
una luce sulla nostra fronte.
Io ti amo
e le ore salgono; ascolta il fruscìo
sconosciuto della notte e infinito.
Lentamente, nelle mie braccia, senza turbare
l’eternità che l’aria sta formando
con i suoi cerchi immobili, contempla
il pallido riflesso che ondeggia tra le foglie,
questo istante che siamo sulla terra,
sospeso.
Lassù, per gli spazi azzurri
vagano suoni leggeri, e le stelle.

Juan Rodolfo Wilcock
Poesie giovanili

giovedì 5 maggio 2016

le nuvole vogliono il nostro cielo

Finestra

Di colpo – osservi – è venuta,
è venuta di colpo la primavera
che si aspettava da anni.
Ti guardo offerta a quel verde
al vivo alito al vento,
ad altro che ignoro e pavento
– e sto nascosto –
e toccasse il mio cuore ne morrei.
Ma lo so troppo bene se sul grido
dei viali mi sporgo,
troppo dal verde dissimile io
che sui terrazzi un vivo alito muove,
dall’incredibile grillo che quest’anno
spunta a sera tra i tetti di città
– e chiuso sto in me, fasciato di ribrezzo.
Pure, un giorno è bastato.
In quante per una che venne
si sono mosse le nuvole
che strette corrono strette sul verde,
spengono canto e domani
e torvo vogliono il nostro cielo.
Dillo tu allora se ancora lo sai
che sempre sono il tuo canto,
il vivo alito, il tuo
verde perenne, la voce che amò e cantò –
che in gara ora, l’ascolti?
scova sui tetti quel po’ di primavera
e cerca e tenta e ancora si rassegna.


Vittorio Sereni
Gli strumenti umani
Einaudi 1965